LO YOGA

La più antica disciplina spirituale, dalle origini all'epoca dell'anima cosciente

Marcello Girone Daloli

 
Insegnare Yoga
Un giorno il mio amico Swami Dharmananda mi disse: "Ricorda che solo a chi sta cercando si può insegnare, altrimenti la disciplina non può penetrare in lui ... Se non vi sono domande non vi saranno risposte".
Vivevo in India da diversi mesi, praticavo lo Yoga con ferrea disciplina, e da poco lo Swami mi aveva di punto in bianco affidato la classe di Asana, ovvero, come vedremo, di quella parte della disciplina Yoga più inerente al fisico e ai flussi energetici che lo percorrono.
Era la prima volta che sentivo quest'affermazione. Da allora ho ritrovato questo concetto in tutti i maestri che ho avuto il dono di incontrare nei miei studi.
Ho cercato di imparare, da un lato a porre le domande giuste, dall'altro a trattenere l'entusiasmo che inevitabilmente s'impadronisce di un ragazzo che ha incontrato la via dello spirito.
Gli ultimi mesi trascorsi al Vedniketan Ashram di Rishikesh, la località sacra, sulle rive del Gange, ai piedi dell'Himalaya, ho più volte introdutto i nuovi arrivi al corso di Yoga che si teneva all'Ashram, e più sperimentavo lo Yoga in me, più sentivo di poter esprimere qualcosa in cui, non semplicemente credessi, ma che stavo vivendo.
Da quando sono tornato in Occidente non ho mai voluto parlare pubblicamente di questa immensa disciplina e tanto meno tenere corsi di Hatha Yoga, come ho facevo in India.
Nonostante mi sia stato chiesto in più occasioni, mai ho avvertito da parte di chi me lo domandava la necessità interiore e la disposizione al sacrificio necessari per intraprendere una disciplina interiore. Per noi occidentali lo Yoga non è che una ginnastica psicofisica, e con tali presupposti non può essere insegnato.
Quando il grande Swami Shivananda disse che "vale più un grammo di pratica che un mare di teoria", intendeva la vera pratica, la vita.
 
Tuttavia un po' di teoria per capire di cosa si tratta è dovuta a chi chiede.
Sintetizzare una delle più importanti discipline e arte di vivere offerti all'umanità in poche pagine è un'impresa pressoché impossibile. Possiamo però cercare di tracciare le linee generali che la caratterizzano con l'aiuto degli insegnamenti di grandi maestri indiani stabilitisi in Europa e in America nell'arco del secolo scorso.
Certo del fatto che solo Coloro che hanno compreso, in quanto sperimentato, possono insegnare, mi dovrò avvalere delle parole di alcuni questi grandi maestri per spiegare i gradini più alti a cui lo Yoga ambisce.
 
Lo Yoga semplificato e il tantrismo
Grazie a loro cent'anni fa l'Occidente ha conosciuto le filosofie orientali, tra cui lo Yoga. Ha potuto iniziare a raccoglierne alcuni frutti, forse non i più maturi, ma certamente salutari soprattutto dal punto di vista psicofisico.
Negli ultimi quarant'anni la tendenza al benessere psicofisico è divenuta una prerogativa dell'uomo occidentale, sempre più schiacciato dallo stress. Tanto che gran parte delle scuole Yoga, come pure di molte altre pratiche/discipline orientali come il Tai Ci Chuan, il Chi Gong, le diverse terapie di massaggio (Shatzu, cinese ecc.), le medicine orientali (Agopuntura e l'Ayurveda), l'arte dei mandala e dei mantra legati ai pianeti e ai cristalli, il Reiki, piuttosto che la meditazione trascendentale e molte altre hanno preso piede e sono state spesso  messe in un grande recipiente detto New Age. Un vero e proprio calderone dove si prende un po' di tutto, generalmente senza approfondire niente. Questo ancora oggi sembra prevalere nell'approccio occidentale alle scuole di pensiero e alle discipline orientali.
In realtà un sistema di vita come lo Yoga richiede grande dedizione per essere sperimentata; e se non viene vissuta non può essere compresa.
In Occidente la tendenza a voler bruciare i tempi, alla fretta ha fatto sì che si divulgasse l'aspetto più semplice, quello psicofisico, con delle astratte e nebulose aspirazioni esoteriche.
In molte palestre si pratica l'Hatha Yoga come fosse uno sport.
In realtà, il vero Hatha Yoga, come vedremo, è un estratto del Raja Yoga, ovvero della disciplina completa, con aggiunte tutta una serie di posture-asana che sono divenute la principale pratica.
A Milano per il centenario dell'indipendenza indiana ho sentito il presidente dell'Associazione Italiana Yoga parlare di Yoga come "una tradizione vivente per il benessere dell'uomo" (titolo della sua conferenza), incentrando la sua esposizione proprio su quel benessere psicofisico tanto ambito dall'uomo occidentale. Disse: "Ananda, il benessere psicofisico, è il primo obiettivo dello Yoga Lo Yoga agisce sia sul corpo che sulla psiche contro lo stress L'allungamento muscolare per esempio è l'opposto della contrazione L'asana rilassa, scioglie, distende i muscoli, stimola il sistema nervoso e dona un benessere immediato". Tutto vero, ma marginale, irrisorio rispetto al senso primo e ultimo dello Yoga. "Un benessere immediato", ecco cosa vendere all'occidentale stressato.
Lo Yoga è la disciplina, la messa in pratica di una delle più importanti religioni offerte all'umanità, è la via dell'induismo, come può essere ridotta a esercizi psicofisici?
"Il benessere psicofisico" non è che una conseguenza, un inizio, non è affatto un "obiettivo dello Yoga". Questo non può che allontanare dalla possibile comprensione di questa meravigliosa arte di vivere.
 
 
Anche in India però lo Yoga ha subito forti mutazioni.
Già dal 400 d.C con l'avvento del tantrismo si è perso il messaggio originale a favore della conciliazione di tutti i culti dell'India degli ultimi secoli: i mistici induvishnuiti di estrazione bhakti (devozionale) dal 1600 in poi si sono fusi con l'Islam, sempre su base mistica, mettendo da parte l'ascesi dell'Io.
Si è, possiamo dire, scissa la disciplina in due: l'aspetto psicofisico, prettamente terreno, e quello mistico, prettamente divino, lasciando sempre più da parte il trait d'union, l'ascesi.
Abbiamo detto nel precedente incontro che il Tantrismo nasce da una ribellione alla disciplina tradizionale, proponendosi di raggiungere l'illuminazione per mezzo di pratiche alle quali, vedremo, la tradizione richiede di astenersi.
Infatti, spiega Sri Aurobindo, che se per la tradizione vedica il signore dello Yoga è il Purusha, ovvero l'anima cosciente, nel Tantra è la Prakriti, ovvero l'Anima della natura, il non manifesto. Il Tantra offre quindi il culto dell'Energia, o Shakti, mentre il Vedanta "vede nella Shakti un potere d'illusione e si mette alla ricerca del Purusha silenzioso e immoto quale mezzo di liberazione dagli inganni dell'Energia attiva" (Sri Aurobindo La sintesi dello yoga vol. I p. 44/45).
Tantra, dalla radice Tan, estendere, espandere, significa "espansione della coscienza". "La sadhana tantrica, disse Marilia Albanese in una conferenza, è la totale rinuncia a tutto, un dono assoluto alla divinità. E' un sadhana esclusivamente maschile".
"I Tantra, scrive Burrini, sono alcune centinaia di opere contenenti norme rituali, formule magiche, ricette alchemiche per acquisire poteri paranormali". "Comportano abitualmente descrizioni assai dettagliate di pratiche rituali, formule sacre, diagrammi mistici, gesti, posture, iniziazioni ecc." scrive Lilion Silburn.
Oggi il Tantra è praticato maggiormente nel buddhismo tibetano, ma in realtà gran parte dell'Hatha Yoga che si pratica oggi, anche in India, è di formazione tantrica. L'induismo odierno è tantrico.
 
