ABC DELL'ANTROPOSOFIA


di Gabriele Burrini

L'antroposofia (o Scienza dello spirito), inaugurata dal pensatore au­stria­co Rudolf Steiner (1861-1925), si presenta come la via spirituale più adatta al nostro tem­po, in quanto capace di con­ci­liare le istanze della scienza con quel­le della fe­de, gli im­pulsi della co­noscenza con quelli del­la religio­sità. Il cammino di R. Steiner ha inizio con lo studio e la cura edito­riale delle opere scientifiche di J.W. Goethe, grazie alle quali Steiner com­pre­se l'importanza del pensiero puro, libero da rappresentazioni sen­sibili, che animano la conoscenza riflessa, incapace di connettersi al mondo ideale degli archetipi.

Sull'onda di questo tipo di pensiero Goethe poté cogliere nell'ambito dell'osservazione scientifica il motivo del Fenomeno archetipico: trovò così che il dinamismo vegetale, nelle sue alterne fasi di contrazione ed espansione, segue il principio della pianta primordiale (Urpflanze).

La concezione goethiana del mondo, e soprattutto la dimen­sione cono­sci­tiva che essa suggerisce, è il primo cardine dell'antroposo­fia, come tale identificato dallo Steiner nel testo La filosofia della liber­tà.

Il secondo cardine è il principio del cristocentrismo: Cristo come cen­tro dell'universo, dell'evoluzione spirituale, della biografia umana. R. Stei­­ner distingue nettamente la personalità storica del Gesù di Nazaret dalla dimensione cosmica e universale del Cristo: in base a ciò egli de­scrive tutto il cammino evolutivo del cosmo, del nostro pianeta e della storia delle civiltà umane, un cammino mirato al fatto che, quan­to più l'umanità si identificherà con l'impulso-Cristo deposto dal sa­crificio del Golgotha in ogni uomo (ovvero con il principio dell'Io spiri­tuale), tanto più la Terra compirà la sua missione di divenire il “Cosmo dell'amore”.

Il terzo cardine su cui poggia l'antroposofia è una nuova concezione della storia recente ispirata a un evento che ha segnato l'epoca moder­na, iniziata nel xv secolo e chiamata dall'antroposofia “epoca dell'anima co­sciente”. Questo evento, verificatosi, nel 1879 è coinciso – dice R. Steiner – con il fatto che l'arcangelo Michele ha scacciato dai cieli gli “spiriti delle tenebre” e li ha precipitati sulla Terra: qui essi inducono l'uomo al­l'e­goismo materialistico, ma Michele, l'arcangelo dell'intelligenza, li con­­trasta, invitando l'uomo a quel pensare puro che è sintesi di scienza e fede: primo gradino perché ogni essere umano scopra e viva l'esperienza dell'Io spirituale, ovvero l'esperienza del “Cristo in noi”.

La proposta filosofica di R. Steiner è che l'uomo del nostro tempo, se vuole davvero avere coscienza della vita interiore e della vita del co­smo, deve sviluppare l'individualismo etico: sviluppare la libertà inte­riore del pensiero, promuovere il pensare libero dei sensi a vera e obiettiva guida della nostra vita dell'anima, ac­canto al senso della fan­tasia morale ispi­rata dall'Io.

L'uomo tripartito: l'alfabeto dell'antroposofia

Come tante altre scienze, anche l'antroposofia, o Scienza dello spirito, si esprime attraverso una serie di parole-chiavi, anzi attraverso un parti­co­lare alfabeto. Questo alfabeto è costituito da tre segni fondamentali e inso­stituibili - pensare, sentire, volere: tre segni che ci dicono che l'es­sere uma­no è for­mato da tre parti, cioè che è tripartito o triarticolato.

Ognu­no di noi avverte in sé e percepisce nella propria interiorità que­ste tre di­verse facoltà - il pensare, il sentire, il volere.

