Europa e cristianità
"Erano tempi belli, splendidi, quando l'Europa era un
paese cristiano, quando un'unica Cristianità abitava questa
parte del mondo plasmata in modo umano, un unico, grande interesse
comune univa le più lontane province di questo ampio regno
spirituale. Senza grandi beni terreni un unico capo supremo guidava
e univa le grandi forze politiche. Una corporazione numerosa,
cui ognuno poteva accedere, dipendeva direttamente da lui, rispondeva
ai suoi cenni e si impegnava con assiduità per consolidare
il suo benefico potere. Ogni membro di codesta società
veniva onorato dappertutto e se la gente comune ricorreva a lui
per un conforto o un aiuto, per una protezione o un consiglio
anch'egli trovava presso i più potenti protezione rispetto
e ascolto, e tutti si prendevano cura di questi uomini eletti,
dotati di poteri straordinari, come se fossero figli del cielo,
la cui presenza e benevolenza diffondevano benedizioni molteplici
Le inclinazioni più selvagge e voraci dovevano cedere al
timore e all'obbedienza nei confronti di quanto essi dicevano.
E dalle loro parole proveniva pace. Non predicavano se non l'amore
per la santa, magnifica Signora della Cristianità che,
dotata di poteri divini, era pronta a trarre in salvo ogni credente
dai pericoli più tremendi".
Così il poeta romantico Novalis, al secolo Friedrich von
Hardenberg, idealizza nel suo Cristianità o Europa
l'universalismo cristiano che dominava il nostro continente nel
Medioevo, quando in esso fiorivano santi uomini, alla parola e
al consiglio dei quali i principi si sottomettevano spontaneamente.
"E dalle loro parole proveniva la pace": quella della
santità che placa le passioni e le costringe a dominarsi.
In contrasto con questo universalismo cristiano dell'Europa medievale,
Novalis pone la Riforma che, sorta dalla decadenza della Chiesa,
come tentativo di purificarla, commise tuttavia il grave errore
di scindere ciò che spiritualmente è indivisibile:
l'unità della Chiesa stessa. Tale scissione che sarebbe
potuta essere solo esteriore, avendo il cattolicesimo e il protestantesimo
un'unica fede nel Cristo, venne aggravata e resa insanabile dall'intervento
dei principi, ben felici di sottrarsi alla tutela di papi e vescovi
e di ampliare nel contempo i loro territori e le entrate grazie
all'incameramento dei beni ecclesiastici.
La religione divenne così un "affare di stato",
chiuso entro i confini delle nazioni, e il suo superiore interesse
pacificatore venne subordinato all'interesse politico nazionale.
Alla pax romana, mantenuta con la potenza delle armi, e
alla pax Christi, preservata dal vigore della santità
di alcuni uomini, succedeva nel nostro continente un periodo di
lotte fra stati e staterelli, ognuno intento al conseguimento
del proprio "utile". Nacque così l'Europa dell'individualismo
nazionale, come nella cultura l'umanesimo razionalista prendeva
il sopravvento sul sentimento del sacro e induceva all'individualismo
personale. Nel cristianesimo si essiccava quella che era stata
la sua linfa vitale: la fede nel sovrannaturale. La filologia
iniziava la sua opera di sezionamento delle Scritture, mentre
la natura veniva aridamente catalogata da Linneo. "Peccato
dice Novalis che la natura rimase tanto meravigliosa,
tanto incomprensibile, e così poetica ed infinita alla
faccia di tutti gli sforzi fatti per modernizzarla".
Questo processo di prevalenza della scienza sulla fede proseguì
e toccò un nuovo culmine con la Rivoluzione francese e
l'Illuminismo che, secondo il poeta tedesco, estirparono "qualsiasi
traccia del santo il ricordo di qualsiasi incontro elevante"
e disamorarono l'uomo mediante i sarcasmi. Questa "moderna
religione" fu una "seconda riforma", più
vasta profonda e inevitabile.
Fin qui giunge la critica di Novalis alla civiltà moderna,
perché di poco l'autore degli Inni alla Notte sopravvisse
alla Rivoluzione francese (morì nel 1801, a soli 29 anni),
ma non senza avere acquisito la speranza in un risorgere del sentimento
del sacro grazie al fiorire del Romanticismo, del quale egli è
uno dei principali esponenti: "Nel settore delle scienze
e delle arti si verifica una violenta ebollizione. Lo spirito
si sviluppa fino all'infinito. Le ricerche vengono eseguite in
nuove, fresche, inesauribili fonti di cognizioni Una versatilità
senza confronti, una portentosa profondità, un nitore lucente,
una possente fantasia Sono ancora tutti indizi sconnessi e grezzi",
ma "tradiscono all'occhio storiografico un'individualità
universale, una nuova storia, una nuova umanità".
