vai alla home page Due o tre parole a... chi favorisce l'abusivismo professionale

Giù la maschera

Laura Benfenati - farmacista (redazione)

Come si può sostenere che i farmaci non devono essere dispensati nei supermercati o in Internet, se poi nella farmacia sotto casa li consegna tranquillamente un non laureato? Parlare del nostro ruolo indispensabile e della nostra indubbia professionalità non basta: per rendere questi messaggi forti e recepibili sono necessari soprattutto atteggiamenti concreti.

In uno dei tanti articoli (L'Unità del 21 febbraio, pag. 9) apparsi sui quotidiani a proposito della vendita di medicinali in Internet l'autore, commentando le dichiarazioni del presidente di Federfarma a proposito dell'indispensabile ruolo del farmacista, concludeva così: "Quello che qui Siri disegna è un farmacista da manuale, che raramente incontriamo nelle farmacie... Di fatto, ormai, dietro al bancone c'è un commesso, abilitato a verificare se quella medicina deve avere la prescrizione. Specialmente se c'è la fila, è raro che fornisca indicazioni sul farmaco in modo da ottimizzare l'effetto terapeutico e ridurre al massimo le possibili conseguenze negative. Così come raramente abbiamo sentito un farmacista chiedere se prende altri farmaci oltre a quelli prescritti dal medico, al paziente che si presenta con la ricetta del Sistema sanitario nazionale". Credo che tali affermazioni meritino alcune riflessioni. Quale è l'immagine della categoria che trasmettiamo all'esterno? "Il farmacista è ormai soltanto un commesso" si sente dire dal taxista, dal macellaio, dal commercialista e qualche volta anche dal medico. È opinione condivisa un po' da tutti, anche perché, impossibile negarlo, a volte al banco il cliente-paziente trova davvero un commesso. Lo sa perfettamente anche il ministro Bindi, che a Chianciano ha sottolineato più volte che dovremmo recuperare un po' più di professionalità. E lo sa bene la senatrice Bernasconi, che durante una recente intervista, alle mie obiezioni a proposito della sua intenzione di abolire i concorsi mi ha risposto che le mogli e i figli dei farmacisti non devono fare certo esami.
E spesso non si sognano di fare neanche quello di laurea, prima di atteggiarsi a "dottori" dietro al banco, magari con il camice bianco senza croce, per confondere un po' le idee. Si tratta di abusivismo professionale, una gran bella vergogna per la nostra categoria, che però sembra non curarsene granché. Come possiamo sostenere che i farmaci non devono essere dispensati nei supermercati o in Internet, se poi nella farmacia sotto casa li consegna la moglie del farmacista senza nessun titolo per farlo? Possiamo continuare a rilasciare dichiarazioni sul nostro ruolo indispensabile e sulla nostra indubbia professionalità, ma le parole non bastano: per rendere questi messaggi forti e recepibili sono necessari soprattutto atteggiamenti concreti. Per prima cosa potremmo cominciare ad assicurare agli utenti maggior chiarezza. Dietro al banco dovrebbero esserci soltanto persone con il camice: bianco, naturalmente, e magari rosa, blu o nero, in modo che sia possibile distinguere, con una rapida occhiata, chi è laureato e abilitato e chi no. Poi naturalmente è indispensabile il distintivo professionale, e possibilmente anche un tesserino di riconoscimento con nome, cognome, qualifica e magari anche foto. È ovvio che è legittimato a dispensare medicinali soltanto il laureato abilitato all'esercizio professionale e iscritto all'Ordine. Ognuno, insomma, dovrebbe fare il proprio mestiere: il farmacista oltre a dispensare farmaci potrebbe, code o non code, assicurare una parola in più ai clienti-pazienti e il collaboratore non laureato dovrebbe occuparsi della profumeria, del magazzino, del controllo scadenze o di tutto quello che non ha niente a che fare con la consegna di farmaci. L'abusivismo professionale aiuta soltanto a distruggere l'immagine della farmacia e del farmacista, alimentando la convinzione, per noi devastante, che tutto sommato la dispensazione di medicinali possa essere fatta da chiunque. Ora più che mai i tempi sono maturi per riaffermare nell'opinione comune il ruolo e la specificità del farmacista: è questa la scommessa che la categoria deve vincere con se stessa. E gli ordini, forse un po' latitanti a proposito di abusivismo, a parte rare e lodevoli eccezioni, dovrebbero essere inflessibili e irremovibili nel vigilare affinché il farmaco sia dispensato esclusivamente da farmacisti.
Nel frattempo contro questa piaga si sono scatenati i colleghi del Movimento liberi farmacisti, che hanno inviato al ministro della sanità, a quelli dell'interno e di grazia e giustizia, al direttore del Servizio farmaceutico nazionale e al Comando centrale del nucleo antisofisticazioni dei Carabinieri formale invito a verificare la sussistenza del fenomeno. Obiettivo è che vengano poste in essere tutte le misure necessarie a prevenire e reprimere questo reato (art. 348 del Codice penale: l'abusivismo professionale è punibile con la reclusione fino a un anno) lesivo della professione.
I Liberi farmacisti ricordano anche che il titolare della farmacia che utilizzi nella stessa personale non laureato e gli permetta di svolgere le funzioni proprie del farmacista risponde di concorso del reato suddetto (art.110 del Codice penale).
Abbiamo gli occhi puntati addosso, ci attaccano da tutte le parti per smantellare "casta", "monopolio", "ingiusti privilegi". Non sembra saggio che i titolari siano i primi a fornire, su un piatto d'argento, a tutti (a chiunque entri in una farmacia) motivazioni più che valide per essere attaccati.

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