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Africa

E' una delle sette parti del mondo e si estende in latitudine per ca. 72° (da 37°20’ nord a 34°50’ sud) e in longitudine per ca. 69° (da 17°32’ ovest a 51°23’ est). Ha una forma compatta, con la sezione settentrionale massiccia ed espansa verso ovest e una sezione meridionale a forma di triangolo con l’apice rivolto a sud. Le sue coste, che si sviluppano per ca. 30.000 km, sono generalmente piatte e basse a nord, alte e dirupate a sud, con scarse articolazioni. Fanno parte del continente alcune isole, tra cui: il Madagascar, le Comore, le Seicelle, Socotra nell’Oceano Indiano; Madeira, le Canarie, Ascensione, Sant’Elena, le Isole del Capo Verde, di Bioko, di São Tomé nell’Oceano Atlantico. I confini dell’Africa sono prevalentemente marittimi, essendo essa unita all’Eurasia solo per mezzo dell’istmo di Suez (dal 1869 tagliato dall’omonimo canale). A nord ha il Mar Mediterraneo, a est l’Oceano Indiano e il Mar Rosso, a ovest l’Oceano Atlantico. Il suo territorio, che ha una larghezza e una lunghezza massime rispettivamente di ca. 7500 e di 8000 km, si estende su più di 30 milioni di km2, pari a un quinto delle terre emerse. GEOGRAFIA FISICA p Rilievo. Il territorio africano è caratterizzato dalla presenza di grandi tavolati (il più caratteristico è l’Acrocoro Etiopico) su cui sorgono isolati i massicci vulcanici sahariani antichi dell’Ahaggar (2918 m) e del Tibesti (3415 m) e, più a sud-est, quelli recenti e ben più imponenti del Kilimangiaro (5895 m) e del Kenya (5199 m). Di vere e proprie catene montuose si può parlare soltanto a proposito dell’Atlante, a nord, formatosi nel Cenozoico, e, all’estremo sud, delle catene sudafricane della regione del Capo, dovute all’orogenesi ercinica. La monotonia dei tavolati è rotta a est da due enormi fosse tettoniche di sprofondamento: quella centro-africana, che dalla baia di Sofala risale fino alla vallata del medio Nilo, e quella est-africana che ha origine nella regione a ovest del Kilimangiaro e continua a nord nelle zone colmate dal Mar Rosso e dal Mar Morto. p Clima. Tagliata a metà dall’equatore e compresa per ca. quattro quinti nella zona dei tropici, l’Africa presenta situazioni climatiche assai diverse da regione a regione. È possibile tuttavia stabilire in sintesi una fascia equatoriale con temperature elevate, scarse escursioni termiche stagionali, piogge abbondanti lungo tutto l’arco dell’anno, con massimi solstiziali. A nord e a sud di questa si stendono due fasce a clima tropicale, con temperature sempre elevate, ma escursioni termiche annue più sensibili e piogge periodiche (zenitali) alternate a uno o due periodi secchi. Le regioni del Sahara, del Kalahari e della Namibia sono caratterizzate da clima desertico con elevatissime temperature nella stagione estiva, escursioni termiche annue e diurne abbastanza notevoli, precipitazioni scarsissime o nulle. Infine le estreme regioni settentrionali e australi godono di clima mediterraneo, con temperature non eccessivamente elevate nella stagione estiva e inverni miti. Le piogge sono invernali a nord, estive nella regione del Capo. p Idrografia. Alla morfologia prevalentemente tabulare del continente si devono i vastissimi bacini idrografici in cui esso si divide. Tra i grandi fiumi che ne sono i collettori, il primo posto spetta al Nilo, tributario del Mar Mediterraneo, cui affluiscono le acque di buona parte dell’Africa orientale; seguono il Congo (o Zaire), che convoglia all’Oceano Atlantico le acque equatoriali, lo Zambesi e il Limpopo che all’Oceano Indiano portano quelle dell’Africa centromeridionale e infine il Niger e l’Orange, che versano nell’Oceano Atlantico rispettivamente le acque delle regioni centrooccidentali e meridionali. Amplissimi, estendendosi su ca. un quarto del continente, sono i bacini idrografici