Da quella
rocca fiorita di ginestre e caprifogli e mirti e d’ogni
sorta di piante ravvolta tu mi richiami al sangue e alle
radici che non sol furon di te come signora, o nobile
bisnonna per la stirpe che assai poca cosa è di ciascuna, ma
per l’adamantina anima di nobiltà racchiusa nello spiritual manto
raccolta.
Allegria fanciullesca si sente
nell’aria di questa prima estate a Ponte a Mensola e io
sorrido come una bambina che apre gli occhi verso lo
splendore dei suoi anni migliori senza brina.
Anima
mia vagula e tremula, piccola e sola, nella notte di paura
rischiara una fiammella come di lume acceso di lucignolo nella
casa sopita dove angeli stanchi ravvolte l’ali stanno
addormentati e nel loro abbraccio accolgono i pellegrini e i
viandanti.
Assaporo del
tempo le ultime scaglie del tempo che va come un uragano dove
il cielo oscurato è preludio del nuovo e la pioggia che
giunge improvvisa e violenta ti coglie già quando tu non hai
trovato un rifugio o un giaciglio fra i rami del bosco. Tutti
abbiamo peccato e non ci fu chi fu senza colpa, un anziano
scrittore siciliano immigrato guardava stranito il successo
raggiunto alla fin di sua vita e malinconico sguardo diceva: “La
guerra che orrore” pur non sapendo che cosa “mi sento
colpevole di tale fetore di morti”, così è il mio cuore e il mea
culpa già faccio battendomi il petto: “ho peccato Signore!”.
Caldo serale di un
pomeriggio estivo sotto il fanale carico dell’afa, fra gente già
abbronzata che gira disfatta mezza spogliata nei giardini
attigui. Mi riparo col giallo del cappellino estivo il sole che
non c’è, ma che fa sentire la sua presenza nell’aria già
impregnata di effluvi senza uscita, mentre gli uccelli han spento
i loro suoni e paion risparmiare gli acuti e i trilli, per più
freschi bagliori di pioggia che non viene e che non vuol venire.
Gli alberi
spogli, il fiume gelato, la brina lassù, e fra la nebbia l’
ardente velo della notte che spare, e poi così fra il caldo di
casa, e la gatta sull’ uscio, e la luce giallastra del
lume, sorride la tiepida vita nel torpido sonno del
tempo limpido di luminoso splendore.
Chiacchiericci
festosi nella via nella notte, risatine sospese come ruscelli
d’acqua e poi gorgoglii e brevi silenzi e quindi allegre
risate si alternano nel tiepido buio del Mensola illuminato da
luci tenui e delicate. Fanciulli come di un pastorale poema si
diverton fra loro e scherzan nel fuggitivo amor che si
rincorre con parole e sguardi e silenzi.
Cinguettio serotino nel giardino incantato, il gatto
annusa svagato mentre il sole s’addorme. Roselline di
macchia Rosse come ciliegie, allegre come bimbe occhieggiano dal
muro e intonan il loro coro, tubare di colombi e cianciare di
uccelli, svolazzìo e richiami, odor di brodo in
dadi, chiacchiericci dai muri, rimbombo di sussurri. Lassù sulla
cima del gran cipresso antico che supera con la chioma il tetto
del capanno un nido, un nido, un nido, uccellini grigi si gettan
come a stuolo (stormo?) là da un aereo in volo paracadutisti
esperti, e prendon, prendon il cielo. La gatta saltella qua e
là come da allegria improvvisa arrecata da insolita gattesca
notizia, lei così pacata e schiva, sonnacchiosa e passiva nella
sua grigia corteccia del mantel soriano che la fa solitamente
bestiolina triste e indecisa. Cinguettio più forte, due uccellini
si rincorrono nel cielo azzurro estivo mentre una rosa
rosa solinga e decentrata guarda sorniona il giardin e par che
dica: “Son io la prima, la regina del mondo e sol voglio esser
lasciata.”
Ciò che desidero con tutto il cuore è una vita lunga e serena in
onestà, così come vien ora, e nient’altro desidero se non che la
bellezza di quest’ ultime ore serene e armoniose e felici
proseguano negli anni tal che sembri che la mia vita sia stata
sempre uguale.
