Insegnare Yoga
Un giorno il mio amico Swami Dharmananda mi disse: "Ricorda
che solo a chi sta cercando si può insegnare, altrimenti
la disciplina non può penetrare in lui ... Se non vi sono
domande non vi saranno risposte".
Vivevo in India da diversi mesi, praticavo lo Yoga con ferrea
disciplina, e da poco lo Swami mi aveva di punto in bianco affidato
la classe di Asana, ovvero, come vedremo, di quella parte
della disciplina Yoga più inerente al fisico e ai flussi
energetici che lo percorrono.
Era la prima volta che sentivo quest'affermazione. Da allora ho
ritrovato questo concetto in tutti i maestri che ho avuto il dono
di incontrare nei miei studi.
Ho cercato di imparare, da un lato a porre le domande giuste,
dall'altro a trattenere l'entusiasmo che inevitabilmente s'impadronisce
di un ragazzo che ha incontrato la via dello spirito.
Gli ultimi mesi trascorsi al Vedniketan Ashram di Rishikesh, la
località sacra, sulle rive del Gange, ai piedi dell'Himalaya,
ho più volte introdutto i nuovi arrivi al corso di Yoga
che si teneva all'Ashram, e più sperimentavo lo Yoga in
me, più sentivo di poter esprimere qualcosa in cui, non
semplicemente credessi, ma che stavo vivendo.
Da quando sono tornato in Occidente non ho mai voluto parlare
pubblicamente di questa immensa disciplina e tanto meno tenere
corsi di Hatha Yoga, come ho facevo in India.
Nonostante mi sia stato chiesto in più occasioni, mai ho
avvertito da parte di chi me lo domandava la necessità
interiore e la disposizione al sacrificio necessari per intraprendere
una disciplina interiore. Per noi occidentali lo Yoga non è
che una ginnastica psicofisica, e con tali presupposti non può
essere insegnato.
Quando il grande Swami Shivananda disse che "vale più
un grammo di pratica che un mare di teoria", intendeva la
vera pratica, la vita.
Tuttavia un po' di teoria per capire di cosa si tratta è
dovuta a chi chiede.
Sintetizzare una delle più importanti discipline e arte
di vivere offerti all'umanità in poche pagine è
un'impresa pressoché impossibile. Possiamo però
cercare di tracciare le linee generali che la caratterizzano con
l'aiuto degli insegnamenti di grandi maestri indiani stabilitisi
in Europa e in America nell'arco del secolo scorso.
Certo del fatto che solo Coloro che hanno compreso, in quanto
sperimentato, possono insegnare, mi dovrò avvalere delle
parole di alcuni questi grandi maestri per spiegare i gradini
più alti a cui lo Yoga ambisce.
Lo Yoga semplificato e il tantrismo
Grazie a loro cent'anni fa l'Occidente ha conosciuto le filosofie
orientali, tra cui lo Yoga. Ha potuto iniziare a raccoglierne
alcuni frutti, forse non i più maturi, ma certamente salutari
soprattutto dal punto di vista psicofisico.
Negli ultimi quarant'anni la tendenza al benessere psicofisico
è divenuta una prerogativa dell'uomo occidentale, sempre
più schiacciato dallo stress. Tanto che gran parte delle
scuole Yoga, come pure di molte altre pratiche/discipline orientali
come il Tai Ci Chuan, il Chi Gong, le diverse terapie di massaggio
(Shatzu, cinese ecc.), le medicine orientali (Agopuntura e l'Ayurveda),
l'arte dei mandala e dei mantra legati ai pianeti e ai cristalli,
il Reiki, piuttosto che la meditazione trascendentale e molte
altre hanno preso piede e sono state spesso messe in un
grande recipiente detto New Age. Un vero e proprio calderone dove
si prende un po' di tutto, generalmente senza approfondire niente.
Questo ancora oggi sembra prevalere nell'approccio occidentale
alle scuole di pensiero e alle discipline orientali.
In realtà un sistema di vita come lo Yoga richiede grande
dedizione per essere sperimentata; e se non viene vissuta non
può essere compresa.
In Occidente la tendenza a voler bruciare i tempi, alla fretta
ha fatto sì che si divulgasse l'aspetto più semplice,
quello psicofisico, con delle astratte e nebulose aspirazioni
esoteriche.
In molte palestre si pratica l'Hatha Yoga come fosse uno sport.
In realtà, il vero Hatha Yoga, come vedremo, è un
estratto del Raja Yoga, ovvero della disciplina completa, con
aggiunte tutta una serie di posture-asana che sono divenute
la principale pratica.
A Milano per il centenario dell'indipendenza indiana ho sentito
il presidente dell'Associazione Italiana Yoga parlare di Yoga
come "una tradizione vivente per il benessere dell'uomo"
(titolo della sua conferenza), incentrando la sua esposizione
proprio su quel benessere psicofisico tanto ambito dall'uomo occidentale.
Disse: "Ananda, il benessere psicofisico, è il primo
obiettivo dello Yoga Lo Yoga agisce sia sul corpo che sulla psiche
contro lo stress L'allungamento muscolare per esempio è
l'opposto della contrazione L'asana rilassa, scioglie,
distende i muscoli, stimola il sistema nervoso e dona un benessere
immediato". Tutto vero, ma marginale, irrisorio rispetto
al senso primo e ultimo dello Yoga. "Un benessere immediato",
ecco cosa vendere all'occidentale stressato.
Lo Yoga è la disciplina, la messa in pratica di una delle
più importanti religioni offerte all'umanità, è
la via dell'induismo, come può essere ridotta a esercizi
psicofisici?
"Il benessere psicofisico" non è che una conseguenza,
un inizio, non è affatto un "obiettivo dello Yoga".
Questo non può che allontanare dalla possibile comprensione
di questa meravigliosa arte di vivere.
Anche in India però lo Yoga ha subito forti mutazioni.
Già dal 400 d.C con l'avvento del tantrismo si è
perso il messaggio originale a favore della conciliazione di tutti
i culti dell'India degli ultimi secoli: i mistici induvishnuiti
di estrazione bhakti (devozionale) dal 1600 in poi si sono
fusi con l'Islam, sempre su base mistica, mettendo da parte l'ascesi
dell'Io.
Si è, possiamo dire, scissa la disciplina in due: l'aspetto
psicofisico, prettamente terreno, e quello mistico, prettamente
divino, lasciando sempre più da parte il trait d'union,
l'ascesi.
Abbiamo detto nel precedente incontro che il Tantrismo nasce da
una ribellione alla disciplina tradizionale, proponendosi di raggiungere
l'illuminazione per mezzo di pratiche alle quali, vedremo, la
tradizione richiede di astenersi.
Infatti, spiega Sri Aurobindo, che se per la tradizione vedica
il signore dello Yoga è il Purusha, ovvero l'anima
cosciente, nel Tantra è la Prakriti, ovvero l'Anima
della natura, il non manifesto. Il Tantra offre quindi il culto
dell'Energia, o Shakti, mentre il Vedanta "vede nella
Shakti un potere d'illusione e si mette alla ricerca del
Purusha silenzioso e immoto quale mezzo di liberazione
dagli inganni dell'Energia attiva" (Sri Aurobindo La sintesi
dello yoga vol. I p. 44/45).
Tantra, dalla radice Tan, estendere, espandere, significa
"espansione della coscienza". "La sadhana
tantrica, disse Marilia Albanese in una conferenza, è la
totale rinuncia a tutto, un dono assoluto alla divinità.
E' un sadhana esclusivamente maschile".
"I Tantra, scrive Burrini, sono alcune centinaia di opere
contenenti norme rituali, formule magiche, ricette alchemiche
per acquisire poteri paranormali". "Comportano abitualmente
descrizioni assai dettagliate di pratiche rituali, formule sacre,
diagrammi mistici, gesti, posture, iniziazioni ecc." scrive
Lilion Silburn.
Oggi il Tantra è praticato maggiormente nel buddhismo tibetano,
ma in realtà gran parte dell'Hatha Yoga che si pratica
oggi, anche in India, è di formazione tantrica. L'induismo
odierno è tantrico.
Cos'è lo Yoga
Ci sono stati grandi maestri che hanno riportato l'attenzione
sul vero Yoga che ha come scopo la conoscenza di noi stessi, ovvero
l'ascesi.
