In questa breve presentazione dell'idea di karma ho ritenuto più
giusto far parlare coloro che hanno attinto direttamente dal mondo
spirituale i concetti che ci permettono di comprendere il profondo
significato del karma. Le parole a volte possono imprimersi nell'anima
di chi le ascolte, e le loro hanno sicuramente un peso superiore
a quello che potrebbe avere una mia rielaborazione.
Per quanto riguarda l'aspetto storico mi sono rifatto da una conferenza
che Gabriele Burrini tenne a Milano il 14 aprile 1997 sulla Storia
dell'idea di reincarnazione.
L'idea di karma si è manifestata all'interno di tutti popoli
che dal periodo di civiltà paleo-indiano hanno accompagnato
il cammino dell'umanità sino ad oggi.
Cercheremo, sempre con l'ausilio dei grandi maestri d'Oriente
e d'Occidente, di percorrerne la storia e lo sviluppo, partendo
dalle sue origini, quindi dall'India, per poi vedere come tale
idea si sia evoluta nel pensiero Occidentale moderno.
Il karma è la legge di causa ed effetto che regola la vita
umana. Come in natura ogni effetto deriva da una causa, così
tutti gli eventi della vita umana, anche quelli che si è
tentati di attribuire al caso, in realtà sono: o effetti
di cause prodotte con le azioni compiute in precedenza, o cause
che produrranno effetti futuri in base a come sono affrontate
nel presente.
La prima grande voce che espresse la legge del karma furono i
Veda, la cui collocazione storica, abbiamo visto nei precedenti
incontri, risale al 1500 a.C. Nelle Upanishad sarà
poi così enunciata: "L'anima individuale si
determina secondo particolari condizioni, nelle forme che sono
conseguenza del suo precedente agire, secondo il proprio grado".
Ma se la "ruota del karma" terminasse di girare quando
il corpo muore, resterebbero troppe cause che non hanno prodotto
i rispettivi effetti; in una singola vita non tutto il karma viene
pareggiato. Quindi l'antico testo quando parla di "precedente
agire" si riferisce alle vite passate in cui si sono poste
le cause, si sono compiute le azioni, che determinano gli effetti
che viviamo nella presente incarnazione, ognuno "secondo
il proprio grado", ovvero secondo il livello evolutivo conseguito.
Gabriele Burrini nella suddetta conferenza definì il karma
"una legge automatica in cui nulla si perde. Il karma segue
l'uomo e lo trova sempre, dicono i testi in una bellissima espressione
letteraria, «come il vitello trova la madre in una mandria
di mille vacche». E al-trove: «Noi siamo ciò
che abbiamo fatto e saremo ciò che facciamo», nel
senso che, se in una vita l'uomo sconta, o pareggia, il karma
accumulato nell'esistenza precedente, resta pur sempre un resi-duo,
a meno che l'uomo non raggiunga la liberazione (il moksha),
che determina la condizione precisa in cui l'essere verrà
a incarnarsi. Ecco che "ognuno di noi, è giardiniere
di se stesso".
L'uomo può essere "giardiniere di se stesso"
solo secondo la teoria del karma e della reincarnazione, altrimenti
è costretto a imporre dogmaticamente un'entità esterna
che giudichi le sue azioni. Nel cattolicesimo e nell'Islam è
"Dio il giardiniere dell'uomo", non è più
l'uomo che miete e raccoglie le proprie azioni. <<Ricordati,
dice Papa Giovanni Paolo II, che alla fine ti presenterai davanti
a Dio con tutta la tua vita, che davanti al Suo tribunale porterai
la responsabilità per tutti i tuoi atti, che sarai giudicato
non soltanto sui tuoi atti e sulle tue parole, ma anche sui pensieri,
persino i più segreti>> (P.). Lo stesso concetto
lo troviamo ripetuto di sovente nel Corano, dove si legge: <<Dio
è bene informato di quello che fate>> (S.II,
271-S.II, 96- S.II,140...)
Swami Vivekananda apre il saggio intitolato Karma Yoga così:
"La parola karman (o karma nell'uso comune occidentale
dove la desinenza sanscrita "n" finale non è
pronunciata), deriva dal verbo sanscrito kr che vuol dire
"fare": ogni azione è karma Tutto ciò
che facciamo, fisicamente o mentalmente, è karma, e lascia
su di noi le sue tracce... Quale è il karma, tale è
la manifestazione della volontà". E' molto importante
comprendere questo concetto che rimette alla volontà, quindi
al libero arbitrio di ogni uomo, il suo destino. L'uomo è
"giardiniere di se stesso" in quanto, come scrive Massimo
Scaligero nella sua opera Karma e Reincarnazione: "la
corrente della Volontà opera come il veicolo naturale del
karma".
<<Nei Veda (rubo ancora un po' dalla conferenza di Gabriele)
indicava l'a-zione per eccel-lenza, il sacrificio rituale, l'azione
sacra intesa come facoltà di conoscenza, quindi l'azione
più nobile che si potesse compiere. Nel successivo indui-smo
e nel bud-dhismo, come vedremo, dal momento che la ritualità
si era lentamente svuotata del suo contenuto sacro, il termine
karman passò invece a indicare l'azione morale,
l'azione buona o cattiva che, in quanto attende una retribuzione,
in indiano che ha «sete del frutto», rientra nella
legge di causa ed effetto, che è appunto la legge del karma.
Il karma inteso come debito compare nelle Upanishad, solo
qui assume una connotazione etica.
Da allora, dal VI sec. a.C. la riflessione degli asceti indiani
si indirizzò sempre più verso questa dottrina fino
a farne uno dei dogmi più importanti dell'indui-smo. L'uomo
indiano dunque «riscoprì» la teoria del karma
per un bisogno di liberazione che era inattingibile dalle liturgie,
dai riti e dalle norme sacrificali della religione ufficiale,
di origine vedica. Reincarnazione e Sé superiore, karman
e atman, da allora divennero i pilastri della nuova corrente
spirituale del pensiero indiano post-Upani-sha>>.
I quattro pilastri su cui poggia il pensiero della civiltà
indiana sono: l'immensa "ruota del karma"; la mayà,
il mondo illusorio, il dolore; lo Yoga, la disciplina volta a
superare la mayà e il moksha, o samadhi,
la liberazione dell'atman (il Sé) dalla ruota
delle incarnazioni, quindi l'uscita dal karma.
Karma e Reincarnazione
L'idea di karma è inscindibile dall'idea di reincarnazione.
Secondo la concezione orientale dell'evoluzione, l'uomo continua
a reincarnarsi sulla terra fin quando non si è purificato,
ovvero ha estinto il suo debito karmico accumulato nel corso delle
vite precedenti.
Come vedremo oltre all'Induismo, il buddismo, l'esoterismo cristiano
e molte altre scuole di pensiero ci insegnano che tutte le azioni
di questa vita determinano il destino delle vite future, come
quelle delle vite passate hanno determinato il presente. Una catena
che unisce tutte le esistenze terrene e che ci offre un concetto
di vita non più limitato alla singola esistenza fisica,
bensì esteso alla vita dell'anima.
