Associazione Provinciale Farmacisti non Proprietari di Lecce
Da Il Mondo del 12 gennaio 2001
Si possono capire (pur senza condividerle) le
reazioni astiose degli ordini professionali ai modesti e timidi elementi di
liberalizzazione che il governo tenta, da qualche anno, di introdurre in
ordinamenti ancora corporativi.
La motivazione, inespressa ma sottintesa, quasi
commuovente nella propria genuinità è sempre la medesima: "Perché noi
sì e loro no?". In effetti, se categorie come gli avvocati si vedono
(assai gradualmente, certo) spogliati di alcune prerogative che sino a pochi
anni fa garantivano modeste ma non insignificanti rendite di posizione, come la
delimitazione territoriale del potere di rappresentare in giudizio le parti,
altre categorie godono ancora di privilegi inimmaginabili in altri Paesi
occidentali.
Il pur dinamico e autorevole Mario Monti, per
esempio, non è ancora riuscito a intaccare l'ordinamento delle farmacie che -
benché si siano ormai trasformate in piccoli supermarket - continuano a
tramandarsi di padre in figlio, al riparo da qualsiasi concorrenza. Ed è
paradossale che una prima piccola crepa in questo compatto edificio corporativo
sia stata aperta dai giudici amministrativi, tradizionali protettori di
qualsiasi status quo.
Recentemente, il Consiglio di Stato, ribaltando la
decisione di un Tar, ha stabilito (udite, udite!) che due farmacisti, entrambi
provvisti dei requisiti prescritti dalla legge, possono scambiarsi le rispettive
farmacie senza che lo scambio possa essere considerato una violazione
dell'ordinamento giuridico generale e di quello sanitario in particolare.
Non è un granché, come liberalizzazione, ma
potrebbe essere un primo impercettibile passo.