"Lo Yoga è una via per raggiungere l'autorealizzazione".
E dato che, come leggiamo nelle Mundaka Upanishad, II.12,
tutto l'universo è Brahman, per lo Yoghi, "l'autorealizzazione
è la realizzazione di Dio". Possiamo chiaramente dedurre
da questa definizione di Paramahansa Satyananda Saraswati, il
fondatore della Bihar School of Yoga, una delle più importanti
scuole di Yoga in India, che lo Yoga è una disciplina religiosa,
una via ascetica.
Gabriele Burrini apre il suo saggio sulla filosofia Indiana con
due citazioni: "Soltanto l'Uno esiste: esso si è dispiegato
nel cosmo intero" (Rig-Veda, VIII, 58,2).
"Il più profondo credo dell'India è la ricerca
dell'unità nella molteplicità" (Rabindranath
Tagore, Nobel per la letteratura 1913).
Il dualismo tra il mondo sensibile, manifesto e la Prakriti,
la natura all'origine, non manifesta, è l'ignoranza da
cui lo Yoghi, il Purusha, lo spirito si deve liberare.
Il termine Yoga, dalla radice Yuj, significa "congiungere,
unire", (in latino è iugum, il giogo). Lo stesso
significato ha réligo, "legare" in latino
da cui religione. Il fine dello Yoga, e della religione, intesa
nel suo vero significao di "ricerca interiore" è
congiungere, unire, legare l'uomo e il divino (Ishvara).
Lo Yoga è l'unione con la coscienza divina, quindi è
un'ascesi.
"Lo Yoga è una via per raggiungere l'autorealizzazione".
"Una via", non "la via", dice Satyananda Saraswati.
Ci tengo a far notare quest'atteggiamento molto orientale, poiché
nelle mie esperienze in seno al cristianesimo cattolico e ortodosso
non ho mai ritrovato tale consapevolezza che "le vie del
Signore sono infinite"; forse a parole, ma nella sostanza
la convinzione che l'unica via possibile sia la loro predomina
quasi sempre.
Il Cristo è "la via, la verità, la vita",
ma come possiamo limitare il suo campo d'azione al solo Occidente?
Volersene accaparrare l'eredità legata alla discendenza,
al limite può valere solo per quanto ha insegnato Gesù,
il Cristo uomo, non per il Cristo-Sole, l'Impulso Cristo in noi.
Come disse Paolo se il Cristo non fosse risorto sarebbe rimasto
un grande mastro, è il Risorto che ha donato Se stesso
a ogni uomo, che è risorto per tutti ed è in tutti.
I grandi maestri hanno insegnato che la direzione è la
stessa per tutte le religioni,che non significa una sola via,
bensì una sola meta, l'amore.
Sri Ramakrishna il grande Avatar (incarnazione di un'alta
entità spirituale) che visse a cavallo tra il XIX e il
XX secolo, fu un esempio vivente dell'unicità delle religioni:
arrivò a conseguire il massimo livello di santità
in seno a ognuna delle dottrine che intraprese. Avendo ricevuto
iniziazioni cristiane e islamiche oltre che vediche e tantriche
in seno all'induismo, dimostrò l'eguale validità
di ognuna di queste fedi. Un po' quello che ha fatto Solov'ëv
tra cristianesimo ortodosso e cattolico.
Ramakrishna realizzò l'unicità di tutte le religioni,
predicò la tolleranza quale vitale manifestazione d'amore,
e la sua massima: "Tanti sono i cammini, quante lefedi"
rappresenta l'apertura mentale che ogni libero ricercatore dello
spirito dovrebbe far sua.
Dice Ramakrishna: "Quando l'Essere supremo è pensato
come inattivo, io lo chiamo Brahman (Dio) o Purusha,
Dio impersonale. Quando lo penso come attivo, creatore, conservatore
o distruttore lo chiamo Shakti o Mayà, o
Dio personale. Ma in realtà la distinzione fra Brahman
e Shakti è una distinzione che non implica differenza.
L'impersonale e il personale sono una sola e stessa cosa, come
il latte e la sua bianchezza".
Brahman, Dio, spesso indicato come Sat-cit-ananda, esistenza-coscienza-beatitudine
è un tutt'uno con Paramahatman, il Sé superiore.
Swami Vivekananda, il grande discepolo di Ramakrishna, il primo
grande Yoghi inviato in Occidente alla fine del XIX secolo scrive:
"L'ideale dello Yoghi, l'intera scienza dello Yoga, è
volto a insegnare all'uomo come, attraverso l'intensificazione
del potere di assimilazione, ridurre il tempo dell'ottenimento
della perfezione".
Il mio amico Swami Dharmananda, del lignaggio (per usare un termine
buddhista) del grande Paramhansa Yogananda, durante le sue classi
introduttive definì lo Yoga: "la scienza della vita,
dell'anima, dell'autorealizzazione che ci porta sempre più
nelle profondità del nostro essere". A questo aggiunse:
"una volta che abbiamo realizzato il Sé, abbiamo realizzato
Dio, la Verità".
Lo Yoga è la via indù verso il Sé, verso
Dio.
Swami Vivekananda scrisse che il risultato dell'intensa meditazione
è la percezione sovrasensibile e, in ultima analisi, la
piena illuminazione, ovvero la percezione del Sé.
L'altro grande santo vissuto a cavallo tra il XIX e il XX secolo,
Sri Ramana Maharishi, concentrò tutto il suo insegnamento
sulla ricerca del Sé, senza la cui realizzazione tutto
è maya: "Tu sei il Sé, diceva, null'altro che
il Sé, tutto il resto è solo immaginazione; perciò
sii subito il Sé Non c'è bisogno d'andare in una
foresta o di rinchiudersi in una stanza; continua a svolgere le
normali attività della tua vita, ma liberati dall'idea
di esserne l'autore. Il Sé è il Testimone, tu sei
Quello".
"Anche Dio è concepito nel e dal Sé. Dio è
identico al Sé". "Scoprite l'Io. L'Io è
già Brahman".
"La libertà consiste semplicemente nel conoscere il
Sé dentro di voi".
Questa indispensabile premessa per chiarire di cosa stiamo parlando,
per comprendere che quando si parla di Yoga si parla di una Scienza
dello Spirito che, come tale, dev'essere avvicinata con rispetto
e umiltà.
Lo Yoga potrebbe risalire a 9000 anni prima di Cristo, quindi
subito dopo il periodo atlatideo (Steiner). Sicuramente al 3000
a.C., sulla base del ritrovamento di figure nell'India preistorica
(vedi allegato). Vivekananda dice che fu scoperto 4000 anni fa.
Abbiamo detto essere la disciplina, la messa in pratica dei due
massimi sistemi filosofici indiani, quindi dei Veda (1500 a.C.)
tramandati dai Rishi, e del Sankhya (500 a.C), che nominalmente
si rifà ai Veda, ma sviluppa una filosofia che elenca le
35 categorie dalla creazione (da Dio alla materia più semplice).
Le scritture sacre indù sono, oltre ai Veda, le Upanishad
(IX sec. a.C.), il corpus esegetico, letteralmente "sedere
ai piedi" del maestro, implicando la trasmissione di conoscenza
segreta dei Veda, la speculazione del Sé, il poema Mahabharata,
letteralmente "la grande India", che canta la tragica
fine dell'antica civiltà guerriera, e infine i Purana
dove viene esposta la concezione cosmologica indù, ambedue
scritte in periodi diversi con inizio intorno al V sec. a.C.
Sono fondamentalmente tutti dei commenti ai Veda.
La Bhagavad-Gita, una breve parte dei Mahabharata,
rappresenta l'apice, e allo stesso tempo il sunto, dell'insegnamento
del corpus vedico.
Nel VIII sec. d.C. Shankara da vita al Vedanta (che significa
"fine dei Veda"), ovvero al sistema filosofico indù
costruito, sì sulla base dei Veda, ma fondandosi sul primato
del Dio-Io vedendo tutta la natura come illusoria.
Steiner in Le basi occulte della Bhagavad-Gita sostiene
che l'idealismo soggettivo a cui tendeva la filosofia idealistica
Vedanta "oggi è disceso alla coscienza quotidiana"
in spiriti evoluti come Hegel e Fiche, come dimostrano le loro
opere.
