Associazione Provinciale Farmacisti non Proprietari di Lecce
Notizie dal quindicinale della FOFI: "Il Farmacista"
(Numero 10 del 25 maggio 2001)
PROFESSIONE, UN VALORE PER DIFENDERCI
Limitare la proprietà della farmacia, ricorrendo a concessioni limitate nel tempo.
Liberalizzare il regime di apertura di nuove farmacie.
Sopprimere ogni tipo di influenza degli Ordini dei farmacisti.
Permettere la libertà di orari e la libertà di prezzo.
Autorizzare la vendita dei farmaci senza ricetta al di fuori della farmacia.
Questo elenco - che per moltissimi colleghi rientra certamente nella categoria dell'incubo ma che per altri ha invece i tratti del sogno, almeno in qualche aspetto - riporta le "tendenze" politiche che, a quanto abbiamo appreso nella Giornata della Farmacia Latina tenutasi a Madrid lo scorso 11 maggio, si stanno facendo strada nella penisola iberica.
Il vento della cosiddetta deregolamentazione, dunque, non risparmia nessuno, contrariamente a quel che pensa qualche collega titolare che crede (forse perché non solleva lo sguardo oltre la soglia della farmacia) che solo nel nostro Paese si registrino pressioni finalizzate a rivedere in profondità l'assetto del servizio farmaceutico.
La realtà, e non potrebbe essere altrimenti, in tempi di globalizzazione, è ben altra: non v'è Paese nel quale il sistema di distribuzione dei farmaci - e con esso, inevitabilmente, la professione farmaceutica - non sia posto in discussione, in qualche caso anche con argomentazioni ispirate a principi e valori nobili e alti, almeno all'apparenza. Se si va a ben vedere, però, le ragioni profonde che sottendono e sostengono la perdurante e sempre più incalzante voglia di rivedere le regole del servizio farmaceutico, hanno quasi sempre una sola matrice, quella economica.
Stretti tra lo Stato che vuole ridurre la spesa pubblica per la salute e gli appetiti di una pletora di soggetti interessatissimi a mettere le mani su un settore economico al quale tutte le previsioni continuano ad assegnare indici di crescita rilevanti, i servizi farmaceutici nazionali durano un enorme fatica a conservare gli assetti attuali, prevalentemente fondati sul modello della "farmacia professionale".
Da qualche parte, si è già oltre le tendenze e cambiamenti importanti sono già intervenuti, sia nel senso delle misure "a risparmio" (solo per fare un esempio, in Portogallo i farmacisti lamentano l'eccessivo numero di farmaci a esclusiva distribuzione ospedaliera), sia nel senso di iniziative di sgretolamento degli attuali modelli di servizio. E così in Francia viene approvata una legge che consente a capitali esterni di entrare nelle farmacie, in Italia si assiste alla partita della dismissione delle farmacie pubbliche effettuata in dispregio della "ratio" della legislazione vigente, in Spagna si discute animatamente ai massimi livelli politici sull'opportunità di limitare nel tempo la concessione della titolarità della farmacia.
Il fatto che questi fenomeni si registrino proprio nei Paesi che (molto di più di quelli di cultura anglosassone) hanno sempre difeso la specificità della farmacia e della professione farmaceutica, individuando nel modello della già ricordata "farmacia professionale" il cardine del servizio farmaceutico, è una dimostrazione di quanto pervasive e potenti siano le pressioni dell'economia, oggettivamente difficili da contrastare. Al riguardo, ritengo che sia esiziale tanto iscriversi nella fila degli apocalittici (coloro che ritengono ineluttabile una trasformazione del servizio farmaceutico indotta esclusivamente dalle dinamiche del mercato), quanto arroccarsi nella difesa dello status quo, al grido di "non prevalebunt". Per quanto difficile e complicato sia, credo che la professione farmaceutica debba provare a perseguire una via mediana, concorrendo all'elaborazione di una modifica degli assetti ragionata e ragionevole.
Il farmaco, è un dato incontestabile, oltre a essere un prodotto con un preciso valore economico, continua infatti a rimanere anche un bene esistenziale, sociale ed etico: nessun Governo, a meno di andare contro le ragioni della scienza e dell'evidenza, potrà mai disconoscere questa realtà, se non assumendosi gravissime responsabilità storiche.
Per questo sono convinto che è possibile cercare punti di equilibrio e di mediazione tra le ragioni dell'economia e del mercato e l'irrinunciabile necessità di "governare" il settore farmaceutico in modo da garantire alla collettività una rete di servizio affidabile, sicura e professionalmente qualificata. Abbiamo l'obbligo di credere in questa prospettiva, adoperandoci perché trovi una sua realizzazione in un percorso di riordino del servizio farmaceutico che - se vorrà continuare a soddisfare le esigenze di tutela della salute - dovrà necessariamente partire dal modello di farmacia professionale, un modello che, se e finché riusciremo ad affermarlo nella concretezza e correttezza dei comportamenti quotidiani, sarà difficile attaccare e stravolgere.
Molto, quindi, come sempre dipende da noi. Ma credo che ormai non vi sia, tra i colleghi, chi non abbia piena consapevolezza del fatto che il nostro avvenire è nelle mani di noi tutti: sarebbe oltremodo difficile reclamare un'evoluzione del sistema rispettosa del significato, del ruolo, dei contenuti e dei valori della professione farmaceutica, se non dimostrassimo in ogni momento la nostra essenza di professionisti, a garanzia e tutela della salute dei cittadini. Sarà anche lapalissiano, ma ricordarcelo certamente non guasta, soprattutto all'inizio di una legislatura che si annuncia "solida" e lunga e nella quale è lecito attendersi un'intensa attività riformatrice, anche nel nostro settore.