Questa relazione è basata sul libro del monaco tibetano
Sogyal Rimpoche "Il libro tibetano del vivere e del morire",
Ubaldini, e sul seminario avente per tema "Il viaggio dell'anima
dopo la morte" tenuto dal Prof. Cesare Boni, docente alla
"Scuola d Specializzazione in Psicologia del ciclo della
vita", Università degli Studi di Napoli "Federico
II".
Egli ha avuto all'età di 11 anni, durante un'operazione
chirurgica, un' esperienza di pre-morte che ha segnato profondamente
la sua vita. Dopo aver confrontato la sua esperienza con molte
altre similari, l'ha approfondita con i maggiori studiosi occidentali
di questa fase della nostra esistenza che chiamiamo morte. Tra
essi il Dott.. Moody, che ha raccolto centinaia di testimonianze
sulla condizione di pre-morte nel suo libro "La vita oltre
la vita", Mondadori, e la Prof.ssa Kuebler Ross, autrice
del libro "La morte e il morire", Cittadella.
Ma la conoscenza di Boni intorno al processo della morte si è
decisamente ampliata a seguito del suo incontro in Asia con prestigiosi
monaci tibetani e guru indiani coi quali ha studiato per oltre
25 anni.
La presente esposizione rappresenta dunque la visione induista-buddista della morte, che, in alcuni suoi aspetti, trova corrispondenza con quanto espresso da altri cammini spirituali. Una conclusione che qui viene anticipata, è chiara. Vi è uno stretto legame tra la vita e la morte, anzi, la morte è uno specchio nel quale è riflesso l'intero significato della vita. Si ritrova in morte lo scopo della vita, quando questa sia ben intesa. L'Oriente ha una concezione unitaria, circolare dell'esistenza quale si manifesta nel ciclo delle rinascite ripetute.
La cultura occidentale, al contrario, ha grandissime difficoltà
con la morte. Essa viene vista come nemica, essa è la fine
violenta di tutto ciò che ci è familiare: legami,
cose, corpo, il corpo che tanto amiamo. In tibetano il corpo si
chiama "lu", che significa qualcosa che si lascia indietro,
come i bagagli.
Se la morte viene vista come nemica, la conseguenza inevitabile
è che ci saranno grandi difficoltà a vivere, perché
la vita è condizionata dall'angoscia della morte.
Uno dei principali motivi che ci fanno provare tanta angoscia
e difficoltà nell'affrontare la morte è la nostra
ignoranza della verità dell'impermanenza. Vogliamo così
disperatamente che tutto continui così com'è che
ci costringiamo a credere che le cose rimangano uguali. E' una
pura finzione, è il traballante fondamento su cui edifichiamo
le nostre vite.
La stessa scienza ha scoperto che l'universo fisico non è
altro che cambiamenti, attività, processi, i quali costituiscono
la base di tutti i fenomeni. Il mondo sub-atomico è una
danza incessante di creazione e distruzione (come simbolicamente
rappresenta la danza di Shiva Nataraja).
I testi sapienziali di tutte le culture non hanno una visione tragica della morte. Un esempio vicino a noi, l'Apocalisse di Giovanni, testo fondamentale cristiano sulla morte, ha il significato originale di "rivelazione".
Studiando questi testi e le migliaia di testimonianze dei casi di premorte (vedi le ricerche del dott. Moody) si possono affermare due cose:
1. La morte , così come noi la pensiamo, non esiste.
2. Non esiste, tra la vita e la morte, interruzione del flusso
di coscienza. (Se veniamo lasciati liberi di morire e non siamo
sotto l'influsso di farmaci, non esiste perdita di coscienza).
La paura della morte è la paura madre. Se noi cambiamo l'approccio alla morte cambiamo la nostra vita. Abbiamo tanta paura della morte perché la vediamo così:
nascita------------------------morte
Nei libri sapienziali la vita è eterna: nascita, morte, rinascita
nascita morte
Nascita e morte sono porte di passaggio, due momenti dello
stesso flusso di coscienza, poiché nella morte non c'è
interruzione di coscienza.