Le antiche teorie indiane secondo le quali "Solo Brahman
è vero, il mondo è maya, falsità, illusione"
come diceva già la Niralamba Upanishad, sono però
confutate dai grandi maestri orientali. Del resto come scrive
Satprèm, discepolo di Sri Aurobindo e Mère, è
difficile accettare che se "tutto è Brahman",
il mondo non faccia parte del tutto.
Lo Yoga è unione, non separazione dello spirito dalla materia.
Lo Yoga è un grande bacino dove troviamo diversi tipi di
discipline, studiate e sperimentate per consentire a tutte le
tipologie di persone di raggiungere tale Yug, tale "legame"
e, inizialmente, di migliorare la loro qualità di vita.
Per esempio soggetti molto attivi e magari poco propensi alla
meditazione, pur impegnandosi ad accrescere tale qualità
latente, mettendo le proprie qualità pratiche a disposizione
dei più bisognosi possono ugualmente raggiungere lo scopo;
ne sono esempio i missionari. Questo Yoga basato sulla carità,
è detto Karma Yoga, lo Yoga dell'azione, del lavoro.
Swami Vivekananda in un saggio intitolato proprio Karma Yoga
scrive: "Per mezzo del solo lavoro gli uomini possono
arrivare dove Buddha è ampiamente arrivato per mezzo della
meditazione o Cristo per mezzo della preghiera". La pratica
meditativa del Buddha si ritrova a grandi linee nel Jnana Yoga,
lo Yoga della conoscenza, mentre quella devozionale di Cristo
nel Bhakti Yoga, "ma lo stesso ideale è stato
raggiunto da ambedue". La direzione e la meta sono le stesse;
come afferma anche Paramahansa Yogananda: "La riconciliazione
degli opposti soddisfa la mente e il cuore. Bhakti (devozione)
e Jnana (saggezza) sono essenzialmente una cosa sola".
"L'idea più grandiosa della religione del Vedanta,
scrive Swami Vivekananda, è che noi possiamo raggiungere
la stessa mèta per strade diverse alla fine le quattro
strade convergono e si fondono in una sola. Tutte le religoni,
tutte le discipline spirituali conducono ad un'unica identica
mèta".
Il Raja Yoga
Quando si parla del sistema Yoga generalmente ci si rifà
al Raja yoga, detto la "Via Regale", la cui massima
autorità sono gli Yoga Sutra (II sec. a.C.) di Patanjali,
il primo a sistematizzare l'antichissima disciplina per iscritto.
E' un compendio di insegnamenti orali le cui tracce si trovano
nelle Upanishad.
Sutra significa libro, quindi gli Yoga Sutra sono "Il
libro dello Yoga". Il suo sistema si basa sulla filosofia
Sankhya con le sole differenze che Patanjali ammette un
Dio personale nella forma del maestro primo, Ishvara (l'Io
superiore), non un Dio all'origine della creazione come nel cattolicesimo,
ma un dio personale, come nell'antroposofia, mentre il Sankhya
ammette solo un Dio come essere quasi perfetto che è temporaneamente
in carica per un ciclo della creazione. Uno spirito assoluto che
mai si contamina nella materia. Patanjali inoltre ritiene che
la mente omnipervadente (la Buddhi) e l'anima, o Purusha,
sono un tutt'uno, mentre il Sankhya no.
Patanjali dice che lo Yoga è la capacità di fare
silenzio in sé così da trovare la nostra essenzialità.
"La scienza del Raja Yoga, in primo luogo, si propone di
fornirci il significato dell'osservazione degli stati, moti interiori.
Lo strumento è la mente stessa". Swami Vivekananda
mette l'accento sull'autosservazione, quindi sulla capacita di
concentrarsi, sul "potere di prestare attenzione".
"Allo stesso modo in cui accogliereste qualsiasi altra scienza
dovreste accogliere questa scienza come materia di studio Ogni
tentativo di mistificarla causa grande pericolo".
Vediamo come il grande Yoghi esorta il discepolo a prendere le
distanze dall'aspetto mistico per concentrarsi sul lavoro interiore,
sulla disciplina "scientifica".
"Il Raja Yoga è la scienza della religione,
il fondamento logico di tutte i culti, tutte le preghiere, forme,
cerimonie e miracoli". Vediamo come la via del pensare si
faccia strada nei maestri che vivono nell'anima cosciente.
Abbiamo detto che l'obiettivo ultimo dello Yoga è l'autorealizzazione,
l'unione con il divino, stato che gli indù chiamano Samadhi,
l'obiettivo ultimo del Raja Yoga.
Si distinguono due tipologie di Samadhi: cosciente e incosciente.
Solo la prima consente di modificare permanentemente il subconscio
e bloccare il ciclo delle rinascite. La seconda è l'estasi
mistica, come indica la parola stessa (dal latino ex stare)
implica uno "stare fuori" dal corpo.
Il discepolo che ottiene il Samadhi cosciente è
detto un "liberato in vita", in quanto si è liberato
dal ciclo delle rinascite.
"Quando la mente va al di là della linea dell'autocoscienza,
dice Swami Vivekananda, è chiamato Samadhi, o supercoscienza".
Patanjali suddivide il Raja Yoga in sette gradini che il sadhaka,
il discepolo, deve percorrere per ottenere il Samadhi.
Vorrei percorrere il cammino spirituale, che in India chiamano
sadhana, a ritroso, in modo da arrivare in ultimo alle
basi del Raja Yoga, le fondamenta della vita spirituale.
Il gradino che precede il Samadhi, l'ultimo strumento che
ci permette di conseguirla, è la meditazione, in sanscrito
dhyana.
La Baghavad-Gita dice: "non vi è pace senza meditazione,
non vi è felicità senza pace".
Si potrebbero citare migliaia di definizioni sul termine meditazione;
qui, attenendoci al contesto yogico, vorrei riportare l'interpretazione
che ne da Satyananda Saraswati che, pur essendo uno Yoghi contemporaneo,
nei suoi scritti propone un insegnamento scientifico dello Yoga
tradizionale.
Nel suo libro Meditations from the tantras spiega che vi
sono due tipi di meditazione: la meditazione passiva e la meditazione
attiva. La prima è quella che prevede il sedersi e mettere
in pratica le tecniche, cosiddette "di meditazione";
la seconda, che "è in effetti l'obiettivo dello yoga,
il meditare mentre siamo impegnati in attività quotidiane".
Quando si raggiunge un tale livello "la meditazione passiva
eventualmente diventa superflua, questo avviene quando otteniamo
l'Auto-realizzazione".
"Quando il dhyana diventerà senza sforzo, scoprirete
che costituisce la vostra vera natura", dice Sri Ramana Maharishi.
La filosofia del "senza sforzo" è il fondamento
dell'insegnamento di Krishnamurti, altro grande maestro indiano
in Occidente. Alcuni di voi lo conosceranno per il suo legame
con la Società Teosofica, la cui allora presidentessa Annie
Besant, lo "riconobbe" come la "Stella dell'Oriente"
sorta per salvare il mondo. Ma Krishnamurti, come non aderì
ad alcuna religione, tanto che il suo messaggio viene definito
puramente filosofico e ateo, sciolse il movimento fondato dai
suoi seguaci, l'Ordine della Stella, in quanto la sua filosofia
non accetta alcun tipo di autorità, di rapporto guru-discepolo.
Krishnamurti non diceva mai che cosa fare, ma aiutava a porsi
le giuste domande a cui, diceva, seguiranno le giuste risposte.
Riguardo alla meditazione la sua principale seguace Vimala Thakar
dice: "si tratta di uno stato, di un modo d'essere, non di
un'attività mentale... di un movimento disinibito, incondizionato
della coscienza individuale, in armonia con il ritmo della vita
universale... La meditazione è un movimento non cerebrale".
Viene da porsi la domanda: "Ma allora perché i maestri
praticano esercizi di meditazione?". Paramhansa Yogananda
risponde: "Un Maestro autorealizzato si è già
lasciato dietro il trampolino della meditazione... Ma i Santi
spesso continuano a praticare esercizi spirituali per dare l'esempio
ai discepoli".
Paramahansa Satyananda Saraswati chiarisce che: "la meditazione
attiva si può sviluppare eseguendo le pratiche della meditazione
passiva... e sviluppando la propria autoidentità".