Cos'è lo Yoga
Ci sono stati grandi maestri che hanno riportato l'attenzione sul vero Yoga che ha come scopo la conoscenza di noi stessi, ovvero l'ascesi.
"Lo Yoga è una via per raggiungere l'autorealizzazione".
E dato che, come leggiamo nelle Mundaka Upanishad, II.12, tutto l'universo è Brahman, per lo Yoghi, "l'autorealizzazione è la realizzazione di Dio". Possiamo chiaramente dedurre da questa definizione di Paramahansa Satyananda Saraswati, il fondatore della Bihar School of Yoga, una delle più importanti scuole di Yoga in India, che lo Yoga è una disciplina religiosa, una via ascetica.
Gabriele Burrini apre il suo saggio sulla filosofia Indiana con due citazioni: "Soltanto l'Uno esiste: esso si è dispiegato nel cosmo intero" (Rig-Veda, VIII, 58,2).
"Il più profondo credo dell'India è la ricerca dell'unità nella molteplicità" (Rabindranath Tagore, Nobel per la letteratura 1913).
Il dualismo tra il mondo sensibile, manifesto e la Prakriti, la natura all'origine, non manifesta, è l'ignoranza da cui lo Yoghi, il Purusha, lo spirito si deve liberare.
Il termine Yoga, dalla radice Yuj, significa "congiungere, unire", (in latino è iugum, il giogo). Lo stesso significato ha réligo, "legare" in latino da cui religione. Il fine dello Yoga, e della religione, intesa nel suo vero significao di "ricerca interiore" è congiungere, unire, legare l'uomo e il divino (Ishvara).
Lo Yoga è l'unione con la coscienza divina, quindi è un'ascesi.
"Lo Yoga è una via per raggiungere l'autorealizzazione". "Una via", non "la via", dice Satyananda Saraswati. Ci tengo a far notare quest'atteggiamento molto orientale, poiché nelle mie esperienze in seno al cristianesimo cattolico e ortodosso non ho mai ritrovato tale consapevolezza che "le vie del Signore sono infinite"; forse a parole, ma nella sostanza la convinzione che l'unica via possibile sia la loro predomina quasi sempre.
Il Cristo è "la via, la verità, la vita", ma come possiamo limitare il suo campo d'azione al solo Occidente? Volersene accaparrare l'eredità legata alla discendenza, al limite può valere solo per quanto ha insegnato Gesù, il Cristo uomo, non per il Cristo-Sole, l'Impulso Cristo in noi. Come disse Paolo se il Cristo non fosse risorto sarebbe rimasto un grande mastro, è il Risorto che ha donato Se stesso a ogni uomo, che è risorto per tutti ed è in tutti.
I grandi maestri hanno insegnato che la direzione è la stessa per tutte le religioni,che non significa una sola via, bensì una sola meta, l'amore.
Sri Ramakrishna il grande Avatar (incarnazione di un'alta entità spirituale) che visse a cavallo tra il XIX e il XX secolo, fu un esempio vivente dell'unicità delle religioni: arrivò a conseguire il massimo livello di santità in seno a ognuna delle dottrine che intraprese. Avendo ricevuto iniziazioni cristiane e islamiche oltre che vediche e tantriche in seno all'induismo, dimostrò l'eguale validità di ognuna di queste fedi. Un po' quello che ha fatto Solov'ëv tra cristianesimo ortodosso e cattolico.
Ramakrishna realizzò l'unicità di tutte le religioni, predicò la tolleranza quale vitale manifestazione d'amore, e la sua massima: "Tanti sono i cammini, quante lefedi" rappresenta l'apertura mentale che ogni libero ricercatore dello spirito dovrebbe far sua.
Dice Ramakrishna: "Quando l'Essere supremo è pensato come inattivo, io lo chiamo Brahman (Dio) o Purusha, Dio impersonale. Quando lo penso come attivo, creatore, conservatore o distruttore lo chiamo Shakti o Mayà, o Dio personale. Ma in realtà la distinzione fra Brahman e Shakti è una distinzione che non implica differenza. L'impersonale e il personale sono una sola e stessa cosa, come il latte e la sua bianchezza".
Brahman, Dio, spesso indicato come Sat-cit-ananda, esistenza-coscienza-beatitudine è un tutt'uno con Paramahatman, il Sé superiore.
Swami Vivekananda, il grande discepolo di Ramakrishna, il primo grande Yoghi inviato in Occidente alla fine del XIX secolo scrive: "L'ideale dello Yoghi, l'intera scienza dello Yoga, è volto a insegnare all'uomo come, attraverso l'intensificazione del potere di assimilazione, ridurre il tempo dell'ottenimento della perfezione".
Il mio amico Swami Dharmananda, del lignaggio (per usare un termine buddhista) del grande Paramhansa Yogananda, durante le sue classi introduttive definì lo Yoga: "la scienza della vita, dell'anima, dell'autorealizzazione che ci porta sempre più nelle profondità del nostro essere". A questo aggiunse: "una volta che abbiamo realizzato il Sé, abbiamo realizzato Dio, la Verità".
Lo Yoga è la via indù verso il Sé, verso Dio.
Swami Vivekananda scrisse che il risultato dell'intensa meditazione è la percezione sovrasensibile e, in ultima analisi, la piena illuminazione, ovvero la percezione del Sé.
L'altro grande santo vissuto a cavallo tra il XIX e il XX secolo, Sri Ramana Maharishi, concentrò tutto il suo insegnamento sulla ricerca del Sé, senza la cui realizzazione tutto è maya: "Tu sei il Sé, diceva, null'altro che il Sé, tutto il resto è solo immaginazione; perciò sii subito il Sé Non c'è bisogno d'andare in una foresta o di rinchiudersi in una stanza; continua a svolgere le normali attività della tua vita, ma liberati dall'idea di esserne l'autore. Il Sé è il Testimone, tu sei Quello".
"Anche Dio è concepito nel e dal Sé. Dio è identico al Sé". "Scoprite l'Io. L'Io è già Brahman".
"La libertà consiste semplicemente nel conoscere il Sé dentro di voi".
Questa indispensabile premessa per chiarire di cosa stiamo parlando, per comprendere che quando si parla di Yoga si parla di una Scienza dello Spirito che, come tale, dev'essere avvicinata con rispetto e umiltà.
 
Lo Yoga potrebbe risalire a 9000 anni prima di Cristo, quindi subito dopo il periodo atlatideo (Steiner). Sicuramente al 3000 a.C., sulla base del ritrovamento di figure nell'India preistorica (vedi allegato). Vivekananda dice che fu scoperto 4000 anni fa.
Abbiamo detto essere la disciplina, la messa in pratica dei due massimi sistemi filosofici indiani, quindi dei Veda (1500 a.C.) tramandati dai Rishi, e del Sankhya (500 a.C), che nominalmente si rifà ai Veda, ma sviluppa una filosofia che elenca le 35 categorie dalla creazione (da Dio alla materia più semplice).
Le scritture sacre indù sono, oltre ai Veda, le Upanishad (IX sec. a.C.), il corpus esegetico, letteralmente "sedere ai piedi" del maestro, implicando la trasmissione di conoscenza segreta dei Veda, la speculazione del Sé, il poema Mahabharata, letteralmente "la grande India", che canta la tragica fine dell'antica civiltà guerriera, e infine i Purana dove viene esposta la concezione cosmologica indù, ambedue scritte in periodi diversi con inizio intorno al V sec. a.C.
Sono fondamentalmente tutti dei commenti ai Veda.
La Bhagavad-Gita, una breve parte dei Mahabharata, rappresenta l'apice, e allo stesso tempo il sunto, dell'insegnamento del corpus vedico.
Nel VIII sec. d.C. Shankara da vita al Vedanta (che significa "fine dei Veda"), ovvero al sistema filosofico indù costruito, sì sulla base dei Veda, ma fondandosi sul primato del Dio-Io vedendo tutta la natura come  illusoria.
Steiner in Le basi occulte della Bhagavad-Gita sostiene che l'idealismo soggettivo a cui tendeva la filosofia idealistica Vedanta "oggi è disceso alla coscienza quotidiana" in spiriti evoluti come Hegel e Fiche, come dimostrano le loro opere.
Le antiche teorie indiane secondo le quali "Solo Brahman è vero, il mondo è maya, falsità, illusione" come diceva già la Niralamba Upanishad, sono però confutate dai grandi maestri orientali. Del resto come scrive Satprèm, discepolo di Sri Aurobindo e Mère, è difficile accettare che se "tutto è Brahman", il mondo non faccia parte del tutto.
Lo Yoga è unione, non separazione dello spirito dalla materia.
 
