C'è una frase che ricorre spesso negli scritti e nelle
conferenze di Rudolf Steiner e che suona a un dipresso così:
"L'uomo deve conquistarsi qui, sulla Terra, tutto ciò
che concerne la sua vera natura, le Gerarchie spirituali, i mondi
spirituali, tutto ciò, insomma, che concerne la scienza
dello spirito". E' della massima importanza per l'uomo portare
con sè questo bagaglio di conoscenze quando varca la soglia
della morte. Potrà così irradiare di luce il suo
cammino e comprendere il succedersi delle esperienze animiche
alle quali andrà incontro. Inoltre, solo conoscendo le
profonde trasformazioni che l'anima sperimenta nel post mortem,
egli riuscirà ad aiutare le persone care che lo hanno preceduto
nel varcare la soglia ed a creare con loro un vivo rapporto, sebbene
vivano ormai in due sfere di esistenza differenti.
Inizierò quindi con il tratteggiare il cammino dell'anima
tra morte e nuova nascita, per poi parlare dei rapporti che, con
l'aiuto della Scienza dello spirito, è possibile instaurare
tra i vivi e i morti.
La morte può essere terrificante per noi finché
siamo sulla Terra, perché la viviamo come una fine, come
uno sprofondare nel nulla o nell'ignoto. Ma dall'altra parte,
nel mondo spirituale, la morte ci appare come la vittoria dello
spirito che si svincola dal corpo fisico. L'anima del defunto
si rivolge sempre a questo evento come al momento sublime della
sua vita nel Cosmo. In relazione a questo evento si accende ciò
che dopo la morte è la nostra coscienza dell'io.
La vita dopo la morte consiste in un lungo viaggio, ascendente
dalla Terra ai mondi spirituali, discendente dai mondi spirituali
alla Terra. In questo percorso, che dura secoli, l'anima sperimenta
una continua metamorfosi dei suoi stati di coscienza ed alterna
fasi di consapevolezza a fasi di spegnimento della coscienza,
così come nella vita terrena allo stato di veglia subentra
lo stato di sonno.
Va detto però che la condizione dell'anima nei mondi spirituali
non è sempre stata la stessa. Nel susseguirsi delle epoche
di civiltà postatlantica, l'uomo è andato sempre
più congiungendosi con il piano fisico, con la materia,
ma nel contempo il mondo spirituale gli è diventato estraneo
sia nella vita sulla Terra che nel post mortem.
Il periodo di massimo oscuramento si è verificato nell'epoca
greco-romana; allora le anime che entravano nel regno dei defunti
avevano la sensazione di trovarsi in un luogo vuoto, buio e freddo.
Nell'Odissea Omero fa dire ad Achille: "Meglio essere un
mendicante sulla Terra che un re nel regno delle ombre".
Se la solitudine dell'anima dei defunti fosse rimasta quale era
allora, amore e fratellanza sarebbero scomparsi dalla Terra: reincarnandosi
l'uomo avrebbe portato in sé la tendenza all'isolamento.
L'impulso del Cristo, che inserì sulla Terra le fondamenta
per la fratellanza e l'amore, pose fine a questo periodo di massima
oscurità.
Quando si compì il mistero del Golgota, il Cristo apparve
alle anime che vivevano tra morte e nuova nascita nel mondo spirituale,
e questo mondo fu irradiato da una luce potente.
Rudolf Steiner dice ripetutamente che quanto più l'uomo
conosce e sperimenta il Cristo qui, nella vita terrena, in modo
che l'impulso del Cristo si insedi possentemente nella sua anima,
tanto più luminosa sarà per lui la vita nei mondi
spirituali, e tanto più facile la comprensione e la fusione
con gli altri esseri.
Quando l'uomo, al momento della morte depone il corpo fisico,
la sua entità continua a vivere nel corpo eterico, nel
corpo astrale e nell'io. Le sostanze del corpo fisico ricadono
totalmente sotto le leggi delle forze terrestri e vengono distrutte.
Qualcosa del corpo fisico però non viene distrutta, ed
è la forma del corpo fisico umano, che Rudolf Steiner chiama
fantoma. Il suo germe fu posto dai Troni sull'antico Saturno e
su esso hanno ulteriormente lavorato altri esseri delle gerarchie.
Deposto il corpo fisico, l'uomo è sommerso dalle tenebre.