Il pensare è l'attività razionale o sensitiva, che si esprime in noi at­tra­verso il polo neuro-sensoriale. Questo polo è lo strumento della sen­sibilità, del pensiero, della coscienza. Di questa attività razionale siamo consapevo­li, in es­sa siamo desti, tant'è che quest'attività ci accompagna durante il cosid­detto stato di veglia.

Il sentire è l'attività emozionale dell'essere umano che si esprime at­traverso il sistema ritmico della zona mediana (ritmo cardio-respirato­rio). In questa zona siamo parzialmente desti, nel senso che solitamente non siamo padroni, non siamo consapevoli e ben coscienti delle nostre emo­zioni, pur vivendole, perciò ci poniamo di fronte a esse come in una condi­zione di sogno. Il nostro sentire naturale fluttua come un sogno, la­scian­dosi spesso trascinare dagli stimoli esterni. Questo polo è lo stru­mento del sentimento e dell'affettività.

Il volere è l'attività delle nostre volizioni, delle nostre aspirazioni pro­fonde, dei nostri bisogni fisici (sete, fame, sonno eccetera). Il volere noi lo percepiamo attraverso il movimento degli arti e attraverso il calo­re pro­veniente dal metabolismo. Siamo però inconsapevoli di fronte al perché delle nostre volizioni  e per lo più le subiamo, senza possederne la causa: viviamo nel volere come in una condizione di sonno pro­fondo. Questo polo è lo stru­mento del movi­mento e del metabolismo, lo stru­mento delle voli­zioni.

L'uomo pertanto non è libero né nel volere né nel sentire, è soltanto po­tenzialmente libero nel pensare: questo è l'assunto di base della Filosofia della libertà  di R. Steiner.

Ma vediamo ora, più da vicino, come questa tripartizione dell'uomo in pen­sare, sentire, volere si rifletta sul piano fisico, sulla struttura, sull'ar­chitettura del corpo e come le diverse parti ne risultino diffe­ren­ziate.

Il pensare si esprime nel polo neuro-sensoriale, nella testa, che ha forma sferica e ossa immo­bili (tranne la mascella). Le ossa della testa sono ester­ne, mentre le parti molli sono all'interno. 

Il sentire si esprime nella zona mediana, nel torace: qui i muscoli fa­sciano le ossa che a loro volta racchiudono le parti molli; le ossa delle co­stole sono elastiche, quindi a metà fra l'immobilità e la mobilità. La strut­tura del torace ha ancora qualcosa della sfericità  della testa ma  è divisa dalle costole.

Il volere si esprime nel polo inferiore, che si identifica con l'addome e con gli arti, costituiti da parti molli che racchiudono le ossa; le ossa qui sono mobili e hanno una struttura raggiata: per esempio, un osso alla co­scia, due alle gambe, cinque alle estremità (femore, tibia-peròne, piede).

L'immobilità dunque connota la struttura degli organi del pensare, l'ela­sti­cità quelli del sentire, la mobilità quelli del volere. A sua volta il calore con­nota il metabolismo della zona del volere, il ritmo cardiaco e re­spi­ra­to­rio connota la zona mediana, il freddo caratterizza il polo neuro-sen­so­riale.

La triparti­zione ritorna poi anche nelle singole parti del corpo, per esempio: nella testa il cranio ha forma sferica immobile, il naso è ela­sti­co, mentre la mascella (elemento del volere) è mobile; nel piede il tallone è in piccolo il polo cefalico, mentre le dita sono la struttura rag­giata. Occorre guardarsi tuttavia dall'eccessivo schematismo tri­par­tito, altri­menti si ca­drebbe proprio nella trappola che, nel Faust  di Goethe, Mefi­stofele tende al giovane studente, raccomandandogli proprio gli studi di logica e il ne­cessario procedere per sillogismi e rigide asso­ciazioni.

Queste tre facoltà - pensare, sentire, volere - non sono che l'espres­sione soggettiva o interiore dei tre corpi base che - secondo Rudolf Steiner - costi­tuiscono l'architettura totale dell'essere umano e sono gli stessi che for­mano i tre regni della natura, minerale, vegetale, animale.