Lo Yoga è un grande bacino dove troviamo diversi tipi di discipline, studiate e sperimentate per consentire a tutte le tipologie di persone di raggiungere tale Yug, tale "legame" e, inizialmente, di migliorare la loro qualità di vita. Per esempio soggetti molto attivi e magari poco propensi alla meditazione, pur impegnandosi ad accrescere tale qualità latente, mettendo le proprie qualità pratiche a disposizione dei più bisognosi possono ugualmente raggiungere lo scopo; ne sono esempio i missionari. Questo Yoga basato sulla carità, è detto Karma Yoga, lo Yoga dell'azione, del lavoro.
Swami Vivekananda in un saggio intitolato proprio Karma Yoga scrive: "Per mezzo del solo lavoro gli uomini possono arrivare dove Buddha è ampiamente arrivato per mezzo della meditazione o Cristo per mezzo della preghiera". La pratica meditativa del Buddha si ritrova a grandi linee nel Jnana Yoga, lo Yoga della conoscenza, mentre quella devozionale di Cristo nel Bhakti Yoga, "ma lo stesso ideale è stato raggiunto da ambedue". La direzione e la meta sono le stesse; come afferma anche Paramahansa Yogananda: "La riconciliazione degli opposti soddisfa la mente e il cuore. Bhakti (devozione) e Jnana (saggezza) sono essenzialmente una cosa sola".
"L'idea più grandiosa della religione del Vedanta, scrive Swami Vivekananda, è che noi possiamo raggiungere la stessa mèta per strade diverse alla fine le quattro strade convergono e si fondono in una sola. Tutte le religoni, tutte le discipline spirituali conducono ad un'unica identica mèta".
 
Il Raja Yoga
Quando si parla del sistema Yoga generalmente ci si rifà al Raja yoga, detto la "Via Regale", la cui massima autorità sono gli Yoga Sutra (II sec. a.C.) di Patanjali, il primo a sistematizzare l'antichissima disciplina per iscritto. E' un compendio di insegnamenti orali le cui tracce si trovano nelle Upanishad.
Sutra significa libro, quindi gli Yoga Sutra sono "Il libro dello Yoga". Il suo sistema si basa sulla filosofia Sankhya con le sole differenze che Patanjali ammette un Dio personale nella forma del maestro primo, Ishvara (l'Io superiore), non un Dio all'origine della creazione come nel cattolicesimo, ma un dio personale, come nell'antroposofia, mentre il Sankhya ammette solo un Dio come essere quasi perfetto che è temporaneamente in carica per un ciclo della creazione. Uno spirito assoluto che mai si contamina nella materia. Patanjali inoltre ritiene che la mente omnipervadente (la Buddhi) e l'anima, o Purusha, sono un tutt'uno, mentre il Sankhya no.
Patanjali dice che lo Yoga è la capacità di fare silenzio in sé così da trovare la nostra essenzialità.
"La scienza del Raja Yoga, in primo luogo, si propone di fornirci il significato dell'osservazione degli stati, moti interiori. Lo strumento è la mente stessa". Swami Vivekananda mette l'accento sull'autosservazione, quindi sulla capacita di concentrarsi, sul "potere di prestare attenzione".
"Allo stesso modo in cui accogliereste qualsiasi altra scienza dovreste accogliere questa scienza come materia di studio Ogni tentativo di mistificarla causa grande pericolo".
Vediamo come il grande Yoghi esorta il discepolo a prendere le distanze dall'aspetto mistico per concentrarsi sul lavoro interiore, sulla disciplina "scientifica".
 "Il Raja Yoga è la scienza della religione, il fondamento logico di tutte i culti, tutte le preghiere, forme, cerimonie e miracoli". Vediamo come la via del pensare si faccia strada nei maestri che vivono nell'anima cosciente.
Abbiamo detto che l'obiettivo ultimo dello Yoga è l'autorealizzazione, l'unione con il divino, stato che gli indù chiamano Samadhi, l'obiettivo ultimo del Raja Yoga.
Si distinguono due tipologie di Samadhi: cosciente e incosciente. Solo la prima consente di modificare permanentemente il subconscio e bloccare il ciclo delle rinascite. La seconda è l'estasi mistica, come indica la parola stessa (dal latino ex stare) implica uno "stare fuori" dal corpo.
Il discepolo che ottiene il Samadhi cosciente è detto un "liberato in vita", in quanto si è liberato dal ciclo delle rinascite.
"Quando la mente va al di là della linea dell'autocoscienza, dice Swami Vivekananda, è chiamato Samadhi, o supercoscienza".
Patanjali suddivide il Raja Yoga in sette gradini che il sadhaka, il discepolo, deve percorrere per ottenere il Samadhi.
Vorrei percorrere il cammino spirituale, che in India chiamano sadhana, a ritroso, in modo da arrivare in ultimo alle basi del Raja Yoga, le fondamenta della vita spirituale.
Il gradino che precede il Samadhi, l'ultimo strumento che ci permette di conseguirla, è la meditazione, in sanscrito dhyana.
La Baghavad-Gita dice: "non vi è pace senza meditazione, non vi è felicità senza pace".
Si potrebbero citare migliaia di definizioni sul termine meditazione; qui, attenendoci al contesto yogico, vorrei riportare l'interpretazione che ne da Satyananda Saraswati che, pur essendo uno Yoghi contemporaneo, nei suoi scritti propone un insegnamento scientifico dello Yoga tradizionale.
Nel suo libro Meditations from the tantras spiega che vi sono due tipi di meditazione: la meditazione passiva e la meditazione attiva. La prima è quella che prevede il sedersi e mettere in pratica le tecniche, cosiddette "di meditazione"; la seconda, che "è in effetti l'obiettivo dello yoga, il meditare mentre siamo impegnati in attività quotidiane". Quando si raggiunge un tale livello "la meditazione passiva eventualmente diventa superflua, questo avviene quando otteniamo l'Auto-realizzazione".
"Quando il dhyana diventerà senza sforzo, scoprirete che costituisce la vostra vera natura", dice Sri Ramana Maharishi. La filosofia del "senza sforzo" è il fondamento dell'insegnamento di Krishnamurti, altro grande maestro indiano in Occidente. Alcuni di voi lo conosceranno per il suo legame con la Società Teosofica, la cui allora presidentessa Annie Besant, lo "riconobbe" come la "Stella dell'Oriente" sorta per salvare il mondo. Ma Krishnamurti, come non aderì ad alcuna religione, tanto che il suo messaggio viene definito puramente filosofico e ateo, sciolse il movimento fondato dai suoi seguaci, l'Ordine della Stella, in quanto la sua filosofia non accetta alcun tipo di autorità, di rapporto guru-discepolo. Krishnamurti non diceva mai che cosa fare, ma aiutava a porsi le giuste domande a cui, diceva, seguiranno le giuste risposte.
Riguardo alla meditazione la sua principale seguace Vimala Thakar dice: "si tratta di uno stato, di un modo d'essere, non di un'attività mentale... di un movimento disinibito, incondizionato della coscienza individuale, in armonia con il ritmo della vita universale... La meditazione è un movimento non cerebrale".
Viene da porsi la domanda: "Ma allora perché i maestri praticano esercizi di meditazione?". Paramhansa Yogananda risponde: "Un Maestro autorealizzato si è già lasciato dietro il trampolino della meditazione... Ma i Santi spesso continuano a praticare esercizi spirituali per dare l'esempio ai discepoli".
Paramahansa Satyananda Saraswati chiarisce che: "la meditazione attiva si può sviluppare eseguendo le pratiche della meditazione passiva... e sviluppando la propria autoidentità".
Lo stato di dhyana, anche nella sua veste di meditazione "passiva", non è però facile da raggiungere. Le prerogative sono: la calma mentale, la concentrazione e l'introversione della mente che si auto-osserva sino a liberare il flusso di pensieri, complessi, visioni e memorie dall'inconscio.
Satyananda Saraswati dice inoltre che, una volta esplorato lo strato inferiore della mente, "lower mind", si può passare allo strato superiore, "higher mind", cioè a realtà super-coscienti e l'infinito magazzino di conoscenza ed energia del cosmo inizia a mostrarsi spontaneamente dentro di noi.
L'esplorazione delle "differenti regioni della mente" crea la consapevolezza che ci può sintonizzare con tutto ciò che ci circonda e con il cosmo, sino a "trascendere completamente la mente stessa" e divenire un tutt'uno con la coscienza suprema, con lo spirito. Ecco quindi raggiunto lo stato di Super-coscienza o Samadhi.
Sri Aurobindo lo chiama overmind, in italiano tradotto con "surmentale".
Patanjali definisce dhyana, un flusso ininterrotto di concentrazione della mente sull'oggetto della concentrazione, un'estensione della concentrazione-dharanà.
Dharanà, o concentrazione, è la prerogativa della meditazione, il sesto gradino del Raja yoga. Nell'arte della concentrazione lo Yoga vede il passaggio obbligato che precede lo stato di pre-meditazione, dove la mente rimane focalizzata sull'oggetto della concentrazione, che può essere fisico o astratto, per un periodo di tempo sempre più lungo, sino a quando anche l'oggetto si perde e si entra nello stato di Dhyana.
Swami Satyananda Saraswati scrive: "In dharanà la mente tende continuamente a pensare a tutto fuorché all'oggetto, e il praticante deve riportare la consapevolezza sull'oggetto: le distrazioni in un modo o nell'altro ancora esistono. In dhyana, però, la mente è stata soggiogata ed è totalmente e continuamente assorbita nell'oggetto. E' in meditazione che gli aspetti più reconditi dell'oggetto iniziano a manifestarsi da soli... Coltivare la facoltà di concentrazione ha valore indispensabile per chi desidera ottenere la trascendenza". Samadhi è concentrazione assoluta senza più l'oggetto.
 