Ma a poco a poco, sullo sfondo, scorge una luce che diventa sempre
più intensa, fino ad apparire come una stella luminosissima
dalla quale si espande saggezza cosmica radiante.
Su questo sfondo si proietta la visione panoramica di tutta la
vita, in forma di immagini. Questo è il momento in cui
il corpo eterico comincia a sciogliersi dal corpo fisico e ad
effondersi nell'oceano eterico universale. L'anima del defunto
si concentra ora sul quadro sempre più distinto dei fatti
della vita trascorsa, su questa visione che non è legata
ad una successione temporale, ma si presenta come un insieme di
ricordi sovrapposti di grande vivezza. Questo panorama viene sentito
in modo oggettivo, mentre di norma i fatti della vita fisica sono
accompagnati da sentimenti soggettivi di gioia o di dolore. Nel
quadro-ricordo è compreso tutto quanto l'uomo si è
conquistato nell'ultima vita terrena e dà l'impulso al
nascere della coscienza nel post mortem.
Il defunto resta immerso in questa contemplazione per circa tre
giorni, sino a quando l'io e il corpo astrale mantengono i legami
che li uniscono al corpo eterico. Un estratto del corpo eterico
rimane unito all'entità umana e gli permetterà di
ricordare la vita passata.
Ora l'uomo entra nella sfera della Luna anche se, più che
di un luogo, bisogna parlare di uno stato di coscienza. Egli si
trova nel kamaloca detto anche mondo delle brame o purgatorio,
e lo percorre in un tempo pari a circa un terzo della durata della
sua vita terrena. Il kamaloca viene chiamato anche regione delle
brame, perché in esso l'uomo deve purificarsi da tutti
i desideri, da tutte le brame, dalle più grossolane alle
più sottili, connesse con il corpo fisico.
Il godimento è legato anche al corpo astrale, e pertanto,
l'uomo non si libera subito dalle sue brame, che peraltro non
può soddisfare perché privo del corpo fisico. Il
processo di purificazione è abbastanza lungo, ma varia
da anima ad anima: è più breve per le anime degli
uomini i cui interessi terreni erano prevalentemente di natura
spirituale, artistica; è più lungo per coloro che
coltivarono interessi prevalentemente materialistici o egoistici.
L'anima è ancora fortemente legata alle forze della Terra
e a tutto ciò che la unisce alla vita terrena.
Nella sfera della Luna l'uomo incontra gli antichi maestri dell'umanità,
incontra gli Angeli, in particolare il proprio angelo, e tutte
le persone con le quali era stato in relazione sulla Terra, rivivendo
con loro le esperienze che ebbero in comune.
In questa fase del lungo cammino dell'anima nei mondi spirituali
si verifica uno dei grandi rovesciamenti dello stato di coscienza
del post mortem: tutto ciò che abbiamo fatto, detto o anche
solo pensato, relazionandoci con altri uomini, viene rivissuto
attraverso le sensazioni che il nostro agire operò nell'altra
persona. Se le abbiamo fatto del bene, se l'abbiamo aiutata nella
sua evoluzione, dalla sua anima ci viene incontro un riflesso
di quel bene, pervadendoci di gioia. Se le abbiamo fatto del male,
ci viene incontro un riflesso della sua sofferenza, della sua
paura, o della sua umiliazione, suscitando in noi un grande dolore.
Tutto ciò viene sperimentato con la massima intensità.
Si sente: "Tu hai contribuito al progresso di quell'anima,
oppure, tu l'hai danneggiata". Si percepiscono anche i sacrifici
che parenti, amici, maestri hanno fatto per noi, di cui magari
non ci eravamo neppure resi conto in vita. Questa conoscenza diventa
un germe di gratitudine per l'avvenire.
L'anima ora comprende che le sue passioni di ordine inferiore,
le sue azioni malvagie, il suo egoismo hanno danneggiato altri
uomini, se stessi, i regni della natura, il Cosmo. Allora, dal
suo intimo, sorge potente l'impulso a rimediare a tutto ciò
nella prossima vita terrena. Questa decisione è presa nella
più completa libertà, e costituisce il nucleo del
karma futuro.
Si esce dalla sfera della Luna portando con sé solo quello
che abbiamo compiuto di buono nell'ultima esistenza terrena. Fino
alla Luna perdura la vera e propria sfera del kamaloca la
parte sgradevole del kamaloca. Poi iniziano le più trasparenti
regioni del mondo animico.