Colui che muore non si accorge di essere morto, egli ha ancora
la percezione del mondo.
Per comprendere il processo del morire dal punto di vista dell'Oriente occorre accennare ai fondamenti della vita spirituale di quelle tradizioni.
Secondo l'indicazione yogica l'uomo ha quattro corpi con i relativi stati di coscienza.
CORPI PENSIERI CONSAPEVOLEZZA
veglia si si
sonno no no
sogno si no
turiya no si
"Turiya" è il divino, nell'uomo è lo
stato di coscienza che non cambia mai, gli altri stati sono "vesti"
per vivere le varie situazioni.
Possiamo pensare agli stati di coscienza che ci sono noti come
alla forma delle onde: uno stato di veglia si succede ad uno di
sogno, o di sonno profondo, ma in realtà noi siamo il mare
che c'è sotto, le onde sono fatte di questo; il mare è
il "turiya", noi siamo "quello". Entrare in
contatto con il "turiya" equivale a scoprire chi siamo,
e questo è ciò che noi dobbiamo sapere, poiché
la ragione più profonda che ci fa temere la morte è
il non sapere chi siamo. L'Oriente ha sviluppato molte tecniche
per raggiungere lo stato di Turiya, perché esso è
la porta d'ingresso alla realtà dell'Uno.
Nella tradizione induista l'Uno, Colui che è, si chiama
"Purusha".
"Purusha" si osserva, si conosce, e crea "Prakriti",
la Natura primordiale, radice di tutte le manifestazioni, madre
di tutte le forme, indifferenziata, non composta di parti, né
dotata di qualità.
Nell'osservazione di se stesso, "Purusha" genera un
flusso di conoscenza che illumina "Prakriti", ed è
"Buddhi", la luce di Dio.
Da "Buddhi" si sviluppa l'albero della vita dell'uomo
con le sue facoltà. Il senso della vita è realizzare
la consapevolezza di noi stessi come Uno, ossia acquistare lo
stato di coscienza di TURIYA.
"Buddhi" genera la coscienza individuale "Ahankara", da cui si articola l'albero della vita:
AHANKARA (COSCIENZA INDIVIDUALE)
Nasce con Ahankara l'individualità, la funzione dell'IO (IO SONO)
MANAS
(senso interno pensiero individuale mente e l'elemento
discriminante della mente, l'intelletto)
(collegato direttamente ad Ahankara)
5 TANMATRA
(qualità sensibili non manifestate suono primordiale
che genera altre qualità)
5 BHUTA (elementi)
JNANAINDRIYA (poteri di conoscenza) Organi di conoscenza, sensi
KARMAINDRIYA (poteri dell'azione)
Cosa avviene durante la morte? Durante la morte compiamo il
cammino inverso della vita, si riassorbe e viene portata via tutta
l'energia che il nostro corpo ha manifestato. Buddhi abbandona
il corpo che non è più adatto allo scopo della vita,
ossia la consapevolezza di se stessi come Uno.
L'energia sarà ritirata da tutti gli organi e da tutti
i sensi, in senso inverso all'atto della creazione, e saranno
ritirati gli elementi. Non si lascia nulla di prezioso, vengono
lasciati organi che non sono più adatti allo scopo per
cui sono stati creati.
In che modo succede questo? Attraverso diversi stadi, attraverso un "Bardo". "Bardo" è un termine tibetano che significa "passaggio" tra uno stato e un altro. Il Bardo Todrol Chenmo, il libro tibetano dei morti, significa "Grande liberazione attraverso l'udire del Bardo", ossia nel passaggio della morte. Una fase evolutiva è cessata e non ha ancora avuto inizio la fase successiva.
Bardo del morire
Inizia dal momento in cui contraiamo la malattia o la condizione che ci porta alla morte, fino a quando cessa il respiro. Si compone di due fasi.
· dissoluzione esterna: dissoluzione dei sensi e dissoluzione
degli elementi
· dissoluzione interna: dissoluzione degli stati grossolani
e sottili del pensiero e delle emozioni
Nella morte i vari passaggi ed i segni particolari che li contraddistinguono saranno colti tanto meglio quanto più elevata sarà la nostra consapevolezza. Ecco perché è importante averla conseguita al massimo grado in vita.