Swami Vivekananda addirittura fa scaturire la conoscenza stessa dalla concentrazione: "Vi è solo un metodo per mezzo del quale si ottiene la conoscenza, dice, quello che è chiamato concentrazione". "Il Raja Yoga è la scienza che ci insegna come ottenere il potere della concentrazione".
Questi ultimi tre stadi sono detti "sottili". Ma naturalmente, prima di ottenere lo stato di concentrazione, bisogna essersi liberati da tutte quelle limitazioni fisiche e psichiche che non ci consentono il necessario distacco dalla routine, dalla mayà, o illusione che ci circonda. I tre gradini che li precedono sono gli stadi propedeutici che agiscono sulla psiche e sul corpo.
L'ostacolo principale alla concentrazione è il flusso incontrollato dei pensieri che non ci permettono di mantenere la mente fissa sull'oggetto scelto su cui concentrarsi. Il quinto gradino del Raja Yoga è appunto il controllo della mente, il trait d'union tra gli esercizi puramente spirituali e quelli preparatori psicofisici e morali. In sanscrito si chiama Pratyahara che significa "adunata, raccolta presso se stessi, radunare i sensi", controllarli, e quindi controllare il potere della mente, liberandola dalla sudditanza dai sensi. Il discepolo affronta la dipendenza dagli oggetti dei sensi che imprigionano la mente e ne condizionano i pensieri semplicemente osservando il flusso dei pensieri. Con la paziente pratica noterà che la sola coscienza di tale movimento calmerà sempre più la mente. Tale osservazione ci rende coscienti e sempre più padroni del nostro pensare. Una volta acquisito il controllo della mente ci si può svincolare provvisoriamente dal mondo sensibile per poter accedere alle pratiche interiori di concentrazione e meditazione.
A tale scopo, quando ci si appresta agli esercizi, per agevolare l'immersione è consigliabile annullare il più possibile le percezioni sensibili chiudendo gli occhi, sedendosi in modo eretto e confortevole in un luogo privo di rumori e di odori, a una temperatura né troppo calda né troppo fredda.
Pratyahara è la fase in cui, impedendo alle facoltà sensoriali di lasciarci attrarre dagli oggetti esterni, ci si appresta al salto nel sovrasensibile, è un tremendo lavoro di osservazione passiva che automaticamente si trasforma in purificazione attiva della mente.
Il passaggio precedente, il quarto gradino del Raja Yoga è il Pranayama che, inizialmente mediante esercizi di controllo della respirazione, porta il discepolo a regolare, controllare (in sanscrito ayama) il prana, o flusso dell'energia vitale nel corpo. Tale controllo porta il praticante a sospendere le funzioni per lungo tempo, essendo il prana la somma delle forze definite appunto "vitali" o "eteriche.
Tali esercizi, volti a dare un ritmo calmo e omogeneo alla respirazione, oltre a favorire il rilassamento della mente con notevoli riscontri psico-fisici, agiscono sul corpo eterico.
Pranayama è la prima vera espulsione delle tossine anche dal punto di vista fisico.
Per aprire la strada al Pranayama il Raja Yoga prevede un lavoro sul corpo e sulla psiche attraverso posizioni che, grazie alla concentrazione del praticante, agiscono sui centri psichici, detti chakra, liberandone quei blocchi energetici che sono la causa dei malanni e delle tensioni fisiche in generale. Queste figure dette Asanas, che insieme al Pranayama costituiscono l'Hatha Yoga, permettono di acquisire l'energia necessaria al corpo per mantenersi in salute e non intralciare i suddetti gradini successivi che abbiamo visto concentrarsi sul controllo della mente.
Hatha Yoga, significa unione (Yoga) tra gli opposti, il Sole "Ha" e la luna "tha", da cui: il maschile (Yang) e il femminile (Yin), il caldo e il freddo, l'esterno e l'interno, l'aggressività e la calma, il razionale e l'intuitivo
L'Hatha Yoga è lo sperimentare le polarità sino a prendere coscienza della dualità e superarla.
I primi due gradini dello Yoga sono le fondamenta di tutta la struttura, e, come tali, se non sono ben consolidate impediscono di arrivare in cima. Si tratta delle regole morali, le discipline etiche, i dieci comandamenti che trascendono credo, tempo e luogo. Le stesse regole che il tantrismo rifiuta, o mette da parte perché ritenute, soprattutto oggi per chi vive all'interno del sistema consumistico, troppo difficili da mettere in pratica.
Si dividono in cinque regole di comportamento per una disciplina individuale, rivolte quindi a noi stessi, o Niyama, e cinque leggi morali rivolte alla società, o Yama, il primo gradino dello Yoga.
I cinque Niyama sono le pratiche definite religione, non in senso istituzionale, ma interiore. Il primo è Shauch, la purezza, la pulizia di anima e corpo; il secondo Santosh, la contentezza, serenità e tranquillità; il terzo Tapas, l'autodisciplina, il controllo dei desideri, l'austerità nell'azione, nel pensiero e nella parola; il quarto Swadhyaya, l'autoanalisi e l'autoeducazione; il quinto Ishwarpranidhana, la devozione e l'offerta a Dio delle azioni.
I cinque Yama sono le astensioni in relazione al mondo esterno a cui deve attenersi il discepolo. Il primo è Ahimsa, la pratica della non violenza, naturalmente non solo quella fisica; il secondo Satya, il non mentire, la menzogna è sempre un ostacolo al cammino spirituale; il terzo Asteya, il non rubare, che per esempio comprende il non sfruttare il lavoro altrui; il quarto Brahmancharya, l'astensione dagli abusi dei piaceri non solo sensuali; il quinto Aparigraha, il non bramare, l'accontentarsi di ciò che la vita ci offre,.
Gli stessi precetti, espressi in Yama e Nyama sono alla base del cristianesimo (i dieci comandamenti) e del buddhismo (i dashasikshâpâda).
In realtà questi "dieci comandamenti" sono concatenati tra loro, la totale osservazione di uno solo comprende automaticamente l'osservazione degli altri. Chiaro esempio è stato il Mahatma Gandhi che, dedicandosi completamente al primo degli Yama, ovvero il primissimo gradino dello yoga, Ahimsa, la non violenza, ha conseguito tutti gli altri, raggiungendo le vette della perfezione spirituale, l'auto-realizzazione, il Samadhi, la beatitudine o santità che dir si voglia.
Patanjali, con riferimento agli Yama, scrisse: "Queste cinque regole sono talmente universali per la perfezione spirituale che senza distinzione di razza, di nazione o di tempo, questi voti devono essere osservati strettamente dagli aspiranti" (Yoga Sutra, II, 31). E poco oltre leggiamo: "Alla presenza di un uomo perfezionato nell'Ahimsa, l'inimicizia non sorge" (Yoga Sutra, II, 35). Il Mahatma ha dimostrato quale potere esercita la perfezione in questo Yama sulla peggior inimicizia che si può creare tra i popoli. Ricordiamo gli incredibili successi dei suoi lunghi digiuni affinché ogni forma di violenza cessasse: sia come difesa del popolo indiano nei confronti dei coloni Inglesi, sia addirittura come risposta alle offese reciproche tra Indù e Mussulmani.
A proposito dello Yama per noi più scottante, la Brahmancharya, o castità, Swami Vivekananda è molto chiaro: "Ci dev'essere perfetta castità nel pensiero, nella parola e nell'azione; senza di essa la pratica del Raja Yoga (e di qualsiasi cammino spirituale) è pericolosa, e può portare alla pazzia. Se si pratica il Raja Yoga e allo stesso tempo si conduce una vita impura, come ci si può aspettare di divenire degli Yoghi?". La pratica spirituale "è pericolosa" se non poggia sulla purezza morale in quanto può sviluppare nell'adepto poteri che divengono veicolo delle forze del male (esempio lampante di una forte personalità che ha in parte risvegliato la kundalini sino al chakra del cuore è Hitler).
Quindi "castità" non significa che non si possa amare sessualmente, ma che bisogna amare con purezza.
L'eccesso di energia sessuale, che Vivekananda dice essere: "la più alta energia nel corpo umano, custodita nel cervello da parte dei casti, che genera la forza intellettuale e spirituale", può essere convertita in energia puramente spirituale, detta Ojas. E' l'essenza più sottile di ogni energia che collega il corpo mentale a quello spirituale,
La forza fisica grossolana e l'energia mentale (tra cui l'energia sessuale) sono tramutate in energie sottili e queste a sua volta in Ojas. La pratica di castità, o Brahmancharya è volta a tale scopo.
"L'energia e il pensiero sessuale, scrive Vivekananda, quando controllati, possono essere mutati, convertiti in Ojas".
A proposito di Satya (non mentire) Steiner rivela che "ogni bugia, nel mondo astrale, è un assassinio", e riguardo all'Asteya (non rubare) mette in chiaro che, anche se non siamo noi direttamente a speculare e sfruttare gli altri, ma, per esempio lo fa una banca con il denaro che vi abbiamo depositato, "secondo la morale occultista anche in questo caso siete responsabili: il fatto si addebita al vostro karma". Meno male oggi esistono le Banche etiche!
Sempre Steiner, a proposito degli Nyama, evidenzia il rifiuto da parte dell'occidentale a tali regole che gli stanno strette, additandole come dogmi, con la scusa che sia sufficiente attenersi alle proprie regole interiori. In realtà non sono dogmi, non sono imposte, è una libera pratica consigliata per l'evoluzione spirituale. "Molti Europei credono oggi d'esser superiori ai dogmi, ma proprio i liberi pensatori ed i materialisti sono i più ristretti, i più ispidi e fanatici dogmatisti. Il dogma materialistico è ancor più opprimente di ogni altro" (Iniziazione e misteri).
Molto è stato detto e scritto sul profondo significato di ognuno dei sette strumenti indicati dal Raja Yoga, dalle fondamentali regole di comportamento alle tecniche di concentrazione e meditazione. Qui ci siamo limitati a menzionarli per intendere con quanta precisione lo Yoga indichi i singoli passaggi del suo Sadhana (cammino spirituale).
Il Raja Yoga si condensa quindi in sette strumenti per mezzo dei quali il ricercatore può ambire a trovare il suo tesoro nello stato di Samadhi.
Ma, come abbiamo detto, lo Yoga conta diversi tipi di discipline in base ai diversi tipi di persone, caratteri e temperamenti. E' una scienza antichissima che nel corso dei millenni ha avuto modo di modellarsi in base ai nuovi impulsi offerti all'umanità per la sua evoluzione e alle sempre nuove esigenze dell'uomo.
 