privi di deflusso al mare (bacini dei laghi Ciad e Ngami) e le zone senza corsi d’acqua (Sahara e Kalahari). I laghi occupano per la maggior parte il fondo di alcuni tratti delle fosse tettoniche (Niassa, Tanganica, Kivu, Edoardo, Alberto, Turkana). Il solo Vittoria, il più esteso dell’Africa e uno dei più vasti del mondo, è un tipico lago di altopiano. Il Ciad, lo Ngami, il Makarikari non sono che vasti acquitrini, a superficie variabile secondo le stagioni. p Flora. Nelle estreme aree sett. e australi allignano i pini, le querce, gli agrumi, la vite, l’olivo, la palma e si coltivano frumento, riso, legumi e cotone: colture che, con il caffè e il tabacco, interessano anche le zone più calde, nei punti dove l’altitudine esercita un’azione mitigatrice. Nelle aree desertiche si hanno solo specie vegetali adattate agli ambienti aridi, tranne che nelle oasi, dove la disponibilità d’acqua permette la crescita delle palme da dattero e la coltivazione di cereali e ortaggi. Steppe erbose e savane caratterizzano le aree subtropicali: qui si levano alberi giganteschi come il baobab, il sicomoro, l’albero del pane; lungo i grandi corsi d’acqua si estendono poi le fitte foreste a galleria, così chiamate perché i rami degli alberi si uniscono a volta sul fiume. Si hanno infine, nella zona equatoriale, le lussureggianti foreste pluviali, quasi impenetrabili, dove prosperano essenze pregiate come il teak, il palissandro, l’ebano e il mogano. Colture delle zone tropicali ed equatoriali sono soprattutto la canna da zucchero, il caucciù e il banano. p Fauna. Nelle zone temperate dell’Africa, oltre agli animali delle aree mediterranee, si trovano sciacalli, iene, coccodrilli, avvoltoi, aironi. Tipici dei deserti sono i cammelli e i dromedari. Nelle steppe e nelle savane prosperano gazzelle, antilopi, struzzi, elefanti, giraffe, zebre e numerosi altri erbivori, insidiati da carnivori come leoni e leopardi. Nelle foreste, dove i grossi animali non possono spostarsi agevolmente, la fauna è costituita prevalentemente da scimmie (tra cui il gorilla e lo scimpanzé) e da molte varietà di rettili, uccelli e insetti. GEOGRAFIA UMANA p Popolazione ed etnologia. L’Africa, con ca. 650 milioni di ab. e una densità che si aggira intorno alle 21 unità per km2, è una delle parti del mondo meno popolate. La distribuzione della popolazione è molto disuguale: le aree desertiche e quelle a clima equatoriale sono disabitate o scarsamente popolate, mentre in alcune regioni, come nelle terre coltivate della valle del Nilo, la densità è elevatissima, con valori medi intorno ai 700 ab. per km2. Densità di 40-50 ab. per km2 si hanno di frequente nell’Africa mediterranea, in alcune zone costiere del golfo di Guinea, dell’Africa orientale e nella zona del Capo. A nord del Sahara domina il gruppo bianco, rappresentato dalle più antiche popolazioni del basso Nilo e dai Berberi, ai quali si sono sovrapposti, a partire dal VII sec., gli Arabi. A sud della grande distesa desertica domina invece l’elemento nero, con i Sudanesi, i Nilotici del medio e alto Nilo e i Bantu, il gruppo più numeroso e diffuso. Nelle aree di contatto sono presenti popolazioni di antica commistione tra bianchi e neri, come i Fellata del Sudan, i Tedà del Sahara centrale e gli Etiopici. Miste sono anche le genti del Madagascar orientale (popolazioni nere e malesi). Presenti, seppure in numero assai ridotto, Negrilli (Pigmei) nelle zone equatoriali, Ottentotti e Boscimani, relegati nelle poco ospitali regioni steppiche dell’Africa australe. Si hanno minoranze europee soprattutto nell’Africa mediterranea (Francesi, Italiani) e nell’estremo sud (Inglesi, Boeri). p Lingue. Le lingue parlate in Africa si possono riunire in due grandi gruppi: quello camito-semitico, prevalentemente diffuso nel nord, e quello bantu-sudanese parlato nel centro e nel sud. Il primo