Prepararsi a morire
a) L'ultimo pensiero ed emozione prima della morte sono di
enorme impatto sul nostro immediato
futuro. Quello che noi siamo al momento della morte è di
grandissima importanza nell'aldilà. Di
qua è dove abbiamo gli strumenti per evolvere, di "là"
non più. Lasciamo di "qua"ciò che
abbiamo, portiamo di "la" ciò che siamo.
f) Non avere più attaccamenti: proprietà, amicizie,
persone care, vita.
h) Fare un testamento molto chiaro ed equilibrato.
j) L'atmosfera sia il più serena possibile, senza forti
emozioni.
l) Sistemare i problemi irrisolti.
n) Ricevere dai parenti l'autorizzazione ad andare, dare a se
stessi l'autorizzazione a morire.
p) Essere assistiti, se possibile, dagli amici spirituali, se
ci sono. Essi faranno le pratiche adatte, sul sentiero che noi
abbiamo scelto.
r) Ascoltare la musica spirituali preferita, già alcuni
giorni prima di morire; noi siamo generati da un suono, è
utile andare con un suono.
t) Pensare al proprio maestro, se ne abbiamo uno, o alla figura
spirituale che ci è familiare.
j) Essere preparati a cogliere lo stato di luce chiara post-mortem.
Dissoluzione esterna
21) I sensi (Jnanaindriya) cessano il loro funzionamento insieme
agli organi dell'azione (Karmaindriya) nel seguente ordine e modo.
Gli organi dell'azione si ritirano nei rispettivi sensi che si
indeboliranno e poi si ritireranno uno dentro l'altro, l'odorato
nel gusto e poi nella vista e poi nel tatto e poi nell'udito,
che è l'ultimo a essere perduto (Attenzione a ciò
che si dice nella camera di un morente!)
Quando si perde la capacità di riconoscere la parola, il
primo passo della dissoluzione esterna sta per terminare. Inizia
la dissoluzione di BHUTA, gli elementi.
2) Si riassorbe l'elemento Terra, il corpo perde forza, la
testa cade, ci sentiamo sprofondare, le guance si infossano, il
colorito diviene pallido, la mente si intorpidisce: l'elemento
Terra si sta dissolvendo nell'elemento acqua.
Il segno segreto (che coglie il morente) è la visione di
un miraggio scintillante, è la prima
esperienza che fa perdere i limiti, non tutti la possono percepire.
24) Acqua: perdiamo il controllo dei fluidi. La mente si annebbia
e diviene irritabile e nervosa..
L'elemento Acqua si dissolve nell'elemento fuoco.
Il segno segreto della mente è la visione di una foschia
densissima. E' la prima volta che non abbiamo più riferimenti
spaziali.
27) Fuoco: si abbassa la temperatura del corpo, dai piedi verso
il cuore. La mente oscilla tra
lucidità e confusione, non riconosciamo più nessuno.
L'elemento Fuoco si dissolve nell'elemento aria..
Il segno segreto della mente è costituito da scintille
rosso vivo.
30) Aria: il respiro diviene più difficile, si allunga
l'espirazione. La mente avverte un deciso
distacco dal mondo esterno. Come nei sogni cessa di funzionare
l'intelletto, che è il più grande consumatore di
energia che si possegga.
In questa fase cominciano le visioni più o meno positive
a seconda del nostro stato di
coscienza: rivediamo i nostri attaccamenti che prendono forme
antropomorfiche. Qui si fanno vivi i sensi di colpa.
Il morente potrà rivedere la madre o una figura di sostegno:
è la mente che rappresenta una
figura significativa in grado di aiutarci nel momento difficile;
nessuno muore solo, tutti siamo accompagnati dall'Amore che crea
le figure che più ci sono di aiuto
33) Alla fine l'elemento Aria si dissolve nell'elemento Etere,
e da questo direttamente nel
Manas.
I Venti, ossia i costituenti del Prana, si riuniscono nel cuore
con gli elementi vitali del padre e della madre.
