"MUTATE PENSIERO": UN'ISPIRAZIONE DI MICHELE

di Gabriele Burrini

 

Ci si è posti più volte questo interrogativo: "Nei Vangeli si parla spesso degli angeli che intervengono in determinate circostanze spirituali vissute dal Cristo (Natale, tentazione, Getsemani, Resurrezione), ma come mai non si parla dell'arcangelo Michele? Compare mai nella narrazione evangelica un esplicito riferimento alla missione eterna di questo arcangelo?".

Sulla scorta della Bibbia (Dn 10,13), il più famoso autore di angelologia cristiana, Dionigi l'Areopagita, nel nono capitolo della Gerarchia celeste (trad. di G. Burrini, Tilopa, Roma 1994), scrive che l'arcangelo Michele (in ebraico, Mika'èl, "chi è come Dio?") è il principe, la guida celeste del popolo ebraico, l'entità spirituale che veglia sui destini della comunità d'Israele. Questo sostiene la tradizione esoterica cristiana ispirata da Dionigi, alla quale fa idealmente seguito la cristologia steineriana, che vede in Michele l'entità celeste dell'intelligenza e del pensiero impersonale, l'entità che da sempre ha guidato l'intelletto umano nel suo cammino di conoscenza verso il mondo spirituale. Tanto grande e vasta è la sovranità di Michele sul popolo di Palestina che, a prestar fede a R. Steiner (Il Vangelo di Matteo, Ed. Antroposofica, Milano 1979, p. 60 e sgg.), gli Ebrei sono stati il primo popolo nel quale si sviluppò il cervello come strumento del pensare, la prima etnia nella quale l'intelligenza rappresentò - oltre al cuore - una via attraverso la quale il Divino potesse discendere nell'interiorità umana ed esprimersi come elemento morale. Questo dono del pensiero come facoltà di coscienza spirituale venne fatto per la prima volta ad Abramo, e quindi fu trasmesso al "seme di Abramo", cioè ai patriarchi, e dopo questi ai profeti. L'ultimo dei profeti dell'antico Israele, com'è noto, fu Giovanni il Battista: nelle sue parole e nella sua missione emerge tutto il valore dell'antico profetismo, il nucleo stesso dell'ispirazione michaelita veicolata dall'organo fisico del pensiero.

Che cosa dice infatti Giovanni? Dice e grida: "Metanoeîte" (Mt 3,2) - cioè "mutate pensiero (noûs)" - e aggiunge: "poiché il regno dei cieli è vicino". Che cosa sia il "regno dei cieli" possiamo comprenderlo soltanto se riflettiamo su ciò che avveniva durante il battesimo praticato da Giovanni sulle rive del Giordano. Come spiega R. Steiner, i battezzandi rimanevano sott'acqua fin quasi a rischio di annegare e, in seguito a ciò, vivevano quella che oggi viene chiamata "esperienza di pre-morte" (NDE) o "esperienza extracorporea" (OBE): i battezzandi più evoluti spiritualmente subivano per pochi attimi il distacco del corpo eterico e del corpo astrale dal fisico e vedevano passare davanti ai propri occhi tutto il panorama della loro vita fin lì vissuta, in una visione retrospettiva.

Il "regno dei cieli" annunciato da Giovanni non era dunque un'esperienza iniziatica (che prevede la visione di specifiche entità divino-spirituali, la quale a sua volta si imprime poi sul corpo eterico), ma si trattava di un'esperienza per così dire propedeutica a una nuova consapevolezza dello Spirito, una visione che apriva le menti degli Ebrei alla certezza che davvero esiste, dietro la comune realtà fisica, un mondo spirituale percepibile dall'uomo. Ecco perché Giovanni il Battista ripeteva: "Mutate pensiero", volendo dire: "Andate incontro a un nuovo modo di pensare e di percepire, diverso da quello che serve per comprendere la comune realtà". Questo volgersi a un nuovo modo di pensare veniva chiamato dalla tradizione ebraica con il nome di "ritorno" (tesuvàh), solitamente reso in italiano con "conversione". Giovanni dice: "Io vi battezzo in acqua ai fini di un ritorno" (Mt 3,11): ritorno alla via del pensare trasmessa dall'eredità di Abramo, dunque ritorno verso il deserto, la vera patria dell'anima ebraica, in cui Dio si era rivelato a Israele.

L'invito di Giovanni a "mutare pensiero", l'esperienza offerta dal battesimo nelle acque del Giordano, il ritorno alla vita nel deserto, come del resto avevano fatto gli Esseni di Qumrân, sono le caratteristiche michaelite del messaggio del Battista, che si identifica tutto con quel battesimo di acqua, con quel rito di purificazione che è il passo ineludibile che introduce al battesimo di fuoco (Mt 3,11), al battesimo pentecostale donato dal Cristo.

Il messaggio di Giovanni sorge da una profonda ispirazione michaeli-ta, che da allora fa parte integrante della missione del Cristo, anzi ne è momento essenziale, che si offre a chiunque intraprenda con intensità di pensiero e di fede il cammino verso la comprensione interiore dell'azione del Cristo sulla Terra.

 

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