Lo stato di dhyana, anche nella sua veste di meditazione
"passiva", non è però facile da raggiungere.
Le prerogative sono: la calma mentale, la concentrazione e l'introversione
della mente che si auto-osserva sino a liberare il flusso di pensieri,
complessi, visioni e memorie dall'inconscio.
Satyananda Saraswati dice inoltre che, una volta esplorato lo
strato inferiore della mente, "lower mind", si può
passare allo strato superiore, "higher mind", cioè
a realtà super-coscienti e l'infinito magazzino di conoscenza
ed energia del cosmo inizia a mostrarsi spontaneamente dentro
di noi.
L'esplorazione delle "differenti regioni della mente"
crea la consapevolezza che ci può sintonizzare con tutto
ciò che ci circonda e con il cosmo, sino a "trascendere
completamente la mente stessa" e divenire un tutt'uno con
la coscienza suprema, con lo spirito. Ecco quindi raggiunto lo
stato di Super-coscienza o Samadhi.
Sri Aurobindo lo chiama overmind, in italiano tradotto
con "surmentale".
Patanjali definisce dhyana, un flusso ininterrotto di concentrazione
della mente sull'oggetto della concentrazione, un'estensione della
concentrazione-dharanà.
Dharanà, o concentrazione, è la prerogativa
della meditazione, il sesto gradino del Raja yoga. Nell'arte della
concentrazione lo Yoga vede il passaggio obbligato che precede
lo stato di pre-meditazione, dove la mente rimane focalizzata
sull'oggetto della concentrazione, che può essere fisico
o astratto, per un periodo di tempo sempre più lungo, sino
a quando anche l'oggetto si perde e si entra nello stato di Dhyana.
Swami Satyananda Saraswati scrive: "In dharanà
la mente tende continuamente a pensare a tutto fuorché
all'oggetto, e il praticante deve riportare la consapevolezza
sull'oggetto: le distrazioni in un modo o nell'altro ancora esistono.
In dhyana, però, la mente è stata soggiogata
ed è totalmente e continuamente assorbita nell'oggetto.
E' in meditazione che gli aspetti più reconditi dell'oggetto
iniziano a manifestarsi da soli... Coltivare la facoltà
di concentrazione ha valore indispensabile per chi desidera ottenere
la trascendenza". Samadhi è concentrazione
assoluta senza più l'oggetto.
Swami Vivekananda addirittura fa scaturire la conoscenza stessa
dalla concentrazione: "Vi è solo un metodo per mezzo
del quale si ottiene la conoscenza, dice, quello che è
chiamato concentrazione". "Il Raja Yoga è la
scienza che ci insegna come ottenere il potere della concentrazione".
Questi ultimi tre stadi sono detti "sottili". Ma naturalmente,
prima di ottenere lo stato di concentrazione, bisogna essersi
liberati da tutte quelle limitazioni fisiche e psichiche che non
ci consentono il necessario distacco dalla routine, dalla mayà,
o illusione che ci circonda. I tre gradini che li precedono sono
gli stadi propedeutici che agiscono sulla psiche e sul corpo.
L'ostacolo principale alla concentrazione è il flusso incontrollato
dei pensieri che non ci permettono di mantenere la mente fissa
sull'oggetto scelto su cui concentrarsi. Il quinto gradino del
Raja Yoga è appunto il controllo della mente, il trait
d'union tra gli esercizi puramente spirituali e quelli preparatori
psicofisici e morali. In sanscrito si chiama Pratyahara
che significa "adunata, raccolta presso se stessi, radunare
i sensi", controllarli, e quindi controllare il potere della
mente, liberandola dalla sudditanza dai sensi. Il discepolo affronta
la dipendenza dagli oggetti dei sensi che imprigionano la mente
e ne condizionano i pensieri semplicemente osservando il flusso
dei pensieri. Con la paziente pratica noterà che la sola
coscienza di tale movimento calmerà sempre più la
mente. Tale osservazione ci rende coscienti e sempre più
padroni del nostro pensare. Una volta acquisito il controllo della
mente ci si può svincolare provvisoriamente dal mondo sensibile
per poter accedere alle pratiche interiori di concentrazione e
meditazione.
A tale scopo, quando ci si appresta agli esercizi, per agevolare
l'immersione è consigliabile annullare il più possibile
le percezioni sensibili chiudendo gli occhi, sedendosi in modo
eretto e confortevole in un luogo privo di rumori e di odori,
a una temperatura né troppo calda né troppo fredda.
Pratyahara è la fase in cui, impedendo alle facoltà
sensoriali di lasciarci attrarre dagli oggetti esterni, ci si
appresta al salto nel sovrasensibile, è un tremendo lavoro
di osservazione passiva che automaticamente si trasforma in purificazione
attiva della mente.
Il passaggio precedente, il quarto gradino del Raja Yoga è
il Pranayama che, inizialmente mediante esercizi di controllo
della respirazione, porta il discepolo a regolare, controllare
(in sanscrito ayama) il prana, o flusso dell'energia
vitale nel corpo. Tale controllo porta il praticante a sospendere
le funzioni per lungo tempo, essendo il prana la somma
delle forze definite appunto "vitali" o "eteriche.
Tali esercizi, volti a dare un ritmo calmo e omogeneo alla respirazione,
oltre a favorire il rilassamento della mente con notevoli riscontri
psico-fisici, agiscono sul corpo eterico.
Pranayama è la prima vera espulsione delle tossine
anche dal punto di vista fisico.
Per aprire la strada al Pranayama il Raja Yoga prevede
un lavoro sul corpo e sulla psiche attraverso posizioni che, grazie
alla concentrazione del praticante, agiscono sui centri psichici,
detti chakra, liberandone quei blocchi energetici che sono
la causa dei malanni e delle tensioni fisiche in generale. Queste
figure dette Asanas, che insieme al Pranayama costituiscono
l'Hatha Yoga, permettono di acquisire l'energia necessaria
al corpo per mantenersi in salute e non intralciare i suddetti
gradini successivi che abbiamo visto concentrarsi sul controllo
della mente.
Hatha Yoga, significa unione (Yoga) tra gli opposti, il
Sole "Ha" e la luna "tha", da
cui: il maschile (Yang) e il femminile (Yin), il caldo e il freddo,
l'esterno e l'interno, l'aggressività e la calma, il razionale
e l'intuitivo
L'Hatha Yoga è lo sperimentare le polarità
sino a prendere coscienza della dualità e superarla.
I primi due gradini dello Yoga sono le fondamenta di tutta la
struttura, e, come tali, se non sono ben consolidate impediscono
di arrivare in cima. Si tratta delle regole morali, le discipline
etiche, i dieci comandamenti che trascendono credo, tempo e luogo.
Le stesse regole che il tantrismo rifiuta, o mette da parte perché
ritenute, soprattutto oggi per chi vive all'interno del sistema
consumistico, troppo difficili da mettere in pratica.
Si dividono in cinque regole di comportamento per una disciplina
individuale, rivolte quindi a noi stessi, o Niyama, e cinque
leggi morali rivolte alla società, o Yama, il primo
gradino dello Yoga.
I cinque Niyama sono le pratiche definite religione, non
in senso istituzionale, ma interiore. Il primo è Shauch,
la purezza, la pulizia di anima e corpo; il secondo Santosh,
la contentezza, serenità e tranquillità; il terzo
Tapas, l'autodisciplina, il controllo dei desideri, l'austerità
nell'azione, nel pensiero e nella parola; il quarto Swadhyaya,
l'autoanalisi e l'autoeducazione; il quinto Ishwarpranidhana,
la devozione e l'offerta a Dio delle azioni.
I cinque Yama sono le astensioni in relazione al mondo
esterno a cui deve attenersi il discepolo. Il primo è Ahimsa,
la pratica della non violenza, naturalmente non solo quella fisica;
il secondo Satya, il non mentire, la menzogna è
sempre un ostacolo al cammino spirituale; il terzo Asteya,
il non rubare, che per esempio comprende il non sfruttare il lavoro
altrui; il quarto Brahmancharya, l'astensione dagli abusi
dei piaceri non solo sensuali; il quinto Aparigraha, il
non bramare, l'accontentarsi di ciò che la vita ci offre,.
Gli stessi precetti, espressi in Yama e Nyama sono
alla base del cristianesimo (i dieci comandamenti) e del buddhismo
(i dashasikshâpâda).