Lo Yoga  nell'epoca dell'anima cosciente
Rudolf Steiner in una conferenza riportata nel libro Polarità fra Oriente e Occidente sostiene che nell'antichità lo yoghi riusciva a trascendere la dipendenza che l'uomo comune di allora provava nei confronti della natura di cui si sentiva parte, come un braccio del corpo, iniziando a cogliere l'Io grazie agli esercizi respiratori che gli consentivano di regolare, insieme alla respirazione, i processi neuro-sensoriali "portatori materiali della vita dei pensieri". Pertanto lo yoghi grazie agli esercizi respiratori otteneva la consapevolezza della propria individualità oggi naturale a tutti gli uomini. Ne consegue che tali esercizi non hanno valore per l'uomo odierno.
Certo l'individualità oggi ci è naturale, ma continuiamo a non essere in grado di controllare il flusso ininterrotto dei pensieri.
I maestri indiani contemporanei non parlano di esercizi respiratori volti a creare la consapevolezza della propria individualità, bensì a controllare la propria mente, ovvero a creare quella calma necessaria alla dharanà e al dhyana. Sri Ramana Maharishi sostiene che "si può dire che il controllo della mente sia anche il fine dello Yoga". E dice chiaramente: "Il controllo della mente si ottiene controllando il respiro".
Dall'opera di Vivekananda ho estrapolato alcune definizioni che chiariscono cosa intende il Raja Yoga per Pranayama e il ruolo degli esercizi respiratori: "Il Pranayama non è, come molti pensano, qualcosa che si riferisce al respiro; il respiro in realtà ha ben poco a che fare con esso. La respirazione è solo uno dei molti esercizi attraverso i quali pratichiamo il vero Pranayama. Pranayama significa controllo del Prana". "Il Prana è la forza vitale in ogni essere. Il pensiero è la più sottile ed elevata azione del Prana".
"Secondo i filosofi indiani l'intero universo è composto da due materiali, uno dei quali è chiamato Akasha. E' l'esistenza onnipresente e omnipervadente All'inizio della creazione c'era solo questa Akasha Da quale potere quest'Akasha è edificata in quest'universo? Dal potere del prana". "La conoscenza e il controllo di questo Prana è ciò che realmente s'intende per Pranayama".
"Il controllo del movimento dei polmoni è il primo gradino volto a sentire i più sottili movimenti che avvengono nel corpo poiché le nostre menti sono sempre più volte all'esterno e hanno perso di vista i movimenti sottili interiori. Se iniziamo a sentirli, possiamo iniziare a controllarli". "Il centro nervoso che controlla gli organi respiratori ha una sorta di effetto di controllo sugli altri nervi, per questo la respirazione ritmica è necessaria".
"Quando l'equilibrio del Prana è disturbato si producono le malattie. Espellere il Prana superfluo, o supplire al Prana necessario, cura la malattia. Questo ancora è Pranayama".
"Anche quando un uomo sta meditando sta concentrando il Prana".
Ricordiamoci che il fine di tutti gli insegnamenti del Raja Yoga è "come concentrare la mente". "Lo scopo assoluto del Raja Yoga è insegnare il controllo e la direzione in piani differenti del Prana".
Il Prana si muove attraverso la Sushumna, il canale eterico fisicamente localizzabile nel centro del sistema cerebrospinale anche se non fa parte del corpo fisico. Lungo il suo asse si distribuiscono i chakra, o centri nervosi-energetici (vedi grafico allegato). Sono detti anche loti, perché allo sguardo chiaroveggente appaiono come tali, ognuno composto da un numero differente di petali. Sono moltissimi, ma generalmente vengono indicati i sette principali: Muladhara, dal sanscrito "radice, fondamento", è situato, sempre etericamente, presso il perineo, vicino agli organi sessuali; Svadishthana, dal sanscrito "la propria dimora", è situato alla base dell'osso sacro; Manitura, dal sanscrito "città dei gioielli", è situato all'altezza dell'ombelico, sempre sulla colonna vertebrale, Anahata, dal sanscrito "illeso", è situato all'altezza del petto, il chakra del cuore; Vishuddhi, dal sanscrito "purificare", è situato all'altezza della trachea; Ajna, dal sanscrito "conoscere, obbedire, o seguire", è situato al centro del cranio; il settimo, Sahasrara, dal sanscrito "mille", non è propriamente un chakra, poiché è oltre il corpo eterico, è pura coscienza.
Non entreremo nel profondo significato di ognuno di questi centri vitali, ma è importante crearcene un'immagine per poter visualizzare il processo eterico dell'ascesi yogica.
Alla base della Sushumna presso il Muladhara chakra riposa il "fuoco della kundalini", la corrente astrale-eterica vitale che dev'essere risvegliata. E' attraverso questo chakra che viene guidata la pratica di castità, o Brahmancharya, per convertire l'energia sessuale in Ojas. Conversione che stimola il risveglio della kundalini. Questo "fuoco" riattivato risale nel canale della Sushumna e accende tutti i chakra, ne dischiude i petali, sino al Sahasrara chakra, conseguendo il Samadhi.
Due forze, Ida (ascendente) e Pingala (discendente), scorrono ai lati della Sushumna incrociandosi in ogni chakra, creano una serpentina a forma di 8.
La disciplina, l'ascesi è volta all'apertura della Sushumna per il risveglio della kundalini. "Solo gli Yoghi, scrive Vivekananda, l'hanno aperta. Quando si apre e inizia a salire in lei la kundalini si è aldilà dei sensi, nel soprasensibile. La sua apertura è il primo obiettivo dello Yoghi".
Il suo maestro Ramakrishna ha rivelato ai discepoli l'esperienza diretta del risveglio lungo i sette chakra di cui parla il Vedanta. Mentre i tre più bassi "soddisfano i comuni appetiti", "quando raggiunge il quarto centro e cioè quello dalla parte opposta al cuore, l'uomo vede un divino splendore, da questo stato egli tuttavia ricade spesso ai centri inferiori.
Quando lo spirito giunge al quinto centro, dalla parte opposta della gola, il sadhaka (il praticante) non può parlare d'altro che di Dio". L'avatar rivela che in quello stato si sentiva oppresso dal mondo esterno. "Anche da questo stato si può recedere.
Ma si è al di sopra di ogni paura, quando lo spirito raggiunge il sesto centro, dalla parte opposta della giunzione delle sopracciglia. Allora si ha la visione del paramahatman (Sé superiore) e si resta sempre in Samadhi.
C'è soltanto un leggerissimo trasparente velo fra questo centro e il sahasrara, che è il centro più alto (alla sommità del capo). L'uomo è allora così vicino al paramahatman da immaginare di essere immerso in esso. Ma in realtà non è così. Da questo stato la mente può ridiscendere al quinto o al quarto stato, mai più in basso Dopo essere rimasti in continuo Samadhi per ventun giorni, essi (i sadhaka) rompono quel velo sottile e diventano per sempre una cosa sola con il Signore. Questa eterna unione del jiva (anima) e del paramahatman nel sahasrara è nota come "l'andare al settimo piano".
Questa è l'ascesi yogica descritta da chi l'ha sperimentata.
 
