I tre modi del Dialogo
Nel confronto dialogico esistono, a grandi linee, tre modi di
porsi che hanno infinite gradazioni coscienziali.
* Quello più comune si potrebbe definire Fisico-Eterico e da, un certo punto di vista, "casuale". Esso infatti risulta dalla temporanea somma delle più elementari istanze che la personale sopravvivenza fisica detta. L'umore di fondo col quale ci si "porge" in questo caso risulta influenzato persino da contingenze minimali, come possono essere piccoli malesseri che poco dispongono all'ascolto e che, al contrario, pre-dispongono ad un atteggiamento negativo a volte persino battagliero. Un certo diffuso benessere fisico ed anche residuali esaltazioni dovute a passeggeri appagamenti del piccolo ego, invece, danno luogo ad una sorta di eccessiva disponibilità alla recezione dell'altrui pensiero fino ad arrivare ad accettare opinioni in altri momenti assolutamente non condivisibili.
* Il secondo modo del "porgersi" è grossolanamente
appellabile con le due parole "Sentimentale" e "Proiettivo".
Ma, siccome anche in questo caso le ripercussioni psicofisiche
non cessano di influenzare il resto delle attività umane,
risulta più corretto definirlo, continuando ad utilizzare
anche il linguaggio della Scienza dello Spirito, Fisico-Eterico-Astrale.
Tuttavia l'influenza di ognuno dei "corpi " che intervengono
nell'incontro ha un andamento variabile a seconda dell'esperire
personale, del "bagaglio karmico" e del prefigurantesi
destino di ognuno.
In questo secondo modo del "porgersi" le connessioni
sentimentali ed affettive influenzano non poco l'atteggiarsi.
Come esempio si può citare il caso di un uomo adulto che
puntigliosamente difende certe persone appartenenti al "tipo"
cui egli assimila il proprio amato padre, precocemente scomparso.
Oppure, il caso contrario di persona che mette in discussione
ogni idea riconducibile a qualcuno che, anche solo lontanamente,
tenda a fargli ricordare un torto subito. Insomma anche a questo
livello, si può tranquillamente affermare che persino le
elementari deduzioni della psicologia empirica, oltre naturalmente
alle riflessioni di tipo scientifico-spirituale, hanno una loro
efficacia interpretativa.
Prima di dire qualcosa del terzo modo del "porgersi"
bisogna specificare un non troppo evidente dato di fatto. In nessun
caso, bisognerebbe sempre tenere presente, si può pensare
che un dialogo in atto possa del tutto alienarsi dal contatto
col Senso (intendendo qui con il concetto di Senso il Logos "centrale",
imprescindibile Fonte di Senso appunto, cui l'IO vero d'ognuno,
dovrebbe tendere al fine di realizzarsi). Ché, altrimenti,
avrebbe luogo una impossibile "astrazione" perfino dal
sé dialogante (anche solo con sé medesimo) che in
queste condizioni non potrebbe neanche più attingere a
quel comune patrimonio significante che il linguaggio, anche nei
suoi aspetti elementari, esprime. Infinite gradazioni di "astrazione"
(di distanza dal Senso, dal Logos cioè) caratterizzano
l'andamento discorsivo. Di conseguenza gli attori del dialogo,
quando non fattisi coscienti di ciò, ignorando la scansione
ideale del dialogare e quindi astraendosi, fatalmente cadono in
un "errare" allontanantesi da una mèta oramai
sempre più "sfuocata". La distanza stessa dal
pieno del Senso, dalla comprensione retta e netta anche solo di
una piccola porzione del reale risulta essere, in questa ottica,
proporzionale alla quota di "astratto" che il discorso
ospita, suo malgrado.
Quando è "Astratto", quando cioè non è
più o ancora non è divenuto disciplinato "satellite"
del Sole-Logos, il dialogare oscilla vacillando aggrappato alla
non totale alienazione che pur sempre il linguaggio concede. E,
in queste condizioni, l'Altro invece di essere sentito sempre
meglio in sé e di conseguenza compreso, diviene anch'egli
"Astratto", come fosse tolto. Ecco che, in questo caso,
ha luogo uno "stereo monologare" che col Dialogo ha
oramai pochissimo più in comune.