In realtà questi "dieci comandamenti" sono concatenati
tra loro, la totale osservazione di uno solo comprende automaticamente
l'osservazione degli altri. Chiaro esempio è stato il Mahatma
Gandhi che, dedicandosi completamente al primo degli Yama,
ovvero il primissimo gradino dello yoga, Ahimsa, la non
violenza, ha conseguito tutti gli altri, raggiungendo le vette
della perfezione spirituale, l'auto-realizzazione, il Samadhi,
la beatitudine o santità che dir si voglia.
Patanjali, con riferimento agli Yama, scrisse: "Queste
cinque regole sono talmente universali per la perfezione spirituale
che senza distinzione di razza, di nazione o di tempo, questi
voti devono essere osservati strettamente dagli aspiranti"
(Yoga Sutra, II, 31). E poco oltre leggiamo: "Alla
presenza di un uomo perfezionato nell'Ahimsa, l'inimicizia
non sorge" (Yoga Sutra, II, 35). Il Mahatma ha dimostrato
quale potere esercita la perfezione in questo Yama sulla
peggior inimicizia che si può creare tra i popoli. Ricordiamo
gli incredibili successi dei suoi lunghi digiuni affinché
ogni forma di violenza cessasse: sia come difesa del popolo indiano
nei confronti dei coloni Inglesi, sia addirittura come risposta
alle offese reciproche tra Indù e Mussulmani.
A proposito dello Yama per noi più scottante, la
Brahmancharya, o castità, Swami Vivekananda è
molto chiaro: "Ci dev'essere perfetta castità nel
pensiero, nella parola e nell'azione; senza di essa la pratica
del Raja Yoga (e di qualsiasi cammino spirituale) è pericolosa,
e può portare alla pazzia. Se si pratica il Raja Yoga e
allo stesso tempo si conduce una vita impura, come ci si può
aspettare di divenire degli Yoghi?". La pratica spirituale
"è pericolosa" se non poggia sulla purezza morale
in quanto può sviluppare nell'adepto poteri che divengono
veicolo delle forze del male (esempio lampante di una forte personalità
che ha in parte risvegliato la kundalini sino al chakra del cuore
è Hitler).
Quindi "castità" non significa che non si possa
amare sessualmente, ma che bisogna amare con purezza.
L'eccesso di energia sessuale, che Vivekananda dice essere: "la
più alta energia nel corpo umano, custodita nel cervello
da parte dei casti, che genera la forza intellettuale e spirituale",
può essere convertita in energia puramente spirituale,
detta Ojas. E' l'essenza più sottile di ogni energia
che collega il corpo mentale a quello spirituale,
La forza fisica grossolana e l'energia mentale (tra cui l'energia
sessuale) sono tramutate in energie sottili e queste a sua volta
in Ojas. La pratica di castità, o Brahmancharya
è volta a tale scopo.
"L'energia e il pensiero sessuale, scrive Vivekananda, quando
controllati, possono essere mutati, convertiti in Ojas".
A proposito di Satya (non mentire) Steiner rivela che "ogni
bugia, nel mondo astrale, è un assassinio", e riguardo
all'Asteya (non rubare) mette in chiaro che, anche se non
siamo noi direttamente a speculare e sfruttare gli altri, ma,
per esempio lo fa una banca con il denaro che vi abbiamo depositato,
"secondo la morale occultista anche in questo caso siete
responsabili: il fatto si addebita al vostro karma". Meno
male oggi esistono le Banche etiche!
Sempre Steiner, a proposito degli Nyama, evidenzia il rifiuto
da parte dell'occidentale a tali regole che gli stanno strette,
additandole come dogmi, con la scusa che sia sufficiente attenersi
alle proprie regole interiori. In realtà non sono dogmi,
non sono imposte, è una libera pratica consigliata per
l'evoluzione spirituale. "Molti Europei credono oggi d'esser
superiori ai dogmi, ma proprio i liberi pensatori ed i materialisti
sono i più ristretti, i più ispidi e fanatici dogmatisti.
Il dogma materialistico è ancor più opprimente di
ogni altro" (Iniziazione e misteri).
Molto è stato detto e scritto sul profondo significato
di ognuno dei sette strumenti indicati dal Raja Yoga, dalle fondamentali
regole di comportamento alle tecniche di concentrazione e meditazione.
Qui ci siamo limitati a menzionarli per intendere con quanta precisione
lo Yoga indichi i singoli passaggi del suo Sadhana (cammino
spirituale).
Il Raja Yoga si condensa quindi in sette strumenti per mezzo dei
quali il ricercatore può ambire a trovare il suo tesoro
nello stato di Samadhi.
Ma, come abbiamo detto, lo Yoga conta diversi tipi di discipline
in base ai diversi tipi di persone, caratteri e temperamenti.
E' una scienza antichissima che nel corso dei millenni ha avuto
modo di modellarsi in base ai nuovi impulsi offerti all'umanità
per la sua evoluzione e alle sempre nuove esigenze dell'uomo.
Lo Yoga nell'epoca dell'anima cosciente
Rudolf Steiner in una conferenza riportata nel libro Polarità
fra Oriente e Occidente sostiene che nell'antichità
lo yoghi riusciva a trascendere la dipendenza che l'uomo comune
di allora provava nei confronti della natura di cui si sentiva
parte, come un braccio del corpo, iniziando a cogliere l'Io grazie
agli esercizi respiratori che gli consentivano di regolare, insieme
alla respirazione, i processi neuro-sensoriali "portatori
materiali della vita dei pensieri". Pertanto lo yoghi grazie
agli esercizi respiratori otteneva la consapevolezza della propria
individualità oggi naturale a tutti gli uomini. Ne consegue
che tali esercizi non hanno valore per l'uomo odierno.
Certo l'individualità oggi ci è naturale, ma continuiamo
a non essere in grado di controllare il flusso ininterrotto dei
pensieri.
I maestri indiani contemporanei non parlano di esercizi respiratori
volti a creare la consapevolezza della propria individualità,
bensì a controllare la propria mente, ovvero a creare quella
calma necessaria alla dharanà e al dhyana.
Sri Ramana Maharishi sostiene che "si può dire che
il controllo della mente sia anche il fine dello Yoga". E
dice chiaramente: "Il controllo della mente si ottiene controllando
il respiro".
Dall'opera di Vivekananda ho estrapolato alcune definizioni che
chiariscono cosa intende il Raja Yoga per Pranayama e il
ruolo degli esercizi respiratori: "Il Pranayama non
è, come molti pensano, qualcosa che si riferisce al respiro;
il respiro in realtà ha ben poco a che fare con esso. La
respirazione è solo uno dei molti esercizi attraverso i
quali pratichiamo il vero Pranayama. Pranayama significa
controllo del Prana". "Il Prana è
la forza vitale in ogni essere. Il pensiero è la più
sottile ed elevata azione del Prana".
"Secondo i filosofi indiani l'intero universo è composto
da due materiali, uno dei quali è chiamato Akasha.
E' l'esistenza onnipresente e omnipervadente All'inizio della
creazione c'era solo questa Akasha Da quale potere quest'Akasha
è edificata in quest'universo? Dal potere del prana".
"La conoscenza e il controllo di questo Prana è
ciò che realmente s'intende per Pranayama".
"Il controllo del movimento dei polmoni è il primo
gradino volto a sentire i più sottili movimenti che avvengono
nel corpo poiché le nostre menti sono sempre più
volte all'esterno e hanno perso di vista i movimenti sottili interiori.
Se iniziamo a sentirli, possiamo iniziare a controllarli".
"Il centro nervoso che controlla gli organi respiratori ha
una sorta di effetto di controllo sugli altri nervi, per questo
la respirazione ritmica è necessaria".
"Quando l'equilibrio del Prana è disturbato
si producono le malattie. Espellere il Prana superfluo,
o supplire al Prana necessario, cura la malattia. Questo
ancora è Pranayama".
"Anche quando un uomo sta meditando sta concentrando il Prana".
Ricordiamoci che il fine di tutti gli insegnamenti del Raja Yoga
è "come concentrare la mente". "Lo scopo
assoluto del Raja Yoga è insegnare il controllo e la direzione
in piani differenti del Prana".