Il segno segreto è una torcia, una colonna di fuoco. Questo
è un momento difficile, perché
dobbiamo avere il coraggio di entrare nel fuoco che, per la nostra
cultura e per i sensi di colpa che ci portiamo dietro, siamo portati
a collegare all'inferno. Questo invece è Buddhi. La colonna
di fuoco rappresenta "l'assunzione in cielo".
Il sangue si riassorbe nel cuore, dopo tre lunghi respiri finali
il respiro cessa e, con esso, le
funzioni vitali: è la morte clinica.
Affermano i maestri che il processo di dissoluzione interna dura circa 20 minuti, ma potrebbe essere più veloce a seconda del tipo di morte (incidente, arresto cardiaco)
Dopo la morte clinica
34. Lasciare il corpo più tranquillo possibile. La tradizione
di esporre il cadavere non è civile, diverse tradizioni
lo coprono.
35. Continuate, se siete in grado, a dargli ulteriori insegnamenti
per i primi 20 minuti.
36. Lasciategli vicino la sua musica spirituale preferita.
37. Coprite il corpo con uno scialle bianco o un lenzuolo.
38. Invitate amici e conoscenti a cantare, pregare o meditare
in un altro posto.
39. Rispettate le sue volontà
40. Dategli assistenza spirituale il più costante possibile
per i primi 3 giorni e poi, nel giorno della morte, per le sette
settimane successive.
Ritornando allo schema dell'albero della vita, sono stati riassorbiti
finora i tre livelli di energia vitale introdotti nel corpo dallo
spirito con il Prana: Karmaindriya, Jnanaindriya, Bhuta.
(Prana deriva da "ana", soffio vitale, da cui discende
la parola anima)
La restante energia da riassorbire viene dal concepimento. Ma
come essa si è formata?
Al concepimento l'energia paterna e materna si incontrano e
si compenetrano, con una vera "esplosione" creativa.
Questo accumulo di energia crea il cuore del bimbo: Anahata, il
Chakra del cuore. Anahata significa "il suono non udito".
Lungo un canale centrale, parallelamente alla colonna vertebrale,
l'essenza paterna sale ed è bianca e beata, l'essenza materna
scende ed è rossa e calda. Questo canale è chiamato
"Sushumna", qui c'è l'energia della vita.
Lungo la "Sushumna" si creano gli altri Chakra, tre
in su e tre in giù rispetto ad Anahata. Dall'estremo Chakra
in basso, il "Muladhara", partono due canali (Nadi)
principali, "ida" e "pingala", che si incrociano
ad ogni Chakra e forniscono energia a tutti i circuiti interni
ed alla nostra individualità.
La concezione induista e tibetana conta 72.000 Nadi nel corpo
umano, ma lo schema Chakra e canali (meridiani) è condiviso
da molte tradizioni, anche occidentali e dallo stesso monachesimo
cristiano.( Il simbolo del caduceo è verosimilmente la
rappresentazione della "Sushumna" e di "ida"
e "pingala" che si attorcigliano.)
Sahasrara
Ajna
Essenza paterna
Vishudda bianca e beata
ovulo spermatozoo
Anahata
Essenza materna
rossa e calda
Manipura
Svadistana
Muladhara
Dissoluzione interna
La dissoluzione interna è il risucchiamento delle energie. All'interno vengono riassorbite tutte le funzioni che ci hanno impedito l'unione con Dio: i "sette veli" della tradizione, ossia i "sette peccati capitali": ira, invidia, lussuria, gola, avarizia, superbia, accidia, che esistono anche nelle tradizioni buddista (3 veli), induista (5 veli), ebraica (4 veli).
Ecco le diverse fasi della dissoluzione interna secondo la tradizione tibetana dei 3 veli.
1° fase (Apparizione)
L'energia paterna, "bianca e beata", viene risucchiata
verso il cuore.
Cessano tutti gli stati mentali derivati dall'ira.
Il segno esterno è il "biancore", il morto vede
un gran chiarore bianco, come un cielo terso illuminato dalla
luna piena.