gruppo comprende i linguaggi autoctoni camitici, parlati da Berberi, Somali, Copti, Galla, ai quali, in epoca storica, si sono sovrapposti linguaggi di origine semitica, quali l’arabo e l’amarico etiopico. Il secondo raggruppa un gran numero di idiomi sudanesi, spesso assai differenti tra loro e risalenti a ceppi diversi, e gli idiomi bantu, più omogenei, che si fanno risalire a un unico ceppo. p Religioni. La religione più diffusa dell’Africa è l’islamismo: si calcola che lo professino ca. 250-280 milioni di abitanti, soprattutto nelle più popolose regioni settentrionali e orientali. Il cristianesimo è praticato da ca. 120 milioni di Africani, divisi pressappoco pariteticamente tra le confessioni protestanti e il cattolicesimo. Le religioni tradizionali africane, di tipo animistico, fondate su complesse cosmogonie e sul culto delle forze della natura, contano ca. 200 milioni di praticanti. p Città. Poco numerosi i grandi concentramenti urbani. Superano il milione di abitanti: Il Cairo, Alessandria d’Egitto, Johannesburg, Casablanca, Kinshasa, Addis Abeba, Lagos, Abidjan, Nairobi, Antananarivo, Dakar, Città del Capo, El-Gîza, Algeri, Ibadan, Luanda. Tra le città che contano una popolazione superiore ai 400.000 ab.: Tunisi, Fès, Marrakech, Rabat, Tripoli, Harare, Pretoria, Accra, Bamako, Durban, Dar es Salaam, Lusaka, Asmara, Maputo, Ogbomosho, Port Elizabeth, Khartoum, Omdurman, Lubumbashi, Yaoundé, Kampala, Mogadiscio, Brazzaville. GEOGRAFIA ECONOMICA Agricoltura. Il nucleo costitutivo delle economie africane risale al XIX sec., quando avvenne la spartizione del continente tra le potenze coloniali che trovarono in Africa una fonte di approvvigionamento per le loro industrie, sia attraverso un intenso sfruttamento delle risorse minerarie, sia mediante la creazione di grandi piantagioni coloniali (caffè, cacao, tabacco, cotone, arachidi, palmisti ecc.). L’adozione di forme esasperate di monocoltura e la progressiva riduzione dei tempi riservati ai maggesi forestali hanno comportato la degradazione dei terreni e il conseguente impoverimento delle popolazioni locali, dedite a un’agricoltura di sussistenza. Solo nei territori che, per le loro più favorevoli condizioni climatiche e ambientali, si prestavano all’insediamento degli Europei (Sudafrica, Rhodesia – oggi Zimbabwe –, Kenya) l’agricoltura ha assunto forme più razionali e variate, come anche in Algeria e Tunisia, con l’introduzione dell’agrumicoltura, della viticoltura, dell’olivicoltura ecc. Altrove si è invece venuta a creare una netta separazione tra colture industriali e colture di sussistenza, le prime destinate all’esportazione e soggette alle fluttuazioni dei prezzi sui mercati internazionali, le seconde sempre meno sufficienti a coprire i fabbisogni alimentari della popolazione per la bassissima produttività delle tecniche tradizionali. Mentre in passato il problema della fame non si poneva in Africa con la gravità di altre aree sottosviluppate, esso ha assunto proporzioni drammatiche, poiché negli ultimi 30 anni l’incremento del prodotto nazionale lordo è risultato, per vari Paesi, inferiore all’accrescimento della popolazione. Il regresso è stato generale, ma non uniforme, risultando particolarmente accentuato per l’Africa centrale e per quella occidentale, comprendenti la fascia del Sahel più duramente colpita dalla siccità. Le previsioni per il futuro sono ancora più preoccupanti, data la difficoltà di attuare con sollecitudine un’adeguata politica agricola, che blocchi anche i dissodamenti selvaggi, a spese della foresta e della savana, che favoriscono l’avanzata dei deserti e, conseguentemente, la perdita di superfici agricole. Sebbene solo poco più della metà dei terreni agricoli africani risultino effettivamente coltivati, oggi non si tende ad ampliare la superficie agricola, ma a un migliore utilizzo dei suoli