Tornando al Pranayama, un esempio di applicazione pratica è la dinamica dell'esercizio base di controllo del respiro: inalare per 4 secondi con la narice destra, trattenere per sedici secondi e esalare per otto secondi con la sinistra, concentrandosi su Ida mentre si inala, su Pingala mentre si esala e sulla Sushumna trattenuta nel Mulandhara chakra mentre si trattiene il respiro.
Vediamo che al respiro è abbinata la concentrazione sui canali energetici che uniscono i chakra.
 
Altra importantissima pratica volta al risveglio della kundalini è l'utilizzo dei mantra, "parole mistiche" la cui ripetizione fa "roteare i chakra", ovvero li apre facendo scorrere la kundalini al loro interno.
Massimo Scaligero, uno dei pochi antroposofi che ha continuato attivamente sulla via del "pensiero libero dai sensi" portata all'umanità da Rudolf Steiner, concentrandosi sulla disciplina antroposofica del pensare e sulla via del Gral, spiega che oggi il processo è inverso: il "fuoco della kundalini", la corrente astrale-eterica vitale non è più "dominata dal sesso", ma dalla cerebralità. Ne consegue che il risveglio non è più ascensionale, ma scende dall'alto compenetrando il corpo. Il Vedanta, nel primo medioevo, per sopperire alla crisi delle forze del sentire si appellava alle forze del volere che consentivano questo movimento ascensionale. Nell'epoca dell'anima cosciente la Kundalini, movendo dalle forze del pensare deve scendere, non più salire.
Anche Sri Aurobindo parla di questa inversione: Satprem, suo discepolo, scrive: "Con lo Yoga questi centri si aprono. Possono aprirsi in due modi: dal basso in alto, secondo i metodi yoghici e spirituali tradizionali; o, con lo Yoga di Sri Aurobindo, dall'alto in basso". L'ascensione prevede un allontanamento dal corpo da parte dello spirito, mentre la discesa è da parte dello spirito, della grazia divina nel corpo, è la "spiritualizzazione della materia" di cui parlavano i filosofi della Sofiologia russa.
Il fine di Sri Aurobindo "non è una fuga nella Pace eterna, ma la trasformazione della vita e della materia". Non quindi il Samadhi incosciente, non l'estasi (dal latino ex-stare, stare fuori), ma uno stare nel corpo.
Sri Aurobindo è stato il grande innovatore dello Yoga, si differenzia dagli altri grandi maestri che hanno portato lo Yoga in Occidente, vissuti a cavallo tra il XIX e il XX secolo, per il fatto che per primo ha espresso uno Yoga volto a spiritualizzare la carne, non più a reprimerla. Per Aurobindo l'obiettivo non è più dominare la materia, bensì di trasformarla. La Materia è il "laboratorio" dove lo spirito elabora un uomo superiore. In La vita divina Aurobindo scrive: "L'anima, come ha un passato preumano, ha anche un futuro sovraumano".
Per raggiungere la "trasformazione della materia" di cui parla Aurobindo non serve trascendere la propria individualità. Ascendere al mondo spirituale, ottenere il Nirvana fuori dal corpo è per Aurobindo una via incompleta.
"Forse il soffocamento dell'individuo è veramente la soffocazione di Dio nell'uomo" scrive in Sintesi dello Yoga. Per questo Aurobindo parla di "Yoga integrale", uno Yoga che non lavora nell'anima tralasciando, o meglio, reprimendo il corpo. "Lo Yoga integrale, scrive Burrini, equivale a un non-dualismo che identifica Dio e il cosmo, ovvero l'Assoluto e il divenire".
"Bisogna insomma venirne fuori senza filarsene via"(Satprem).
Sri Aurobindo non ha mai dato esercizi o mantra, ha dato una via, lo Yoga integrale che lascia il ricercatore libero di sviluppare il suo divenire.
 