(Vecchina di 96 anni che viveva sola in
un minuscolo ambiente di due stanze, casetta isolata in mezzo a un prato)
Colombi bianchi sul terren
dissolto di bruno chiaro seminato a grano. Colombi neri nel
ciel come pensieri di artista folle nel cielo arlesiano. (Van
Gogh) Tutti si avviano al suono di campane al funerale della
pia Baggiani. Nella mia stanza d’azzurro rivestita, nel pavimento
(tappeto azzurro) e nel ciel dalla finestra penso all’eredità
presta che mi lasciasti anima di Dio di più nidiate da nutrire
io, che Dio vuole si ami gli animali e che a lor bisogni non
si renda mali. Or nella casina di fata benigna circondata da
prati i mici vagan sconsolati, ma un boccone lanciato dalla
finestra sempre sarà per loro e niuna festa sarà per me che a
lor non sia resa la minestra calda della cena, così tu potrai
serena guardare da lassù gli amici tuoi che qualcuno
quaggiù fece or suoi.
Come le principesse delle
fiabe, dalle lunghe trecce intessute d’oro, e con le lunghe
vesti intrecciate di cielo, fra gli animali amici e i fiori
capricciosi, sorridenti e misteriose, ingenue e incantate che
sognavo bambina, e disegnavo innumerevoli sui fogli
quadrettati, così io vivo in questa casa antica, fra le mura
possenti e la campagna amica, con la primavera che viene come
fata gioconda, e il mistero che resta fuori e dentro di me.
Di luminoso
splendore si ravvolge la mia vita in questa casa scura dove il
futuro è certezza e mai paura, io che aborro le streghe e i
talismani e gli arcani, che certa gente va in cerca ad
apprezzare per aver conferma di ciò che il fato vuole ma che
protezione novella può indirizzare, io tal protezione ho là nella
Stella che il Figlio di Dio volle se stesso chiamare.
(Seconda
versione più lunga) Di luminoso splendore si ravvolge la mia
vita in questa casa scura dove il futuro è certezza e mai
paura, io che aborro le streghe e i talismani e gli
arcani, che certa gente va in cerca ad apprezzare per aver
conferma di ciò che il fato vuole ma che protezione novella può
indirizzare, io tal protezione ho là nella Stella che il Figlio
di Dio volle se stesso chiamare. Così a qualche strega o
stregone che volle in sua malizia oscura predire mia scarsa
salute io dico: “E’ vero sono di coccio un vaso e se qualche
spirito nero decretò qualche male a mio danno io non temo alcun
tempo che l’Ognora Potente e Sapiente e Amorevole Signore del
Tempo potrà se vorrà esaudir mia prece: “di giunger a tarda
età vispa e solerte e sempre benedicente chi mi fece, e volle
e mise il seme di questa mia vita bella nella città dei fiori.”
Din Don Dan Din Don Dan monotono suono di
campane per la finestra socchiusa giunge vicino dal
campanile come volo d’uccello Din Don Dan si ripete a lungo a
svegliare i sonnacchiosi paesani e dire: “ E’ giunta primavera!”
Fiumana dolente di
carri, trattori e carriaggi hai ripreso il flusso. Le mine han
seminato lungo il tuo percorso. Ultimi giunti come foste i
primi. Bimbi che piangono, qualcun che fa un segno con la
mano, un segno strano come di una V trafitta e stanca, mentre
il percorso snoda nella strada il là di carri, carrettini e
carriaggi. C’è chi venne con le proprie scarpe a piedi. C’è
chi rimase là lungo il percorso, povera gente senza sapere
niente, salvo che vita val lottare alquanto, quando da casa un
dì ci fu chi, angosciosamente vi scacciò lontano con un
modo senza scampo. Va la fiumana là lungo il percorso, pensa a
chi non più è qui con loro, gente lasciata là sopra il
selciato rosso di sangue senza un pianto, un rovo, un
canto che ogni popolo è usato. Sguardi tristi e voci
impietrite, povera gente senza più cuore ed urla, va la fiumana,
come senza via d’uscita cade da roccia l’acqua in una
purga.