e all’incremento della produzione, attraverso l’impiego di fertilizzanti, di sementi selezionate, di impianti irrigui, intensificando inoltre la lotta contro i parassiti e perfezionando i sistemi di conservazione dei prodotti. La scarsità dei mezzi finanziari e le forti difficoltà derivanti dalle condizioni ambientali, dalle strutture tribali e dal ritardo tecnologico tendono però a rallentare i programmi di sviluppo e di diversificazione delle colture. Allevamento. Soprattutto nelle zone della savana e della steppa predesertica, l’allevamento è legato ancora oggi alla transumanza stagionale, tipica di una pastorizia nomade e seminomade, che nei periodi di siccità comporta spesso la morte di migliaia di capi di bestiame. Per quanto il patrimonio zootecnico africano risulti tutt’altro che trascurabile per numero di capi, a esso non corrisponde un’adeguata produzione di carne e latticini, fatta eccezione per le regioni ad agricoltura più evoluta, dove la resa del bestiame macellato supera persino le medie europee. Risorse minerarie. L’Africa rimane un grande mercato di approvvigionamento per i Paesi industriali che attingono alle sue enormi risorse: dalla bauxite, principale ricchezza della Guinea, al ferro che abbonda in Liberia, Mauritania e Repubblica Sudafricana, al rame di cui sono grandi produttori mondiali Zambia e Zaire. La Repubblica Sudafricana è la principale potenza mineraria africana: è il maggiore produttore mondiale di cromo (di cui esistono ingenti riserve anche nello Zimbabwe) e di oro e si colloca, insieme con lo Zaire, tra i massimi produttori mondiali di diamanti; detiene inoltre il primato africano (e il secondo posto nel mondo) per la produzione di manganese, di cui è assai ricco anche il Gabon, e per l’uranio, fornendo, insieme al Niger e alla Namibia, oltre un terzo della produzione mondiale. Forti produttori di fosfati sono Marocco e Tunisia, mentre Nigeria e Libia figurano tra i grandi produttori mondiali di petrolio, seguiti dall’Egitto e dall’Algeria e, a maggiore distanza, da Angola e Gabon. Industrie. Lo sfruttamento degli idrocarburi gassosi ha avuto un rapido sviluppo soprattutto in Algeria, il Paese africano che più si è impegnato a utilizzare i proventi petroliferi per avviare un processo di industrializzazione. Per quanto anche gli altri Paesi ricchi di materie prime tendano a creare una base industriale e ad affrancarsi dalle ex potenze coloniali, il processo di industrializzazione è stato sinora rallentato da molteplici fattori di arretratezza: insufficienza delle infrastrutture, scarsità di capitali e di manodopera qualificata, ristrettezza dei mercati nazionali ecc. A fianco delle poche e modeste industrie tradizionali di trasformazione dei prodotti agricoli e di raffinazione dei minerali, sono sorti i primi impianti metallici, meccanici, chimici e petrolchimici, gli oleodotti che portano il petrolio greggio dai pozzi dell’interno ai porti d’imbarco, i gasdotti e un numero crescente di raffinerie costiere. L’Africa rimane comunque la regione del mondo meno industrializzata. La distribuzione delle industrie non è omogenea: escludendo il Sudafrica, che gode di un’avanzata economia industriale, i 4/5 del potenziale industriale sono concentrati in 10 Paesi, con al primo posto l’Egitto (ca. il 25% dell’intera produzione industriale africana, Sudafrica escluso), seguito da Algeria, Marocco, Nigeria, Kenya, Tunisia, Zambia. Comunicazioni. Vanno decadendo sempre più i tradizionali mezzi di trasporto, gradualmente sostituiti da autoveicoli, utilizzanti una relativamente fitta rete di strade e piste. Le ferrovie sono distribuite in maniera molto ineguale nelle varie parti dell’Africa: la rete più intensa è quella della Repubblica Sudafricana; discrete le reti dei Paesi dell’Atlante e del Nilo, dello Zimbabwe e della Zambia; semplici ferrovie di