Da qui il sogno novalisiano di un nuovo risveglio dell'"assonnata
Europa", impossibile tuttavia se fra le potenze mondane non
si stabilirà un mutuo equilibrio. Ma solo un terzo elemento,
che nel medesimo tempo sia soprannaturale, potrà assolvere
a tale compito. "Solamente la religione può nuovamente
risvegliare l'Europa e rassicurare i popoli, e installare la cristianità
con una nuova visibile gloria sulla terra, nel suo antico ufficio
di pacificazione Le altre parti del mondo aspettano la riconciliazione
e la resurrezione dell'Europa".
Questo in sintesi il pensiero europeista del grande romantico
agli albori del XIX secolo. In Europa, tuttavia, l'individualismo
nazionalistico avrebbe continuato a operare potentemente, tanto
da dar luogo, per tutto l'800 e parte del '900, alle guerre di
liberazione nazionali, infiammate da quelle stesse idealità
romantiche che ispirarono a Novalis il sogno di un'Europa di nuovo
unita nei valori cristiani. Evidentemente la realizzazione del
sogno era lontana per un'epoca che non aveva visto compiuto il
processo di formazione di molti stati, ancora aggregati agli imperi
centrali.
Possiamo dire a questo punto che l'analisi novalisiana sulle cause
della civiltà moderna è convincente, ma nulla di
ciò che accade storicamente è superfluo. Al contrario,
l'abbandono dell'antica, ingenua fede era necessario, perché
si formasse l'autocoscienza individuale, così come il nazionalismo
è stato necessario, perché si formasse l'autocoscienza
dei popoli, ciascuno dei quali si doveva riconoscere in un'unità
culturale, storica e politica distinta da quella degli altri popoli.
La necessità di quest'esperienza non esclude però
che sia venuto il tempo nel quale l'individualità dei popoli
e delle persone, essendo ormai pienamente realizzata e sicura
sui propri fondamenti, possa aprirsi all'incontro interiore con
gli altri popoli d'Europa, gli altri europei.
L'europeismo russo
L'idea di Novalis, di una profonda connessione fra l'Europa
e il cristianesimo, è stata ampiamente ripresa nell'800
e nel '900 dal pensiero russo.
Per Dostoevskij, che molto si preoccupa dei suoi destini, l'Europa
è "cosa tremenda e santa"; per V.S. Solov'ëv,
primo e grande filosofo russo, amico e discepolo di Dostoevskij,
la via della salvezza è nella ricostituzione dell'unità
perduta: unità della Chiesa cristiana al di là degli
scismi, unità dei due poli europei, Oriente e Occidente,
entro il cristianesimo. Anche Solov'ëv ravvisa nel nazionalismo
un ostacolo a questa meta, perché esso, in quanto egoismo
collettivo, è incompatibile con il cristianesimo, di per
sé universalistico. Della nazionalità, in quanto
identità storico-politico-culturale di un popolo, riconosce
il diritto a vivere e a svilupparsi, ma a patto che non vengano
calpestati i diritti delle altre nazionalità. Questo tuttavia
potrà verificarsi solo se le nazioni saranno pronte a riconoscere
al cristianesimo, proprio in virtù della sua etica universalistica,
una funzione di superiore mediazione e pacificazione.
Ma il cristianesimo la forza storica più dinamica
secondo Solov'ëv non potrà realizzare questo
compito unificante, se non sarà prima uno in sé,
mediante la riunificazione delle Chiese cattolica, ortodossa e
protestante, la cui divisione è solo apparente: in quanto,
nel suo fondamento divino, la Chiesa è misticamente una.
Il filosofo russo, come il poeta tedesco, prende l'avvio dall'unità
europea medievale, ma non l'idealizza come Novalis; la considera,
al contrario, "forzata" dalla Chiesa e giustifica la
ribellione degli individui, delle chiese locali e degli stati
contro Roma come necessaria al sorgere della libertà di
coscienza, che è uno dei caratteri fondamentali della giustizia
cristiana. D'altra parte lo stesso Novalis, in un momento di riflessione,
assimila questa ribellione alla ricerca di una certa solitudine
"indispensabile per la prosperità del sentimento superiore";
perché una troppo vasta intimità degli uomini tra
loro soffoca i germi della santità e mette in fuga gli
dèi. Oltre a ciò occorre dire che il poeta romantico
interpreta la storia come una serie di "evoluzioni progressive,
in continuo moto di ingrossamento Nulla è passeggero di
ciò è stato abbracciato dalla storia, e mediante
innumerevoli trasformazioni esce sempre e continuamente rinnovato
in sempre più mature forme". E questa più matura
forma dell'antica unità europea non potrà essere,
per Novalis, come per Solov'ëv, che una confederazione di
stati.