2° fase (Incremento)
L'energia materna, "rossa e calda", risale verso
il cuore, richiamata verso Anahata. Si dissolvono tutti gli stati
mentali derivanti dal desiderio: invidia, lussuria, gola, avarizia,
riassorbiti insieme all'energia materna.
Il segno esterno è il rosso, come un sole che tramonta.
Il segno interno è una grande beatitudine.
3° fase (Completo conseguimento)
L'energia è ora totalmente nel cuore. Nell'incontro
dell'essenza bianca e rossa nel cuore è racchiusa la coscienza.
Il segno esterno è la nerezza, il segno interno è
uno stato mentale privo di pensieri, una pace assoluta.
Cessano gli stati mentali derivati dall'ego, dall'ignoranza e
dall'illusione: superbia e accidia (l'accidia è
la pigrizia spirituale).
In questa fase c'è il "tunnel nero", che viene
percorso secondo un tempo variabile, da 30 minuti a 3 giorni:
il richiamo del di vino ci vuole portare verso l'esperienza dell'Uno.
La consapevolezza è più che mai vigile.
Non passano il tunnel coloro che hanno forti attaccamenti sul
piano di esistenza terrestre. I fantasmi, gli spiriti sono i morti
che non hanno passato il tunnel a causa dell'incompletezza della
dissoluzione interna per via dell'eccessivo attaccamento. E' assolutamente
sconsigliato di richiamarli per mezzo dei medium, perché
li si danneggia, si impedisce loro di compiere il cammino del
distacco dal mondo, li si fa soffrire. Questi poveri esseri, ormai
privi di corpo, possono invece essere aiutati in tre modi:
- noi, dal nostro piano di esistenti, di esseri viventi, possiamo
aiutarli "pagando" eventuali debiti che
hanno contratto, e così liberandoli.
- possiamo aiutarli anche facendo pratiche anche non specificamente
indirizzate, che saranno
comunque ricevute e i cui benefici saranno distribuiti.
- le grandi anime che attraversano il tunnel a velocità
elevatissima, si trascinano dietro, nel vortice,
una quantità di questi esseri: i maestri dicono che il
passaggio del Cristo abbia "svuotato gli
"inferi", e che il passaggio di Madre Teresa di Calcutta
ne abbia liberato una grande quantità.
(La Comunione dei Santi è un deposito di energie positive,
di amore, di compassione, che vanno a beneficio delle povere anime
inquiete).
4° fase (Luminosità fondamentale, la vera natura della mente, in tibetano la radiosità di Rigpa,)
Al fondo del tunnel ci aspetta una luce di "mille soli".
Il Divino ci si presenta per quello che è: pura trascendenza
luminosa.
Come è vista la grande luce post mortem? (luce che può
essere vista anche in Samadhi, in profonda meditazione).
I grandi santi ci vedono molti mondi. Per lo Yoga è il
fiore di loto dai mille petali in nove cerchi concentrici, al
cui interno risplende il punto di luce.
Per Ildegarda di Bingen, santa cristiana, la visione è
simile: nove cerchi dove i petali sono ali e visi di angeli; al
centro, nella luce, una figura blu, il Divino.
Anche Dante vede nove cerchi, al centro la luce.
Cosa succede in presenza della luce? Possono accadere due cose.
1) Si riconosce la luce per quella che è, pura trascendenza
luminosa, e ci si immerge, si diventa
Buddhi. Si ottiene la luminosità fondamentale, i "bardi"
sono finiti.
2) Si vede la luce e non la si riconosce per quello che è.
Si resta fuori, non si entra. Oppure si vede
la luce e la si riconosce, ma si ha difficoltà ad entrare
perché ci si sente fondamentalmente
separati da Dio, la concezione dualistica vince.
Nell'un caso e nell'altro si perde la prima possibilità
di realizzazione post-mortem col divino.
Ci viene dato un corpo di luce e si entra in un nuovo "bardo",
ci avviamo verso una serie di
esperienze che costituiscono il
Bardo della dharmata (dharmata = la vera natura incondizionata di tutte le cose)
Questo "bardo" ha tre fasi, che sono altrettante possibilità di realizzazione.