penetrazione sono quelle che interessano numerosi altri Stati africani. I grandi fiumi che hanno rappresentato le prime vie di penetrazione nel continente non hanno cessato di rivestire una notevole importanza, dopo che le loro rapide, che per lunghi tratti ostacolavano la navigazione, sono state aggirate da tronchi ferroviari o stradali. Importanza sempre crescente assume il trasporto aereo, che unisce i principali centri africani fra loro e con numerosi Paesi europei ed extraeuropei. ESPLORAZIONI L’inizio dell’esplorazione dell’Africa da parte europea coincide con i tentativi, nel tardo Medioevo, di trovare nuove vie commerciali con l’Oriente circumnavigando l’Africa, così da evitare i Paesi musulmani. Primo fra tutti i tentativi di trovare una rotta intorno all’Africa fu quello sfortunato dei genovesi Ugolino e Guido Vivaldi (1281). Due secoli dopo seguirono le imprese, importantissime per il riconoscimento delle coste africane, del portoghese Bartolomeo Diaz, che nel 1488 giunse al Capo di Buona Speranza, e del suo compatriota Vasco da Gama, il quale, negli anni 1497-1498, completò la circumnavigazione dell’Africa. Perché le ricerche geografiche si rivolgano all’interno dell’Africa nera occorrerà aspettare la fine del XVIII sec., con le spedizioni dello scozzese M. Park lungo il corso del Niger (1795-1805). L’attività esplorativa si concentra sugli itinerari dalle coste mediterranee a quelle della Guinea, attraverso il Sahara e il bacino del Ciad (il tedesco Hornemann è il primo europeo ad attraversare il Sahara lungo le carovaniere conosciute dagli Arabi; seguono i britannici Denham, Clapperton, Oudney, il tedesco Barth, il francese Caillé), e lungo gli itinerari di penetrazione costituiti dai grandi fiumi: Niger, Congo, Nilo. La seconda metà del XIX sec. è dominata dalla lunga vicenda della ricerca delle sorgenti del Nilo, entro la quale spiccano le figure dei britannici D. Livingstone (che viaggia nel 1849-1873), H.M. Stanley (che nel 1879-1884 opera nel Congo per conto di Leopoldo II del Belgio), J.H. Speke (nel 1857-1863 raggiunge i laghi Tanganica e Vittoria). Gli Italiani furono presenti con un nutrito gruppo di esploratori, tra i quali G. Miani, che risalì il Nilo nel 1860, G. Massaia, missionario ed esploratore in Etiopia e poi R. Gessi, C. Piaggia, G. Casati e V. Bottego, che operò in Etiopia tra il 1891 e il 1897. STORIA I più antichi resti fossili umani (Australopithecus afarensis, 3,5 milioni di anni fa; Homo abilis, 2,5 milioni; Homo erectus, 1,8 milioni) sono stati ritrovati in Africa, che viene ritenuta il centro di diffusione dell’umanità sulla Terra. Anche i più antichi manufatti attribuibili agli antenati dell’uomo sono stati ritrovati in Africa a Olduvai, in Tanzania, e il Sahara, allora fertile, era sede di fiorenti civiltà preistoriche (graffiti dell’Hoggar). Mentre la desertificazione del Sahara (IV millennio a.C.) isolava l’Africa centromeridionale dall’Africa settentrionale e mediterranea, in questa si sviluppava la civiltà egizia e si accentuavano i rapporti con il Medio Oriente (fondazione delle colonie fenicie, I millennio a.C.) e con l’Europa (colonizzazione greca, dal VII sec. a.C.; creazione della colonia romana di Africa, 146 a.C.; invasione e insediamento dei Vandali, 429 d. C.; riconquista bizantina, 534). La conquista araba (640-708) portò all’islamizzazione dell’Africa settentrionale e alla formazione di forti Stati arabo-berberi (Marocco, Algeria, Tunisia, Cirenaica, Tripolitania, Egitto). Il cristianesimo, di confessione copta, sopravvisse in Etiopia e in ristrette aree dell’Egitto. Tra il X e il XIX sec. nell’Africa subsahariana, a contatto con le infiltrazioni arabe, i popoli del gruppo sudanese diedero vita nelle regioni occidentali a importanti formazioni statali fondate sui commerci carovanieri (impero del Ghana, impero mandingo del