Il Prana si muove attraverso la Sushumna, il canale
eterico fisicamente localizzabile nel centro del sistema cerebrospinale
anche se non fa parte del corpo fisico. Lungo il suo asse si distribuiscono
i chakra, o centri nervosi-energetici (vedi grafico allegato).
Sono detti anche loti, perché allo sguardo chiaroveggente
appaiono come tali, ognuno composto da un numero differente di
petali. Sono moltissimi, ma generalmente vengono indicati i sette
principali: Muladhara, dal sanscrito "radice, fondamento",
è situato, sempre etericamente, presso il perineo, vicino
agli organi sessuali; Svadishthana, dal sanscrito "la
propria dimora", è situato alla base dell'osso sacro;
Manitura, dal sanscrito "città dei gioielli",
è situato all'altezza dell'ombelico, sempre sulla colonna
vertebrale, Anahata, dal sanscrito "illeso",
è situato all'altezza del petto, il chakra del cuore; Vishuddhi,
dal sanscrito "purificare", è situato all'altezza
della trachea; Ajna, dal sanscrito "conoscere, obbedire,
o seguire", è situato al centro del cranio; il settimo,
Sahasrara, dal sanscrito "mille", non è
propriamente un chakra, poiché è oltre il
corpo eterico, è pura coscienza.
Non entreremo nel profondo significato di ognuno di questi centri
vitali, ma è importante crearcene un'immagine per poter
visualizzare il processo eterico dell'ascesi yogica.
Alla base della Sushumna presso il Muladhara chakra
riposa il "fuoco della kundalini", la corrente
astrale-eterica vitale che dev'essere risvegliata. E' attraverso
questo chakra che viene guidata la pratica di castità,
o Brahmancharya, per convertire l'energia sessuale in Ojas.
Conversione che stimola il risveglio della kundalini. Questo
"fuoco" riattivato risale nel canale della Sushumna
e accende tutti i chakra, ne dischiude i petali, sino al
Sahasrara chakra, conseguendo il Samadhi.
Due forze, Ida (ascendente) e Pingala (discendente),
scorrono ai lati della Sushumna incrociandosi in ogni chakra,
creano una serpentina a forma di 8.
La disciplina, l'ascesi è volta all'apertura della Sushumna
per il risveglio della kundalini. "Solo gli Yoghi,
scrive Vivekananda, l'hanno aperta. Quando si apre e inizia a
salire in lei la kundalini si è aldilà dei
sensi, nel soprasensibile. La sua apertura è il primo obiettivo
dello Yoghi".
Il suo maestro Ramakrishna ha rivelato ai discepoli l'esperienza
diretta del risveglio lungo i sette chakra di cui parla
il Vedanta. Mentre i tre più bassi "soddisfano i comuni
appetiti", "quando raggiunge il quarto centro e cioè
quello dalla parte opposta al cuore, l'uomo vede un divino splendore,
da questo stato egli tuttavia ricade spesso ai centri inferiori.
Quando lo spirito giunge al quinto centro, dalla parte opposta
della gola, il sadhaka (il praticante) non può parlare
d'altro che di Dio". L'avatar rivela che in quello
stato si sentiva oppresso dal mondo esterno. "Anche da questo
stato si può recedere.
Ma si è al di sopra di ogni paura, quando lo spirito raggiunge
il sesto centro, dalla parte opposta della giunzione delle sopracciglia.
Allora si ha la visione del paramahatman (Sé superiore)
e si resta sempre in Samadhi.
C'è soltanto un leggerissimo trasparente velo fra questo
centro e il sahasrara, che è il centro più
alto (alla sommità del capo). L'uomo è allora così
vicino al paramahatman da immaginare di essere immerso
in esso. Ma in realtà non è così. Da questo
stato la mente può ridiscendere al quinto o al quarto stato,
mai più in basso Dopo essere rimasti in continuo Samadhi
per ventun giorni, essi (i sadhaka) rompono quel velo sottile
e diventano per sempre una cosa sola con il Signore. Questa eterna
unione del jiva (anima) e del paramahatman nel
sahasrara è nota come "l'andare al settimo piano".
Questa è l'ascesi yogica descritta da chi l'ha sperimentata.
Tornando al Pranayama, un esempio di applicazione pratica
è la dinamica dell'esercizio base di controllo del respiro:
inalare per 4 secondi con la narice destra, trattenere per sedici
secondi e esalare per otto secondi con la sinistra, concentrandosi
su Ida mentre si inala, su Pingala mentre si esala
e sulla Sushumna trattenuta nel Mulandhara chakra
mentre si trattiene il respiro.
Vediamo che al respiro è abbinata la concentrazione sui
canali energetici che uniscono i chakra.
Altra importantissima pratica volta al risveglio della kundalini
è l'utilizzo dei mantra, "parole mistiche"
la cui ripetizione fa "roteare i chakra", ovvero
li apre facendo scorrere la kundalini al loro interno.
Massimo Scaligero, uno dei pochi antroposofi che ha continuato
attivamente sulla via del "pensiero libero dai sensi"
portata all'umanità da Rudolf Steiner, concentrandosi sulla
disciplina antroposofica del pensare e sulla via del Gral, spiega
che oggi il processo è inverso: il "fuoco della kundalini",
la corrente astrale-eterica vitale non è più "dominata
dal sesso", ma dalla cerebralità. Ne consegue che
il risveglio non è più ascensionale, ma scende dall'alto
compenetrando il corpo. Il Vedanta, nel primo medioevo, per sopperire
alla crisi delle forze del sentire si appellava alle forze del
volere che consentivano questo movimento ascensionale. Nell'epoca
dell'anima cosciente la Kundalini, movendo dalle forze del pensare
deve scendere, non più salire.
Anche Sri Aurobindo parla di questa inversione: Satprem, suo discepolo,
scrive: "Con lo Yoga questi centri si aprono. Possono aprirsi
in due modi: dal basso in alto, secondo i metodi yoghici e spirituali
tradizionali; o, con lo Yoga di Sri Aurobindo, dall'alto in basso".
L'ascensione prevede un allontanamento dal corpo da parte dello
spirito, mentre la discesa è da parte dello spirito, della
grazia divina nel corpo, è la "spiritualizzazione
della materia" di cui parlavano i filosofi della Sofiologia
russa.
Il fine di Sri Aurobindo "non è una fuga nella Pace
eterna, ma la trasformazione della vita e della materia".
Non quindi il Samadhi incosciente, non l'estasi (dal latino
ex-stare, stare fuori), ma uno stare nel corpo.
Sri Aurobindo è stato il grande innovatore dello Yoga,
si differenzia dagli altri grandi maestri che hanno portato lo
Yoga in Occidente, vissuti a cavallo tra il XIX e il XX secolo,
per il fatto che per primo ha espresso uno Yoga volto a spiritualizzare
la carne, non più a reprimerla. Per Aurobindo l'obiettivo
non è più dominare la materia, bensì di trasformarla.
La Materia è il "laboratorio" dove lo spirito
elabora un uomo superiore. In La vita divina Aurobindo
scrive: "L'anima, come ha un passato preumano, ha anche un
futuro sovraumano".
Per raggiungere la "trasformazione della materia" di
cui parla Aurobindo non serve trascendere la propria individualità.
Ascendere al mondo spirituale, ottenere il Nirvana fuori dal corpo
è per Aurobindo una via incompleta.
"Forse il soffocamento dell'individuo è veramente
la soffocazione di Dio nell'uomo" scrive in Sintesi dello
Yoga. Per questo Aurobindo parla di "Yoga integrale",
uno Yoga che non lavora nell'anima tralasciando, o meglio, reprimendo
il corpo. "Lo Yoga integrale, scrive Burrini, equivale a
un non-dualismo che identifica Dio e il cosmo, ovvero l'Assoluto
e il divenire".
"Bisogna insomma venirne fuori senza filarsene via"(Satprem).
Sri Aurobindo non ha mai dato esercizi o mantra, ha dato una via,
lo Yoga integrale che lascia il ricercatore libero di sviluppare
il suo divenire.
Massimo Scaligero chiarisce, dal punto di vista tecnico, perché,
secondo Steiner, il Pranayama non si addice più
all'uomo contemporaneo.