Solov'ëv specificamente sperava che la Russia sarebbe stata
il terreno della conciliazione cristiana, non prima tuttavia che
essa avesse accolto in sé le forze spirituali dell'Occidente.
In quanto, per il filosofo russo, la vera unione europea non può
scaturire se non dalla sintesi dei due poli che la costituiscono,
quello orientale i popoli slavi e quello occidentale
il resto dell'Europa. L'idea di un'unica umanità
sorge come concezione morale col cristianesimo stesso, e per questo
un'Europa sinceramente e profondamente cristiana non potrà
che dar luogo a un'unità storico-politica, giustificata
e radicata nella sua stessa spiritualità.
La medesima problematica ritorna presso i discepoli di Solov'ëv.
Evgenij Trubeckoj, che visse il trauma della prima guerra mondiale
e della Rivoluzione d'ottobre, vede l'origine di questi sconvolgimenti
nell'idolatria delle idee di stato e nazionalità, sostituitesi
all'ideale di un'unica Europa cristiana.
Nicolaj Berdjaev, filosofo erede di Solov'ëv, ne Il nuovo
Medioevo afferma che il nazionalismo e l'individualismo hanno
ormai esaurito il loro compito. Si nota dappertutto a suo
avviso nella nostra epoca, come già notava Novalis
alla fine del XVIII secolo, la tendenza alla ricerca di una nuova
universalità, sia pure solamente politica o mistico-politica,
come nell'Internazionale socialista, nel comunismo, e in questo
è il "nuovo Medioevo" cui tende la storia. Ma
il vero universalismo può essere solo quello fondato sulla
libertà e dunque sul cristianesimo. E non un'azione politica
potrà conseguire tale mèta, bensì solo una
rinascita spirituale.
L'europeismo, dopo Novalis e Solov'ëv, ha avuto nel tempo
nuove formulazioni a opera di Chabod, Schumann e altri federalisti,
di fronte ai quali i pensatori da noi presi in considerazione
fungono da prodromi ideali. Prodromi e insieme pietre miliari,
in quanto entrare nell'ottica di Novalis e di Solov'ëv significa
rendersi conto nel guardare all'Europa futura e, soprattutto,
a un'Europa cristiana che essa non potrà essere davvero
tale se non come sintesi fra la grandezza del sentimento cristiano
propria agli slavi che ha in sé tutta la forza del
sacrificio e il pensiero occidentale limpido, autocosciente,
impregnato di immaginazione e di sentimento della bellezza, caratteristici
dell'antico spirito greco.
Conclusioni
Oggi non è facile pensare che l'unificazione delle Chiese
cristiane possa realizzarsi a breve termine. A impedirla ci sono
i dogmi, imprescindibili per gli uni, rifiutati dagli altri, e
in generale punti di vista diversi su questioni importanti - per
tralasciare problemi di potere che le varie gerarchie ecclesiastiche
non vogliono perdere. Del resto, non ci sono soltanto le grandi
confessioni, ma anche correnti minoritarie.
Tali differenziazioni entro il cristianesimo, al di là
delle cause storiche, affondano le radici nella diversità
karmica dei popoli europei e degli individui. Sono dunque legittime:
ma nel rispetto di tali diversità è urgente trovare
l'unione spirituale nel Cristo, nel sentimento di fraternità
che Egli ci ha insegnato e continua a ispirarci.
Quest'unione è irrinunciabile, pena l'incapacità
dell'Europa a svolgere il proprio compito nel mondo, che consiste,
dopo troppe guerre vissute sulla propria pelle, nel divenire fattore
di pace e di equilibrio.
Ciò di cui l'Europa ha dunque bisogno sono le forze morali,
cristiche, poi l'unione delle Chiese e delle varie correnti verrà,
se e quando dovrà venire. Di certo, non possiamo attenderla.
Quanto al fatto che nel nostro continente ci siano anche musulmani,
buddhisti, induisti, ebrei, atei e agnostici, ciò non deve
costituire un ostacolo a che un sentire cristiano vigoroso unisca
profondamente la stragrande maggioranza degli europei, che nel
cristianesimo si riconoscono.
(Pubblicato in "Graal", anno V, vol. V, num.19-20. Al testo originale sono state apportate delle modifiche ed è stata aggiunta la conclusione)