Mali, regni del Songhai, del Kanem Bornu, degli Haussa e dei Fulbe), o più a est i regni islamizzati del Kordofan e del Darfur. In area bantu emersero i regni del Manikongo, sul fiume Congo, e del Monomotapa (Zimbabwe), e nel XIX sec. quello degli Zulu. Sulle coste orientali si fece sentire l’influenza araba, persiana e indonesiana. A partire dal XV sec. Portoghesi, in particolare, e Spagnoli iniziarono la penetrazione europea, dapprima limitata a scali e empori commerciali sulle coste lungo la rotta per le Indie e poi impegnata nella tratta degli schiavi. Nel XVII sec. coloni olandesi (i Boeri) si stabilirono nella regione del Capo di Buona Speranza. L’attività esplorativa, costantemente seguita da un’opera di colonizzazione e di sfruttamento delle materie prime, si intensificò nel XIX sec., e nel 1885 la conferenza di Berlino sancì la spartizione dell’Africa intera tra le grandi potenze europee: Gran Bretagna e Francia, in primo luogo, seguite da Germania e Belgio, Portogallo, Spagna e Italia. L’occupazione dell’impero di Etiopia da parte dell’Italia (1935-1936) è l’ultima conquista coloniale in Africa. Dopo la seconda guerra mondiale iniziò nelle colonie e nei protettorati africani un movimento per l’emancipazione e la piena indipendenza, che in 20-30 anni portò alla completa decolonizzazione del continente, anche se in taluni casi a prezzo di guerre lunghe e sanguinose (Algeria, in particolare, e Mozambico e Angola). Il problema drammatico della dipendenza dai Paesi avanzati ereditata dal colonialismo e di una permanente arretratezza economica, a cui assai spesso si sovrappongono conflitti etnici e fragilità delle strutture statali, fa dell’Africa contemporanea un continente di profonda instabilità e conflittualità politica. A queste cercano di rimediare le organizzazioni economiche e politiche fra i vari Stati, di cui la più rilevante è l’Organizzazione dell’Unità Africana (OUA), che nel 1991 raggruppava 50 Paesi. ARTE Assai complessa per varietà di manifestazioni, l’arte africana si suole convenzionalmente dividere in tre gruppi. Al primo appartengono le testimonianze di arte preistorica dell’Africa settentrionale (rinvenute sui rilievi dell’Atlante, del Tassili, in varie zone montuose del Sahara) e dell’Africa meridionale, comprendenti centinaia di figurazioni policrome, incise o dipinte su roccia, di soggetto animale, improntate a un vivace realismo. Il secondo gruppo è quello delle culture archeologiche, fiorite prima dello stabilirsi di relazioni con l’Europa. Tra le espressioni più elevate sono le imponenti rovine rhodesiane di Zimbabwe (VIII-XV sec.) e l’arte plastica sviluppatasi dall’XI al XVII sec. nella zona compresa tra il golfo di Guinea e il Sahara merid., particolarmente nei centri di Ife e Benin (figurine umane o animali in pietra e in terracotta, piccoli bronzi, avori, dove realismo e schematizzazione si fondono mirabilmente). Le manifestazioni artistiche contemporanee, volte alla continuazione o al recupero di espressioni autoctone, costituiscono il terzo gruppo. Si possono distinguere tre aree stilistiche di produzione: la regione centroccidentale (Bambara, Dogon, Senufo), la regione del golfo di Guinea (Yoruba, Ashanti, Ibibo) e la zona delle culture dei Bantu, che abbraccia le popolazioni di Congo, Angola, Camerun, Tanganica, la cui produzione è ispirata a un realismo idealizzato che è la più esemplare manifestazione dello spirito africano. Materiale preferito nella produzione contemporanea è il legno (ma non mancano bronzi e avori) con cui sono lavorate le grandi maschere e le piccole statue, per lo più collegate a riti magici e al culto dei morti: queste, per la concisione formale, la semplificazione delle masse, l’accentuazione espressionistica, sono giustamente considerate le manifestazioni più tipiche dell’arte nera.

Veduta del Kilimangiaro (Tanzania)