In Yoga, meditazione, magia sostiene che il processo è
inverso a quanto letto in Vivekananda, ovvero che: riscontra un
"graduale mutamento qualitativo del respiro", che conseguentemente
"conferisce poteri supernormali sul corpo fisico", "colui
che sperimenti la libertà come arte della meditazione".
"Nel trasferire la coscienza al corpo eterico, egli sperimenta
una dinamica del respiro polarmente opposta a quella propria al
respiro fisico: perciò egli sa che nessuna tecnica del
respiro fisico può condurlo a tale mutamento qualitativo".
Poco dopo scrive: "Il respiro spirituale infatti si realizza
nella misura in cui l'uomo vince in sé l'egoismo.
I cercatori moderni vengono facilmente persuasi dalle tecniche
respiratorie orientali: le trovano rispondenti all'attuale esigenza
di concretezza, in quanto sembrano collegare immediatamente il
mentale con il fisico. In realtà essendo il mentale normalmente
condizionato dal fisico, il processo rimane al livello in cui
si svolge, meramente fisico".
In sostanza: "l'uomo moderno non può padroneggiare
il respiro, in quanto non lo percepisce: percepisce di esso soltanto
la meccanica forma sensibile e crede di poter agire mediante questa
Il pranayama oggi è realizzabile solo come una parodia,
al livello sensibile. Tali tecniche, usate dall'uomo moderno,
producono un effetto opposto al senso per cui nacquero, in quanto
tendono a carpire un supplemento di vita all'aria che è
inverso a ciò che una riconquista della respirazione spirituale
esige conseguire
Nell'uomo, l'anidride carbonica trattenuta è causa di malattia
e di morte, ma è parimenti la possibilità di una
più profonda vita dello Spirito. Il mutamento della qualità
del respiro è segno del superamento di un limite fisico
all'attività interiore: ma non è una tecnica respiratoria,
bensì la conseguenza di un'alchimia interiore, che non
si apprende da tradizioni o da testi, bensì dalla possibilità
di sperimentare l'attuale pensiero razionale svincolato dai sensi
o dal supporto cerebrale Occorre liberarsi della grossolana idea
che mediante la respirazione si attinga il Sovrasensibile. Ciò
era possibile un tempo ad asceti costituzionalmente diversi".
In realtà c'è per l'uomo moderno un percorso ascetico
che passa per il respiro, che però non tende più
a regolarne il ritmo, ma lo si può intraprendere solo per
vie occulte. Scaligero ne accenna scrivendo: "L'opera di
mutamento della natura umana mediante il respiro è ciò
che dagli alchimisti viene designato come Pietra Filosofale. L'anidride
carbonica che normalmente uccide la vita è ciò mediante
cui l'iniziato edifica la vita corporea dello Spirito".
Gli antichi asceti "abbassando il tono del loro organismo,
delle funzioni corporee" arrivavano a percepire la loro anima
come parte del mondo spirituale. Percezione preclusa all'uomo
contemporaneo anche a causa dello sviluppo dell'organismo fisico.
Insomma la via del respiro oggi tiene l'uomo legato alla materia!
Da quanto letto possiamo dedurre come la New Age, nel suo semplificare
aspetti così profondi, e direi occulti, delle pratiche
interiori, ha contribuito non poco a mandare l'occidentale fuori
strada.
Un altro importante perno su cui poggia lo Yoga è il rapporto
tra Guru e discepolo.
Steiner a proposito disse che mentre nello Yoga il discepolo si
rifugia in tutto e per tutto nella figura del Guru, suo veicolo
al divino, nel cristianesimo il Guru è lo stesso per ogni
discepolo, ed è disincarnato, è il Cristo. Ma anche
nel cristianesimo tradizionale il discepolo necessita di un maestro
in carne ed ossa che lo conduca al Cristo. Solo nella disciplina
rosicruciana il Guru non è più la guida, bensì
il consigliere, l'amico del discepolo.
Anche se la dipendenza assoluta dal Guru in Oriente e la mediazione
imposta in Occidente sono i principali strumenti per la detenzione
del potere da parte delle istituzioni religiose, tali fenomeni
presso le vere scuole di disciplina spirituale sono sempre più
blandi e circoscritti alle cerchie più fondamentaliste,
quindi arretrate, delle culture yoga e cristiana. Né in
India, né in Occidente ho incontrato questo tipo di dipendenza.
Mi sembra quindi che le guide di queste religioni stiano lentamente
andando in direzione della libertà. Probabilmente il movimento
rosicruciano è stato il precursore di un atteggiamento
che dovrà sempre più caratterizzare l'asceta moderno.
I grandi maestri indiani contemporanei hanno sempre spinto i discepoli
a camminare con le loro gambe. Addirittura Krishnamurti, abbiamo
detto, fu un esempio plateale di rifiuto del ruolo di Guru: "Non
ascoltate nessuno, diceva, compreso chi vi parla, perché
siete facilmente influenzabili, perché tutti desiderate
qualcosa... è facile prendervi nella rete. Perciò
non c'è bisogno di andare in India, o in un monastero buddhista
o Zen, a meditare, a cercare un maestro; perché se sapete
guardare, tutto è in voi".
Swami Vivekananda scrive: "Il maestro esterno offre solo
il suggerimento atto a stimolare il maestro interiore"
Sri Aurobindo in Sintesi dello Yoga: "Il maestro dello
Yoga integrale seguirà dunque come potrà il metodo
del maestro interiore Cercherà di svegliare piuttosto che
di istruire Fornirà un aiuto che sarà un mezzo pratico
piuttosto che una formula imperativa. L'esempio è più
potente dell'insegnamento Più il maestro è grande,
tanto meno deve rappresentare per il discepolo l'istruttore, e
tanto più deve essere per lui una Presenza che diffonde
la luce, la potenza, la purezza e la beatitudine".
Rudolf Steiner in una conferenza riportata nel libro Polarità
fra Oriente e Occidente sostiene la necessità che i
maestri contemporanei vivano nel mondo, non separati-eremiti.
Tale necessità la riscontriamo anche in Yogananda e Vivekananda
che furono mandati in Occidente dai loro rispettivi guru. Satyananda
Saraswati, Ramana Maharishi, Sri Aurobindo, Krishnamurti e gran
parte dei grandi maestri vissuti negli ultimi secoli operarono
in mezzo agli uomini. A volte, gli ultimi anni della loro vita
terrena si ritirarono dal mondo, ma questo avvenne dopo che avevano
adempiuto alle loro missioni, come nel caso di Sri Aurobindo e
Satyananda Saraswati.
"Le vie antiche dell'ascesi e dello Yoga, sostiene Steiner,
toglievano invece l'uomo dalla vita".
Credo che Steiner, quando parlava di Yoga, si riferisse allo Yoga
classico, che peraltro è lo Yoga ancora maggiormente diffuso.
Ma anche lo Yoga nella sua evoluzione sino ad oggi si è
sempre più compenetrato dalle forze del pensare, che non
si può credere vivano solo nell'uomo occidentale.
Scrive Satyananda Saraswati: "Quando il sentimento è
dietro il pensiero diventa più potente".
La consapevolezza che la via contemporanea non è più
sospinta dalle forze del sentire, bensì da quelle del pensare,
non è a mio avviso patrimonio esclusivo della cultura occidentale,
come spesso ho avuto modo di sentir dire, ma è parte dell'evoluzione
di tutti gli uomini.
Lo yoga, come tutti i cammini spirituali, è un sistema
di vita: si fa Yoga mentre si cammina, mentre si mangia, si parla,
si studia, si lavora, è un modo di concepire e mettere
in pratica lo spirito, e vivere secondo lo Yoga oggi corrisponde
a vivere nell'Io, ovvero nella consapevolezza del Cristo in noi.
Come del cristianesimo si conoscono le vie di fede e non quelle
ascetiche, spesso del resto definite "esoteriche", dello
Yoga si conoscono solo l'aspetto psicofisico e quello mistico.
Insomma lo Yoga sta alle pratiche che in molte palestre occidentali
e orientali definiscono "Yoga" come il cristianesimo
sta al cattolicesimo.
Massimo Scaligero, sempre nel suo saggio Yoga, meditazione,
magia chiarisce ancor meglio la questione dell'inadeguatezza
dello Yoga per l'uomo moderno occidentale. Dico occidentale poiché
l'orientale, essendo meno calato nella materia, accetta gli eventi
più passivamente, non si cimenta a dominare la materia
il più possibile come l'occidentale. L'orientale
affronta la vita con maggior serenità, anche dinnanzi alle
calamità naturali e all'indigenza non vuole subito trovare
una soluzione, le accetta con maggior consapevolezza, se vogliamo
retaggio dell'antica chiaroveggenza, della volontà divina.