1° fase: Luminosità, Paesaggio di luce
Il Divino, estremamente compassionevole, si fa per noi natura,
creazione, la manifestazione più vicina all'uomo. Ci viene
proposto un mondo fluido, vibrante di suoni, luci colori paesaggio
luminoso non determinato in dimensioni o direzioni.
Se cogliamo questa espressione come divino, realizziamo l'unione,
altrimenti usciamo (seconda possibilità) e passiamo alla
fase successiva
2° fase: Unione, le Divinità
Il Divino assume allora forma umana, tra noi e le Divinità
sottilissimi raggi di luce uniscono il nostro cuore al loro. Ciascuno
le vede rappresentate come quelle a lui familiari: il Cristo,
i Santi, la Vergine, il Buddha.
C'è puro amore tra noi e la forma divina: se la riconosciamo
e ci entriamo siamo realizzati (terza possibilità); E'
in questa fase che si manifestano i sensi di colpa: vedremo personificate
le nostre debolezze (ira, gola, lussuria, cattive abitudini.)
e anche le nostre qualità (carità, compassione,
generosità.). Le scritture le chiamano Divinità
pacifiche o irate.
3° fase: Saggezza
Se neppure nella forma antropomorfa il Divino viene riconosciuto,
ci vengono offerte 5 visioni: le qualità. Se ne cogliamo
una, realizziamo il Divino (quarta possibilità).
Le qualità sono rappresentate da "tappeti di luce",
sfolgoranti, composti da palline sferiche (tiklè), sono
le manifestazioni delle cinque saggezze.
La saggezza onnicomprensiva, dello "spazio che tutto accoglie", in cui nulla manca e nulla è al di fuori di esso.
La saggezza della equanimità, simile a specchio, l'assoluta
serenità in ogni circostanza.
La saggezza unificante, una sola natura per tutte le cose
La saggezza del discernimento, il riconoscimento della propria
vera natura.
La saggezza che tutto compie, Dio si prende la responsabilità
di ogni atto, è unico attore.
Se anche l'ultima possibilità viene persa, il Divino ci restituisce tutto ciò che avevamo al momento della morte nel cosiddetto "corpo mentale" , che però è privo dell'intelletto discriminante, ed entriamo nel
Bardo del Divenire
Qui tutta la nostra vita ci viene presentata. Qualsiasi atto,
pensiero, parola detta, omissione (ciò che avremmo dovuto
fare e non abbiamo fatto) tutto viene sperimentato in un solo
attimo senza tempo. Nulla viene perso. Insieme agli atti ci viene
presentata anche l'intenzione che animava gli atti. Ma non basta,
rivediamo come ognuna di queste cose ha influito sugli altri,
e di come questa influenza siamo responsabili. Ecco l'inferno.
Inoltre ogni atto, ogni pensiero, ogni parola, ogni omissione
(ossia gli elementi del KARMA), viene confrontato con il programma
che ci eravamo dati al momento della nascita, quel programma (la
via del dharma) che, se seguito, ci avrebbe portati a realizzarci
durante la vita.
La meditazione, il silenzio interiore, sono aiuti fondamentali
per "sentire" il dharma.
Ogni azione può essere conforme o difforme al dharma, e
le conseguenze non sono di ordine morale, ciò che conta
è che l'azione dharmica ci avvicina al Sé, quella
karmica ci allontana.
Noi vedremo tutto questo ed emetteremo un giudizio, nel senso
che non ci sarà nessuno a giudicarci, e che il nostro giudizio
non sarà di tipo "critico" ma di "presa
di consapevolezza".
Non avendo intelletto non c'è giudizio, la visione è
equanime e ci serve per conoscere: io sono quello, la mia vera
natura.
Noi, in quel momento, in base a quel giudizio, ci avviamo verso
determinati "mondi", mondi di mente, le "nurì"
(da cui nous), 6 luoghi mentali, uno dei quali ci compete
dopo aver "pesato" noi stessi:
mondo infernale, animale, degli spiriti affamati, umano, dei semidei,
degli dei.