Nella Bhagavad Gita, il canto del Beato, comunemente ritenu-ta
il "vangelo dell'induismo", si legge: «Come un
uomo getta gli abiti logori per indossarne di nuovi, così
l'anima incarnata abbandona i vecchi corpi e ne riveste di nuovi»(II,22).
La legge del karma è ciò che comunemente chiamiamo
destino, ma non lasciato al caso, bensì regolato della
legge di causa ed effetto che governa l'intero universo, per cui
la singola vita nella totalità delle sue azioni, diventa
la causa determinante degli avvenimenti della prossima incarnazione
e così via. Steiner definisce appunto il karma: "l'attività
divenuta destino".
In uno dei suoi scritti fondamentali, Teosofia, leggiamo:
"Il corpo soggiace alla legge dell'ereditarietà; l'anima
al destino che si è creato tale destino si chiama karma
Il nesso tra corpo, anima e spirito può quindi venir espresso
anche così: imperituro è lo spirito; nascita e morte
dominano nella corporeità conformemente alle leggi del
mondo fisico; la vita dell'anima, sottoposta al destino, congiunge
il corpo e lo spirito durante il corso di una vita terrena".
Nell'articolo "Come agisce il karma" riportato nel volume
italiano Reincarnazione e karma ribadisce il concetto,
e riguardo all'anima scrive: "essa conserva gli effetti delle
mie azioni compiute in vite precedenti; si deve ad essa che lo
spirito appaia in una nuova incarnazione come il risultato dell'azione
di precedenti vite sullo spirito stesso. Questo è il nesso
esistente tra corpo, anima e spirito. Lo spirito è eterno;
la corporeità è dominata da nascita e morte, secondo
le leggi del mondo fisico".
L'anima è quella che agisce, il suo "risultato dell'azione
di precedenti vite", s'imprime "sullo spirito stesso".
L'anima, l'astrale si reincarna e porta con sé lo spirito.
L'Io, lo spirito, riveste gli involucri umani (astrale, eterico
e fisico).
L'anima è il ponte tra il perituro e l'imperituro, tra
fisico e spirito. "Questi due elementi vengono sempre di
nuovo ricongiunti dall'anima, in quanto essa con le azioni compiute
intesse il destino conserva gli effetti delle mie azioni
compiute in vite precedenti".
Quindi, leggiamo nel Glossario teosofico della Blavatski,
la fondatrice della Società Teosofica: "Karma in senso
fisico significa Azione e in senso metafisico Legge di retribuzione,
la legge di causa ed effetto".
Krishna, il Beato Signore, Dio, rivelò: "Come l'anima
incarnata nel corpo passa attraverso l'infanzia, la gioventù
e la vecchiaia, allo stesso modo passa in un altro corpo. I saggi
non sono turbati da questo" (II,13).
Le origini
Dalla conferenza di Gabriele Burrini sulla Storia dell'idea
di reincarnazione: <<Lo storico greco Erodoto
(Storie 2,123), sosteneva che il primo popolo ad aver fede
nella reincarnazione fosse stato il popolo egizio. Gli egittologi
hanno però smentito Erodoto, dimostrando che gli Egizi
non hanno mai creduto all'idea della reincarnazione. Se-condo
le ultime ricerche e i ritrovamenti del dopoguerra, apparterrebbe
al patrimo-nio delle civiltà indomediter-ranee, che soprattutto
in Oriente hanno avuto come centro le due grandi città:
Mohenjo-Daro e Harappa, geograficamente locate nell'attuale Pakistan
la prima e a nord dell'India la seconda. Questi due grandi siti
archeologici appartengono alla civiltà "Pre-aria"
(pre-ariana) del III e II millennio a.C.
L'idea della reincarnazione va dun-que a perdersi oltre l'alba
della civiltà, entra nel campo della protostoria.
Il primo do-cumento scritto sull'idea di reincarnazione lo si
trova in una pagina della Brhad-ara-nyaka-upanishad (III,2,13),
una delle più antiche Upanishad (VIII-VI secolo
a.C.).
Si trattava di una dottrina segreta, gelosamente custo-dita dalla
casta brahmanica (sacerdotale).
La personalità futura dell'essere umano, viene deter-minata
dal tipo di vita morale che si è vissuta nella vita precedente,
"da come ci si è attenuti al Dharma, al codice
d'onore della casta di appartenenza".
Una tappa successiva nella riflessione indiana riguardante il
karma è rappre-sentata da un libro molto conosciuto, il
Codice di Manu, la cui redazione appartiene all'epoca
post-cristiana del I-II sec. d.C., ma dai contenuti chiaramente
molto antichi. Il codice di Manu in effetti è un trattato
giuridico leggendariamente attribuito a Manu, il progenitore della
razza umana.
Il dodicesimo libro di questo codice esemplifica appunto la legge
del karma attraverso una scrupolosa casistica dei frutti karmici.
Per esempio vi si dice che chi abbia ucciso un brahmano
è condannato a nu-merose trasmi-grazioni animali. Per gli
antichi indiani questo era l'unico caso in cui si poteva veramente
perdere il diritto all'umanità: uccidere una persona che
aveva una dignità spirituale, la più alta dignità
spirituale.
Successivamente al Codice di Manu, altri testi e altre
scuole studia-rono la teoria del karma: tra queste la grande scuola
idealistica del Vedanta del X secolo d.C., nella quale
si legge Shankara, il grande filosofo dell'induismo e la scuola
scivaita tantrica dello Shaiva-siddhanta del XIII secolo d.C.,
stabilire, tra l'altro, una ricca casistica delle re-tribuzioni
karmiche, delle rinascite.
Dal momento che ogni azione porta il suo frutto, il vero superamento
del samsâra, il ciclo continuo di vita-morte-rinascita,
sostiene il Vedanta, consiste nella rinuncia a creare nuovo karma,
cioè nell'arre-stare impulsi e passioni che ci legano alla
terra e ci portano a desiderare e quindi a formare un nuovo karma.
Questa «rinuncia», questa capacità di vincere
impulsi e passioni ci porta nel cuore dello yoga, secondo cui
il «liberato» è colui che si è svincolato
dal karma da lui stesso accumulato in passato, perfino dal karma
«latente», che cioè non ha ancora dato i suoi
frutti. Il liberato è colui che ha superato il karma e
se qualcosa gli resta nella vita ancora da superare, dice la letteratura
mistica indiana, è come la ruota del vasaio che continua
a girare ma senza nessuno che la giri, quindi il "liberato
in vita" vive il resto dei suoi giorni terreni senza creare
karma perché la vita va avanti per inerzia, è qui
soltanto perché la ruota continua a girare".