Massimo Scaligero chiarisce, dal punto di vista tecnico, perché, secondo Steiner, il Pranayama non si addice più all'uomo contemporaneo.
In Yoga, meditazione, magia sostiene che il processo è inverso a quanto letto in Vivekananda, ovvero che: riscontra un "graduale mutamento qualitativo del respiro", che conseguentemente "conferisce poteri supernormali sul corpo fisico", "colui che sperimenti la libertà come arte della meditazione". "Nel trasferire la coscienza al corpo eterico, egli sperimenta una dinamica del respiro polarmente opposta a quella propria al respiro fisico: perciò egli sa che nessuna tecnica del respiro fisico può condurlo a tale mutamento qualitativo".
Poco dopo scrive: "Il respiro spirituale infatti si realizza nella misura in cui l'uomo vince in sé l'egoismo.
I cercatori moderni vengono facilmente persuasi dalle tecniche respiratorie orientali: le trovano rispondenti all'attuale esigenza di concretezza, in quanto sembrano collegare immediatamente il mentale con il fisico. In realtà essendo il mentale normalmente condizionato dal fisico, il processo rimane al livello in cui si svolge, meramente fisico".
In sostanza: "l'uomo moderno non può padroneggiare il respiro, in quanto non lo percepisce: percepisce di esso soltanto la meccanica forma sensibile e crede di poter agire mediante questa
Il pranayama oggi è realizzabile solo come una parodia, al livello sensibile. Tali tecniche, usate dall'uomo moderno, producono un effetto opposto al senso per cui nacquero, in quanto tendono a carpire un supplemento di vita all'aria che è inverso a ciò che una riconquista della respirazione spirituale esige conseguire
Nell'uomo, l'anidride carbonica trattenuta è causa di malattia e di morte, ma è parimenti la possibilità di una più profonda vita dello Spirito. Il mutamento della qualità del respiro è segno del superamento di un limite fisico all'attività interiore: ma non è una tecnica respiratoria, bensì la conseguenza di un'alchimia interiore, che non si apprende da tradizioni o da testi, bensì dalla possibilità di sperimentare l'attuale pensiero razionale svincolato dai sensi o dal supporto cerebrale Occorre liberarsi della grossolana idea che mediante la respirazione si attinga il Sovrasensibile. Ciò era possibile un tempo ad asceti costituzionalmente diversi".
In realtà c'è per l'uomo moderno un percorso ascetico che passa per il respiro, che però non tende più a regolarne il ritmo, ma lo si può intraprendere solo per vie occulte. Scaligero ne accenna scrivendo: "L'opera di mutamento della natura umana mediante il respiro è ciò che dagli alchimisti viene designato come Pietra Filosofale. L'anidride carbonica che normalmente uccide la vita è ciò mediante cui l'iniziato edifica la vita corporea dello Spirito".
Gli antichi asceti "abbassando il tono del loro organismo, delle funzioni corporee" arrivavano a percepire la loro anima come parte del mondo spirituale. Percezione preclusa all'uomo contemporaneo anche a causa dello sviluppo dell'organismo fisico. Insomma la via del respiro oggi tiene l'uomo legato alla materia!
Da quanto letto possiamo dedurre come la New Age, nel suo semplificare aspetti così profondi, e direi occulti, delle pratiche interiori, ha contribuito non poco a mandare l'occidentale fuori strada.
 
Un altro importante perno su cui poggia lo Yoga è il rapporto tra Guru e discepolo.
Steiner a proposito disse che mentre nello Yoga il discepolo si rifugia in tutto e per tutto nella figura del Guru, suo veicolo al divino, nel cristianesimo il Guru è lo stesso per ogni discepolo, ed è disincarnato, è il Cristo. Ma anche nel cristianesimo tradizionale il discepolo necessita di un maestro in carne ed ossa che lo conduca al Cristo. Solo nella disciplina rosicruciana il Guru non è più la guida, bensì il consigliere, l'amico del discepolo.
Anche se la dipendenza assoluta dal Guru in Oriente e la mediazione imposta in Occidente sono i principali strumenti per la detenzione del potere da parte delle istituzioni religiose, tali fenomeni presso le vere scuole di disciplina spirituale sono sempre più blandi e circoscritti alle cerchie più fondamentaliste, quindi arretrate, delle culture yoga e cristiana. Né in India, né in Occidente ho incontrato questo tipo di dipendenza. Mi sembra quindi che le guide di queste religioni stiano lentamente andando in direzione della libertà. Probabilmente il movimento rosicruciano è stato il precursore di un atteggiamento che dovrà sempre più caratterizzare l'asceta moderno.
I grandi maestri indiani contemporanei hanno sempre spinto i discepoli a camminare con le loro gambe. Addirittura Krishnamurti, abbiamo detto, fu un esempio plateale di rifiuto del ruolo di Guru: "Non ascoltate nessuno, diceva, compreso chi vi parla, perché siete facilmente influenzabili, perché tutti desiderate qualcosa... è facile prendervi nella rete. Perciò non c'è bisogno di andare in India, o in un monastero buddhista o Zen, a meditare, a cercare un maestro; perché se sapete guardare, tutto è in voi". 
Swami Vivekananda scrive: "Il maestro esterno offre solo il suggerimento atto a stimolare il maestro interiore"
Sri Aurobindo in Sintesi dello Yoga: "Il maestro dello Yoga integrale seguirà dunque come potrà il metodo del maestro interiore Cercherà di svegliare piuttosto che di istruire Fornirà un aiuto che sarà un mezzo pratico piuttosto che una formula imperativa. L'esempio è più potente dell'insegnamento Più il maestro è grande, tanto meno deve rappresentare per il discepolo l'istruttore, e tanto più deve essere per lui una Presenza che diffonde la luce, la potenza, la purezza e la beatitudine".
Rudolf Steiner in una conferenza riportata nel libro Polarità fra Oriente e Occidente sostiene la necessità che i maestri contemporanei vivano nel mondo, non separati-eremiti. Tale necessità la riscontriamo anche in Yogananda e Vivekananda che furono mandati in Occidente dai loro rispettivi guru. Satyananda Saraswati, Ramana Maharishi, Sri Aurobindo, Krishnamurti e gran parte dei grandi maestri vissuti negli ultimi secoli operarono in mezzo agli uomini. A volte, gli ultimi anni della loro vita terrena si ritirarono dal mondo, ma questo avvenne dopo che avevano adempiuto alle loro missioni, come nel caso di Sri Aurobindo e Satyananda Saraswati.
"Le vie antiche dell'ascesi e dello Yoga, sostiene Steiner, toglievano invece l'uomo dalla vita".
 
Credo che Steiner, quando parlava di Yoga, si riferisse allo Yoga classico, che peraltro è lo Yoga ancora maggiormente diffuso. Ma anche lo Yoga nella sua evoluzione sino ad oggi si è sempre più compenetrato dalle forze del pensare, che non si può credere vivano solo nell'uomo occidentale.
Scrive Satyananda Saraswati: "Quando il sentimento è dietro il pensiero diventa più potente".
La consapevolezza che la via contemporanea non è più sospinta dalle forze del sentire, bensì da quelle del pensare, non è a mio avviso patrimonio esclusivo della cultura occidentale, come spesso ho avuto modo di sentir dire, ma è parte dell'evoluzione di tutti gli uomini.
Lo yoga, come tutti i cammini spirituali, è un sistema di vita: si fa Yoga mentre si cammina, mentre si mangia, si parla, si studia, si lavora, è un modo di concepire e mettere in pratica lo spirito, e vivere secondo lo Yoga oggi corrisponde a vivere nell'Io, ovvero nella consapevolezza del Cristo in noi.
Come del cristianesimo si conoscono le vie di fede e non quelle ascetiche, spesso del resto definite "esoteriche", dello Yoga si conoscono solo l'aspetto psicofisico e quello mistico.
Insomma lo Yoga sta alle pratiche che in molte palestre occidentali e orientali definiscono "Yoga" come il cristianesimo sta al cattolicesimo.
 
