LA MADONNA SISTINA E LA RUSSIA

di Alda Gallerano

 

La Madonna Sistina fu dipinta da Raffaello Sanzio nel 1513-1514 o nel 1515-16 per i monaci benedettini della chiesa di San Sisto a Piacenza, che probabilmente volevano utilizzare l'immagine come stendardo da processione; questo almeno ci fa pensare il fatto che sia dipinta su tela e non su tavola, com'era consuetudine di Raffaello. L'opera fu venduta poi, nel 1754, al principe Augusto III, elettore di Sassonia, per sessantamila fiorini e tra i primi a darle il benvenuto nella Pinacoteca di Dresda fu lo storico dell'arte J.J. Winckelmann, che così descrive l'aspetto della Madonna:

"E' pieno d'innocenza e al tempo stesso di grandezza più che femminile, in una beata e quieta postura; quella calma che gli antichi facevano regnare nelle immagini delle loro divinità [...] Il bambino nelle sue braccia è al di sopra dei bambini comuni, per un suo sguardo dal quale, attraverso l'innocenza dell'infanzia, si sprigiona un raggio della divinità" (1).

Molti sono stati da allora i visitatori della Pinacoteca che hanno fatto una lunga tappa di fronte alla Sistina: scrittori, poeti, artisti, nobili e borghesi benestanti che usavano compiere, nel secolo scorso, almeno un viaggio nell'Europa centrale o "passare le acque" presso rinomate stazioni termali attorno a Dresda. Uno fra questi fu il poeta ljubomudryi (2) V.K. Kjuchel'beker (Küchelbecker in tedesco, 1797-1846), giovane compagno di scuola del poeta russo Puskin al liceo di Càrskoe Selo, che descrive con queste parole l'esperienza da lui vissuta dinanzi al quadro di Raffaello:

"Siamo alle porte del Santo dei Santi; [...]. Il senso del quadro di Raffaello è semplice: forse che in esso c'è qualcosa di insolito? La Madonna di Raffaello discende sulla nuvola con il suo divino Bambino [...]. Una cortina verde è sollevata ai due lati e tutto il cielo è composto di un numero infinito di teste di cherubini, ciascuno dei quali è un'immaginetta, ciascuno dei quali porta l'impronta della perfezione, ma un misterioso tremore ha invaso la mia anima! Dinanzi a me era una visione non terrena: una celeste purezza, una eterna, divina quiete era sulla fronte del Bambino e della Vergine; essi mi hanno riempito di timore: posso guardare a loro io, schiavo delle passioni e dei desideri? Ma ecco, la mitezza, una meravigliosa mitezza sulle labbra della Madre richiamò i miei sguardi: non sarei stato capace di staccarmi da questa visione, anche se un fulmine celeste fosse stato pronto a distruggermi, indegno! Guardate, essa trasforma tutto intorno a sé! [...] Non sono qui in grado di descrivere i pensieri e le fantasie che illuminarono e scaldarono la mia anima quando guardavo quest'unica Madre di Dio, ma mi sono sentito migliore ogni volta che di là me ne tornavo a casa. Ho visto molte immagini di fanciulle pure, di madri tenere e amorose; nei loro occhi la fede, l'ispirazione, il dolore, sì? che ero pronto a esclamare: indicibile! Mi dissero: sono raffigurazioni della Madonna. Ma questa sola è apparsa a Raffaello" (3).

Nell'esperienza del poeta russo il quadro dell'Urbinate non è più solo frutto di arte e creatività eccelse, ma appare come l'esito di una visione concessa all'artista per grazia. Quest'opera ha, in effetti, il valore di un'icona, dipinta, sì, da mano umana, ma ispirata e guidata dal soggetto sacro che vuol farsi rappresentare nella pienezza della sua santità. Tale considerazione dell'opera di Raffaello si basa su una testimonianza storica, o pseudostorica, attribuita al Bramante, che W. H. Wackenroder, un monaco tedesco, avrebbe trovato sfogliando le pergamene del suo convento. Nel suo libro le Effusioni del cuore, pubblicato per la prima volta a Berlino nel 1797, il Wackenroder, che si professa "un monaco amante dell'arte", dichiara infatti di aver trovato "alcune pagine scritte da Bramante" per ricordare una confessione a lui fatta da Raffaello. "Dalla fanciullezza in poi egli aveva sempre avuto una speciale devozione per la madre di Dio" e avrebbe voluto, perciò, rappresentarla "in tutta la sua celestiale purezza", ma non poteva farlo, perché l'immagine gli sfuggiva. Una notte, dopo aver "pregato la Vergine come tante altre volte di apparirgli in sogno", nel buio vide l'opera che aveva iniziato, ma non era riuscito a portare a compimento, già compiuta "nella più completa perfezione" (4).
Questa medesima testimonianza del Bramante viene riportata anche dal Florenskij (5) nel suo saggio sulle icone, intitolato Iconostas, scritto nel 1922. In esso lo studioso russo dimostra come alla base dell'icona ci sia una visione mistica e che tale realtà sia comune all'Oriente come all'Occidente e venga testimoniata fin dal Cinquecento. A tale proposito cita appunto il documento bramantesco, in cui l'artista rinascimentale narra con le seguenti parole la confidenza a lui fatta da Raffaello:

"Per mio diletto voglio serbare memoria di un miracolo confidatomi dal caro amico Raffaello sotto il sigillo del silenzio. Un giorno che col cuore colmo e aperto gli esprimevo lo stupore dinanzi alle incantevoli figure delle Madonne e della Sacra Famiglia e gli chiedevo insistentemente di spiegarmi dove, in qual modo avesse veduto una tale bellezza, il commovente sguardo e l'espressione inimitabile della figura della Santissima Vergine, con giovanile rossore, con la modestia a lui connaturata, Raffaello rimase in silenzio per un certo tratto: poi, fortemente commosso, lacrimando mi si buttò al collo e mi svelò un suo segreto. Narrò che dalla tenera età sempre gli aveva acceso l'anima una particolare devozione alla Madre di Dio; qualche volta, pronunciandone il Nome ad alta voce, provava perfino un intimo dolore. Fin dal suo primo impulso verso la pittura aveva sentito il desiderio di dipingere la Vergine Maria nella sua celeste perfezione, ma non osava fidarsi delle sue forze. Notte e dì senza tregua il suo spirito si affaticava pensando all'immagine della Vergine, però mai si era fidato delle sue forze; gli pareva che un'ombra celasse l'immagine agli occhi della fantasia. Talvolta una scintilla divina gli brillava nell'anima e così l'immagine nei suoi contorni luminosi gli si svelava sì da invogliarlo a dipingerla, tuttavia era un attimo fuggevole, non gli riusciva di trattenere nell'anima queste fantasie. Incessantemente, senza pace tumultuava l'anima di Raffaello; soltanto a tratti egli sorprendeva le fattezze del suo ideale e l'oscura sensazione dell'anima mai non volle tramutarsi in una luminosa apparizione; finalmente non poté più trattenersi, con mano trepida cominciò a dipingere la Madonna e via via che lavorava sempre più lo spirito gli si infiammava. Una volta, la notte, mentre nel sonno pregava la Vergine Santissima, come spesso gli accadeva, si destò di colpo, preso da una forte agitazione. Nella tenebra notturna lo sguardo di Raffaello fu attratto da una luminosa visione sulla parete, davanti al suo giaciglio; la fissò e vide che, ecco, sul muro l'immagine della Madonna, ancora incompiuta, splendeva di un mite fulgore e somigliava in tutto a una figura viva, manifestava la sua divinità in modo tale che gli occhi dell'esterrefatto Raffaello furono inondati di lacrime. Con irresistibile commozione, con umido ciglio, egli scrutava e a ogni istante gli pareva che la figura dovesse muoversi; immaginò perfino che si muovesse. La cosa più straordinaria fu che Raffaello in essa scorse proprio ciò che aveva cercato tutta la vita e di cui aveva avuto un oscuro e vago presentimento. Egli non ricordava come si fosse di nuovo addormentato; però la mattina, alzandosi, era come rigenerato. La visione gli si era impressa nell'anima e nella sensibilità, ed ecco perché gli riuscì di dipingere la Madre di Dio nella sembianza che portava nell'anima e sempre guardò con trepida riverenza alla figura delle sue Madonne. Ecco che cosa mi raccontò l'amico, il caro Raffaello, e io trascrissi il miracolo così mirabile e importante, per conservarlo per il mio proprio diletto".

Fin qui il documento del Bramante riportato da Pavel Florenskij, ma il punto è che tale manoscritto non risulta essere presente fra le collezioni conosciute degli scritti bramanteschi (6). E', dunque, un'invenzione del Wackenroder, per suffragare la propria convinzione di romantico, che alla base della vera, della grande arte pittorica vi sia un'esperienza mistica? Non si può affermarlo con certezza, ma è significativo che lo stesso Wackenroder abbia posto tale documento in connessione con una frase autenticamente scritta da Raffaello al conte Baldassarre Castiglione, in una lettera appartenente al carteggio dell'artista. In essa l'Urbinate, parlando della Galatea, il cui Trionfo avrebbe dovuto raffigurare nella Villa Farnesina a Roma (1512 ca.), si lamenta del fatto che c'è "carestia [...] di belle donne", per cui egli si serviva "di certa Iddea" che gli veniva in mente.
Raffaello dimostra quindi di nutrire nell'anima un "ideale di donna", dal quale cercava di attingere le fattezze della ninfa. Questo ideale probabilmente, secondo Wackenroder e Florenskij, è legato a quella tormentosa ricerca dei tratti con cui Raffaello avrebbe voluto rappresentare la Vergine, avvicinandosi il più possibile al modello celeste, non per ragioni di soddisfazione estetica, ma di autentica devozione. La Galatea, in ogni caso, non ha nulla a che vedere con la bellezza delle Madonne di Raffaello, poiché il suo volto appare umano, troppo umano, mentre le Madonne, rappresentate innumerevoli volte come tenere madri, appaiono sempre trascendere il modello umano nella soavità celeste, nella santità dell'espressione e della posa. Fra tutte, molto simile alla Madonna di San Sisto appare quella di Foligno (1511-12 circa), sia per i tratti dei volti della Madre e del Bambino, sia per l'ampiezza del manto che si espande sulla sinistra del quadro, sia, infine, per il fatto che ai fedeli sottostanti appare seduta su una massa di nuvole e circondata, nella parte più alta del quadro, da una folla di angioletti. Tuttavia, ciò che distingue la Madonna di Foligno da quella dipinta per i monaci di San Sisto è l'irrompere della manifestazione divina, della grazia, nell'umano che fa di quest'ultima un unicum, un'icona d'Occidente.
Nella poesia Einer hohen Reisenden (1808) Goethe dice della Madonna Sistina che è l'"Urbild delle madri, regina delle donne, espressa da un magico pennello". E di questa "magia" fecero, appunto, esperienza artisti e pensatori russi, diffondendone poi in patria il culto. Oltre a Kjuchel'becher, già ricordato, negli stessi anni Venti - precisamente nel 1821 - a visitare Dresda fu Zukovskij, grande poeta, amico di Puskin e di Gogol', tutore del futuro zar Alessandro II, traduttore di classici tedeschi e inglesi e dell'Odissea, un personaggio, insomma, che ebbe grande peso nella cultura russa dell'Ottocento. Egli, in una lettera datata 29 giugno 1821, pubblicata qualche anno più tardi (1824) sulla rivista letteraria "Stella Polare", scrive a proposito della Madonna di Raffaello:

"Tale è la forza di quell'anima che spira e spirerà in eterno in questa creatura divina, che tutto ciò che vi è intorno scompare non appena guardi ad essa con attenzione. Dicono che Raffaello, apprestando la tela per questo dipinto, a lungo non sapesse che cosa vi sarebbe stato sopra: non giungeva l'ispirazione. Una volta si addormentò con il pensiero della Madonna e invero un qualche angelo lo svegliò, sobbalzò: E' qui, gridò, indicando la tela e tracciò il primo disegno. Ed effettivamente questo non è un quadro, è una visione [...]. Qui l'anima del pittore, senza alcuna astuzia dell'arte, ma con sorprendente semplicità e leggerezza, ha affidato al pennello quel miracolo che si è verificato nel suo intimo. [...] L'ora che trascorsi dinanzi a questa Madonna appartiene alle ore più liete della mia vita [...]. Ero solo, intorno a me tutto era tranquillo. Prima con un certo sforzo entrai in me stesso, poi cominciai a sentire chiaramente che l'anima si espandeva: un certo commovente senso di grandezza vi penetrava, l'inesprimibile si esprimeva ed essa era là dove solo può essere nei migliori momenti della vita. Il genio della pura bellezza era in lei. [...] Non comprendo come una pittura limitata possa produrre l'immenso: dinanzi agli occhi è una tela, ci sono in essa dei volti, dei tratti delineati, tutto è ristretto in un piccolo spazio, eppure tutto è immenso, tutto è illimitato! E vien proprio in mente che questo quadro nacque in un momento miracoloso: la cortina è alzata e i misteri celesti si sono svelati agli occhi dell'uomo. Tutto avviene nel cielo. Esso appare vuoto e come nebbioso, ma non è vuoto, non è nebbia, si tratta di una luce quieta, non naturale, piena di angeli, la cui presenza è sentita piuttosto che osservata: si può dire che l'atmosfera stessa si trasformi in puro angelo alla presenza di questa Vergine celeste che passa. [...] Nella Madre di Dio che cammina nei cieli non si nota alcun movimento; ma quanto più la guardi, tanto più pare che essa si avvicini. Sul volto non c'è nulla di non espresso, cioè non v'è in esso espressione comprensibile, che abbia un nome definito. Trovi in lei, in una misteriosa fusione, tutto: calma, purezza, grandezza e anche sentimento, ma un sentimento che va già oltre al limite del terreno, dunque un sentimento di pace, stabile, che non può disturbare la lucidità dello spirito. I suoi occhi non brillano [...] vi è in essi una speciale, profonda oscurità; v'è in essi uno sguardo che non punta in nessun luogo ma è come se vedesse l'immenso. Essa non sostiene il Bambino, con le sue braccia docilmente e liberamente gli serve da trono; e in realtà questa Madre di Dio altro non è che il trono animato di Dio, che conosce la grandezza di colui che siede. Egli, come sovrano della terra e del cielo, siede su questo trono e nei suoi occhi c'è lo stesso sguardo che non punta in nessuna direzione; ma questi occhi brillano come lampi, brillano di un fulgore eterno" (7).

Questo brano influenzò Alexandr Puskin, che ebbe per Raffaello una sconfinata ammirazione, anche se il suo sonetto "Madonna" (1830) fu probabilmente ispirato non dalla Sistina, poiché mai il poeta andò a Dresda, ma dalla Madonna Bridgewater, anch'essa dell'Urbinate, ma vista da Puskin in riproduzione. In tale sonetto il poeta ci informa di non avere ornato la sua casa con opere di antichi maestri, che facessero andare in estasi i visitatori, ma di avervi posto un solo quadro, della "Purissima" e del "Divino Salvatore", che egli è solito contemplare. Lei è regale e lui ha la sapienza negli occhi, che lo guardano miti "nella gloria e nella luce". Il suo desiderio più intimo è stato esaudito da Dio che, con questo quadro, gli ha mandato dal cielo la Madonna, "la più pura immagine della grazia più pura" (8).
La devozione alla Madre di Dio, che attraversa la storia della Russia e pervade profondamente i suoi più grandi pensatori, toccò, dunque, anche Puskin, che non solo dedicò a lei il sonetto appena citato, ma anche un'altra famosa poesia dal titolo "C'era un cavaliere povero" (1829). In essa è narrata la storia di un cavaliere modesto e taciturno, povero e triste, al quale toccò la ventura, nel suo vagabondare, di avere presso Ginevra una visione della Vergine Maria; da quel giorno combatté solo per lei e, "pieno di fede e d'amore / fedele al suo sogno di Lei, / scrisse col sangue sul suo scudo / Ave, Mater Dei".
In Palestina, mentre gli altri cavalieri pronunciavano il nome delle loro dame, quando si lanciavano all'attacco dei musulmani, egli gridava: "Lumen coelum, sancta Rosa!", e quel grido sgominava i nemici della fede cristiana. Tornato, infine, al suo castello, trascorse gli anni che gli rimasero da vivere senza mai pregare, ma sempre assorto nella devozione per la Madre di Dio. Così, quando giunse l'ora della morte, il Maligno si affrettò per impadronirsi della sua anima, ma la Beatissima intercedette in suo favore e dischiuse al suo paladino "l'eterno regno del Signore".
L'esito di questa poesia ci riporta col pensiero all'epilogo del Faust, laddove Margherita, novella Beatrice, chiede alla Vergine di salvare Faust e di potergli fare da guida nel regno celeste. La Mater Gloriosa acconsente, mentre il Doctor Marianus esorta le penitenti ad alzare lo sguardo a quello della Mater Gloriosa. Il Coro mistico, infine, sigilla il poema con la celebrazione dell'Eterno Femminino, come unica, autentica realtà - in contrapposizione all'illusione del mondo - che ha il potere, nella sua infinita misericordia, di portare in Cielo tutte le anime.

"Tutto l'effimero
Non è che un simbolo;
L'irraggiungibile
Si compie qua,
Ciò ch'è ineffabile
Qui è realtà;
Il Femminino Eterno
quassù ci trarrà" (9).

Ed è proprio questo Femminino Eterno che i pensatori e gli artisti russi colsero mirabilmente rappresentato nella Madonna di San Sisto e per questo l'amarono e la venerarono. E fra loro ci furono i poeti e scrittori Gogol', Turgenev e Lermontov, insieme ad altri personaggi meno noti al lettore occidentale. Fra questi ultimi P.V. Annenkov, curatore delle opere di Puskin, che nel corso di un viaggio in Europa visito la Pinacoteca di Dresda e visse una profonda emozione dinanzi alla Madonna di Raffaello:

"Ecco viene dal cielo una donna, per la quale non v'è mistero nell'universo, che conosce il principio e la fine di tutto, il principio e la fine di ciò che è stato, è e sarà. Impressionante. Nelle braccia porta un minaccioso bambino che verrà a un certo punto a giudicare il mondo, ed essa sa il momento di questo evento. Quale saggezza non umana nel suo volto, quale pensiero..." (10).

Verso la metà del secolo, tuttavia, cominciò un movimento di reazione a Raffaello e di ridimensionamento della "magia" della Sistina, che fu vista nella seconda metà dell'Ottocento russo come un capolavoro di un'epoca passata, sia pure grande: il Rinascimento italiano. In questo nuovo panorama si inserisce l'esperienza del critico letterario V.G. Belinskij (11), che descrive in modo ben più umano la Madre di Dio raffaellesca. Nel suo saggio Sguardo alla letteratura russa del 1847 (12) Belinskij narra così, in terza persona, le impressioni ricevute dalla visione della Madonna Sistina, premettendo che egli si accostò al famoso quadro attendendosi di fare la medesima esperienza di Zukovskij:

"Ma quanto più lungamente e fissamente osservava questo quadro, quanto più ci pensava in quel momento e dopo, tanto più si convinceva che la Madonna di Raffaello e la Madonna descritta da Zukovskij come di Raffaello sono due quadri completamente diversi che non hanno tra di loro nulla di comune, nulla di affine. La Madonna di Raffaello è una figura rigorosamente plastica e nient'affatto romantica. Il suo volto esprime quella bellezza che sussiste di per sé, senza mutuare il suo fascino da una qualsiasi espressione morale presente sul volto. Su questo volto invece non si può leggere nulla. Il volto della Madonna e parimenti tutta la sua figura sono ripieni di inesprimibile nobiltà e dignità. E' la figlia del re, compenetrata dalla consapevolezza del proprio alto ruolo e della propria personale dignità. Nel suo sguardo c'è qualcosa di severo, di contenuto, che non è benevolenza e misericordia, ma nemmeno orgoglio, disprezzo, ma invece di tutto questo è una sorta di condiscendenza non dimentica della propria grandezza. E' - si potrebbe dire - l'idèal sublime du comme il faut. Ma non vi sono le tenebre dell'inafferrabile, del misterioso, del nebuloso, del baluginante, in una parola del romantico; al contrario v'è in tutto una tale limpida, chiara precisione, compiutezza, una così rigorosa giustezza e verità del tratto e al tempo stesso una tale nobiltà ed eleganza di pennello! La visione religiosa in questo quadro si è espressa solo nel volto del divino bambino, la visione però propria esclusivamente del cattolicesimo di quel tempo. Nella posizione del bambino, nelle braccia protese ai presenti (penso gli spettatori del quadro), negli occhi spalancati si vedono l'ira e la minaccia, e nel labbro inferiore sollevato l'orgoglioso disprezzo. Non è questo il Dio del perdono e della dolcezza, non è l'agnello che salva dai peccati del mondo, è il Dio che giudica e punisce [...] da questo è evidente che la figura del bambino non ha nulla di romantico; al contrario, la sua espressione è tanto semplice e definita, tanto comprensibile, che subito capisci chiaramente ciò che stai vedendo".

Per Belinskij, dunque, la Madonna di San Sisto non è più il frutto di un "momento miracoloso" vissuto dall'artista, come ebbe a dire Zukovskij, non è il rivelarsi agli occhi degli uomini dei "misteri celesti", né, infine, lo sguardo della Madonna è profondo e oscuro, "uno sguardo che non punta in nessun luogo ma è come se vedesse l'immenso": il suo volto è, piuttosto, privo di "una qualsiasi espressione morale" e su di esso "non si può leggere nulla". Ella è soltanto "la figlia del re", né benevola, né misericordiosa, piuttosto condiscendente, ma mai "dimentica della propria grandezza". E nel bambino Belinskij vede "il Dio che giudica e punisce", nel suo sguardo "l'ira e la minaccia". Ecco, allora, che in queste antitetiche esperienze di Zukovskij, da una parte, e di Belinskij, dall'altra, non solo si rivelano il romanticismo dell'uno e il realismo, del quale l'altro era un autorevole rappresentante, ma soprattutto l'esperienza della grazia che - avuta dal primo - il secondo non ebbe, presumibilmente perché chiuso alla possibilità di una tale esperienza. Belinskij, che proclamava la necessità dell'utilità sociale dell'arte, non aveva quella libertà interiore che, sola, avrebbe potuto donargli una libera e autentica visione di quanto Raffaello aveva espresso nella Madonna di San Sisto. Non poté, cioè, intuire l'anima dell'artista nel momento in cui aveva espresso sulla tela la propria visione interiore.
Dopo Belinskij, la Madonna di Dresda non è più un 'icona neppure per A. Herzen, narratore e articolista, oppositore del regime di Nicola I, che subì confino e domicili coatti, fino a che non espatriò per sempre dalla Russia e, dall'estero, combatté contro la servitù della gleba. In una lettera del 1840 (13) scrive della Sistina: "[...] è semplicemente una ragazza, una donna, un'anima triste e grande; [...]", mentre N.P. Ogarëv, amico di Herzen, poeta e polemista, scrive di Raffaello, a proposito della Madonna Sistina:

"si è sforzato di creare una donna nella quale si vedesse chiaramente l'assenza di peccato, la non conoscenza di ciò che in lei è accaduto e insieme il sentimento che si è compiuto in lei qualcosa di grande - dunque, dedizione a Dio, amore pieno di docilità - in una parola tutto ciò che poteva immaginare sulla base della dottrina cattolica sulla Santa Vergine" (14).

E ancora:

"Come ha capito questo bambino triste e pensieroso, che presagisce il suo grande futuro. Questi occhi intelligenti, nei quali si vede un pensiero, sono rivolti allo spettatore, come se il bambino già volesse parlare al popolo dei misteri celesti [...] La Madonna, chiaramente, è stata elaborata nella coscienza del poeta a poco a poco, a cominciare dalla Madonna di Foligno. La Madonna di Dresda è uno sviluppo superiore dell'ideale. La Madonna Immacolata non sa ciò che si è compiuto in lei e che il bambino che è tra le sue braccia è un bambino divino. Non lo guarda; i suoi occhi sono rivolti a una lontananza indefinita" (15).