Sono gli orientali i veri timorati da Dio. L'occidentale dovrebbe
assimilare un po' di quest'accettazione non violenta che in un
certo senso freni la brama produttiva e consenta di fare un po'
di calma in lui. Ciò supporterebbe una crescita più
equilibrata e, di conseguenza, una produzione qualitativamente
superiore. Resta il fatto che l'evoluzione dell'uomo moderno deve
passare per il pensiero, quindi non può rifarsi alle antiche
via orientali ancorate alle sole forze del sentire.
Scrive Scaligero: "Il reale trascendimento di sé oggi
può essere attuato unicamente per virtù dell'elemento
originario della coscienza. L'immediato spirituale è il
pensiero predialettico, non più il sentire mistico, o il
volere corporeo".
Scaligero ribadisce in più occasioni che lo Yoga e l'ascesi
taosta si rifanno ad una sapienza atavica che permetteva al discepolo
di ridurre al silenzio l'astrale, in modo da potersi immergere
con la Potenza originaria del corpo eterico-vitale.
Come diceva Gabriele la volta scorsa: "il discepolo imitava
il Guru per catturarglile forze eteriche". Il problema è
che "la connessione con il corpo vitale, o eterico, cessò
di essere veicolo della Luce di Vita, allorché cominciò
nell'umanità l'esperienza del pensiero: la quale fu possibile
grazie al definitivo coincidere dell'organismo eterico della testa
con la sua controparte fisica, in particolare con l'organo cerebrale.
Quando una simile coincidenza non era ancora un fatto compiuto,
la capacità dell'uomo di vedere la struttura sovrasensibile
del mondo, dipendeva dalla sua possibilità di compenetrare
etericamente la percezione sensibile. La facoltà del pensiero
affiorò nell'umanità, per la prima volta, attraverso
i filosofi greci, come conseguenza del definitivo esaurirsi della
correlazione eterica mentale". "Nell'epoca dell'Autocoscienza
questa è la via della medianità. Le tecniche che
un tempo fornivano l'esperienza sovrasensibile, oggi vincolano
la psiche alle categorie fisiche oltre un limite normale, sviluppando
un pensiero sub-imaginativo, quale forma dell'impulso opposto
a quello sovrasensibile, e tuttavia capace di fornire, al proprio
livello, immagini e sensazioni di un presunto spirituale".
"Per quante discipline si osservino e quale che sia il sadhana
praticato, non può essere conseguita autonomia interiore,
se il pensiero non realizza la distinzione del proprio movimento
dai dinamismi cerebrali".
Credo che questi concetti non abbiano bisogno di commento alcuno.
Oltre l'antico Yoga
Questa antica disciplina indiana si è evoluta, come tutte
le altre discipline. Gli impulsi spirituali che l'uomo ha ricevuto
nel corso dei secoli, e sta lentamente elaborando, hanno compenetrato
tutti i sistemi filosofici, le religioni, le pratiche volte alla
spiritualizzazione della materia. Mentre nell'antichità
l'Io non era incarnato in modo da poter ambire ad una spiritualizzazione
della carne e quindi l'uomo vedeva in essa l'ostacolo da neutralizzare
per tornare allo spirito, dall'evento del Golgotha in poi, l'umanità
ha incarnato quell'Impulso Solare dell'Amore che ha permesso all'Io
di iniziare un'ascesi verso la libertà nella carne.
Tale ascesi dell'uomo moderno, come vedremo, è la via indicata
anche dai grandi maestri indiani contemporanei: Sri Aurobindo,
con il surmentale (overmind) e Ramana Maharishi, con la
ricerca del Sé, sono chiaramente sulla via del pensiero.
Lo Yoga Tantrico era in grado di estrapolare dagli istinti la
Kundalini, la Forza originaria, e farla ascendere dal Mulandhara
chakra, il centro del sesso lungo la Sushumna dov'era condensata
l'energia, accendendo tutti i chakra sino al più
elevato, il cui risveglio proietta il discepolo nel Samadhi.
Oggi abbiamo visto che il processo è inverso: il risveglio
non è più ascensionale, ma scende dall'alto compenetrando
il corpo.
La grande differenza è che i maestri tantrici non sperimentavano
tale corrente mediante l'Io, sorto in Occidente proprio perché
non rifuggiva il fisico. Quindi grazie anche alla scienza materialistica.
Per loro il centro della forza era percepibile alla base della
spina dorsale, non nella testa. "Chi oggi sperimenta la corrente
della kundalini alla base della spina dorsale anziché
nella testa, scrive Scaligero, per mezzo della conversione del
pensiero, sarebbe sulla soglia dell'invasamento medianico".
"Per la metafisica orientale, il mondo sovrasensibile è
un possente Irrazionale, con cui non può avere rapporto
l'Autocoscienza individuale, o l'idea, ma solo il meditante che
evada nel Samadhi".
"Non v'è sviluppo psichico, intellettuale, o magico
o yoghico, oggi perseguibile, che non dia luogo a un potenziamento
degli istinti, se non si svolge sulla base della coscienza delle
forze metadialettiche indirettamente sollecitate".
Patanjali invitava a dominare le Vrriti, i vortici, i movimenti
del pensiero, negando il pensare e immergendosi nel sentire pranico-eterico,
non con le forze del pensare come con la concentrazione. La dharanà
è una concentrazione statica, non dinamica. Il pensiero
è stabilito tra le sopracciglia, su una candela, o sul
respiro, e non trascende l'oggetto, rimane fisso lì. Gli
Asana servono a mantenere per lungo tempo la posizione
eretta perché il discepolo doveva riprodurre in sé
l'immobilità del Purusha.
Per questo motivo i buddhisti dicevano che lo Yoghi non era un
illuminato. Il Buddha, nello stesso periodo in cui nasceva la
filosofia in Grecia, fu il primo a mettere in moto le forze del
pensiero, "l'io penso", contrapposto all'io sento.
Successivamente dove il buddhismo si è fatto religione
il suo valore filosofico è andato perduto nei meandri della
fede, ma questo è avvenuto anche in seno alle altre scuole
di pensiero occidentali.
La concentrazione insegnata dalle scuole rosicruciana e antroposofica
invece è dinamica, in quanto il praticante è invitato
a cogliere il pensiero vivente che è all'origine dell'oggetto,
non a fossilizzarsi sull'oggetto.
Il lavoro del ricercatore spirituale contemporaneo poggia sull'Io,
quindi sul pensiero. "Ma egli non potrà compierlo,
finché svilupperà, con lo Yoga o metodi similari,
o con la Scienza dello Spirito razionalmente e misticamente assimilata,
forze interiori che in definitiva asserve alla condizione umana,
mentre la loro istanza ultima è l'impegno dell'Autocoscienza
per la risoluzione dell'umano".
Per rifiatare e lasciare un po' di spazio anche al "povero
sentire" vorrei concludere con una splendida immagine offertaci
da Sri Aurobindo:
"Un Dio che non sapesse ridere non avrebbe potuto creare
un universo così umoristico".
Che questo aforisma venga espresso non da un blasfemo, bensì
da un iniziato, ci dovrebbe far riflettere e ..., perché
no, sorridere.
Milano, Soc. Antroposofica, 15 ottobre 2002
Testi citati
Massimo Scaligero Yoga, meditazione, magia, Tilopa
Rudolf Steiner Le basi occulte della Bhagavad-Gita, Editrice
Antroposofica
Swami Vivekananda The complete Works of, Advata Ashrama
Rudolf Steiner Iniziazione e misteri, Editrice Partenopea
Rudolf Steiner Polarità fra Oriente e Occidente, Editrice
Antroposofica
Swami Satyananda Saraswati Meditations from the tantras
Discorsi con Sri Ramana Maharishi, Edizioni Vidyananda
Satprem, Sri Aurobindo l'avventura della coscienza, Edizioni
Mediterranee
Swami Vivekananda Yoga Pratici, Ubaldini Editore
L. Meazza & G. Burrini La filosofia indiana, Xenia