Galletto
birichino è da due ore che fai il tuo verso nell’aria, non ti
contenta il giorno ma vuoi svegliarci tutti e poi nell’aia batter
le ali e dire: “Io sono il re”
Gentil persone amabili e amorose circonderan
la mia vita da ora, e non più selvatiche e lupose o come
volpi ghiotte di castori e altri temibili animali che poser
assedio alla mia tana grigia e fecer della vita mia un
sortilegio pieno di tema e di sottil terrore. Non più, sparite
l’ombre il candore di una notte lunare o lo sguardo incantato del
sole o la tiepida alba o la scintillante aurora o il tramonto
roseo e in vesti seriche racchiuso saran miei amici sempre e io
felice vivrò finalmente quella vita serena sempre agognata e mai
avuta che gioventù tartassata ebbe in contraccambio per
quella: angoscia, lotte e dura, dura ancella.
Già la primavera si
sente nell’ aria sulla collina argentata di battiti d’ ali di
Angeli azzurri nei prati lunati, nei solchi bruniti, soffia una
brezza leggera e soffusa come mano di Angelo errante speranza di
vita migliore della metà di mia vita già corsa.
Già viola appare il
glicine sul ponte, già lilla brilla nel verde la
pianta dell’orto. Io mi macero di tristezza e amaro e non so
che far di mia vita e qual sacrificio possa servire alla vita
che muore. La natura che segue il Creatore non va per la via
degli uomini.
Gli animali del bosco stanno
dormendo nella boscaglia scura mentre una luce là nella
pianura a loro pensa come amici cari. Voi non tradiste, foste
sempre uguali e gli amici di un tempo serbaste a
cuore riconoscenti di un pizzico di amore o di scodella
là sul limitare posta a satollare le fredde veglie delle notti
inverne. Or non son più tra voi cari fratelli e non posso farvi
più clementi i riposi e le battenti di vento vostre
contrade, ma posso con le mani giunte pregare che la nebbia e il
gelo sian come tiepido nido al limitare di vostro albero e
mondo e che un sorriso di Santo Abate o Francescano
canto portin sollievo e pace a voi d’intorno.
Gorgoglia il riso nel mio cuor tenace al pensar il mio
esser così pugnace, in questo bel paese ridente e vivo che pur
non sa di me e chi io sono. Se sua benevolenza e suo
dono, vien dall’esser per lui (il bel paese dove vivo) io
un qualcosa di inesistente come le foglie cadenti o l’acqua che
pur passa dal rivo, pur tuttavia in questo luogo di così
silenzioso decoro nell’alma mia si sta svolgendo proprio in
quest’età ria di travagli e pericoli all’Italia, il mio più bel
poema che un dì sarà conosciuto e costrutto. Così il silenzio del
tempo fanno da manto alla poesia e all’incanto, e io senza
disturbi posso intinger la penna nei sussulti del mondo, senza
che alcuno metta ostacolo alcuno a tal mostrare.
Rade chiome fra toppe di cielo degli alberi
autunnali dalla finestra chiusa, con lussazioni e strani casuali
torpori di influenze annunciate e amar sapore di questo inverno
odore che si preannuncia freddo e ammantato di febbri e venti e
strali, ravvolta nella coperta faccio passar la torpida
giornata nel malessere sordo senza uguali.
Di primo
mattino s’ode un cinguettare (andante) e volitivo qua dalla mia
finestra aperta come navicello sul mare di alberi ricchi di
vita che il passato, il presente e il futuro (pare)*
passar veloce e sorpassare in un fluttuante corso senza stacchi e
cesure. *( singolare per passato, presente e futuro che fanno un
insieme, quindi una cosa unica)
In questa allegrissima cucina bianca dai pentolini rossi e
multicolori di smalto, come bimbi di un asilo nel Sudan, io penso
e guardo al di là del buio delle finestre aperte le mille
fiammelle delle luci sul colle. Io penso e vaga il mio
pensiero nel tempo e nello spazio, vaga nelle stazioni
orbitanti come città del futuro che saranno, vaga nella grande e
potente Africa un giorno, vaga al di là di me non so
quando, e il miele nel mio yugurt bianco come la cucina
candida e il tavolo bianco e la credenza di neve e le pareti
albine e il gran camino luminoso, tutto mi riporta dentro e fuori
di me, come in un misterioso gioco di scatole cinesi di quel che
è e sarà, e non so certo quanta è la fantasia e quanta la
premonizione.