* Nel terzo modo del "porgersi", sempre semplificando,
rientra quello che dall'ottica scientifico-spirituale e non solo,
potrebbe già ritenersi un ottimo ideale cui aspirare. Fisico-Eterico-Astrale
sono, in questa "tipologia", attivi. Anzi, al loro meglio.
Poiché qui il "porgersi" non è più
il casuale frutto delle interazioni di Fisico, Eterico ed Astrale
e di conseguenza neppure del gioco confuso degli interessi fisici,
psichici, sentimentali o emotivi. No, non più su questo
piano dell'IO. Qui l'IO, ormai emancipatosi dalle istanze della
sua depotenziata versione "Standard", diventa Auriga
di sé. Armonicamente disegnando il suo percorso.
L'altro simultaneamente diviene il TU che è in me, mentre
a Lui parlo. Questo ora può accadere per virtù dell'IO
che da qui in poi determina se stesso e il suo sviluppo cosciente,
grazie anche alla amorevolezza di Altri da lui che lo hanno fatto
partecipe del loro sapere fino a diventare, il TU nel cuore. Affinché
IO-TU, TU-IO "sposando" e coniugando "vedute",
colgano l'essenza dell'Essere Spirituale che ognuno a suo modo
esprime. Quando l'uomo ama elevarsi fino a qui, il Centro dei
suoi centri l'IO appunto attualizza di concerto ai
"corpi" l'interezza dell'Entità Umana, in certi
casi perfino presagendo le ulteriori tappe riservate all'Evoluzione
(veggenza?!).
E' a questo livello che la cognizione del Reale riceve un incremento
tale che le intuizioni Morali (perfettamente caratterizzate dal
Dott. Steiner nella sua "Filosofia della Libertà"),
s'affacciano. Intuizioni indispensabili al fine di indirizzare
la vita animica verso un "avvicinamento" al Sole-Logos.
Intuizioni Morali che finalmente possono presentarsi in sincronicità
con l'apparire delle immagini concrete di cui sono rivestiti i
fatti così contribuendo all'armonizzarsi dell'esistenza
fisico-spirituale.
Il dialogo, è difficile immaginare, quanto in questo caso
sarà favorito? C'è da dubitarne?
Dove "il chi sei Tu? chi sono Io?" viene superato dal
compenetrarsi di intenzionalità protese verso un'unica
Fonte dispensatrice Coscienza, quale "santa lotta" avrà
ancora ragione di esistere?
Il Senso: ciò che il dialogo dovrebbe cercare di svelare.
Il dialogo potrebbe, volta per volta, impegnarsi in questo
compito: far avvicinare il discorso al discernimento di ciò
che si intende comprendere, come a un "Tutto", senza
nessun tipo di "resto". Potrebbe ma è ostacolato
da fattori contingenti che, a causa di una non del tutto sana"tecnica
discorsiva" ormai consolidatasi, hanno finito per diventare
cronica consuetudine nel contesto del discorso.
Ma quali fattori alterano l'efficacia del dialogo, la sua chiara
intelligibilità? Cosa ostacola, più frequentemente
di quanto si abbia il coraggio di credere, la soddisfazione della
legittima esigenza umana di comprendere? Apparentemente sono le
interferenze di tipo culturale, antropologico e, non ultimo, psico-fisiologico.
Si aggiunge poi la generale visione meccanicistica, "tecnica"
ovunque in atto! In realtà tutte queste categorie sono
raggruppabili in una sola definizione: "superficiale autoaffermazione
di un provvisorio piccolo io" ancora annaspante nel confuso
mare del reale, ancora male inteso.
Il Senso spirituale del Dialogo.
Chi decide, come un pendolo scandente il ritmo del nostro comprendere
sé e l'altro da sé, quale misura di Vero Dialogo
è per noi attingibile? Il Dialogo ha un suo proprio Guardiano?
Viene da supporre che l'interagire verbale chiamato dialogo generi
dalle due "correnti" principiali un "Terzo",
un Testimone-Guardiano più saggio di chi l'ha suscitato.
Come se il Dialogo stesso, per trovare mediazione coi suoi "portatori"
ancora scostanti, nominasse un suo Alfiere, qualcuno che sempre
temperi e bilanci le conclusioni che si possono trarre da un dialogare.