1. Il corpo fisico è la componente materiale del corpo umano che con­di­vidiamo con il regno minerale. Per esso valgono le categorie di nume­ro, peso, mi­sura. Nella morfologia umana questo corpo si esprime elettiva­men­te attraverso la forza struttu­rante del sistema osteo-muscolare. Nell'es­sere umano il corpo fisico si sviluppa entro l'arco dei primi sette anni: la seconda dentizione viene appunto a scandire il termine di que­sto processo e l'inizio del successivo, cioè la formazione o totale incar­nazione del corpo eterico. Il bambino si identifica con l'attività volitiva, con le volizioni, infatti è tutto un organo di percezione fisica. Da ciò si comprende come l'elemento corri­spondente al corpo fisico sia la Terra, quindi la mineralità.

2. Il  corpo eterico è la componente vitale del corpo umano che con­­­­divi­diamo con il regno vege­tale. Le forze eteriche sono forze di cre­scita, di me­ta­mor­­fosi, di rit­­mo: sono insomma forze formatrici. Nell'essere umano l'at­tività di questo corpo si esprime elettivamente attraverso il sistema ghian­dolare, mentre nelle piante si esprime tramite la fotosin­tesi clorofil­liana. Esso si sviluppa completamente nel bambino nell'arco di tempo che va dai 7 ai 14 anni, e termina con la pubertà, quando sboc­ciano le forze del corpo successivo, il corpo astrale. Per questa sua vitali­tà l'elemento corri­spon­dente al corpo eterico è l'Acqua.

3. Il corpo astrale è la componente neurosensoriale dell'essere uma­­no che condi­vidiamo con gli animali; è la sede degli istinti, delle passioni, delle pulsioni, dei moti di simpatia-antipatia: i tipici moti dell'astralità posseduti dagli animali, che essi nutrono in risposta agli stimoli esterni. Le categorie dell'astrale sono dunque movimento, sensibilità e vita inte­rio­re. La sua di­sar­monia è la causa della malattia. Su piano organico l'astrale si esprime elet­tivamente attra­verso l'attività del sistema ner­voso e il suo elemento è l'Aria. Questo corpo si sviluppa particolarmente nel terzo set­tennio, fra i 14 e i 21 anni circa.

Com'è facile osservare, il vegetale, in quanto esclusivamente animato dalle forze eterico-fisiche, ha per lo più una crescita verticale, mentre l'ani­male, grazie al possesso del corpo astrale, perde questa verticalità e divie­ne orizzontale. Rispetto al vegetale l'animale ha compiuto una rota­zione di 90 gradi, l'uomo invece ne compie una di 180 gradi. Egli infatti re­cupera la verticalità e acquista la stazione eretta. A consen­tirgli ciò è la presenza nell'uomo di un'ulteriore componente - l'Io - che nel corso dell'evoluzione terrestre ha dato a lui creatività spi­ri­tuale e di­mensione morale, l'uso del linguaggio e del pensiero. L'essere umano avverte sog­gettivamente l'atti­vità dell'Io attra­verso il calore e la pulsazione del san­gue, pertanto il suo elemento è il Fuoco.

Quali sono, all'interno dell'essere umano, i rapporti fra questi corpi? Nelle piante e negli animali inferiori cor­po fisico e corpo eterico non so­no collegati: ledere il fisico non significa ledere l'eterico, tant'è che se lediamo il tronco di una pianta stimoliamo la sua vitalità a un'attività accentuata oppure se tagliamo un arto a un gambero alla prima muta da esso ricresce un moncone o se tagliamo la coda alla lucertola essa ri­spunta. Negli ani­mali superiori eterico e fisico sono invece ben collegati, tant'è che ledere il corpo fisico significa ledere anche il corpo eterico.

 Nell'essere umano questi rapporti fra i corpi sono regolati da altri even­ti, dal sonno e dalla morte. Durante il son­no, l'Io, insieme con il corpo astra­le, si distacca dal cor­po eterico-fisico, che rimane disteso nel letto. Con la morte invece anche il corpo eterico, insieme con il corpo astrale e l'Io, si distacca dal corpo fisico.