Le entità lunari, che un tempo furono i nostri maestri,
esprimono un severo giudizio sul valore che hanno le nostre buone
e cattive azioni per l'intero universo.
Nelle sfere successive, Mercurio e Venere, sono determinanti l'amore,
la compassione, la socievolezza che l'uomo ha saputo sviluppare
durante la vita terrena; su Venere inoltre, e in forma più
ampia nel Sole, è importante l'attitudine al senso religioso.
Chi non ha coltivato queste qualità vive in solitudine.
Rudolf Steiner ci dice che non c'è dolore più grande
del sentirsi chiusi in se stessi come in una prigione. L'anima
che ha coltivato le qualità positive suddette, diventa
portatrice di benedizioni.
Su Mercurio l'uomo si libera dalle tracce che le malattie avevano
lasciato nella sua anima e che, nella prossima incarnazione, ritroverà
trasformate in forze di volontà.
Nella sfera di Mercurio operano prevalentemente gli Arcangeli,
in quella di Venere le Arcai.
L'anima abbandona ora il corpo astrale, che si espande nelle sfere
cosmiche. Anche del corpo astrale si conserva qualcosa, e cioè
quella parte che è stata purificata dalle forze dell'io
e che è formata dalle conquiste realizzate in ogni campo
durante la vita terrena.
Ormai l'io si è liberato dai legami con la Terra, entra
nella sfera del Sole e vive, sentendosi veramente libero, come
essere spirituale: spirito tra spiriti.
Nello spazio solare si incontrano le entità della seconda
gerarchia: Exusiai, Dynamis, Kyriotetes.
Nel mondo devachanico l'uomo vive nella sua vera patria. Anche
quando è incarnato, gli echi di questa patria risuonano
in lui nelle melodie e nelle armonie del mondo fisico.
La vita, nel devachan, è concepita come un tutto unitario.
Si è di fronte a tutto quanto è fluito nel divenire
dell'umanità dai fondatori delle religioni. Si contempla,
in grandiose immagini, ciò che unisce gli uomini.
Si è detto dell'importanza del senso religioso nella sfera
di Venere. Nella sfera del Sole occorre ancora dell'altro all'anima
che la attraversa: per poter comprendere ciò che si svolge
intorno a lei, per poter collaborare con le Gerarchie spirituali,
per non dover soccombere molto presto all'oscuramento della coscienza,
l'anima deve aver imparato a comprendere, sulla Terra, tutti gli
esseri umani, indipendentemente dalla confessione religiosa di
appartenenza.
Questo è il significato del congiungersi all'impulso del
Cristo, poiché il Cristo è disceso sulla Terra per
tutti gli uomini.
Il cristianesimo, rettamente inteso, è nato per unificare,
non per dividere, esaltando quell'elemento universalmente umano
presente in ogni uomo.
Nel devachan l'entità umana deve dedicarsi alla preparazione
della sua futura incarnazione e a tutto ciò che ad essa
è cosmicamente c ollegato. Si verifica ora un altro grande
rivolgimento, l'uomo contempla il proprio corpo fisico, lo contempla
fuori da se stesso e dice: "Questo sei tu". Da questo
momento comincia a lavorare, collaborando con gli esseri delle
Gerarchie spirituali che lo guidano, allapreparazione della sua
futura corporeità.
Egli prova un'immensa beatitudine in questo processo creativo,
nel dare forma al corpo umano: il tempio degli dei.
Si tratta di un archetipo spirituale i cui organi serviranno da
formatori da architetti per la costruzione del corpo
fisico nella successiva incarnazione.
Mentre nella sfera spirituale si svolge questa grandiosa opera
creativa, nella sfera terrena si va preparando, per generazioni,
la linea genealogica fisica.
Procedendo oltre il Sole si penetra nella sfera di Marte, dove
operano prevalentemente i Troni, quindi in quella di Giove e di
Saturno, sede dell'attività dei Cherubini e dei Serafini.
Qui, ovunque, l'uomo è immerso nella sfera religiosa.
Dal momento in cui accede alla sfera solare, l'anima comincia
a percepire la musica delle sfere che le viene incontro da ogni
parte del Cosmo.
L'armonia o musica delle sfere è il riecheggiare, in una
musica spirituale, della cooperazione degli esseri delle Gerarchie.
Inoltrandosi nella sfera di Marte, l'uomo non soltanto ode la
musica delle sfere, inizia a comprendere il linguaggio creativo
degli dei da cui nascono tutte le cose: il Logos. Questi suoni
rivelano l'armonia che ha presieduto alla creazione dell'intero
universo.