Che le connette al reale concreto, le fa recepire nel "linguaggio"
personale di ognuno. Edulcorando, accentuando, esasperando o sminuendo
a seconda delle reali possibilità e necessità relative
al piano spazio-temporale sul quale ognuno si colloca. Un Alfiere-Guardiano
che agisce la legge: il Dharma del Dialogo trova così la
sua inesorabile applicazione consistente in: presa di coscienza,
maturazione, "Frutto dialogico" ed infine, Nesso risultante.
Al di fuori da ciò, che altro se non molteplici gradazioni
di confondente Astrazione, di lontananza dal puro Logos e dalla
logica del Senso, suo rappresentante?
In fondo al percorso che il Dialogo (quando è efficace)
propone sta forse ciò che miti, racconti e fiabe pongono
come Catarsi? Metafore tutte, in fondo, di un "Matrimonio".
Anzi, del Matrimonio più difficile a convolare! Spirito
e Natura , "stessi" l'uno per l'altra da sempre, dal
punto di vista umano, debbono ri-celebrare le loro Eterne Nozze
qui sulla Terra. Affinché un giorno SOFIA, l'Essere ANTROPOSOFIA
il Velo suo lasci cadere, così testimoniando l'avvenuto
riconoscimento da parte dell'Uomo, dell'effettiva non più
esistente soluzione di continuità di SPIRITONATURA.
Il Dialogo, se ben vissuto, è privilegiato strumento di
avvicinamento alla fonte del perenne richiamo del "Sé"
a pieno realizzantesi. E' attraverso il Dialogo che è possibile
cogliere sfumature spirituali fattesi parola in noi e nell'Altro
da noi!
Provando ad immaginarsi il risultato del dialogo, quando cioè
attraverso il vero "fare-dialogico" si arrivasse all'Essenza
stessa della "Cosa" trattata, si può pensare
che una piccola parte del Tutto svelerebbe anche qualcos'altro
da sé! Nudo ed essenziale, un nesso potrebbe divenire cosa
nota! Diverrebbe noto svelandosi e nel contempo, insieme al proprio,
svelerebbe il segreto esistenziale di tutti i suoi principali
"Altro" a lui contigui. Esponendosi, esponendo. Ecco
che una nuova "Terra" e l'interpretazione ad Essa connessa
andrebbe ad arricchire con la sua "Geografia" il conosciuto.
Lasciando vivere l'ipotesi che il Dialogo in sé altro non
è se non il "Veicolo" per eccellenza del procedere,
dell'espandersi di IO in cammino, si potrebbe dedurre ciò
che ne ostacola l'evolversi. L'evanescente linea di confine della
"Geografia" futura per essere oltrepassata richiede
gente che al fuoco del Dialogo sappia, persino con piacere, sacrificare
le infime soddisfazioni di cui il piccolo ego di solito si pasce.
Non per ascetica rinuncia ma per logica deduzione relativa a un
adeguarsi, a un nuovo più evoluto "Porgersi".
Il Guardiano probabilmente a ciò rivolge maggiormente la
sua attenzione: a che i dialoganti sempre abbiano presenti la
veracità, il rispetto, la pulizia d'animo indispensabili
all'attraversamento di un sempre nuovo confine di Senso. Confine
oltre il quale le nuove sintesi, di cui si sarà poi capaci,
conservino sempre la presenza nel cuore del Tu. Tu che, mai dimenticabile
se onestamente indirizzati, rappresenta tutti gli " Altro/i
" esistenti. Tu che con Me evolve, capisce e con-patisce
le durezze e le appetibili sinuosità di un cammino in avvicinamento
al vero Senso dell'Essere.
TU con ME in cammino - sopra a tutto - verso la Luce, in direzione
del Logos-Sole, verso il Cristo stesso per noi sacrificatosi ed
in attesa. TU senza il quale l'IO assottiglia il suo stesso esistere,
in solipsistiche implosioni che annientano il Dialogo dell'Essere
(passato, presente e futuro) col Sé attuale d'ognuno.
Il Tu , l'Altro da Me è - come Io stesso sono per Lui -
interfaccia del Reale. "Tornasole" interpretativo della
correttezza o meno del ritmo dei passi nostri verso ciò
che veramente vuol dire AMARE. Ed è perciò che:
ogni Uomo che abbia in sé vera disposizione al Dialogo,
è Rosa sempre in fiore nel giardino di DIO.
Milano, Società Antroposofica 6 novembre 2001