In questa
casa dove sono stata posta come su piattaforma orbitante, non so
da chi ma certo molto Potente, guardo con interesse e attesa gli
eventi che verranno là sulla terra, e attendo istruzioni dalla
Stazione di Comando con assoluta fiducia della capacità e
competenza e responsabilità nei miei confronti.
In questa notte di stelle, cadenti come
fior sulle languenti note di un incanto steso fra la collina e il
fosso, Angeli belli veniste a questa casa e assai
contenti restaste per far veglia con noi nelle preghiere.
In
scabra forma hai modellato il mio aspetto perché
contenesse prezioso tesoro, come cassaforte celata in modesto
luogo, ove mai si supporrebbe essere il tanto agognato favoloso
gioiello, che tutti cercano e mai da nessun trovato.
La goccia sulla roccia scavò un solco e nessuno
se n’ era accorto finché giunse un giorno che apparve sotto
il sole nitido e chiaro, ma ormai la goccia non c’era più che
cadeva là. Sulla roccia un fiore violetto di primavera apparve
dentro il solco. Era già sera, la roccia piagata da tanti anni di
pianto sorrise e annuì a questo tenero boccio, così la mia
vita triste e tormentata per tutto il tempo di mia età
travagliata appare finalmente dolce e chiara ora che l’ oro va
già a trasformarsi nell’ argento del tempo e la stagione s’
avanza e appare una bruma sottile all’ imbrunire e pur io son
sicura che il tempo migliore ha da venire.
Di vasi e
fior cosparsa è la parete che le tele ricopron tutte di vaghe
primavere, azzurrino il tappeto che nel turchese colore riveste
il rosso mattone col suo aspetto di cielo, il settimino d’or e di
rosso vestito fra i fiori pitturati civettuolo si staglia sulla
parete bianca, il letto a quadrettoni e i gatti sui
cuscini occhieggiano alla gatta lor vera padrona, il computer
superbo e distaccato guarda con sufficienza la libreria
cartacea e i fascicol scomposti e gli armadi che gli sono a
lato, mentre l’azzurra vestaglia là adagiata sul sedile
setaceo mollemente si piega con disinvolto ammicco in seducente
mossa.
L’alba si
annuncia chiara e la luna splende in questa casa come
occhi sul mondo circostante. La mia tepida stanza antica e
moderna col morbido tappeto dove la gatta fa i suoi
ritrovi fra il colore azzurro è salone d’incontro coi miei
pensieri e ciò che giunge a me quasi furtivo nel festivo
messaggio giornaliero. Cinguettio oppressivo di uccelli
indaffarati in canor battagliare di richiami come madre
sollecita che stia per fare ramanzina ai suoi piccoli
sbadati. Caffè col miele preso in allegria come rito solingo e
misterioso di gratificante piacer che non è ascoso a chi come
me ama il sapere. Miei battiti del cuore candidi e rumorosi e
risuonanti e vivi come ruscello che batte alla mia porta come il
fosso dei frati che getta sua scorta d’acqua nativa dall’alto di
pendice in questo rivo. Più calmi e riposati gli
uccellini cinguettan ora con gentil linguaggio privo di alcuna
asprezza come sottovoce. Il giorno è già venuto ma la luna
chiara esiste ancor nel ciel rosea e sovrana come pizza
giuliva di splendente chiarore fra nuvolette pur loro chiare e
rosate come di trina. San Martino si sveglia dal sonnolento
sonno del mattino e tutto prende suo aspetto abituale dalle
gialle case là dal fosso, all’orto a cavoli verzuti, ai tetti
rossi e muschiosi, al fiume che scorre regolare. Già qualche
rumore s’intende d’umana presenza e di sollecita vita di chi
non vuol poltrire nel suo letto e già batte i suoi colpi col
mazzuolo, ma il suono è intramezzato da lunghi silenzi come se
il pensier della notte non fosse ancor fugato e la placida
aria che si respira di sospensiva attesa attendesse ancor
dormiente l’ora del giorno in pigro dormiveglia.