Per gli uomini meno progrediti è impossibile mantenere
a lungo una coscienza desta nel devachan e pertanto non possono
neppure collaborare con gli dei alla preparazione della propria
futura corporeità.
Superate le regioni di Giove e di Saturno, l'uomo penetra nella
zona delle stelle fisse, nello Zodiaco, e vive con gli esseri
che appartengono alle stelle stesse. Lo percorre punto per punto
e da ciascun punto trae il germe spirituale del suo futuro corpo
fisico. Ad esempio, nella costellazione dell'Ariete, collabora
con le gerarchie dell'Ariete alla formazione del capo.
Quando l'anima ha raggiunto il punto culminante del suo lungo
viaggio ciò avviene dopo secoli per chi muore in
età adulta e si trova ad uguale distanza tra la morte
e una nuova nascita, penetra nella zona della grande calma, nella
mezzanotte cosmica, che percorre in uno stato di sonno.
Superata la mezzanotte cosmica, l'anima sente una grande nostalgia
per la Terra e incomincia la sua discesa verso la reincarnazione,
percorrendo a ritroso il cammino.
Per potersi reincarnare, l'uomo si circonda di sostanzialità
astrale, in modo conforme all'archetipo elaborato nel devachan.
Le entità spirituali guidano l'uomo verso la coppia dei
genitori e incorporano in lui il corpo eterico, grazie al quale
può attuarsi il massimo adattamento possibile con il corpo
fisico.
Avviene quindi qualcosa di polare rispetto alla morte. Dopo la
morte l'uomo depone prima il corpo fisico, poi l'eterico ed infine
l'astrale. Al momento della ridiscesa sulla Terra, egli si aggrega
prima il corpo astrale, poi l'eterico e per ultimo il corpo fisico.
I RAPPORTI TRA I VIVENTI E I DEFUNTI
Da alcuni secoli, nella cultura dominante la cultura del
ricco e materialista mondo occidentale trionfano pensieri
e tendenze che hanno creato una profonda frattura tra i vivi e
morti. Il sentimento di un vivo e reale rapporto con i defunti
si è fortemente affievolito, anche in chi è credente.
Per i credenti, il legame con i defunti spesso si limita alle
preghiere di suffragio, o alle pratiche di culto.
Il culto dei morti è importante, ma per essere efficace
deve essere così profondamente sentito da diventare una
vera forza, una luce che le anime dei viventi dirigono verso le
anime dei defunti.
Per i materialisti e per gli atei, per coloro che credono soltanto
nell'esistenza terrena, il problema non si pone: poiché
non credono nella sopravvivenza dell'anima dopo la morte, la possibilità
di conservare un reale rapporto con i defunti non sussiste.
La solitudine di chi ha varcato la soglia, soprattutto nella fase
iniziale del post mortem e nel kamaloca, si è fatta più
intensa e dolorosa. I defunti hanno bisogno dell'aiuto dei viventi;
essi attendono un nutrimento spirituale che non ricevono. A loro
volta, non possono inviare sulla Terra il loro patrimonio di saggezza,
i loro impulsi che potrebbero aiutare l'umanità nella sua
evoluzione, soprattutto in momenti drammatici come quelli in cui
oggi viviamo.
Uno dei compiti dell'antroposofia è quello di ricostruire
un ponte tra i vivi e i morti, adeguato al grado di evoluzione
dell'uomo odierno.
Ai primordi dell'umanità, la convivenza con i defunti era
naturale. Si avvertiva la loro presenza, ci si rivolgeva verso
di loro per consigli ed aiuto; non era necessario provare alcunché.
Senza inoltrarsi in tempi così remoti, è sufficiente
soffermarsi sul medioevo, per trovare nel cristiano che pregava
per i suoi defunti sentimenti così intensi che raggiungevano
facilmente le anime dei trapassati.
Come ho detto in precedenza, oggi più che mai dobbiamo
trovare la forza e la via per ristabilire un vivo rapporto con
i morti, coltivando in noi pensieri di contenuto spirituale.
Per entrare in contatto con un defunto, si dovrà prima
di tutto rendere silenziosa la propria anima, liberarsi dalle
preoccupazioni personali, rendersi aperti e provare devozione
per l'essere più intimo del defunto.
