Di fronte alle prove, piccole o grandi, che il karma talora dispensa
si è innegabilmente tentati di lasciarsi prendere dalla
mâyâ delle apparenze, così da vedere il nostro
dolore come un frammento di una trama oscura che tesse l'universo.
Il dolore illude così: acceca gli sguardi e grava sul cuore.
Eppure ci sono stati esseri nella storia antica e recente che
"facendo di necessità virtù" vero
esempio di judo interiore hanno sormontato l'apparente mâyâ
della sofferenza fino a coglierne il segreto contenuto di liberazione.
Talora, a misura del dolore, fino a ravvisare in essa addirittura
il senso della propria missione spirituale.
Non di rado, in condizioni avverse come la prigionia o l'esilio
grandi uomini liberi hanno creato grandi cose: Dante scrisse in
esilio la Divina Commedia, Severino Boezio scrisse in prigione
La consolazione della filosofia, Tommaso Campanella compose in
carcere quasi tutte le opere; dall'esperienza del Lager lo psicologo
ebreo austriaco Viktor Frankl trasse l'idea della logoterapia,
dalla permanenza nei Gulag staliniani lo scrittore russo Daniil
Andreev trasse l'epopea La rosa del mondo (Roza mira) di ispirazione
antroposofica.
Daniil Andreev (1906-1959) è stato un grande narratore
russo, mistico e utopista, segnato da un tragico destino. Era
figlio del noto drammaturgo Leonid e la sua casa d'origine era
frequentata da letterati come Ivan Bunin, il musicista teosofo
Skrjabin, la scrittrice Marina Cvetaeva. Da giovane era un poeta
visionario che dialogava con gli spiriti della natura e degli
elementi, finché negli anni '30 si familiarizzò
con la teosofia e l'antroposofia. Poi si arruolò in guerra
e a 41 anni fu arrestato, sotto Stalin, per propaganda sovversiva
e condannato a 25 anni di campo di lavoro. La stessa sorte ebbe
la moglie Alla. Andreev si era fatto già dieci anni di
prigione, quando a causa della salute profondamente minata (aveva
subito un infarto) fu liberato nel '57. Per due anni, vivendo
in miseria assieme ad Alla, scrisse il suo capolavoro La Rosa
del mondo, che aveva elaborato nel Gulag. Morì nel marzo
del '59: pur dichiarandosi cristiano ortodosso, gli fu negata
dal sacerdote l'eucarestia al momento della morte perché
egli credeva nella reincarnazione. Roza mira cominciò a
circolare nel samizdat (letteratura clandestina) nel 1970 ma fu
pubblicato in Russia soltanto nel 1991. Di questo libro di circa
800 pagine esiste una parziale traduzione inglese (Lindisfarne
Books, Hudson, NY 1997) che circola negli ambienti antroposofici
americani e una completa traduzione spagnola.
Che cosa dice la Rosa del mondo? Non è possibile qui riassumere
i contenuti di questa specie di Divina Commedia in prosa sorta
dall'anima russa. Si può solo dire che Andreev nel suo
libro descrive in modo originale e fantastico la struttura dell'universo
e tutti i livelli coscienziali del nostro mondo, che egli chiama
adanakar, la cui storia è tutta intessuta dalla lotta fra
le metaculture celesti e i mondi antiumani guidati dai demiurghi.
Queste metaculture o supernazioni (Zatomis) sono diciotto e vanno
dall'antica Atlantide all'Egitto, fino alla Russia celeste e a
una civiltà finale che si chiamerà Arimoiia. Ciascuna
di queste metaculture si è espressa in una immagine transmistica:
l'Olimpo, il Sinai, la leggendaria città invisibile di
Kitezh sono le immagini transmistiche della Grecia, di Israele,
della Russia. Andreev traccia un vasto affresco dei mondi, delle
gerarchie, della caduta dell'uomo fino alla manifestazione del
démone Gartungr nelle sembianze di Stalin. Poi la nuova
speranza e l'apocalissi.
Fra due o tre secoli, scrive Andreev, ci sarà sulla Terra
la Rosa del Mondo: una nuova fraternità umana, una nuova
comunità che creerà finalmente l'unità delle
fedi e delle religioni: una nuova umanità pancristiana
che integrerà tutte le Chiese del passato e accorderà
tutte le religioni della Luce. La Rosa del Mondo è un fiore
rovesciato: ha le sue radici in cielo e i petali in terra. Lo
stelo è la Rivelazione, mentre i petali sono le credenze
religiose. Questa nuova comunità umana sarà la più
alta manifestazione del femminile sulla Terra. «Per millenni
-- scrive Andreev l'elemento mascolino è stato dominante
nell'umanità, creando guerre, rivoluzioni, ribellioni.
Finora si è proclamato che non solo l'uomo ma anche la
donna dovesse essere maschile. Ma ora non solo la donna ma soprattutto
l'uomo è chiamato a essere femminile» (6,3).
Il centro ispiratore della Rosa del Mondo sarà l'Eterno
Femminino, non più però concepito come ideale ultraterreno,
ma come fusione di Materia e di Sophia, come santificazione della
carne. A guidare questa comunità sarà un capo carismatico,
che sarà insieme un genio artistico, una figura morale
e un profeta religioso (1,1) e ci saranno tre sacerdozi spirituali:
la gerarchia aurea del Padre, la gerarchia femminile azzurra della
Madre Sophia e la gerarchia bianca del Figlio.
Dopo due generazioni in cui la Rosa del Mondo porrà innumerevoli
semi per l'evoluzione dell'umanità ci sarà la catastrofe.
E qui l'utopia di Andreev diventa apocalissi. Sulla Terra scenderà
il demone Gartungr, che perseguiterà la Rosa del Mondo,
tanto che sopravvivranno soltanto dodici Fratelli della Luce,
che si rifugeranno in Siberia. Ma poi il regno demoniaco crollerà
su stesso, scosso dalle tirannie e dal collasso sociale. La seconda
Venuta del Cristo segnerà il mutamento dell'Eone e la metamorfosi
del mondo che durerà un altro intero Eone, finché
nel terzo Eone il medesimo Gartungr non verrà redento.
Ma a quel punto il nostro mondo adanakar scomparirà dalla
dimensione fisica e l'angelo dell'Apocalisse dirà che non
c'è più il tempo.
Secondo la visione di Daniil Andreev noi uomini del terzo millennio
siamo i portatori di questa nuova grande Verità, i preparatori
di questa libera comunità dello spirito, ispirata all'Eterno
Femminino, che egli pur nella tragedia del Gulag seppe ogni giorno
immaginare e sognare come il trionfo della libertà dell'amore,
la vittoria della Rosa del Mondo. È la Verità espressa
da quella potente corrente sofianica che, risorta nel romanticismo
tedesco grazie a un gigante dello Spirito come Novalis, emerge
ai primi del '900 in Russia per impulso di Vladimir Solov'ëv,
Sergej Bulgakov, Pavel Florenskij e altri, mentre in Occidente
rivive nell'opera di Rudolf Steiner e con particolare evidenza
negli scritti di Massimo Scaligero, il più moderno filosofo
dell'amore sofianico. Questo è il filone spirituale cui
appartiene Daniil Andreev.