Ravvolta in un manto di signorile incanto come fatata
madonna di lontana stirpe, e col sottil sorriso come di affresco
fiso vivo e pur non par ch’io viva, ma leggero l’aere a me
s’avvolge, e fa di questo tempo uno scandir di passi di
musical preludio, come se lo studio del viver avesse qui
trovato sua poesia, e compimento e vita.
S’intesson i
miei pensieri come ricamo di femminil incanto da questo
spalto ove troneggia Beltà e Vetustà e Splendore, e dove Onore
mai abbandonò il suo campo, così nel biondo meriggio di questa
annunciata primavera autunal piena di sole, s’intersecan le
parole nella trama dei fatti, e fan tutt’uno come ritmico
corso di musical solfeggio, mentre un mottetto (Motteggio) si
dolce come il sole (che illumina i tegoli sul tetto) ripete il
ritornello che già mai fu si bella mia vita, come in questa
gradita parentesi degli anni.
– 1°
versione) S’intesson i miei pensieri come ricamo di femminil
incanto da questo spalto ove troneggia Beltà e Vetustà e
Splendore, e dove Onore mai abbandonò il suo campo, così nel
biondo meriggio di questa annunciata primavera autunnal piena di
sole, s’intersecan le parole nella trama dei fatti, e fan
tutt’uno come ritmico corso di musical solfeggio, mentre un
motteggio si dolce come il sole ripete il ritornello che già mai
fu si bella mia vita, come in questa gradita parentesi degli
anni.
– 2°
versione) S’intesson i miei pensieri come ricamo di femminil
incanto da questo spalto ove troneggia Beltà e Vetustà e
Splendore, e dove Onore mai abbandonò il suo campo, così nel
biondo meriggio di questa annunciata primavera autunnal piena di
sole, s’intersecan le parole nella trama dei fatti, e fan
tutt’uno come ritmico corso di musical solfeggio, mentre un
mottetto si dolce come il sole che illumina i tegoli sul
tetto ripete il ritornello che già mai fu si bella mia
vita, come in questa gradita parentesi degli anni.
Chi è come Dio? Noi ti
lodiamo Arcangelo potentissimo Protettore di Israele e delle nazioni
cristiane, delle nostre famiglie, delle comunità e di ogni
luogo dove si rende onore allo Spirito Santo, tu che ci liberi dai
pericoli spirituali e materiali che ci travagliano e ci dai la pace
avvicinandoci al Creatore. Ora si è compiuta la salvezza, la forza e
il regno del nostro Dio e la potenza del suo Cristo. Chi è come Dio?
Noi ti lodiamo Arcangelo grandissimo con i primi fiori di
primavera: i crochi bianchi della pulzella di Francia, tu che sei
stato il primo difensore della Regalità di Gesù Cristo, Re dei
Giudei, che fu crocifisso sotto il procuratore Ponzio Pilato. Ora si
è compiuta la salvezza, la forza e il regno del nostro Dio e la
potenza del suo Cristo. Chi è come Dio? Noi ti lodiamo Arcangelo
gloriosissimo nel sottometterti ed unirti per la tua
umiltà completamente alla volontà della Trinità, così noi col tuo
esempio rinunciamo alle seduzioni di ricchezza, onore e potere per
rimetterci alla generosa Provvidenza del nostro Signore Creatore e
Padre: Ora si è compiuta la salvezza, la forza e il regno del nostro
Dio e la potenza del suo Cristo. Chi è come Dio? Noi ti
lodiamo Arcangelo luminosissimo dalla spada come croce bianca
fiammeggiante, capo delle Milizie celesti, che inviato dalla Regina
degli Angeli e dello Spirito Santo, la quale ha schiacciato la testa a
satana, operi incessantemente con le tue schiere fedeli inseguendo i
demoni, combattendoli, reprimendo la loro audacia e respingendoli nell’
abisso. Ora si è compiuta la salvezza, la forza e il regno del
nostro Dio e la potenza del suo Cristo. Chi è come Dio? Noi ti
lodiamo Arcangelo dolcissimo che S. Francesco e S. Chiara ebbero
caro, amico dei santi e protettore di noi credenti e
peccatori, tu che conducesti il poverello sul Santo Monte della
Verna per riceverne le stimmate a gloria di Cristo e della
Chiesa. Ora si è compiuta la salvezza, la forza e il regno del
nostro Dio e la potenza del suo Cristo. Chi è come Dio? Noi ti
lodiamo Arcangelo splendentissimo protettore dei bimbi e della loro
purezza, difendili dal male e da ogni occasione
pericolosa, ravvolti nel manto dell’ Amore di Dio insieme ai loro
Angeli custodi affinché siano per tutta la vita saggi,
forti, prudenti, coraggiosi e santi. Ora si è compiuta la
salvezza, la forza e il regno del nostro Dio e la potenza del suo
Cristo. Chi è come Dio? Noi ti lodiamo Arcangelo combattente e
prode come il profeta Daniele nel Vecchio Testamento e l’ apostolo
Giovanni il prediletto di Cristo, ti videro partecipe della storia
del mondo dal suo alfa al suo omega, noi ti imploriamo per la Potenza e
la Sapienza di Dio di difenderci sempre dal maligno e di condurre le
nostre anime fra i beati in Paradiso. Ora si è compiuta la salvezza,
la forza e il regno del nostro Dio e la potenza del suo Cristo.