Si può ad esempio rievocare il suo modo di parlare, di
muoversi, di gestire e poi, pian piano, rivivere esperienze del
destino che, quando era vivo, abbiamo condiviso. Questo ricordo-immagine
deve diventare molto vivo, in modo che le esperienze coinvolgano
non solo il pensiero ma anche il sentimento.
Se il defunto al quale ci si vuole rivolgere è morto in
età infantile, si può realizzare un senso di comunione
immaginando di giocare con lui, immedesimandosi totalmente nel
gioco come fanno i bambini.
Occorre ancora dell'altro: il ricordo, lo spazio animico che si
crea, deve essere circondato da un'atmosfera di gratitudine per
quello che il defunto è stato per noi quando era in vita.
Si crea così una sorta di irradiazione che parte dall'anima
di chi cerca e raggiunge, nella sfera dei defunti, l'anima alla
quale si rivolge.
Un incontro di questo genere, quando si compie, non comporta alcunché
di sensazionale, avverte Rudolf Steiner. E' qualcosa di intimo,
ci si sente, per così dire, "sotto lo sguardo del
defunto". E' uno sguardo d'anima che ci avvolge da tutte
le parti. Momenti importanti per il rapporto con chi vive nel
mondo spirituale sono quelli dell'addormentarsi e del risveglio;
più precisamente: il momento in cui ci si addormenta per
porre delle domande ad un defunto; il momento del risveglio per
ricevere delle risposte, anche se queste possono affiorare alla
nostra anima, sotto forma di una ispirazione, in qualunque momento
della giornata.
Le persone giovani che sono passate attraverso la porta della
morte, rimangono a lungo vicino agli esseri che hanno amato e
che sono rimasti sulla Terra.
Le anime di persone morte in età avanzata, non perdono
le anime che hanno lasciato sulla Terra, portano con sé
ciò che vogliono avere da noi. Esse non ci perdono.
Dobbiamo sempre tener presente che i morti avvertono i nostri
pensieri, le nostre emozioni, i nostri sentimenti positivi o negativi.
L'odio e l'antipatia dei viventi nei confronti dei morti, costituiscono
un ostacolo ai loro buoni propositi circa uno sviluppo spirituale.
E' giusto evitare le critiche negative quando si pensa a loro
o si parla di loro, ma è altrettanto importante non pronunciare
lodi immeritate neanche quando un defunto viene ricordato in occasione
di una commemorazione. Occorre offrire all'anima alla quale ci
si rivolge, uno specchio fedele nella quale essa si possa riconoscere
ed accettare.
Rudolf Steiner ci indica il giusto modo di aiutare i nostri cari
nel momento della morte: si devono evitare manifestazioni di disperazione,
anche se è giusto e comprensibile provare dolore. E' bene
accompagnare l'anima del defunto con parole di pace, d'amore per
fargli sentire che vive sempre in noi, anche nella sua nuova forma
di esistenza.
Per chi conosce le tappe del cammino dell'anima nei mondi spirituali,
questo è il momento di aiutarla a trovare la strada.
Un servizio straordinario può essere reso alle anime dei
trapassati leggendo per loro pagine di libri che trattano argomenti
spirituali. E' possibile rivolgere questa lettura solo alle persone
che si sono conosciute bene mentre erano in vita, o con le quali
si sia condivisa qualche esperienza significativa.
L'affetto che ci legava fa sì che, in un certo modo, portiamo
in noi qualcosa dell'essere del defunto.
Si procede così: si rivolgano i propri pensieri al morto,
si cerchi di visualizzarlo così come lo si ricorda da vivo,
in piedi o seduto davanti a noi.
Non si legge a voce alta, bensì si seguono attentamente
i pensieri che devono diventare pensieri viventi. Il morto ci
sta dinanzi. Bisogna considerare ciò che si legge parola
per parola, come se lo recitassimo nel nostro intimo: allora i
morti leggono in noi.
Oltre che leggere, si possono rielaborare nella propria mente
conoscenze spirituali ed offrirle all'anima del defunto, seguendo
il medesimo procedimento.
E' stato chiesto a Rudolf Steiner se si può sapere se il
morto ci ascolta. Steiner ha risposto che dal modo in cui i pensieri
letti al morto vivono nell'anima di chi legge, dopo qualche tempo
si avverte la sua presenza. Ha aggiunto che questa sensazione
può essere provata solo da persone dotate di fine capacità
di osservazione.