Questo schema tripartito proposto dall'antroposofia non si applica pe­rò soltanto all'essere uma­no, ma anche, per esempio, al mondo vege­tale, co­me è stato ben dimo­strato dal botanico Wilhelm Pelikan, assai noto in ambito antropo­sofico. La pianta, come abbiamo visto, possiede soltanto un corpo fisico ed eterico, eppure nelle sue parti riflette il principio della tri­par­tizione:

* La radice della pianta è la parte più minerale e corrisponde al polo neuro-sensoriale dell'uomo.

* Le foglie corrispondono alla zona mediana o  sistema ritmico.

* I fiori, in quanto sono organi della riproduzione, corrispondono al polo metabolico dell'uomo, agli organi del ricambio, del volere.

Ecco perché prima dicevamo che l'uomo, rispetto alla pianta, ha com­piu­to una rotazione di 180 gradi: la radice vegetale è infatti nell'uomo testa, mentre i fiori sono il polo inferiore. A dire il vero, nell'uomo vi è perfino un albero rovesciato, l'albero respiratorio, formato da trachea e bronchi.

Da ciò deriva, nella medicina antroposofica, l'impiego delle singole parti della pianta utilizzate per curare i corrispondenti disturbi delle singole parti del corpo. A ciò la botanica di ispirazione antroposofica aggiunge un altro principio: le piante più curative sono in genere quelle in cui una parte prevale sulle altre o è più sviluppata rispetto alle altre, in cui le forze eteriche quasi si concentrano in una parte. Ciò indica che la pianta cura nell'uomo i disturbi di quella zona con cui la parte preva­lente è in analogia. Questo è uno dei modi più visibili in cui la pianta manifesta il suo potere di guarigione, gli altri modi sono quelli chimici, relativi alla presenza di alcaloidi, tannini, amari, oli eterei eccetera. Alcuni  esempi: la grossa radice della brionia o della mandragora, la grande espansione flo­reale del sambuco, il frutto gigantesco della zucca.

Nel regno minerale, invece, dunque sul piano fisico, l'idea tripartita si ritrova secondo Steiner nei tre elementi chiave dell'alchimia:

* il sale corrisponde al pensare e al polo neuro-sensoriale, freddo

* il mercurio corrisponde al sentire e al sistema ritmico

* lo zolfo corrisponde al volere e al polo metabolico, caldo.

Nel polo inferiore dell'essere umano, nel polo del metabolismo e del movimento, dominano i processi eterico-fisici: le cellule dell'intestino si ri­generano, le cellule dell'apparato riproduttivo si moltiplicano. Ma non è così per il polo neuro-sensoriale: qui le cellule nervose non si rige­ne­rano. Perché? Per il fatto - sostiene l'antroposofia - che il polo superiore ha sa­crificato la sua vitalità eterico-fisica a favore della vita conosci­tiva, a favo­re della memoria, dell'immaginazione, della fantasia, del senso logico. E qui troviamo un esempio di una grande legge dello spirito: "il superiore vi­ve grazie all'inferiore", i processi coscienziali si sviluppano perché la vita­lità fisica diminuisce, non si può essere troppo vitali e co­scienti insieme. E' la legge espressa nel Vangelo di Giovanni dal­l'episo­dio della «lavanda dei piedi».

Che cosa succede invece quando l'individuo si ammala? Succede che l'equilibrio fra i tre corpi o fra le tre facoltà si sbilancia. Può capitare allo­ra, se l'uomo si è troppo identificato, per un certo periodo, con i biso­gni fisici,  che il polo meta­bolico, il polo caldo del volere, prenda il so­pravvento: si crea allora un ec­cesso di calore, una infiammazione. Se in­vece predomina troppo il polo neuro-sen­soriale, freddo e minerale, se ci si intellettualizza troppo, prevale allora l'indurimento, la sclerosi oppu­re il tumore. Allora possiamo dire che ciò che nella pianta è deforma­zione di una parte, nell'uomo è malattia, perché diviene squilibrio delle facoltà, del pensare, sentire, volere.