Successivamente, in Passato e pensieri (16), la sua opera più importante, Herzen conferma le impressioni vissute dinanzi alla Sistina, sostenendo che la Madre di Dio "non può separarsi dalla sua natura terrena", per cui rimane donna e madre. Questa Madonna è la Madonna dopo il parto, sgomenta e smarrita per il suo destino straordinario. E' come se l'avessero convinta di essere la madre di Dio e sembra che voglia donare questo suo figlio, quasi dicendo: "Prendetelo, non è mio", ma al tempo stesso lo stringe a sé, come se volesse sottrarsi e sottrarlo a quel destino straordinario che glielo porterà via, e volesse rifugiarsi con lui in qualche luogo dove allattarlo e accarezzarlo, come qualsiasi madre farebbe. Dunque, per Herzen la Madonna Sistina "è una donna-madre e non è la sorella di Iside, di Rea o di qualche altra divinità femminile". Ma, assumendo come valida tale interpretazione di Herzen, la Sistina è allora il prototipo di tutte le matres dolorosae della Terra. Nel 1857 anche Tolstoj visita la Pinacoteca e scrive nel suo diario: " [...] una Madonna mi ha subito profondamente colpito" e ancora: "Poi di nuovo alla Galleria, sono rimasto freddo davanti a tutto, esclusa la Madonna" (17). Tuttavia, negli anni seguenti egli ridimensiona le sue impressioni, fino a dire nel 1902 a S.N. Bulgakov, in visita da lui a Gaspra: "Sì, mi portarono là, mi misero su quel Folterbank (banco di tortura), l'ho consumata con gli occhi, non ci ho trovato nulla. E che: una ragazza ha partorito, una ragazza ha partorito un bambino, tutto qui, che c'è di strano?" (18).
In questo tardo giudizio di Tolstoj, quasi sprezzante, viene portata alle sue estreme conseguenze la tesi di Herzen, ma fra quanto Tolstoj aveva scritto nel 1857 e ciò che dice nel 1902 si era verificato tutto quel movimento di reazione a Raffaello di cui abbiamo parlato e d'altronde il realismo e il marxismo, che propugnavano il principio dell'utilità sociale dell'arte, non vennero toccati da quest'opera che non era utile socialmente, anche se faceva vibrare le più profonde corde dell'anima in chi con l'anima sapeva guardarla. Nonostante la sua mancanza di entusiasmo, tuttavia Tolstoj conservò un'incisione della Madonna Sistina, donatagli nel 1858 dalla zia Aleksandra Andreevna Ergol'skaja, nel suo studio, dove ancora si trova.
Di tutt'altro genere fu l'esperienza vissuta da Dostoevskij dinanzi a questa Madonna: la sua visione rimase una tappa fondamentale nell'evoluzione spirituale e letteraria dello scrittore russo, in pieno contrasto con la valutazione espressa da Belinskij, Herzen e l'ultimo Tolstoj. F.M. Dostoevskij e la moglie, nel 1867, intrapresero un viaggio attraverso l'Europa e giunsero a Dresda il 20 aprile. Fra le visite obbligate c'era la Pinacoteca, dove il grande scrittore restò folgorato dal capolavoro di Raffaello. Ma vediamo come Anna G. Dostoevskaja in Dostoevskij mio marito (19) racconta del viaggio e dell'esperienza dello scrittore:

"Dopo aver passato due giorni a Berlino, partimmo alla volta di Dresda [...] F.M. amava molto Dresda, specialmente per la sua famosa galleria d'arte e i magnifici giardini dei dintorni [...]. Discendemmo in uno dei migliori alberghi, cambiammo d'abito, e andammo a visitare il museo, che mio marito volle farmi vedere prima di ogni altra cosa [...] Mio marito percorse tutte le sale senza fermarsi e mi condusse direttamente dinanzi alla Madonna Sistina. Egli considerava questo quadro come il più grande capolavoro creato dal genio umano. In seguito lo vidi fermo per ore intere davanti a quella visione di bellezza impareggiabile, che egli ammirava con tenerezza e trasporto.
"La mia impressione fu grandissima: mi parve che la Madre di Dio, col bambino in braccio, volasse incontro a chi le si avvicinava. Un'impressione simile provai più tardi durante la messa nella Cattedrale di San Vladimir a Kiev, quando vidi il capolavoro di Vaznezov (20): l'immagine della Madre di Dio, con quel suo sorriso dolce e pieno di benevolenza, mi riempì l'animo di tenerezza ed ero proprio commossa [...] Il periodo vissuto in quella casa a Dresda fu di grande felicità e tranquillità [...] Alle due precise mi recavo alla Pinacoteca, dove sapevo di trovare mio marito, e ammiravamo insieme i quadri preferiti di lui, che presto furono anche i miei preferiti. F.M. anteponeva Raffaello a tutti gli altri artisti e, delle sue opere, gli piaceva più di ogni altra la Madonna Sistina".

Più oltre Anna ricorda come fu regalata al marito una grande copia della Madonna di Raffaello da parte della contessa Sof'ja Andreevna, vedova del poeta Aleksej Tolstoj, che l'aveva commissionata a Dresda ad alcuni amici. Dostoevskij, poche settimane prima, le aveva manifestato il dispiacere di non aver mai potuto trovare una buona riproduzione fotografica della Madonna Sistina e così la contessa aveva voluto fargli questo dono a sorpresa, perché lo scrittore conservasse un buon ricordo di lei. Anna fece poi incorniciare la riproduzione, che era in grandezza naturale ma senza le figure che la circondano, e la diede al marito il 30 ottobre, giorno del suo compleanno. Grandi furono la meraviglia e l'entusiasmo dello scrittore di fronte alla "sua tanto amata Madonna", e d'allora in poi "quante volte", dice Anna, "lo trovai davanti a questo quadro, in una tale estasi che non mi sentiva entrare e io, per non disturbarlo, uscivo senza far rumore" (21).
E' significativo che sia stato Vladimir Solov'ëv, grande amico della contessa Tolstoj e filosofo della Sofia divina, a portare il dono della Madonna Sistina, che tanta importanza ebbe per Dostoevskij da apparire in diverse sue opere. Ne L'adolescente una grande incisione del capolavoro di Raffaello figura appesa nel salotto di casa Versilov, fra le antiche icone di famiglia (22). Ma ciò che è più importante, Makàr Ivanovic Dolgorukij, ex servo di Versilov e padre putativo del protagonista - uno di quei pellegrini che, a un certo punto della vita, decidevano di non avere più, come il Cristo, "un luogo dove posare il capo", per passare da un monastero all'altro, da un capo all'altro della Russia - parla degli "irrequieti" come di coloro che "non hanno bellezza morale":

"[...] non ho incontrato nemmeno una volta un ateo, ma invece di lui ho incontrato l'irrequieto, come bisognerebbe piuttosto chiamarlo. E' gente di ogni specie e non ti capaciti di che gente sia: e grandi, e piccoli, e stolti, e dotti, e ce ne sono anche della più umile condizione, e tutto è vanità. Poiché leggono e discutono per tutta la loro vita, saziandosi di dolcezza libresca, e restano sempre perplessi e non possono risolvere nulla. Certuni si sono completamente dispersi, hanno cessato di accorgersi di se stessi. Altri sono induriti più della pietra e nel loro cuore errano sogni; altri ancora sono insensibili e sventati e gli basta poter fare le loro derisioni. Taluni dai libri hanno scelto solo i fiori, ma anch'essi secondo il loro criterio; mentre sono irrequieti e non hanno in sé nessuna opinione. Ecco quel che dirò di nuovo: c'è molta noia [...]. Taluni hanno appreso tutte le scienze eppure sono sempre tristi. E così io penso che quanto più aumenta l'intelletto, tanto più cresce la noia [...] non hanno bellezza morale, anzi non la vogliono; tutti sono perduti, solo ciascuno loda la sua posizione, ma di rivolgersi all'unica Verità non pensa, mentre vivere senza Dio è un tormento [...]" (23).