Suggerisce comunque di non preoccuparsene, di offrire questo grande
servizio ai propri cari defunti senza aspettarsi delle prove,
mossi dal desiderio di dar loro quelle conoscenze spirituali che
si possono acquisire solo sulla Terra.
Vorrei adesso parlare al valore del perdono nella vita dopo la
morte. Quello che qui posso solo accennare è spiegato diffusamente
nel testo di Sergej Prokofieff: Il significato occulto del perdonare.
Supponiamo che in un conflitto fra due persone una di questa compia
un'azione ingiusta o cattiva, mentre l'altra, quella che l'ha
subita, decida di perdonare.
Ciò determina un rafforzamento dell'io superiore in chi
perdona. L'atto del perdonare, il vero perdono, avrà una
grandissima importanza per la vita dopo la morte di chi è
stato perdonato, indipendentemente dal fatto che quest'ultimo
lo sappia o non nella sua coscienza ordinaria.
Perdonare è molto difficile, ma quando si verifica, un
essere umano comincia a farsi carico del karma di un altro, di
colui che ha ottenuto il suo perdono. Dopo la morte, nel kamaloca,
il primo diventa per l'altro una luminosa stella che lo guida,
perché il campo visivo spirituale di quest'ultimo è
oscurato dalle sue colpe. Se quest'ultimo, per di più,
non è disposto a riconoscere le proprie colpe e ad iniziare
un processo di autoconoscenza, attira su di sé la massima
sofferenza che deriva dalla sua disarmonia con il cosmo.
L'anima che aveva perdonato all'altra, le si accosta, quale messaggera
del Cristo, e l'aiuta nella giusta valutazione delle azioni compiute
sulla Terra, e quindi ad alleggerire la sua pena.
E così, un essere umano già molto avanti nel suo
cammino evolutivo, può aiutare due volte un proprio simile,
una volta sulla Terra e una volta nei mondi spirituali.
Concludo leggendovi un brano di Rudolf Steiner tratto dall'Essenza
della musica, che parla dell'importanza della musica nel post
mortem.
Amo molto la musica, e mi è sembrato il miglior modo di
concludere questo nostro incontro.
" L'elemento musicale vive particolarmente nel corpo astrale
dell'uomo. Dopo la morte l'uomo porta con sé ancora per
un periodo il suo corpo astrale. Per tutto il tempo che egli lo
porta con sé, fino a che lo depone completamente, è
sempre ancora presente nell'uomo, dopo la morte, una specie di
reminiscenza della musica terrestre.
Da questo deriva che ciò che l'uomo accoglie nella vita
come musica, agisce dopo la morte come un ricordo musicale ancora
a lungo, fino a che egli ha deposto il suo corpo astrale. In seguito
la musica terrestre si trasforma, nella vita dopo la morte, in
musica delle sfere, e rimane come musica delle sfere fino a qualche
tempo prima della nuova nascita.
[] Tutto quanto l'uomo accoglie di musica qui sulla Terra ha una
funzione importantissima nella configurazione del suo organismo
animico dopo la morte: questo viene configurato, plasmato, durante
tale periodo. Ciò costituisce nello stesso tempo il vantaggio
del periodo del kamaloca.
[] Si introduce una possibilità che l'uomo, nella prossima
vita, sia meglio conformato, se egli, nel periodo del kamaloca,
quando ha ancora il corpo astrale, può avere molti ricordi
musicali.
Se noi non avessimo la musica, sorgerebbero nell'uomo delle forze
veramente spaventose.
[] Fui sempre colpito in modo straordinariamente profondo dalle
parole di Shakespeare*: "Se c'è qualcuno che non abbia
ombra di musica in sé, né lo commuova una concordia
di suoni soavi, colui è pronto al tradimento, alla perfidia,
all'assassinio di un tale uomo non fidatevi mai"
Nelle antiche scuole misteriosofiche veniva infatti insegnato
che la musica è il mezzo difensivo contro le forze luciferiche
sorgenti nell'intimo dell'uomo: tradimento, perfidia, assassinio.
Noi abbiamo tutti, in noi, tradimento, assassinio, perfidia e
non senza una buona ragione il mondo ha in sé l'elemento
musicale-verbale (a parte il fatto che esso dà gioia all'uomo).
Lo ha proprio per fare dell'uomo un uomo".
* W. Shakespeare: Il mercante di Venezia, atto V°, scena
I.
Milano, Società Antroposofica 2002