Notturno
odore di caffè tostato, euforia notturna di chi veglia nella
notte silenziosa sul sonno dei vicini, rumore strisciante del
vialon carrabile che va sulla collina, compagnia lieve e complice
della gattina che mai ti lascia con lo sguardo attento, questa la
mia rivalsa di notturna veglia, mentre la notte passa ed io
rimango sveglia.
O occhi senza
vita, senza un nome, senza una casa dove depositare le morte
spoglie, voi che viveste là dove la terra aprì il suo
squarcio fin nel mondo d’inferi, o voi innocenti senza
sapere e senza storia, quando sarete nel sanguinoso mondo dei
trapassati violenti, allor gettate un canto, un urlo
lamentoso alle potenze dei cieli, affinché risparmino altri
fratelli, che noi siamo su questa terra dolenti e afflitti e più
nell’attesa tremanti, che l’attesa si fa lunga e poi breve per
chi aspetta la morte, e non sa cosa sia, e come verrà e qual
sofferenze mai precederanno tale trapasso.
O tu
piccola Baggiani la cui casa ramata d’azzurro e con gl’impostoni
chiusi se ne sta silente come non mai, ti fu data sorte
felice, che il tuo tempo si chiuse quando s’apriva un nuovo
giorno di lampi oscuri e grida. Così la morte spesso è
privilegio grazioso quando l’orrore dei tempi si schiudono a
violenza in arcano diabolico mondo come se gl’inferi
aperti mettessero lor regno e dove la terra diviene Calvario a
molti. Tu piccola fosti di privilegiata fortuna segnata dal Voler di
Dio che a noi infelici volle mostrare quanto può il male su
questa terra e al quale pur nel dolore urliamo “Benedizioni e
lodi” e mai vorremo perder la Fede e in bestemmie cambiar nostra
Speranza.
Popolo del Nord dai fiordi sconosciuti con i
boschi di abeti lungo il mare, io vi scrivo da questo luogo da
voi sognato a lungo, dai prati fioriti che un novelliere
accorto pose come scenario di sua fantastica vena, vi scrivo col
gentile colore del verde oliva argenteo, vi scrivo con lo splendore
dei prati dello Strozzi, vi scrivo con l’azzurro tenue dei ciel
di questi luoghi, e con i bruni rossi dei tetti delle case, i
gialli dell’intonaco dei muri già scrostati, il bruno dei
tronchi e il candido dei fioriti pruni di primavera, il violetto
profumato del giaggiolo regale e del glicine trionfale. Vi scrivo
con amore e ricordo di voi: la vostra gentil vena che nel freddo
del ghiaccio fece più caldo il cuore; vi ricordo con amore amici
miei biondi, e gli occhi scuri miei rammentano i vostri come mare
di cielo, nelle brume dell’alba sulle acque alte e fonde.
Rugova è il tuo
nome come rughe di sangue sono le nostre speranze raggrumate come
su pelle di vecchio dove gli occhi guardano bambini e si
interrogano sul presente e futuro.