L'infiammazione e la sclerosi sono le due direzioni polari della malattia: i due archetipi.

Nella storia dell'Occidente degli ultimi secoli ci sono state tre grandi malattie endemiche: la lue, la tubercolosi e il cancro, tutte conseguenze della diffusione del materialismo.

La lue, infatti, per le gravi conse­guenze che la fase terziaria porta sul sistema nervoso, fu l'esito di una prepotente invasione delle forze del volere sul pensare: è il caso di Guy de Maupassant, scrittore naturalista, e  di Friedrich Nietzsche, filosofo della volontà di potenza. La stessa vo­lontà di potenza che percorse l'Europa nel XVI secolo, quando la sifilide mieté 20 milioni di morti.

La tubercolosi è invece conseguenza di un'invasione del volere sulla zona mediana, sul sentire: di qui la successiva nascita della forma men­tis del tuber­colotico, spesso afflitto da tormenti sentimen­tali, paure dei fantasmi, fra­gilità emotiva. Si pensi a Chopin, a Robert Louis Stevenson, a Edgar Allan Poe, a Kafka.

Il cancro, per la frequenza di que­sta malattia negli organi del volere (ricambio e apparato riprodut­tivo), è un eccesso del polo inferiore nella sua stessa sede, con conseguente sur­plus di vita eterico-fisica che caoti­camente si riproduce. Questo caos cellu­lare è la diretta conseguenza della mancanza delle forze dell'Io.

Il principio della tripartizione o tricotomia - come si chiamava un tempo - non è però una scoperta dell'antroposofia, perché era ben noto alle civiltà antiche: gli antichi Indiani seguaci della filosofia Samkhya distinguevano infatti fra la coscienza luminosa e calma (sattva), l'ambito umano delle passioni (rajas) e la zona oscura degli istinti (tamas). I Greci, e in partico­lare Platone, distinguevano la personalità umana in nous, psyche, soma. Anche il cristianesimo, almeno quello delle origini, come ricorda Paolo in 1 Tessalonicesi 5,23, ammetteva la tripartizione dell'uomo in spirito, anima, corpo (pneuma, psyche, soma), proba­bil­mente derivante dalla tripartizione dell'anima umana secondo gli an­ti­chi Ebrei in bâsâr, nefeš, ruach.

Rudolf Steiner non attinge però la concezione tripartita dal mondo anti­co, dalla letteratura religiosa d'Oriente e d'Occidente, ma la riscopre con nuovi mezzi, con gli strumenti scientifico-spirituali offerti appunto dall'an­troposofia. E la espone esattamente per la prima volta 80 anni fa, sul finire della Grande Guerra, nel volume Gli enigmi dell'anima. Steiner riscopre la tripartizione dell'uomo e la riformula autonoma­mente sul piano della logica e della filosofia della scienza. Sotto questo aspetto il diretto predecessore di Steiner è Hegel, che distin­se i tre mo­menti dialettici di tesi, antitesi e sintesi (per esempio, essere, essenza, concetto; arte, religione, filosofia), momenti che furono da Hegel conce­piti come tappe progressive dello spi­rito, gradi di un cammino evo­lutivo che fa da perno a tutto il divenire storico tendente all'auto­coscienza.

Da ciò possiamo comprendere la stessa natura dell'antroposofia, che non è per nulla una via nostalgica dello spirito, tesa al recupero di anti­che ve­rità esoteriche,  ma una nuova via spirituale che vuol com­pren­dere il pre­sente dell'uomo, partendo dalle migliori forze di cui oggi l'uomo poten­zial­mente dispone. Queste migliori forze sono appunto il pensiero libero, im­personale, il pensare come trampolino verso la cono­scenza del mondo spi­ri­tuale e verso la comprensione del senso del de­stino umano. Ha scritto He­gel: «Il pensare fa sì che l'anima, di cui anche l'animale è dotato, divenga spirito»; da questa citazione hegeliana parte Rudolf Steiner nella Filosofia del­la libertà (p.21) per indicare il primato del pensare sulle restanti facol­tà.