Secondo la tradizione dei Veda le anime "più giovani",
le jiva, appena entrate nella compagine terrena dovranno
naturalmente partire dallo stato di coscienza più basso,
dal manas, ovvero da una coscienza esclusivamente senziente,
dominata dagli istinti, da cui via via, evolvendosi in milioni
di vite, lentamente si svincoleranno. Nel corso di ogni loro vita
terrena le jiva accumulano nuove esperienze che consentono
loro di approdare a stati di coscienza sempre superiori sino alla
completa purificazione (moksha). Termina così la
vita individuale di un'anima che si è evoluta, reincarnandosi
in milioni di corpi, fino a realizzare se stessa, la sua vera
natura divina (Jivatman) pronta quindi a rientrare nella
Luce originaria.
Questo processo permette all'anima umana di evolversi continuamente,
reincarnandosi a un livello sempre superiore sino a ricongiungersi
con la sua essenza originaria (salvo i rari casi di involuzione
o di stasi, che comunque, nell'economia del ciclo delle rinascite,
sono ininfluenti).
Nell'Autobiografia di uno Yogi, Paramahansa Yogananda racconta
che il grande maestro fu inviato su un altro pianeta, non fisico,
bensì astrale, come lui stesso gli rivela dopo la sua resurrezione.
Sri Yukteswar risorse fisicamente e, stretto tra le braccia del
suo discepolo Paramahansa Yogananda, pronunciò le seguenti
parole: "Come i profeti vengono inviati sulla terra per aiutare
gli uomini a liberarsi dal loro karma nel mondo fisico, così
io fui mandato da Dio a servire su un pianeta astrale... Là
aiuto gli esseri progrediti a liberarsi dal loro karma astrale
e a giungere così alla liberazione da nuove rinascite astrali".
Ciò significa che una volta purificato il nostro karma
fisico ci toccherà purificare gli altri corpi.
"La creazione, rivela quindi Sri Yukteswar, non ha in effetti
una vera esistenza, ma è solo un gioco di idee in seno
alla Sostanza Eterna, Dio Padre".
Sri Ramana Maharishi rispondendo alla domanda: "Il karma
avrà mai fine?" disse: "I karma portano in loro
stessi i semi della propria distruzione".
Nel buddhismo
Sempre dalla conferenza di Gabriele Burrini sulla Storia dell'idea
di reincarnazione: <<E adesso veniamo al buddhismo.
Il linguaggio qui è un po' diverso in quanto il buddhismo
è una religione filosofica quindi usa delle categorie filosofiche,
evoca il pensiero umano perchè l'uomo si liberi, crede
nel karma ma gli da una particolare coloritura.
Il Buddha in uno dei suoi discorsi ha recitato: «La trasmigrazione
degli esseri non ha né principio né fine. Principio
non si vede, a partire dal quale gli esseri, of-fuscati dall'ignoranza,
vin-co-lati dalla brama, errano di vita in vita, di migrazione
in mi-grazione. E' difficile tro-vare un essere che, nel corso
del lungo cammino della trasmigrazione, non abbia pianto e versato
più lacrime di quante gocce d'acqua ci siano nel grande
oceano; è difficile trovare un essere che non sia stato
vostro pa-dre, vostro fratello, vostra sorella o vostro figlio».
Quest'ultimo verso è molto enfatizzato dall'attuale buddhismo
tibetano che puntualmente lo richiama per spiegare l'idea del
karma e per invitare l'essere umano alla compassione reciproca.
Il Mahakarmavibhanga, "la classificazione degli atti",
è un testo di grande importanza in quanto chiarisce la
meccanica delle retribuzioni karmiche. La stessa cosa che fece
poi Steiner quando nelle sue conferenze sui nessi karmici spiegò
le modalità delle retribuzioni karmiche. Ebbene questo
testo offre degli esempi su cui noi tutti dovremmo meditare; il
testo dice che avrà una vita corta chi in un'esistenza
precedente ha nociuto alla vita, che rinascerà malato chi
avrà fatto soffrire gli altri, dando loro sostanze nocive.
Chi è stato avvezzo alla menzogna rinascerà con
malattie alla bocca, ai denti, con alito cattivo. A una rinascita
animale condurrà l'oltraggio a un santo (ritorna la legge
enunciata nel Codice di Manu).
Rinasce povero chi, da ricco, ha donato con rammarico. Rinasce
ricco chi, da povero, ha donato con entusiasmo.
Si legge nel Dhammapada, "l'orma della disciplina"
buddhista: "Coloro che parlano con asprezza, soffriranno
dolorose conseguenze" (X,133).
Il buddhismo antico o Hinayana, l'originale messaggio del Buddha
Shakyamuni, ha guardato al karma come qualcosa da cui liberarsi,
come un legame da troncare. Ma sappiamo che il buddhismo del Grande
Veicolo o Mahayana ha contemplato con nuovi occhi il carico karmico
del destino umano. Il Bodhisattva potenzialmente
tutti siamo dei Bodhisattva non rifiuta il karma,
ma cerca di cogliere in esso un'oc-casione di Illuminazione: prende
ogni volta su di sé l'altrui fardello karmico per condurre
ogni uomo allo spirito, sceglie di rinascere nei più difficili
destini.
Quindi per il Mahayana il karma è sì un peso da
cui l'uomo si deve liberare, ma può essere anche una condizione
in cui l'uomo entra di proposito per portarvi il pensiero dell'illuminazione,
una possibilità data all'uomo per evolversi>>.
I filosofi Greci
Nella Grecia antica e nella Magna Grecia la credenza nella reincarnazione
si rifà agli Orfici e ai Pitagorici, di cui ci è
pervenuto molto poco, a causa della loro estrema riservatezza.
La chiamavano metempsicosi, o trasmigrazione delle anime.
Platone nella dottrina dell'anamnesi, della reminiscenza,
sostiene che l'anima conosce in quanto ricorda il mondo in cui
dimorava prima di incarnarsi, ovvero accede al mondo delle idee,
quali stereotipi di tutte le cose. La reincarnazione, che il filosofo
ateniese chiama ensomàtosis, incorporazione, sta
alla base dell'intero corpus di insegnamenti platonici; nel Menone
Platone fa dire a Socrate: "L'anima, dunque, poiché
immortale e più volte rinata, avendo veduto il mondo di
qua e quello dell'Ade, in una parola tutte quante le cose, non
c'è nulla che non abbia appreso. Non v'è dunque
da stupirsi se può fare riemergere alla mente ciò
che prima conosceva della virtù e di tutto il resto nulla
impedisce che l'anima, ricordando (ricordo che gli uomini chiamano
apprendimento) una sola cosa, trovi da sé tutte le altre,
quando uno sia coraggioso e infaticabile nella ricerca".
Anche per Socrate coraggio e costanza sono requisiti indispensabili
alla ricerca del Sé.
Ma la teoria della metempsicosi, fu sostenuta, secondo gli studiosi,
fuori della reli-gione ufficiale o religione olimpica; Platone
ne parla chiaramente, ma sempre per una ristretta cerchia di eletti.