In tale espressione "bellezza morale", che ritorna poi ancora nel romanzo come attributo di Makàr Ivanovic, esemplare figura di russo, non è forse compendiato l'ideale più alto di Dostoevskij? E non è forse questa la bellezza che Dostoevskij percepiva, come rappresentata al suo più alto grado - quello divino - nella Madonna Sistina? In precedenza, nell'Idiota (24), pubblicato nel 1867, il grande scrittore aveva coniato una frase icastica, che rivela la somma importanza che la bellezza rivestiva per lui: "la bellezza salverà il mondo"; e non è certo a quella effimera e unicamente estetica che egli si riferiva, ma a quella bellezza che, essendo "morale", interiore, è di per sé anche estetica. Non poteva Dostoevskij, coniando tale espressione, non aver presente la Madonna di Dresda, insieme capolavoro dell'arte e di un'altissima spiritualità che attraverso l'arte si manifesta. Come bello moralmente, per lo scrittore russo, è il principe Myskin, "idiota" per una società che non riesce a comprendere la bellezza della sua anima pura e innocente; come bello, sconfinatamente, infinitamente bello è il Cristo, la "sola persona positivamente bella" al mondo, secondo quanto afferma in una lettera del 1868 alla nipote Sonja A. Ivanovna, e aggiunge: "Il bello è l'ideale" (25).
Ne I demoni, il romanzo che Dostoevskij dedicò ai nichilisti, Varvàra Petrovna, la nobile mecenate dell'anziano studioso Stepàn Trofimovic, annuncia alla sua amica Julija Michàjlovna, altra protettrice di artisti e pensatori, che Stepàn ha intenzione di scrivere qualcosa sulla Madonna di Dresda, ma la seconda replica con snobismo:

"Sulla Madonna di Dresda? Cioè la Sistina? Chère Varvàra Petrovna, io sono rimasta seduta due ore davanti a questo quadro e me ne sono andata delusa. Non ci ho capito nulla e sono rimasta estremamente stupita. Anche Karmanizov dice che è difficile capire. Ora nessuno vi trova più niente, sia fra i russi che fra gli inglesi. Tutta questa gloria è stata una strombazzatura dei vecchi" (26).

Mediante queste parole dell'aristocratica Julija, una dama che seguiva "le mode", Dostoevskij, innamorato della Madonna di Dresda al di là delle mode, sottolinea come al tempo della stesura de I demoni (1871-72) l'incanto del capolavoro di Raffaello non avesse più alcun effetto sui nuovi intellettuali russi, quelli che Makàr Ivanovic avrebbe definito degli "irrequieti", magari padroni di molto sapere, ma interiormente tristi e annoiati: questi "irrequieti" avrebbero formato la categoria degli intellettuali nichilisti, che nulla avevano nell'anima e nessuna bellezza erano capaci di scoprire né nel mondo né nel cosmo intero. E quando Varvàra Petrovna, umiliata nella sua vanità di mecenate di un intellettuale superato, rimprovera a Trofimovic le sue idee antiquate, per mortificarlo afferma:

"Quella Madonna non serve assolutamente a niente. Questa coppa è utile, perché vi si può versare dell'acqua; questa matita è utile, perché con essa si può scrivere tutto, invece quel viso femminile è peggiore di tutti gli altri visi naturali. Provate a dipingere una mela e mettetela vicino a una mela vera: quale sceglierete? Non vi potete sbagliare. Ecco a che cosa si riducono ora tutte le vostre teorie, non appena sono illuminate dal primo raggio del libero esame".

E poco dopo a Trofimovic, che, disperando di farle comprendere l'assurdità delle nuove idee, si alza per andarsene, la Petrovna dice:

""Sedetevi un momento, Stepàn Trofimovic, ho bisogno di chiedervi ancora una cosa. Vi è stato riferito l'invito a leggere qualcosa alla mattinata letteraria; sono stata io a organizzare la cosa. Ditemi: cosa leggerete di preciso?".
""Proprio qualcosa su quella regina delle regine, su quell'ideale di umanità, su quella Madonna Sistina, che, secondo voi, non vale un bicchiere o una matita".
""Allora non leggerete qualcosa di storico [...] Non vi ascolteranno. E smettetela con questa vostra Madonna! Che bisogno c'è, farete addormentare tutti quanti!".
""Chère, basta! Non pregatemi, non posso. Leggerò qualcosa sulla Madonna, e solleverò una tempesta, che schiaccerà tutti loro o colpirà solo me! [...] Racconterò di quel volgare schiavo, di quel fetido e corrotto servo, che per primo si arrampicherà sulla scala con le forbici in mano e lacererà la divina immagine del grande ideale, in nome dell'eguaglianza, dell'invidia e [...] della digestione. Che tuoni la mia maledizione, e poi, poi...".
""Andate in manicomio?".
""Forse. Ma in ogni caso, che riesca vincitore o vinto, quella sera prenderò il mio misero sacco, abbandonerò tutte le mie cose, tutti i vostri regali, tutte le pensioni e le promesse di futuri beni e me ne andrò a piedi a finire la mia vita come precettore in casa di qualche mercante o a morire da qualche parte di fame, sotto una palizzata. Così ho detto. Alea iacta est !"" (27).

La "divina immagine del grande ideale" definisce Trofimovic la Madonna Sistina, e noi sappiamo che il grande ideale è quello della "bellezza", o meglio della "bellezza morale". In Delitto e castigo (1866), infine, il dissoluto Svidrigajlov paragona la ragazza che egli ha fatto innamorare di sé a una fanatica dal volto simile alla Madonna Sistina, perché un essere come Svidrigajlov non poteva vedere in quello sguardo che il fanatismo, non certo il timore del divino che si dona sacrificalmente alla Terra, consapevole del dolore che tale atto di donazione comporta. Né poteva vedere, quell'anima oscura, oltre la pena e il dolore, l'infinita dolcezza e bellezza di quel viso divino (28).
Dopo Dostoevskij, un'altra grande personalità del pensiero russo che visse un'esperienza particolare dinanzi alla visione dell'opera di Raffaello fu Sergej Nicolaevic Bulgakov, filosofo e teologo. Già ricordato in queste pagine a proposito di un incontro con Tolstoj del 1901, nacque nel 1871 nel governatorato di Orël da un sacerdote ortodosso. Partito da una posizione marxista, giunse all'idealismo e al cristianesimo dopo un'esperienza di apertura interiore vissuta a ventiquattro anni nel corso di un viaggio nella steppa meridionale, che gli pose il problema dell'esistenza di Dio, rifiutato ormai da dieci anni, e dopo la visione della Madonna Sistina a Dresda. Nel 1918 divenne sacerdote ortodosso, ma, esiliato dopo qualche anno dai bolscevichi, trascorse il resto della vita in Francia, dove morì nel 1944. Nel 1898, dopo il matrimonio, Bulgakov si recò in Germania, a Dresda, con la giovane moglie e così racconta l'incontro miracoloso della Pinacoteca:

"Venne una nuova ondata di ebbrezza mondana. Insieme con la "felicità personale", il primo incontro con l'"occidente" e i primi entusiasmi per questo: la "cultura", il comfort, la socialdemocrazia... E d'improvviso, inatteso, l'incontro miracoloso: la Madonna Sistina a Dresda. Tu stessa, Madre di Dio, toccasti il mio cuore ed esso tremò al tuo richiamo. [...] Le mie conoscenze in fatto d'arte erano scarsissime e a stento sapevo che cosa mi attendeva nella Galleria. E là mi penetrarono l'anima gli occhi della Regina celeste che scendeva dal cielo con il Bambino eterno. C'era in essi la smisurata forza della purezza e del sacrificio accettato con preveggenza, la conoscenza della sofferenza e la disponibilità a offrirsi volontariamente, e quella reale disposizione al sacrificio si vedeva negli occhi non infantili, saggi, del Bambino. Essi sanno ciò che li attende, a che cosa sono destinati e volontariamente si apprestano a offrire se stessi, a compiere la volontà di Colui che ha inviato: Essa ad "accettare il ferro nel cuore", Egli al Golgota. Non sapevo più dov'ero, la testa mi girava, dagli occhi mi scendevano lacrime di gioia e al tempo stesso di amarezza e con esse nel cuore si fondeva il ghiaccio e si scioglieva qualche nodo vitale. Non era un'emozione estetica, era un incontro, una nuova conoscenza, un miracolo. Io (allora marxista) involontariamente chiamai questa visione preghiera e ogni mattino, affrettandomi per giungere allo Zwinger (29), quando ancora non c'era nessuno, correvo dinanzi al volto della Madre a "pregare e piangere" e pochi furono i momenti della vita più benedetti di quelli in cui versai quelle lacrime" (30).

Questa esperienza di "grazia" segnò definitivamente il nascere di un nuovo Bulgakov, quello che sarebbe divenuto, nel 1918, sacerdote. Molti anni dopo, nel 1924, egli tornò alla Pinacoteca, pensando di rivivere l'antico "miracolo", ma non fu così:

"Corro attraverso le sale, senza prestare attenzione a nulla, direttamente alla stanza sospirata... Con fatica, per l'emozione, sollevo gli occhi. La prima impressione è che io non sia nel "posto giusto" e che dinanzi a me non ci sia Lei. Ma presto so e mi convinco che è Lei e che tuttavia in realtà non è Lei o che io ormai non sono più quello. Il sangue ardente non si precipita più nel cuore con un'ondata di gioia: il cuore non sussulta, rimane calmo. Forse si è raffreddato in tutti questi anni? No, non è questo: l'incontro non è avvenuto, non ho incontrato qui quel che mi aspettavo. A che scopo nasconderselo e giocare d'astuzia: non ho visto la Madre di Dio. Qui c'è la bellezza, solo una meravigliosa bellezza umana, con la sua ambivalenza religiosa, ma... senza la grazia. Pregare dinanzi a questa immagine? Ma questo sarebbe bestemmiare, sarebbe impossibile! Mi irritavano particolarmente questi angeli, questa Santa Barbara da profumeria in posa affettata, con un sorriso civettuolo. Ricordo che già prima questo mi disturbava, ma ne venivo a capo abbastanza rapidamente. Ma ora questo mi suonava come un'aperta empietà, come assenza di fede, come una sorta di sacrilega famigliarità: è possibile, dopo aver visto la Madre di Dio, assumere queste pose, come per beffarsi della propria santità, è possibile un atteggiamento non severo in... un'icona? Ma in qualche modo andai oltre a ciò e puntai gli occhi ai visi della Madre e del Bambino senza sentire alcuna ispirazione, con un dolore sordo per il vuoto che sentivo nel cuore [...]. Una cosa era per me purtroppo indubbia sin dal primo sguardo: questa non è l'immagine della Madre di Dio, di Maria purissima eternamente vergine, non è la Sua icona. E' un quadro di sovrumana genialità, ma dotato di tutt'altro senso e contenuto rispetto ad un'icona. V'è qui la manifestazione di una bellissima femminilità nella forma suprema della dedizione sacrificale, ma essa appare "umana, troppo umana". Cammina con fermo passo umano su nuvole fitte, pesanti come su neve sciolta, una giovane madre con un saggio bambino. Può essere che non sia la Vergine, ma solo una bellissima donna giovane piena del fascino della bellezza e della sapienza. Non c'è qui la Verginità e tanto meno la eterna Verginità, regna al contrario la sua negazione, la femminilità e la donna, il sesso. La eterna Verginità è libera dalla femminilità, è infatti al di sopra del sesso, lo libera dalla prigionia" (31 ).

Con queste parole Bulgakov, colui che dalla Madonna Sistina era stato convertito, si allontana definitivamente da lei, perché non riconosce più al capolavoro di Raffaello un valore sacro. Per lui non è più un'"icona", eppure non così era stato tanti anni prima. E allora, che pensare? Possiamo dedurne che, quando l'aveva vista per la prima volta, l'interiorità di Bulgakov era pronta e inconsapevolmente aperta a ricevere quella "grazia" che dal capolavoro rifluì entro di lui, per compiere quell'opera di conversione che per destino lo attendeva, mentre la seconda volta, non essendo più necessaria la sua azione, essa non abbia agito più. A molti è capitato di rivedere a distanza di anni un soggetto sacro, che non ha rivelato più la magia di un tempo: perché il suo compito, nel frattempo, si era esaurito. A proposito, tuttavia, della questione se la Sistina si possa considerare come un'icona, è bene ricordare quanto scrisse Pavel Florenskij ne La prospettiva rovesciata e altri scritti - redatto, come abbiamo detto all'inizio, nel 1922 - su questo quadro:

"In questo dipinto (La visione di Ezechiele), come in molti altri di Raffaello, c'è l'equilibrio di due princìpi, quello prospettico e quello non prospettico, corrispondente alla coesistenza pacifica di due mondi, di due spazi. Questo non sbalordisce, commuove, come se il velo di un altro mondo si aprisse silenziosamente davanti a noi, e ai nostri occhi si presentasse non una scena, non una illusione di questo mondo, ma un'altra realtà autentica, anche se non irrompe nella nostra. Un'allusione a questa sua particolare spazialità Raffaello la fa nella Madonna Sistina per mezzo di alcuni tendaggi rialzati" (32).