Fra sudate improvvise e dolori alla
gola passa il piccolo purgatorio della malattia con la mamma in
attesa di uscire guarita e io che non sto bene per il
mio. Difficoltà a fare e tristezza di non fare, Angeli
biondi percorrono la casa e sorridendo allevian i nostri
mali.
Statemi
lontana gente oscura e vana, oggi è una bella giornata non
tramate assurde cose nella vostra cieca gelosia del non
vedere, state lontana da questo sito, oggi è una bella
giornata, un muro di gomma sia fra me e voi, spesso come una
muraglia e sordo come un coccio. Le vostre chiacchiere assurde
come filastrocche vadano a schiantarsi come una macchina in uno
stagno. Statemi lontana gente oscura e vana che io veda il vostro
volto come in uno specchio e voi il mio come in una notte senza
luna. Trasparenti siano i miei passi sul vostro percorso e
rimbombanti i vostri nel mio così che io devii la strada al
vostro passaggio come gatto impaurito da insolita presenza. Non
tramate gente oscura e vana che se io sono svanita e non vi odo
e non vi vedo, vi sente come in un megafono il mio padre dal
cielo che tenendo il mio fratellino in braccio sorride con la sua
verga fiorita e posa sul mio capo la sua rude mano di
lavoratore.
–(sciame
sismico) – stelle cadenti Notte di stelle cadenti e
desideri, notte pien di bagliori e di splendenti ameni sciami
argentati, io non starò a guardarti e serrerò severi gli scuri e
le finestre, affinché niuno di tali tuoi sussurri possa venir a
turbare, il mio prosastico sonno.
Sulle
montagne rimbombano i cannoni, una voce, un richiamo. Più giù
lungo i sentieri i roveti non hanno più squadroni, questi
risalgono, verso i canaloni di rocce e monti ormai senza
segreti.
(Timore della guerra nucleare) Temo giorno per
giorno che catastrofe umana si prepari e che tosto
dobbiam sollevar nostro capo nella fiumana del cielo rotto da
lampi e fumo denso e in tal dolore affranti giunger le mani a
Te Dio nostro che Vindice risvegli le tue fiere dormienti entro
l’antro di terra e spiriti inquieti sconvolgi nelle tombe e un
brulicar di vermi e mille altri terribili flagelli van facendosi
tali quando ancor nostra brama non ha spento in noi il desiderio
di vita e fino a tanto che “invocando la morte” giungerà poi
pietosa come mantello che al viandante sopito ha messo suo vicin
clemente.
Tutto mi distingue da quest’Italia un po’ cafona, e un
po’ attaccata alle forme paga del suo benessere, e percorsa da un
malessere senza uscita e scampo. “La bella gente” non mi
somiglia e io vivo un po’ negletta, ma libera nel cuore e nella
mente senza esser capita, e ciò se è una disgrazia per
l’oggi è una fortuna per il domani perché non somiglio che poco a
questi morti che camminano, che guardano con sufficienza a chi non
persegue come loro i riti assurdi di una società che muore.
( A Paola Guidotti mia amica e professoressa di latino) Un fiacre percorreva il
centro con a cassetta seduta soddisfatta la Paolina allegra e
sorridente e distesa, aveva posto i piedi sopra il sedile d’
avanti, noi eravamo dietro e guardavamo intorno, mentre il
cavallo celere percorreva le stradette ombrose nello splendor
mattutino di un giorno di primavera. La Paolina con una fascia nei
capelli godeva la mattina, momento dei migliori di sua vita
impegnata per gli altri e studi suoi. Latinista provetta dal dolce
sguardo dai capelli bianchi, un dì rossi, e dalla virtù
sicura nella nobiltà dell’ animo gentile, la Paola Guidotti era con
noi ancora e ci guidava là dove una casa ci aspetta chiusa e
serrata perché il tempo provveda a far il bene che noi non
conosciamo e che la nostra breve sorte non può che in parzial
modo. Paola, tu che negli ultimi Tempi soffristi molto Va là, ti
do le chiavi, va resta là nella casa antica che nessuno verrà più a
disturbarti come nella tua fra i piccioni e il giardino selvoso e
il mobilio antico di ViaS.Reparata. Resta tranquilla fra i
libri e i bei quadri, i mobili intarsiati che tu sapevi tanto
apprezzare con fine cultura e dolce garbo. Va Paolina mia a
casa della tua più confusa scolaretta, che incoraggiavi con la
sua traumatizzata mamma, umiliate ambedue per non ben capire il
matematico latino. Sta fra i quadri della pittrice Gianna che tanto
ti amava ricambiata per aver capito la tua anima sublime e il tuo
gentil bene verso gli altri e che tu ripagavi con fiducia verso l’
onesto Signor Aldo. Ci sono là i quadri delle Chiostri un dì
tuoi. Vai ad accarezzare le cornici e le tele che la
polvere non si depositi sull’ impasto dei toni. E’ tua, ecco la
chiave, amica nostra.