Il pensare è dunque il faro la cui luce disegna nelle tenebre il cam­mino che l'uomo dovrà seguire per un adeguato ampliamento della co­scienza. Ma non è stato sempre così.

Non sempre il pensare è stato il faro, non sempre è stato esso a indi­care il percorso dell'evoluzione spirituale dell'uomo. Per buona parte del Medioevo occidentale, per esempio, la facoltà predominante del­l'uomo era il sentire. L'«itinerario della mente a Dio» più che un cam­mi­no di co­no­scenza era un percorso tutto animato dalla devozione, co­sti­tuito dalle tappe della fede, dalle verità della rivelazione. Le pa­gine ascetiche di Bonaventura da Bagno­regio sulle «tre vie» (medi­ta­zione, preghiera, con­templazione) o quelle del mistico fiammingo Jan van Ruysbroeck sui tre tipi di vita (attiva, interiore e con­templativa) sono un grande esempio di questa via spirituale del pas­sato, di questa ricerca di nuovi orizzonti interiori fondata sul sentire. Ciò non vuol dire che i me­die­vali ignorassero l'importanza del pensare, ma semplicemente che non ne avvertivano il primato sulle altre facoltà, perché - come si soleva dire - philosòphia ancilla theologiae.

Se facciamo ancora un passo indietro nel tempo, se risaliamo al pri­mo e al secondo millennio, all'apogeo della civiltà egizia, meso­pota­mica e semi­tica in genere, vediamo che invece l'uomo traeva le sue forze so­prat­tutto dal volere: la saggezza che l'uomo di questo periodo cerca e ottiene non è un particolare patrimonio di conoscenze (sul ti­po della saggezza greca) ma è ricchezza della volontà, ricchezza mo­rale, educa­zione dell'agire più che del pensare. Ma ricordiamo an­che che la civiltà babi­lonese è quella che ha creato l'astrologia e che la civiltà egizia è quella che ha trasmesso all'Oc­ci­den­te la magia: ora, le arti divina­torie e magi­che, fondate su rituali pre­stabiliti, su tecniche sacre, sono estra­nee alle conquiste del pensare e alle aperture del sentire, piuttosto sono espres­sione della volontà, del fatto che l'uomo vuole elevarsi al rango di Dio non seguendo la via della cono­scenza o della devozione, ma seguendo l'impulso della volontà.

Il pensiero, invece, il pensiero libero dai sensi, come lo chiama Steiner, il pensiero vivente è il punto di partenza della via spirituale dei nostri tempi, della via che conduce all'autocoscienza.

In un trattato alchemico (Gloria Mundi del 1526) si legge che «la Pietra filosofale è familiare a tutti gli uomini, giovani e vecchi, si trova in campa­gna, nei villaggi, in città, in tutte le cose create da Dio e tutta­via è di­sprezzata da tutti. Ricchi e poveri la maneggiano tutti i giorni... E tuttavia nessuno la apprezza, benché sia, dopo l'anima, la cosa più meravigliosa e più preziosa della Terra... Tuttavia è considerata la più vile e la più mise­rabile delle cose terrestri». La Pietra filosofale degli al­chimisti, il Lapis philosophorum, era appunto il pensiero, secondo l'in­terpretazione antro­posofica, il pensiero di cui ognuno può disporre come prima espressione, come arto dell'Io.

La triade pensare, sentire, volere è dunque l'alfabeto dell'antroposo­fia. Comprendendo questa grafia, comprendendo la tripartizione dell'anima, ci apriamo il varco alla comprensione dell'intero messaggio dell'antroposofia: possiamo così cogliere l'importanza del triplice cam­mino di conoscenza (im­ma­gina­zione, ispirazione, intuizione), compren­dere la natura tripartita del­le gerarchie spirituali, conoscere il triplice destino dell'anima dopo la mor­te e il segreto dell'evoluzione spirituale dell'uomo e del cosmo.

 

 

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