Dunque, anche in questa parziale mancanza di prospettiva consiste l'essere "icona" della Madonna Sistina, laddove le icone orientali tuttavia, di tipo bizantino, ne mancano completamente. Ma la parziale presenza della prospettiva, la plasticità dei corpi della Madre e del Bambino fanno di loro un prodotto dell'arte sacra occidentale e rinascimentale, che restituì? al corpo la sua sacralità, in quanto sede del principio divino ed esso stesso creatura di Dio. Il che non toglie nulla, dal punto di vista occidentale, al valore religioso dell'opera, che è e resta "miracolosa" per ciò che nelle nostre anime, aperte a riceverla, infonde di "grazia" e di senso del "miracolo". Che sia vera o no la confessione di Raffaello al Bramante, la Madonna Sistina è tale che possiamo dire con il poeta Zukovskij:

"Ah, non è con noi che vive
Di bellezza il puro genio:
Sol talvolta scende lieve
Dall'altissimo rifugio" (33).

 

N O T E

1) In Gedanken über die Nachahmung der griechischen Werke in der Malerei und Bildhauer Kunst, Friedrichstadt 1755, pp. 23 sgg., cit. in P. C. Bori, La Madonna di S. Sisto di Raffaello, Il Mulino, Bologna 1990.
2) Membro cioè della Società dei Ljubomudry ("Amici della Saggezza"). Fu una società segreta, parallela a quella dei decabristi ma di tipo filosofico; vi aderirono, fra gli altri, lo scrittore V. F. Odoevskij e lo slavofilo I.V. Kireevskij. Formatisi alla scuola schellinghiana, i Ljubomudry diffusero in Russia - attraverso l'almanacco "Mnemosyne", comparso in quattro numeri fra il 1824 e il 1825 - il culto di Byron, l'arte di Goethe e la metafisica di Schelling. Cfr. R. Zapata, La philosophie russe et soviétique, Parigi 1988, p. 24 sgg.
3) V. K. Kjuchel'beker, "Putes'estvija po Germanii" ("Viaggi in Germania"), in "Mnemosyne", 1824, pp. 61-110.
4) In Camesasca E. (a cura di), Raffaello. Gli scritti, Rizzoli, Milano 1994, p. 168.
5) Pavel Florenskij (1882-1924?), fisico, matematico, poeta, filosofo e teologo, fu ordinato sacerdote nel 1911 e rimase in Russia, anche dopo la Rivoluzione. Fu deportato, infine, in un campo di concentramento, dove morì, forse, nel 1942.
6) Così affermano, infatti, G. Martegiani, che tradusse le Effusioni di Wackenroder nel 1916, ed E. Zolla, traduttore dell'opera Iconostas di Florenskij (Le porte regali. Saggio sull'icona, Adelphi, Milano 1981, pp. 75-77).
7) Cfr. P. C. Bori, op. cit., pp. 24-26.
8) A. S. Puskin, Opere, Mondadori, Milano 1990.
9) Volfango Goethe, Faust (a cura di B. Allason), F. De Silva, 1950.
10) P. V. Annenkov, Parizki pis'ma (Lettere da Parigi), Mosca 1983, p. 272, cit. in P.C. Bori, op. cit., p. 32.
11) Critico e pubblicista (1811-1848), fu assertore della socialità nell'arte ed ebbe grande influenza su nichilisti, populisti e rivoluzionari.
12) In Sobranie socinenij (Opere), VII, Mosca, 1982, p.29.
13) A.I. Herzen, Lettera a T. A. Astrakovoj del 24 agosto 1840, in "Literaturnoe nasledstvo", LXIV, 1958, p. 498, cit. in P. C. Bori, op. cit., pp. 35 sgg.
14) N.P. Ogarëv, lettera del 20 luglio 1842 pubblicata in "Russkaja Mysl'" ("Il pensiero russo"), X, 1889, n. 11, p. 12, cit. in P.C. Bori, op. cit., p. 35. Ogarëv scrisse, tra l'altro, un articolo dal titolo "Terra e Libertà", che diede il nome a un'organizzazione rivoluzionaria che ebbe grande importanza nell'Ottocento russo.
15) N.P. Ogarëv, lettera ad A.V. Suchovo-Kobylin del 10 luglio 1842, in "Literaturnoe nasledstvo", LX (1953), pp. 866 sgg., cit. in P.C. Bori, op. cit., p. 35.
16) Cap. XXIV, parte III, Mosca 1956, p. 387, cit. in P.C. Bori, op. cit., p. 36.
17) L.N. Tolstoj, Polnoe sobranie socinenij (Opere complete), Mosca 1929-1958, XLVII, pp. 148 sgg.
18) S.N. Bulgakov, Avtobiograficeskija zametki (Note autobiografiche), Parigi 1946, pp. 105 sgg., cit. in P.C. Bori, op. cit., p. 117.
19) Op. cit., Bompiani, Milano, p. 101 sgg.
20) Viktor Vaznezov (1848-1926), pittore e architetto russo, affrescò in parte la cattedrale di San Vladimir a Kiev.
21) Anna. G. Dostoevskaja, op. cit., p. 268 sgg.
22) F. Dostoevskij, op. cit., Sansoni, Firenze 1961, p. 129.
23) Ibidem, p. 444.
24) Op. cit., Garzanti, Milano 1992.
25) Prefazione all'Idiota, cit., p. XXIII.
26) F. Dostoevskij, op. cit., Rizzoli, Milano 1981, pp. 348-349.
27) Ibidem, pp. 387 sgg.
28) Anna G. Dostoevskaja, Dnevnik (Diario), Mosca 1923, p. 19, in P. C. Bori, op. cit., p. 45.
29) Questo termine significa in tedesco "prigione". Così Bulgakov chiama la Pinacoteca di Dresda.
30) Svet nevecernij (La luce che non tramonta), Mosca 1917, pp. 7 sgg., in S. N. Bulgakov, Il prezzo del progresso, Marietti, Casale Monferrato 1984.
31) In Avtobiograficeskija zametki (Appunti autobiografici), Parigi 1964, pp. 105 sgg.
32) Op. cit., a cura di N. Misler, Casa del libro editrice, Roma 1984, p. 103.
33) In M. Alpatov, "La Madonna di S. Sisto", in "L'Arte", 1957, LVI, 21, pp. 25 sgg. La poesia citata si intitola "Lalla Ruk".

 

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