Lartista parla del nuovo disco che contiene anche
riflessioni eccellenti: da Bertinotti a don Giussani
Gaber: «Canto i talenti del 68, perdenti come me»
Giorgio Gaber lancia un nuovo disco («La mia generazione ha perso») e torna in tv a
presentarlo, fianco a fianco con Adriano Celentano, rendendo omaggio ai talenti del
68. Il disco (accompagnato da un libretto con i commenti di Fausto Bertinotti,
Francesco Alberoni, don Luigi Giussani e Antonio Ricci) uscirà il 14 aprile e
racconterà, tra laltro, il «grande vuoto» per la mancanza di una classe
intellettuale «che non ha più niente da dire». Ma il disco vuol anche essere un
pretesto per parlare di unesperienza dartista vissuta nel segno
dellimpegno. Della moglie Ombretta Colli, presidente per Forza Italia della
Provincia di Milano, dice: «Il 13 maggio
mia moglie non è candidata e posso tornare ad astenermi».
Gad Lerner
ANTEPRIMA Parla il cantautore che lancia un disco sulle sconfitte della sua generazione:
«Sento il vuoto di una classe che non ha nulla da dire»
GABER Lemozione di sentirsi perdente
di GAD LERNER
La disarmante sincerità di Giorgio Gaber, luomo che negli anni Settanta ci fece
sobbalzare con la rima fra gelato e proletariato, e che trentanni dopo torna a
produrre un disco per annunciare La mia generazione ha perso , se ne sta rannicchiata in
un villino circondato dagli alberghi a una stella delle prostitute latino-americane, nella
sua Milano piccolo borghese di sempre, solo un po più malinconica e arrabbiata, tra
Lambrate e Città Studi. Non ce nè un altro al mondo che ti possa raccontare nello
stesso tono partecipe lo Studio Uno di Mina e la new left americana, il clan di Celentano
e la scuola di Francoforte: perché Gaber nel Sessantotto andava in Statale a prendere
lOmbretta Colli che studiava il russo e il cinese, però ci andava con la Jaguar e,
da trentenne ganassa qual era, si lasciò incantare da quei giovani ribelli indifferenti
alla sua automobile e alla sua celebrità televisiva. Nel nuovo disco la sua generazione
che ha perso fa rima con le idee del secolo scorso ma anche con la possibilità di
raccontarle ai figli senza rimorso. A 62 anni sente «un vuoto totale», intitola
lultimo canto a La razza in estinzione , rimpiange «le strade, le piazze gremite/
di gente appassionata/ sicura di ridare un senso alla propria vita/ ma ormai son tutte
cose del secolo scorso/ la mia generazione ha perso». E allora chiude il cerchio tornando
perfino in televisione, ma una volta soltanto, fianco a fianco con il Molleggiato, perché
è giusto rendere omaggio alle sue origini che non erano certo quelle di un intellettuale
délite. Proprio lui, il maestro autodidatta che invano ci ha proposto
lesempio di una serena appartatezza dallo star-system, costringendoci a riempire i
teatri se volevamo scrutarne la metamorfosi, e dividerci, e arrabbiarci, e accusarlo di
qualunquismo per via degli umori inconfessabili che snidava in noi. Non fosse Gaber, lo
liquideremmo come un furbo di tre cotte, vista lincredibile trasversalità dei
personaggi riuniti nel libretto del cd, ciascuno chiamato a commentare una canzone, edita
o inedita: da Fausto Bertinotti a Francesco Alberoni; da Luigi Giussani a Antonio Ricci
che lo definisce «veramente buono» e «veramente tollerante». La prova? «Non ha ancora
strangolato la moglie Ombretta Colli di Forza Italia». Figuriamoci, lui, che non votava
più dal 1975, per amore di Ombretta si è trascinato fino al seggio elettorale:
«Fortunatamente il 13 maggio non è candidata, posso tornare allastensione. Come
dice il mio amico Giampiero Alloisio, io non temo Berlusconi in sé, temo Berlusconi in
me». Invece Gaber non è affatto un furbo. Perché se è vero che don Giussani ha citato
lungamente la canzone Lappartenenza negli esercizi spirituali di Comunione e
liberazione («Sarei certo di cambiare la mia vita/ se potessi cominciare/ a dire noi»),
non per questo lui rinuncia allinvettiva: «e vedo anche una Chiesa/ che incalza
più che mai/ io vorrei che sprofondasse/ con tutti i Papi e i Giubilei». Seduto sul
divano con leterno girocollo blu e le eterne Clarks ai piedi, è il primo a
stupirsi: «Strana gente, gente viva questi ciellini. Sono anche venuti qui a casa per
discutere con me dopo lo spettacolo, una volta lo facevano i giovani di sinistra». La