A proposito della rinascita in un corpo animale Platone nel Fedone
scrive: «Quelli che furono dediti alla ghiottoneria, all'impu-dici-zia,
all'ubria-chezza rivestiranno corpi di asini o di altre be-stie
simi-li E quanti ama-rono ingiustizie, tirannidi e rapine, in
corpi di lupi, di spar-vieri».
Anche per Platone "il corpo è una tomba", in
accordo con l'interpretazione negativa del karma indù e
buddista, ovvero che vede il karma come il peso da cui liberarsi.
I tre karma
Torniamo ora alla tradizione indiana per definire i diversi aspetti,
o meglio, le diverse manifestazione del karma.
In India si parla di tre tipi di karma:
1) Il Sanchita karma, o karma dormiente, sanchita
indica il deposito dove sono immagazzinate le cause poste nelle
vite precedenti. Il sito astrale di tale deposito è la
Sushumna, il canale che attraversa i chakra di cui
ho scritto nel testo relativo il nostro incontro precedente sullo
Yoga (vedi sito: www.orienteoccidente.has.it). Queste cause dormienti,
queste azioni accumulate diverranno attive, ovvero daranno luogo
ai loro effetti, solo quando le condizioni diverranno mature.
2) Il Prarabdha karma, o karma di rientro, "ciò
che ha già cominciato a portare frutto" dice Sri Ramana
Maharishi è il karma vissuto nel presente, gli effetti
delle azioni passate che divengono il nostro attuale destino.
A questo punto l'evoluzione dell'individuo dipende da come lo
affronta.
3) Il Kryamana karma, o karma dell'azione potenziale, è
il karma che sto generando, le nuove cause che produrranno effetti
futuri. Sono queste le azioni dettate dal libero arbitrio, è
il karma che prende in mano il destino.
Innanzi tutto l'uomo deve accettare il suo Prarabdha karma. Abbiamo
visto che l'accettazione, in sanscrito aparigraha, è
una delle regole fondamentali del cammino yogico.
Ma l'accettazione del proprio karma può essere attiva,
e in tal caso consente l'evoluzione dell'individuo, o passiva,
che si limita a una rassegnazione statica dinnanzi agli eventi.
Le vie indicate dall'India che consentono tale estinzione/purificazione
sono le diverse discipline yogiche di cui abbiamo parlato nel
precedente incontro.
Tali discipline consentono non solo di affrontare attivamente
il Prarabdha karma, ossia il destino attuale, ma anche di impedire
che vengano a maturazione i semi karmici del Sanchita karma, ossia
il destino dormiente. Da qui l'espressione icastica: "arrostire
il seme".
Il Karma Yoga
Abbiamo detto nel precedente incontro che lo Yoga è la
via che conduce il sadhaka (discepolo) all'autorealizzazione.
Abbiamo anche accennato ai quattro principali tipi di Yoga: Raja
Yoga (la via regale), Bakti Yoga (la via della devozione),
Jnana Yoga (la via della conoscenza) e il Karma Yoga
(la via dell'azione).
Vediamo quindi che il Karma può essere anche un veicolo,
una disciplina, uno Yoga appunto. Il Karma Yoga è lo Yoga
dell'azione, del lavoro (abbiamo fatto l'esempio dei missionari).
Swami Vivekananda nel saggio Karma Yoga dopo aver definito
il significato di karma scrive: "Ma nel Karma Yoga
noi intenderemo la parola karma nel senso di 'opera', 'lavoro'".
Un lavoro che non cerca ricompense o gratificazioni, un lavoro
offerto gratuitamente. "E' la cosa più difficile di
questo mondo lavorare e non curarsi del risultato", dice
lo Swami.
Il Karma Yoga è una via adatta al credente come all'ateo:
"Il karma-yogi, spiega il discepolo di Ramakrishna, non ha
bisogno di credere in alcuna dottrina. Può anche non credere
in Dio, può non chiedersi che cos'è la sua anima,
e neppure pensare a speculazioni metafisiche. Ha avuto nella realizzazione
dell'altruismo il suo speciale scopo, e lo deve raggiungere da
se stesso".
Il terzo capitolo della Bhagavad-Gita è dedicato
proprio al Karma Yoga.
"L'uomo è legato dalla sua propria azione eccetto
quando è compiuta come sacrificio (rito religioso). Quindi,
Arjuna, compi il tuo dovere, libero da attaccamento, solo allo
scopo di offrirlo"(III,9).
Vediamo che Krishna invita il suo discepolo ad agire secondo il
suo Dharma, ovvero il suo giusto dovere, secondo l'Io, non per
soddisfare i desideri dell'ego, e senza creare attaccamento all'azione,
ma come obolo sacrificale.
"Nessuno raggiunge lo stato dell'inazione evitando di compiere
azioni. Nessuno raggiunge la perfezione rinunciando semplicemente
all'azione"(III,4). Vivekananda ribadisce la Gita
e aggiunge: "l'uomo dev'essere attivo per superare l'attività
e raggiungere la calma perfetta". Calma che apre le porte
dei mondi spirituali.
L'agire secondo il dharma espresso nella Gita, è
la connotazione positiva dell'azione che si è persa per
molti secoli.
Il Karma Yoga è lo Yoga dell'azione altruistica, devota,
scaturita da quella forza dell'Io che il Cristo chiamerà
"carità". E' lo Yoga della carità.
La dottrina del non attaccamento, o del distacco, è la
soluzione che la Gita propone al discepolo del Yoga. Krishna
ripropone in molti versetti il fondamentale non attaccamento all'azione
e la ricerca dell'azione dettata dall'Io, non dall'ego appagato
dal piacere sensibile. L'azione dell'Io è l'azione divina,
l'azione del "Cristo in noi", la via che conduce all'autorealizzazione,
all'unione con Dio. "Non io, ma il Cristo in me", diceva
Paolo di Tarso, ovvero "non il mio ego, ma l'Io superiore,
il Cristo in me".
Rinunciare ai frutti significa annientare l'ego: "Colui che
compie una buona azione anche allo scopo di andare in paradiso,
si sottopone al giogo". La crescita interiore è individuale,
ma non egoistica; poggia sull'Io, non sull'ego. "Colui che
aiuta deve farlo ignorare a colui che viene aiutato" scrive
Scaligero.
"Il non attaccamento è la base di tutti gli Yoga".
Ma attenzione perché è facile ingannarsi. Continua
Swami Vivekananda: "L'uomo che rinuncia a vivere in case
(confortevoli), a indossare bei vestiti, e mangiare buoni cibi,
e va nel deserto, può essere la persona più attaccata.
Il suo solo possesso, il suo corpo, può diventare tutto
per lui, e finche vivrà lotterà per il suo corpo.
Il non attaccamento non ha nulla a che vedere con ciò che
possiamo in relazione al nostro corpo esterno, è solo nella
mente".