Massimo Scaligero, sempre nel suo saggio Yoga,  meditazione, magia chiarisce ancor meglio la questione dell'inadeguatezza dello Yoga per l'uomo moderno occidentale. Dico occidentale poiché l'orientale, essendo meno calato nella materia, accetta gli eventi più passivamente, non si cimenta a dominare la materia il più possibile come l'occidentale. L'orientale  affronta la vita con maggior serenità, anche dinnanzi alle calamità naturali e all'indigenza non vuole subito trovare una soluzione, le accetta con maggior consapevolezza, se vogliamo retaggio dell'antica chiaroveggenza, della volontà divina. Sono gli orientali i veri timorati da Dio. L'occidentale dovrebbe assimilare un po' di quest'accettazione non violenta che in un certo senso freni la brama produttiva e consenta di fare un po' di calma in lui. Ciò supporterebbe una crescita più equilibrata e, di conseguenza, una produzione qualitativamente superiore. Resta il fatto che l'evoluzione dell'uomo moderno deve passare per il pensiero, quindi non può rifarsi alle antiche via orientali ancorate alle sole forze del sentire.
Scrive Scaligero: "Il reale trascendimento di sé oggi può essere attuato unicamente per virtù dell'elemento originario della coscienza. L'immediato spirituale è il pensiero predialettico, non più il sentire mistico, o il volere corporeo".
Scaligero ribadisce in più occasioni che lo Yoga e l'ascesi taosta si rifanno ad una sapienza atavica che permetteva al discepolo di ridurre al silenzio l'astrale, in modo da potersi immergere con la Potenza originaria del corpo eterico-vitale.
Come diceva Gabriele la volta scorsa: "il discepolo imitava il Guru per catturarglile forze eteriche". Il problema è che "la connessione con il corpo vitale, o eterico, cessò di essere veicolo della Luce di Vita, allorché cominciò nell'umanità l'esperienza del pensiero: la quale fu possibile grazie al definitivo coincidere dell'organismo eterico della testa con la sua controparte fisica, in particolare con l'organo cerebrale. Quando una simile coincidenza non era ancora un fatto compiuto, la capacità dell'uomo di vedere la struttura sovrasensibile del mondo, dipendeva dalla sua possibilità di compenetrare etericamente la percezione sensibile. La facoltà del pensiero affiorò nell'umanità, per la prima volta, attraverso i filosofi greci, come conseguenza del definitivo esaurirsi della correlazione eterica mentale". "Nell'epoca dell'Autocoscienza questa è la via della medianità. Le tecniche che un tempo fornivano l'esperienza sovrasensibile, oggi vincolano la psiche alle categorie fisiche oltre un limite normale, sviluppando un pensiero sub-imaginativo, quale forma dell'impulso opposto a quello sovrasensibile, e tuttavia capace di fornire, al proprio livello, immagini e sensazioni di un presunto spirituale".
"Per quante discipline si osservino e quale che sia il sadhana praticato, non può essere conseguita autonomia interiore, se il pensiero non realizza la distinzione del proprio movimento dai dinamismi cerebrali".
Credo che questi concetti non abbiano bisogno di commento alcuno.
 
Oltre l'antico Yoga
Questa antica disciplina indiana si è evoluta, come tutte le altre discipline. Gli impulsi spirituali che l'uomo ha ricevuto nel corso dei secoli, e sta lentamente elaborando, hanno compenetrato tutti i sistemi filosofici, le religioni, le pratiche volte alla spiritualizzazione della materia. Mentre nell'antichità l'Io non era incarnato in modo da poter ambire ad una spiritualizzazione della carne e quindi l'uomo vedeva in essa l'ostacolo da neutralizzare per tornare allo spirito, dall'evento del Golgotha in poi, l'umanità ha incarnato quell'Impulso Solare dell'Amore che ha permesso all'Io di iniziare un'ascesi verso la libertà nella carne.
Tale ascesi dell'uomo moderno, come vedremo, è la via indicata anche dai grandi maestri indiani contemporanei: Sri Aurobindo, con il surmentale (overmind) e Ramana Maharishi, con la ricerca del Sé, sono chiaramente sulla via del pensiero.
Lo Yoga Tantrico era in grado di estrapolare dagli istinti la Kundalini, la Forza originaria, e farla ascendere dal Mulandhara chakra, il centro del sesso lungo la Sushumna dov'era condensata l'energia, accendendo tutti i chakra sino al più elevato, il cui risveglio proietta il discepolo nel Samadhi. Oggi abbiamo visto che il processo è inverso: il risveglio non è più ascensionale, ma scende dall'alto compenetrando il corpo.
La grande differenza è che i maestri tantrici non sperimentavano tale corrente mediante l'Io, sorto in Occidente proprio perché non rifuggiva il fisico. Quindi grazie anche alla scienza materialistica. Per loro il centro della forza era percepibile alla base della spina dorsale, non nella testa. "Chi oggi sperimenta la corrente della kundalini alla base della spina dorsale anziché nella testa, scrive Scaligero, per mezzo della conversione del pensiero, sarebbe sulla soglia dell'invasamento medianico".
"Per la metafisica orientale, il mondo sovrasensibile è un possente Irrazionale, con cui non può avere rapporto l'Autocoscienza individuale, o l'idea, ma solo il meditante che evada nel Samadhi".
"Non v'è sviluppo psichico, intellettuale, o magico o yoghico, oggi perseguibile, che non dia luogo a un potenziamento degli istinti, se non si svolge sulla base della coscienza delle forze metadialettiche indirettamente sollecitate".
 
Patanjali invitava a dominare le Vrriti, i vortici, i movimenti del pensiero, negando il pensare e immergendosi nel sentire pranico-eterico, non con le forze del pensare come con la concentrazione. La dharanà è una concentrazione statica, non dinamica. Il pensiero è stabilito tra le sopracciglia, su una candela, o sul respiro, e non trascende l'oggetto, rimane fisso lì. Gli Asana servono a mantenere per lungo tempo la posizione eretta perché il discepolo doveva riprodurre in sé l'immobilità del Purusha.
Per questo motivo i buddhisti dicevano che lo Yoghi non era un illuminato. Il Buddha, nello stesso periodo in cui nasceva la filosofia in Grecia, fu il primo a mettere in moto le forze del pensiero, "l'io penso", contrapposto all'io sento.
Successivamente dove il buddhismo si è fatto religione il suo valore filosofico è andato perduto nei meandri della fede, ma questo è avvenuto anche in seno alle altre scuole di pensiero occidentali.
La concentrazione insegnata dalle scuole rosicruciana e antroposofica invece è dinamica, in quanto il praticante è invitato a cogliere il pensiero vivente che è all'origine dell'oggetto, non a fossilizzarsi sull'oggetto.
Il lavoro del ricercatore spirituale contemporaneo poggia sull'Io, quindi sul pensiero. "Ma egli non potrà compierlo, finché svilupperà, con lo Yoga o metodi similari, o con la Scienza dello Spirito razionalmente e misticamente assimilata, forze interiori che in definitiva asserve alla condizione umana, mentre la loro istanza ultima è l'impegno dell'Autocoscienza per la risoluzione dell'umano".
 
Per rifiatare e lasciare un po' di spazio anche al "povero sentire" vorrei concludere con una splendida immagine offertaci da Sri Aurobindo:
"Un Dio che non sapesse ridere non avrebbe potuto creare un universo così umoristico".
Che questo aforisma venga espresso non da un blasfemo, bensì da un iniziato, ci dovrebbe far riflettere e ..., perché no, sorridere.
 
  Milano, Soc. Antroposofica, 15 ottobre 2002
 
 
 
Testi citati
Massimo Scaligero Yoga,  meditazione, magia, Tilopa
Rudolf Steiner Le basi occulte della Bhagavad-Gita, Editrice Antroposofica
Swami Vivekananda The complete Works of, Advata Ashrama
Rudolf Steiner Iniziazione e misteri, Editrice Partenopea
Rudolf Steiner Polarità fra Oriente e Occidente, Editrice Antroposofica
Swami Satyananda Saraswati Meditations from the tantras
Discorsi con Sri Ramana Maharishi
, Edizioni Vidyananda
Satprem, Sri Aurobindo l'avventura della coscienza, Edizioni Mediterranee
Swami Vivekananda Yoga Pratici, Ubaldini Editore
L. Meazza & G. Burrini La filosofia indiana, Xenia
 

 

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