GIUSSANI: «IL CRISTIANESIMO NON È UN'ETICA»
Di Luca Doninelli (il Giornale, 16 Gennaio 2002)
Ritorna in libreria, per fortuna, uno dei testi meno noti e più importanti
di Luigi Giussani: «L’uomo e il suo destino» (Marietti,
pagg. 154, €.10,33)
Se i tre volumi del «Per-Corso» : «Il Senso Religioso»,
«All’origine della pretesa cristiana», «Perché
la Chiesa», costituiscono la struttura portante del suo pensiero antropologico,
cristologico ed ecclesiologico, «L’uomo e il suo destino»
ci offre gli esiti più alti della sua riflessione più recente
su questi stessi temi.
Fin dalle prime righe ci viene presentato in tutta la sua gravità il
problema, il nodo culturale che la Chiesa si trova ad affrontare nel rapporto
con la storia presente.
Richiamandosi alle parole pronunciate da Massillon durante l'orazione funebre
per il Re Sole («Dieu seul est grand, mes fréres»), Giussani
indica quell’evento come «il segnale dell'epoca in cui la ragione
pretese di occupare tutto lo spazio dell'intervento di Dio sull'uomo, in ogni
senso».
La Chiesa si arroccò così in difesa della moralità del
popolo cristiano, dando per scontata l'evidenza del contenuto dogmatico, «Fu
perciò favorita una mancanza di difesa e di alimento della fede del popolo
di Dio, in quanto è attraverso l'attività culturale che la vita
di un popolo si approfondisce e diventa storicamente generativa, pro o contro
la tradizione cristiana che ha costruito la civiltà occidentale».
In parole molto povere ma, credo, non inesatte: é come se, da un certo
momento in poi, la Chiesa avesse concentrato le proprie forze sugli aspetti
etici del cristianesimo, lasciando da parte la sua ontologia e i suoi aspetti
estetici e psicologici, ossia conoscitivi di quel patrimonio antico che identifica
il cristianesimo, prima che con una morale, con una mens. Come attesta il termine
metànoia, «conversione», il cui senso originario è:
«cambiamento della mente».
Parlare del cristianesimo oggi non sarebbe possibile se non considerando il
fatto capitale che «noi, ora, è come se fossimo investiti dalle
estreme conseguenze della ribellione razionalista al Dio vivente rivelatosi
all'uomo». Chiunque oggi, cristiano e non, credente e non, è investito
da tali conseguenze. Siamo nel "day after" di una massiccia opera
di devastazione, degradazione, demoralizzazione, umiliazione dell'io, della
personalità umana.
Il dramma del nostro tempo, dentro e fuori la Chiesa, non riguarda tanto Dio,
Colui che «è tutto in tutto» (S. Paolo), quanto la nostra
consistenza: se Dio è tutto, noi che cosa siamo? Il mondo che cos'è?
Poco oltre Giussani precisa «che il capello non si fa da sé, è
evidente alla ragione, che il fiore non si fa da sé è evidente
alla ragione, che io non mi faccio da me è evidente alla ragione. Ma
come agisce il Mistero che fa il fiore? Come mi fa? Più radicalmente
ancora, come fa il Mistero a creare qualcosa che non si identifichi con Se stesso?».
Panteismo e nichilismo sono le due grandi scorciatoie per dare una risposta
a questa domanda.
Tutti e due muovono da un disprezzo della contingenza umana, della piccolezza
delle cose, della loro miseria: consegnando la debolezza e la contingenza al
potere, alla forza, unica fonte di legittimità.
Panteismo e nichilismo conducono al potere, e quindi al totalitarismo in tutte
le sue forme, ivi comprese quella americana e quella italiana, e tante altre
se ne potrebbero aggiungere a tutti i livelli. Anche l'arroccamento eticista
di tanta parte della Chiesa appartiene, in qualche modo, a questa oppressione
totalitaria.
Di contro, solo nel cristianesimo la libertà umana (unico punto nel quale
l'uomo si distingue, ontologicamente, dal pezzo di materia cui il potere, inevitabilmente,
lo vorrebbe ridurre) riceve la sua piena valorizzazione, contro ogni manipolazione:
l'incontro ravvicinato e traumatico con altre culture avrebbe dovuto insegnarcelo.
Scritte anni fa, queste pagine di cui abbiamo presentato, qui, quello che ci
sembra il punto d'avvio, risultano particolarmente attuali in questi mesi d'incertezza
e di guerra, nei quali tutti si richiamano ai valori della nostra civiltà
senza quella lucidità che, sola, permette di non cadere nella retorica.