"L'uomo ideale, scrive sempre lo Swami, è colui il
quale, nel più grande silenzio e solitudine, trova la più
intensa attività, e nella più attenta attività
trova il silenzio e la solitudine del deserto. Egli ha imparato
il segreto del controllo di se stesso; va per le strade di una
città piena di traffico, ed il suo spirito è calmo
come se fosse in una caverna dove nessun suono lo può raggiungere;
eppure non cessa mai di lavorare intensamente. Questo è
l'ideale del Karma Yoga; se lo avete raggiunto, avete scoperto
veramente la segreta essenza del lavoro".
Dal Dhammapada buddhista: "Non in aria, non in mezzo
all'acqua, non entrando negli anfratti dei monti, chi fugge il
male compiuto non trova luogo al mondo ove poter sostare"(IX,127).
"Per mezzo del solo lavoro, gli uomini possono arrivare dove
Buddha è ampiamente arrivato per mezzo della meditazione
o Cristo per mezzo della preghiera". Ma come abbiamo detto
la volta scorsa le quattro vie, i quattro Yoga s'intersecano tra
loro. Le vie del Cristo come quella del Buddha erano tanto Bakti
(devozionali), quanto Karma (dell'azione).
Secondo l'antica concezione indiana chi ha trasceso il karma è
un "liberato in vita" e non dovrà più
incarnarsi. Eppure come abbiamo detto nell'incontro sullo Yoga
i maestri autorealizzati scelgono di tornare per aiutare gli altri.
"Per essi, scrive Massimo Scaligero in Karma e Reincarnazione,
v'è una tenebra ancora da superare, rappresentata dalla
situazione spirituale di coloro che sono rimasti indietro".
Quale miglior esempio di Karma Yoga?!
Nell'antroposofia
Vediamo ora come Rudolf Steiner presenti le idee di Karma e Reincarnazione
nella sua Scienza dello Spirito.
In una delle sue opere fondamentali, L'iniziazione, Steiner
ha presentato, peraltro in splendida forma narrativa, il primo
incontro sovrasensibile vero e proprio del discepolo della Scienza
dello Spirito con quell'entità vivente facente parte di
noi stessi, ma che i sensi comunemente sviluppati ignorano. Essendo
il primo incontro di questo tipo, non può che avvenire
con la nostra stessa essenza spirituale più grossolana,
con "il piccolo guardiano della soglia", come lo chiama
Steiner, figura "tratta dal libro del dare e avere"
che è in noi, o del Karma.
Il "guardiano della soglia" è lo specchio su
cui si imprimono tutte le nostre azioni. "Il corpo di questo
essere è costituito dalle conseguenze delle azioni, dei
sentimenti e dei pensieri. Ma queste forze invisibili sono divenute
le cause del suo destino e del suo carattere. L'uomo ora si rende
conto come nel passato egli stesso abbia posto le basi del suo
presente"(S.I.). Steiner qui spiega un passaggio obbligato
per un discepolo che abbia intrapreso la via dell'iniziazione;
non essendo questa la sede dove addentrarsi nello studio di tale
"Scienza Occulta", ci limitiamo a dire che questo passaggio
obbligato coincide, secondo l'Antroposofia, con l'incontro eterico
che l'anima fa dopo la morte fisica.
Nell'articolo "Come agisce il karma" riportato nel volume
italiano Reincarnazione e karma Steiner dice: "Il
sonno è stato spesso denominato il fratello minore della
morte". Quando la notte il nostro corpo astrale si stacca
dai corpi eterico-vitale e fisico, per poi rientrarvi dopo poche
ore, esso vive nella totalità del mondo astrale dove si
ricarica per affrontare il nuovo giorno nel quale vivrà
una sola frazione del creato; il medesimo processo avviene con
la morte fisica, quando però anche il corpo eterico-vitale
abbandona quello fisico. Come durante il sonno ci prepariamo per
il giorno successivo, così dopo la morte ci prepariamo
per la vita successiva. "Nelle mie azioni di ieri, scrive
Steiner, si trovano le premesse per quanto ho da fare oggi...
le mie azioni di ieri sono il mio destino per quest'oggi. Sono
stato io stesso l'artefice delle cause alle quali devo ora aggiungere
gli effetti; a queste cause io mi ritrovo di fronte, dopo essermene
ritirato per un certo tempo". La memoria del "mio agire
di ieri" mi consente di operare oggi nel medesimo corpo fisico
di ieri. "L'abitudine, per esempio, è una specie di
memoria incosciente".
Il Karma è dunque la legge della retribuzione, o legge
di causa ed effetto che né punisce né premia, ma
semplicemente fa sì che a ogni azione, o causa, corrisponda
il suo effetto. Il Buddhismo insegna che "Karma è
quell'essenza morale che sola sopravvive alla morte e continua
nella reincarnazione successiva". Gli effetti inespressi
delle cause che sono già state poste.
L'anima si porta appresso la memoria di ieri, come delle vite
precedenti; "essa, continua Steiner, ha per risultato che
lo spirito, in una nuova incarnazione, si presenta come il medesimo
che è stato influenzato dalle vite precedenti... Esso porta
con sé i risultati delle esperienze fatte nelle vite passate,
divenuti qualità del suo essere... In tal modo, il pellegrinaggio
attraverso le incarnazioni diviene un'evoluzione ascendente...
Ciò lo rende sempre più padrone del suo destino...
Ma lo spirito che determina da sé la propria sorte è
lo spirito libero... nel suo stato attuale l'uomo non è
libero né non libero, ma si trova sulla via che conduce
alla libertà... Non è il destino che agisce, ma
siamo noi che agiamo in conformità alle leggi di questo
destino. Se io accendo un fiammifero, il fuoco se ne sprigiona
in base a leggi ben determinate, ma sono io a mettere in azione
tali leggi, e per mezzo della mia azione si crea nuovo Karma,
come il fuoco continua ad agire secondo leggi naturali determinate,
dopo che io l'ho acceso". Quindi "la mia azione è
libera, ma il suo effetto è assolutamente soggetto a leggi
fisse. É un'azione libera quella del commerciante che conclude
un affare; ma il risultato di questo compare nel suo bilancio,
conforme alle normali logiche conseguenze".
Conseguentemente a quanto letto, può sorgere nelle nostre
menti il dubbio: "Ma allora aiutare il nostro prossimo in
realtà a lui non può giovare, visto che siamo comunque
preda di un destino, se pur da noi stessi, prestabilito!"
É la perplessità che affligge anche molti credenti
di fronte al concetto di onnipotenza di Dio. Rettifica Steiner:
"Senza dubbio io non sono in grado di annullare gli effetti
del destino che uno spirito umano si è venuto creando in
precedenti incarnazioni. Ma quel che importa è il modo
in cui esso saprà prendere posizione nei riguardi di tale
destino, quale nuovo destino saprà crearsi sotto
l'influsso di quello passato. Se io lo aiuto, posso contribuire
a che riesca a volgere in maniera favorevole il proprio destino;
se ometto di aiutarlo, contribuisco forse al contrario. Naturalmente
molto dipenderà dalla qualità del mio aiuto, e cioè
se sarà ispirato da saggezza o meno". Quindi, oltre
a creare buone cause per il nostro karma, diveniamo uno strumento
di comprensione per il nostro prossimo affinché possa agire
di conseguenza, creandosi egli stesso delle buone cause per i
futuri effetti.