sinistra che continuamente lha attratto e deluso («non si sa se la fortuna sia di
destra/ la sfiga è sempre di sinistra») non è certo quella di DAlema e Veltroni:
«Nel Sessantotto loro erano la Fgci, erano i nemici». La rivolta libertaria, la libertà
come partecipazione, già col movimento del 77 per Gaber ripiegava nella pretesa
deludente di soddisfare bisogni mercificati, e oggi nei centri sociali esprime un
antagonismo che è solo rabbia. Per questo a teatro lha fustigata e sfottuta con
amore, lha costretta a guardarsi dentro, rimettendo - come le sue canzoni - la
persona al primo posto. «Una volta ho domandato a Sofri: ma tu ci credevi veramente
alla rivoluzione? E lui: forse non ce lo siamo mai chiesti, o avevamo paura di
chiedercelo». Così, ogni estate, in Toscana, si mette lì con lamico pittore
Sandro Luporini a scrivere canzoni e a misurare la
miseria dei luoghi comuni e delle mode culturali. «Sì, quella generazione ha avuto la
forza di coinvolgere uno come me, il chitarrista di Celentano divenuto cantante solo
perché lui arrivava in ritardo e lorchestra aveva bisogno di una voce con cui
provare». Intellettuali come Nanni Ricordi e Dario Fo mi hanno fatto venire la
voglia di pensare, di trasformarmi. Mi hanno fatto conoscere un economista cosmopolita
come Giovanni Arrighi, un militante filosofo come Romano Madera, un vero freak come Andrea
Valcarenghi.
Ecco, sono i talenti di allora quelli che hanno perso insieme a me». E il
Sessantotto dei Fischer e dei Cohn-Bendit accusati di terrorismo e pedofilia, è il
Sessantanove di Sofri finito dietro le sbarre di una prigione. «Ora sento il grande
vuoto, vedo una classe di intellettuali che non ha più niente da dire dopo decenni di
sviluppo senza progresso. Hai voglia a ripetere che bisogna ascoltare i figli, parlargli:
ma cosa cazzo gli diciamo?». Il prodotto della metamorfosi-Gaber è un uomo di teatro:
«Se Mina è uno strumento
meraviglioso, unugola straordinaria, io sono un attore che canta amplificando
lemozione con la musica». Una mutazione che proprio da Mina incominciò, per
giungere ai concerti di autofinanziamento militante e in seguito allencomiabile
sforzo di conservare, se non altro, il buon gusto. «Fu proprio in seguito a una lunga
tournée teatrale in cui facevo da spalla a Mina che nel 1970 decisi di scomparire dalla
televisione e dal mercato discografico. Ho sentito il rapporto fisico col pubblico, la
sfida di inventare canzoni che la gente in teatro ascolta per la prima volta e subito
devono lasciare il segno». In quei teatri si sono consumate molte crisi esistenziali
della militanza. La demolizione del conformismo di sinistra, del politically correct ,
della solidarietà pelosa. Se uno sul palco, con voce grave, ti sfotte cantando che il
collant è di sinistra mentre il reggicalze è di destra, e che lideologia è facile
a sciogliersi come uno shampoo, ti viene il dubbio che anche il potere dei più buoni sia
solo una grande ipocrisia. Tanto più se te lo dice senza cinismo, col tormento di chi
partecipa delle tue passioni. E così pure tu ti senti obeso, come nella canzone ancora
inedita, a furia di mangiare idee, opinioni, soldi, sentimenti, fino a «un gonfiarsi
disumano». Se poi grida che i gay «han tutte le ragioni/ ma io non riesco a tollerare/
le loro esibizioni» magari ti scandalizzi, ma senti che è turbato anche lui. Gaber
lo ammette: «A un certo punto io mi sono innamorato di quella razza lì, degli
intellettuali. Ho smesso di frequentare Mina e Celentano per frequentare, al posto loro,
il Gruppo Gramsci, finché sè sciolto come avrebbe fatto tre anni dopo Lotta
continua. Mi hanno fatto orrore gli autonomi, mi ha lasciato indifferente la svolta
mistica arancione del fondatore di Re Nudo, Andrea Valcarenghi, che pure resta un amico.
Ricordo Dalia ancora bambina che un giorno mi chiama, "papà, cè Andrea al
telefono, ma deve essere impazzito perché dice di chiamarsi Majid". Ecco, con tutto
questo, io mi sento ancor oggi un privilegiato per il fatto di essere rimasto fuori
dallorgia televisiva». Ha preferito costruirsi un popolo di seguaci,
accomunato da una sconfitta da assaporare ciascuno a casa propria, magari ascoltando un
cd.
Il Cd di Giorgio Gaber e Sandro Luporini, «La mia generazione ha perso», uscirà il 14
aprile per la CGD.