Tutto ciò che avviene d'ora in poi avviene esclusivamente nella nostra mente, ecco perché la nostra mente deve essere pulita, leggera, e lo sarà tanto più quanto meno in vita ci identifichiamo con le azioni che compiamo.
Nel Bardo della Dharmata avevamo un corpo di luce, nel Bardo del Divenire abbiamo un "corpo mentale", una forma più grossolana della precedente.
Si tratta di una mente dotata di immensa limpidezza e illimitata mobilità, ma la direzione in cui si muove è determinata esclusivamente dalle tendenze abituali del karma passato. Si innesca un processo contrario a quello della dissoluzione, si riformano gli stati mentali legati all'ignoranza, al desiderio, all'ira.
Mosso dalla forza del pensiero concettuale, detto anche "vento
karmico", il "corpo mentale" non riesce a rimanere
fermo neppure un istante. Le percezioni mentali cambiano velocemente
proiettandoci in rapide alternanze di gioia e dolore, ma senza
i due grandi filtri del corpo e dell'intelletto, e così
i pensieri diventano effettivamente realtà. Nel Bardo del
Divenire anche la più piccola irritazione può avere
effetti devastanti.
La natura instabile e precaria del Bardo del Divenire può
anche trasformarsi in un'occasione di liberazione, volgendo a
nostro vantaggio l'impressionabilità della mente in questo
stato. Occorre creare nella mente un unico pensiero positivo e
in esso stabilizzarcisi. Per ottenere questo giova aver stabilito,
in vita, un profondo legame con una pratica spirituale. Allora
potremo richiamare alla mente una potente figura spirituale, Buddha,
Cristo, la Vergine Maria. Se le invocheremo con fervore e devozione
concentrate, con tutto il cuore, allora grazie al potere della
loro benedizione la nostra mente sarà liberata. In questo
Bardo la preghiera ha effetti incredibilmente potenti.
La mente ora è invasa dal desiderio di un corpo fisico e il fatto di non poterlo avere ci sprofonda nel dolore. Durante i primi 21 giorni è molto forte il ricordo della vita precedente, ed è perciò il periodo più importante affinché i vivi diano aiuto al morto.
Nel Bardo del Divenire dobbiamo attendere che si sviluppi un legame karmico con i futuri genitori Il Bardo del Divenire dura da 7 a 49 giorni.
La presenza del Divino che ci richiama, il Dharma, l'evoluzione ed il nostro desiderio di tornare, dunque il Karma, e il nostro Desiderio di conoscerci, che possiamo soddisfare soltanto nello stato di libero arbitrio, sono le tre forze che ci mettono in grado di riprendere il cammino, di "programmare" la nostra vita in maniera così perfetta da poter essere completamente evolutiva.
Dharma
libero arbitrio
azioni karmiche
Cosicché scegliamo dove nasceremo, in quali condizioni sociali, da quali genitori, il nostro livello di intelligenza, lo stato di salute, il sesso, tutto ciò insomma che serve a sciogliere i karma residui, compresi la data e il tipo di morte.
Sembra che non sia facile avere un corpo fisico, questo meraviglioso strumento per la nostra realizzazione, la concorrenza a rinascere è molto accesa, come la corsa degli spermatozoi starebbe ad indicare: ecco perché la vita non dovrebbe essere vissuta alla leggera.
Il fatto di seguire o meno il programma dipenderà da
noi. Ci viene restituito l'intelletto. Se andiamo su scelte consone
al Dharma andiamo verso la realizzazione, se no ce ne allontaniamo.
Non è importante quanto si diverge dal programma: esso
è dinamico e continuamente si riaggiusta. Il concetto fondamentale
è che noi conosciamo il programma. La sua voce è
continuamente in
sottofondo e può essere richiamato, sentito. Il programma
è scritto nel nostro respiro.
Entrati finalmente nell'utero materno, ripercorriamo a ritroso la stessa strada percorsa in morte, fino a rinascere e a ricominciare.
TUNNEL
NASCITA E MORTE
Milano, Società Antroposofica gennaio 2002