Fra sudate improvvise e dolori alla
gola passa il piccolo purgatorio della malattia con la mamma in
attesa di uscire guarita e io che non sto bene per il
mio. Difficoltà a fare e tristezza di non fare, Angeli
biondi percorrono la casa e sorridendo allevian i nostri
mali. Sei del mattino Fra sudate improvvise e dolori alla
gola passa il piccolo purgatorio della malattia con la mamma in
attesa di uscire guarita e io che non sto bene per il
mio. Difficoltà a fare e tristezza di non fare, Angeli
biondi percorrono la casa e sorridendo allevian i nostri
mali.
Nel fragore di una
bomba esplosa lì vicina e nel fuoco che sento dentro me come
in precognizione di casa che brucia un’arpa suona nel mio
cuore nell’alba di questa notte già passata. Nel fragore Nel fragore di una bomba esplosa lì vicina e
nel fuoco che sento dentro me come in precognizione di casa che
brucia un’arpa suona nel mio cuore nell’alba di questa
notte già passata.
Volle il caso che per strano accidente rimase
solo lo scritto il più acerbo e nascosto, e solitario di
tutti come uccello sul ramo che col silenzio protetto da una
frasca, avesse scansato l’ assassino fucile che non s’
avvide del piccolo grigio, mentre la gagliarda schiera dei
pennuti superbi sterminata e raccolta nel prato di foglie
morte, non lasciava seguaci ma solo ricordi di sonori
richiami nel bosco silenzioso.
Sto aspettando
che passi l'estate,
le foglie già verdi
e appassite
di rughe sottili,
la nebbia e calura
si affanna
sul colle non più argentato
ma torrido e vuoto,
io passo i miei giorni
fra batter di scalpelli,
polveri gialle,
solinghi trastulli
al computer,
le ore van sole,
io sono con loro
ancor più.
Vola mia voce sui monti
per lodare il Signore.
Vola mia voce
nell'eco rimbombante dei cieli
fra gli Angeli e i Cherubini Santi.
Lascia mio passo
ogni faccenda e va
che niente vale
se non la Lode a Dio.
Giorni son questi
che di Sodoma e Gomorra
s'annunzian piaghe
di fuoco inestinguibili.
Vola mio Canto
che a seppellire i morti
penseranno i congiunti
e seguire Iddio
è sol ciò che ne valga.
La macina è già posta
al collo di colui
che scandalizza il fanciullo,
il sepolcro è già aperto
a chi la vedova e l'orfano
in oppressione tiene.
Va mia voce
ad unirti ai cori angelici
che le loro armonia
conducan il mio flebile
canto.
Va e non voltarti indietro
che statue di sale
immobili e senza vita
saran color
che nei giorni di Grazia
non han lavato
i lor occhi nel Giordano
e lacrime amare non avran
spento nelle salate acque
del mar già morto.
Si preannunziano giorni
di dolore e di sangue
e la scure è già messa
ai ceppi delle piante.
Il cielo scuro preannuncia
il temporale
e mentre la natura
sembra farsi più bella
pel giorno del Signore
sentinelle della buon'ora
appaiono all'orizzonte
con le loro trombe argentate
e i corni suonano
per Gerusalemme la Grande.
Vieni amico mio, non temere
che il Tempio del Signore
tutti i cieli può contenere
sol che tu lo voglia
e dica il tuo si di
bimbo fiducioso.