Alla domanda: "Possiamo noi far del bene al mondo? Swami
Vivekananda risponde: "In senso assoluto no; in senso relativo
si".
"Nulla rimane senza compensazione karmica, ribadisce Steiner.
Nella vita di ciascun uomo si presentano avvenimenti che non hanno
nessun rapporto con i suoi meriti o con le sue colpe del tempo
passato. Questi avvenimenti trovano la loro compensazione karmica
nel futuro". E' il Kryamana karma di cui parlano gli
indiani.
La legge del karma spiega "perché il buono debba spesso
soffrire e il malvagio possa essere felice. Questa apparente disarmonia
della singola vita sparisce quando lo sguardo si estende alle
molte vite".
Il fondatore dell'Antroposofia ha dedicato molte conferenze al
tema dei nessi karmici, in italiano raccolte in sei volumi intitolati
Considerazioni esoteriche sui nessi karmici.
In una conferenza del 1920, raccolta nel libro Microcosmo e
macrocosmo il Dottore disse che osservando il viso di una
persona si possono scorgere le tracce della precedente incarnazione,
mentre nei movimenti (gesticolare, camminare) quelle della vita
successiva.
Un'interpretazione, a mio parere molto materiale, della teoria
del karma la troviamo in quelle scuole di pensiero contrarie all'intervento
della medicina per risolvere problemi fisici che in realtà
hanno radici tutt'altro che fisiche.
L'uomo comune però tende all'estremo opposto, al morboso
attaccamento alla vita, alla carne. "Il concetto di salute
diventa l'unica grande malattia da cui non si guarisce",
scrive il filosofo contemporaneo Manlio Sgalambro.
Pur condividendo l'opinione che la tendenza a ricercare a tutti
i costi il benessere psicofisico sia decisamente fuorviante, non
credo l'uomo comune abbia il potere di mutare gli effetti karmici
se non pareggiandoli, scontandoli. Quindi se una cura del corpo
ottenuta dall'evoluzione in campo medico, o il prolungamento della
vita stessa è possibile, è anche questo parte del
karma, del karma collettivo.
Si è detto che l'uomo è in grado di spezzare la
reciprocità delle azioni, ovvero di andare oltre il karma
grazie all'intervento dell'Io, grazie all'Impulso del Cristo in
noi. Poniamo che nella vita passata ho ucciso un uomo, ed ora
mi trovo davanti ad un uomo con l'impulso di uccidermi; la sua
azione estinguerebbe il mio debito karmico, ma lo creerebbe a
lui che a sua volta dovrà essere ucciso e chi lo avrà
ucciso dovrà essere a sua volta ucciso e così via
sino a quando uno, grazie ad una libera decisione fondata su una
solida impalcatura morale, deciderà di interrompere. Questa
sua azione contribuirà all'evoluzione dell'umanità
verso la via dell'Amore. Nell'esoterismo cristiano tale azione
è definita un'azione cristica, ovvero libera dal peso karmico,
giacché stimolata dall'Impulso del Cristo in noi. E' una
decisione dell'Io superiore. Il Cristo, non solo era libero dal
karma, ma donò all'umanità intera, ad ogni uomo,
la possibilità, sino allora riservata agli adepti delle
scuole iniziatiche, di liberarsi dal vincolo karmico agendo secondo
la volontà del proprio Io. Per questo Steiner parla del
Cristo, come il "Signore del karma" perché è
oltre il karma, è dominatore del karma, e ciò rende
tutti noi potenzialmente liberi dal karma.
Massimo Scaligero in Reincarnazione e karma scrive:
"Il termine karma significa varie cose, ma specialmente correlazione
causale congiungente tra loro gli eventi delle diverse vite terrene
dell'uomo: una correlazione, perciò, trascendente".
Ma "non esiste karma individuale che non sia contessuto con
il karma della collettività: in tal senso è importante
che un karma individuale abbia il potere di inserirsi come germe
eccezionalmente dinamico nel karma collettivo".
Scaligero parla di due tipi di karma che se pur connessi tra loro
soddisfano differenti esigenze storiche: quello individuale e
quello degli eventi collettivi.
Al centro del cammino karmico vi è il Logos, la cui realizzazione
lo rende l'elemento trasformatore del karma stesso. Le forze del
Cristo hanno aggiunto la possibilità di cambiare il karma
secondo la libera crescita spirituale e morale dell'individuo,
secondo l'Io. "L'anima dipende dal karma, non l'Io, che ha
il compito di ridestare nell'anima le forze originarie sopite".
"Le lotte e le guerre nel mondo non cesseranno, scrive sempre
Scaligero in Manuale pratico della meditazione, finché
la legge del karma dominerà totalmente l'uomo incapace
di affermarsi con il Principio interiore della Libertà,
e quindi di superare la ferrea meccanica "dell'occhio per
occhio, dente per dente".
La legge del karma dev'essere trascesa. Il compito dell'uomo contemporaneo
è divenire cosciente del proprio Io.
L'anima umana tende ad assopirsi nelle forze del sentire e quindi
a rimettersi esclusivamente alla divina provvidenza, eppure, già
da due millenni, ha in sé le forze necessarie per diventare
realmente "giardiniere di se stessa", sono le forze
dell'Io, sospinte dal pensare. L'uomo deve rimettersi all'Io,
questo solo è il senso della vita terrena. "L'essere
liberi dal karma è divenire possessori dell'insegnamento
che esso dà personalmente mediante le circostanze e gli
eventi quotidiani, soprattutto quelli spiacevoli... La conoscenza
della legge del karma è la forza trasformatrice della società
futura". Inizialmente si accetta il karma in modo
senziente (grazie alle forze del sentire), poi lo si assimila
razionalmente, ma la vera comprensione spetta all'anima cosciente.
Il karma è necessario in quanto non siamo ancora in grado
di correggerci da soli, scrive Scaligero: "la sua evoluzione
sarebbe paralizzata dalla serie quotidiana degli errori di ogni
vita".
Colui che ha compreso il significato del karma è realmente
grato alla dure prove che la vita ci offre. Ama chi lo ostacola
perché vede in lui un aiuto evolutivo. In pratica chi ha
realizzato il concetto di karma ha capito tutto!
Comprendere il karma e accettarlo senza reagire all'illusione
dell'ego di ingiustizia subita, senza additare altri, senza giudicare
è il compito a cui siamo chiamati nella disciplina interiore.
Si legge nel Dhammapada: "Se sotto l'offesa tu resti
fermo come bronzo, raggiungi l'estinzione, ma se ti rivolti mai
questa conoscerai"(X,134).
"Secondo la dottrina del karma, scrive sempre Scaligero,
l'uomo evolve nella misura in cui è capace di distogliere
l'accusa della responsabilità dei propri mali dagli altri".
Soffrire per quello che appare "il male nel mondo" non
ha quindi senso per chi ha realizzato il concetto di karma. Per
questo la sofferenza è sempre causata dall'ignoranza. Soffre
colui che ignora il karma.
"Con il senso del possesso viene l'egoismo, scrive Vivekananda,
e l'egoismo porta con sé la sofferenza Tutto questo che
vedete, i dolori e le sofferenze, dice Vivekananda, non sono che
le condizioni necessarie di questo mondo; povertà e ricchezza
e felicità non sono che momentanee; non dipendono affatto
dalla nostra reale natura
Siate grati che vi sia il pover'uomo, così che offrendogli
un dono, siete in grado di aiutare voi stessi. Non è chi
riceve che è beato, ma chi dà". Del resto "gli
avete dato ciò che gli spettava; è il suo karma
che glielo ha procurato; il vostro karma ha fatto sì che
foste il corriere".
Scrive Scaligero: "E' un esercizio importante di collegamento
con il proprio Io superiore, l'avvertire dietro i diversi avvenimenti
dolorosi della vita una direzione univoca, tendente alla sua precisa
realizzazione".
"Ogni vero atto di libertà, è in sostanza un
atto di volontà indipendente dal karma". E' un "atto
sacrificale", dove è l'ego ad essere sacrificato,
è un atto che "crea il karma dell'avvenire, la natura
futura, il destino della riascesa umana".
L'uomo nel corso della sua evoluzione arriverà a conoscere
sempre più se stesso sino a liberare il suo Io dal karma,
come dice Scaligero, "per amore e per virtù del sacrificio
di sé: che è il messaggio del Cristo".
"Per questo vi dico: tutto ciò che voi domandate nella
preghiera, credete che l'otterrete e l'avrete" (Mc.11,24).
Chiaro e diretto il messaggio di Gesù: l'onnipotenza della
fede nel Cristo in noi, nell'Io, diviene il ponte con il sovrasensibile,
non a caso questo versetto è tratto nel più cosmico
dei Vangeli.
"Nell'Io libero, scrive Scaligero, è presente la forza
del Logos: il Logos è la sua essenza".
Preghiera e karma
Molto si è parlato di preghiera in seno al cristianesimo:
preghiera di richiesta di perdono, di ringraziamento o di lode
e di petizione. Quest'ultima ahimè è la più
comune. Dico ahimè poiché è spesso mossa
dall'ego e, come scrive Scaligero: "La preghiera vincolata
all'ego non ha forza alcuna". La preghiera di petizione è
un veicolo potentissimo esclusivamente se diretta ad altri.
"La preghiera più efficace è quella senza oggetto,
in realtà operante per il Divino e di conseguenza per la
comunità umana. La preghiera è la mediazione umana
per il karma collettivo".
Scaligero in riferimento alla preghiera profonda utilizzata dall'asceta
guaritore afferma: "La potenza della preghiera, deriva dal
fatto che essa sorge dall'anima dell'asceta come il culmine della
massima impersonalità", quindi come richiesta rivolta
al mondo spirituale non per noi stessi, ma per altri, o addirittura
senza richiesta alcuna. É la preghiera puramente devozionale
che realmente consente al divino di intervenire sul destino dell'uomo.
Essa, continua Scaligero, "implica la connessione con il
Principio Solare, o con il Cristo, detto in linguaggio rosicruciano
"Signore del karma". Perciò la preghiera intensa,
senza oggetto, è il tipo più possente di preghiera".
Così come conoscere le forze del Cristo in noi è
il primo passo per cominciare ad andarGli incontro, la preghiera
è il trampolino di lancio per attuare i cambiamenti.
L'indagine scientifico spirituale di Rudolf Steiner ci mostra
una legge del karma che obbedisce a un progetto dell'Io prima
di incarnarsi in cui taluni eventi della vita successiva sono
destinati a costituire delle opportunità per evolvere ulteriormente.
Non si tratta più di un karma subito, ma deciso da noi
stessi, dalla nostra essenza prima.
Per esempio se vengo investito da un'auto e finisco sulla sedia
a rotelle potrebbe essere l'effetto di un'azione precedente, ad
esempio l'aver io stesso investito un'altra persona, ma potrebbe
anche trattarsi di uno strumento grazie al quale posso evolvermi
ulteriormente in base a come affronterò la prova.
Un evento karmico non è quindi necessariamente un'espiazione
di colpe passate, ma può anche essere un sacrificio ("un
rendere sacro"), deciso dall'Io prima di incarnarsi, di un
progetto dell'Io disincarnato per l'Io incarnato.
Steiner chiama Devachan il luogo dove l'Io progetta gli
eventi della sua prossima incarnazione. In questo luogo l'Io è
sorretto dall'azione delle Gerarchie spirituali che operano in
armonia con il Logos. La scelta del luogo, dei genitori, delle
condizioni, anche corporee, sono prese dall'Io in accordo con
le Gerarchie.
Questa moderna concezione del karma non vede più l'uomo
come oggetto passivo della rigorosa legge di causa-effetto, ma
pone l'Io come soggetto spirituale in grado di intessere un nuovo
rapporto con il mondo.
Ciò ci deve dissuadere dall'interpretare con strumenti
terreni azioni che dipendono dal mondo spirituale. Come dice Steiner:
"Le leggi del karma appartengono assolutamente a mondi superiori,
a "piani superiori", come si suol dire. Se pertanto
si vorrà concepire ogni evento karmicamente determinato
alla stregua, poniamo, di una giustizia terrena, si dovrà
di necessità cadere in contraddizione".
Conclusioni
L'antica concezione indiana vede lo spirito imprigionato nella
carne. Da qui l'dea della reincarnazione come necessità
di purificazione nel corso delle ripetute vite terrene. Ma abbiamo
visto che i grandi maestri dello spirito della nostra epoca parlano
anche di un karma non da scontare, ma come strumento che stabilisce
prove terrene che diverranno cause di effetti futuri.
Massimo Scaligero in Karma e Reincarnazione sostiene che
l'Oriente, "è andato gradualmente smarrendo nei secoli
la visione sovrasensibile del reale, e perciò anche la
dottrina della reincarnazione, non possiede più questa
organica conoscenza e ispirazione di vita, anche se i suoi ultimi
grandi asceti, come Ramakrishna, Vivekananda, Ramana Maharishi,
Aurobindo specialmente quest'ultimo hanno restituito
vitalità o organicità alla dottrina. In realtà
il loro messaggio è stato afferrato con profitto soprattutto
da ricercatori occidentali".
Abbiamo detto che liberarsi dal karma significa purificarsi totalmente
dal debito, detto appunto, karmico. "Mediante la coscienza
di sé, scrive Scaligero, l'Io può realizzare l'indipendenza
dal karma".
Non mi stanco di ripetere che il Logos, il Cristo Sole, ha donato
all'uomo questa immensa possibilità. Ed è meraviglioso
assaporarNe l'impulso nei grandi maestri che hanno accompagnato
l'umanità negli ultimi due millenni.
Vi è un'ultima questione che vorrei affrontare, a mio avviso
di vitale importanza, relativa all'iscrizione delle nostre azioni
nel libro del karma.
Nel precedente incontro abbiamo letto Steiner dire che se ad esempio
la banca in cui noi abbiamo depositato il nostro denaro specula
immoralmente a nostra insaputa noi siamo ugualmente responsabili
e "il fatto si addebita al nostro karma". Ciò
significa che l'ignoranza non giustifica l'azione negativa.
Ho letto nel Corano: "...il tuo Signore non distrugge le
città per l'iniquità ivi commessa, se la loro gente
n'è inconsapevole"(S.VI,131). Questo versetto associa
il peccato alla consapevolezza, quindi colui che pecca perché
ignora non è soggetto a punizione, ovvero non crea un debito
karmico. Se una persona mi persuade a fargli un prestito dicendomi
che ne ha bisogno per curare un suo familiare e poi utilizza il
denaro per comperare un'arma, la mia azione caritatevole non grava
sul mio karma in quanto ho subito un inganno. La legge del karma
non può prevedere ripercussioni per azioni generate dall'ignoranza.
Eppure tutta la concezione indiana del karma si basa sull'avidyà,
ovvero sull'ignoranza come causa del karma. Se compiamo indirettamente
un'azione che causerà sofferenza per nostra negligenza,
quindi ignoranza, come il non informarci sull'utilizzo che la
banca fa del nostro denaro, questa inevitabilmente si ripercuoterà
sul nostro karma.
Metré Philippe di Lione diceva che anche chi ha scelto
i caratteri tipografici di una rivista che propaganda la violenza
sconterà il debito contratto.
Anche Scaligero, in riferimento a eventi che danneggiano il prossimo,
scrive: "Sono karmicamente responsabili anche coloro che
cooperano all'evento, non convinti o non consapevoli".
Nel Dhammapada, l'orma della disciplina buddista si legge
: "Lo stolto, non sa di compiere cattive azioni: ignaro è
rovinato dalle sue azione, come consunto da fuoco"(X,136).
Insomma pare proprio che siano tutti d'accordo: l'ignoranza non
giustifica, quindi non ci resta che andare a fondo il più
possibile prima di esprimere giudizi, esternare opinioni e agire
di conseguenza. Pensiero, parola e azione devono essere ponderati
dalle tre qualità che Steiner indica come esercizi fondamentali
per l'evoluzione spirituale: positività, equanimità
e spregiudicatezza.
Ma la legge del karma non è una legge meccanica e di conseguenza
i nessi karmici che accomunano le persone possono avere migliaia
di sfumature. Non possiamo ridurre il karma ad una comprensione
razionale e schematica.
Venne fatta a Steiner la seguente domanda: "Quale nesso karmico
accomuna cinquecento persone che muoiono contemporaneamente nell'incendio
di un teatro?" Steiner ipotizza tre possibili casi:
1) "Le condizioni karmiche di ognuna delle cinquecento persone
possono essere del tutto indipendenti da quelle di ognuna delle
altre".
2) "E' possibile che l'esperienza comune alle cinquecento
persone non abbia nulla a che fare con il loro passato karmico,
ma che proprio tale esperienza comune sia invece la preparazione
di un nesso karmico futuro".
3) "Il caso considerato può essere realmente l'effetto
di passate colpe, comuni alle persone in questione.
Ma sussistono anche innumerevoli altre possibilità: per
esempio le tre possibilità fin qui descritte possono variamente
combinarsi fra loro".
Scaligero a proposito spiega che le catastrofi collettive sono
un aiuto per coloro che altrimenti non sarebbero in grado di superare
prove che il destino (karma) richiede.
Iniziare a comprendere le leggi che governano la nostra esistenza
è il primo gradino verso la libertà, farle proprie
e riconoscerne gli effetti nel quotidiano, sviluppa in noi le
forze necessarie che a un certo livello ci permetteranno di conoscerle
direttamente. Iniziamo quindi a prendere parte coscientemente
all'evoluzione della nostra specie, quindi a cercare il contatto
con il nostro Io. Il Suo lento penetrare nell'anima per mezzo
della disciplina interiore ci renderà sempre più
indipendenti dal karma.
"In realtà, scrive Scaligero, la crisi della presente
epoca attende come forza risolutrice la Conoscenza sovrasensibile,
la dottrina verace del divenire umano, l'idea del karma".
Nel Manuale pratico della meditazione ribadisce che "la
conoscenza della legge del karma è la forza trasformatrice
della società futura". Il karma è rappresentato
dal passato, e conoscerne la storia agevola il presente, ma "nell'individuo
agisce una corrente che va verso l'avvenire: è la corrente
dell'Io, attiva nel pensiero puro, indipendente dagli impulsi
del sentire e del volere radicati nella natura, nel sangue, nella
razza, esprimenti appunto la direzione del karma, il passato.
Dall'incontro e dal combinarsi delle due correnti nasce il destino.
Colui che operi interiormente movendo dall'Io indipendente dal
karma, modifica il proprio destino".
Milano, Soc. Antroposofica, 5 novembre 2002
Per chi desiderasse approfondire eccovi l'elenco dei testi da
cui sono state tratte le citazioni. Opere del calibro di Karma
Yoga di Swami Vivekananda, o Karma e Reincarnazione
di Massimo Scaligero, sono una tale importanza che andrebbero
lette per intero. Avendo tratto gran parte delle citazioni da
questi due saggi non ho ribadito in ogni occasione la provenienza.
Testi citati
·Rudolf Steiner: Teosofia (1904), Editrice Antroposofica
·Rudolf Steiner: L'iniziazione (1904/5), Editrice
Antroposofica
·Rudolf Steiner Reincarnazione e Karma, Editrice
Antroposofica
·Rudolf Steiner Le manifestazioni del Karma,
Editrice Antroposofica
·Swami Vivekananda The complete Works of, Advata
Ashrama edition
·Swami Vivekananda Yoga Pratici (tra cui Karma
Yoga), Ubaldini Editore
·Discorsi con Sri Ramana Maharishi, Edizioni Vidyananda
·Massimo Scaligero: Manuale pratico della meditazione
(1973), Edizione Teseo
·Massimo Scaligero Karma e Reincarnazione, Edizione
Tilopa
·Swami Sri Yukteswar: La Scienza sacra (1894), Edizione
Astrolabio
·Swami Paramhansa Yogananda: Autobiografia di uno Yogi
(1951), Edizioni Astrolabio
·Papa Giovanni Paolo II: Varcare la soglia della speranza
(1994), Edizioni Mondadori
·H. P. Blavatsky: "Raja Yoga o Occultismo" (Articoli
scritti tra il 1886 e il 1993), Edizione Astrolabio
·Manlio Sgalambro: Dell'indifferenza in materia di società
(1994), Edizioni Adelphi