GUIDA ALL'APPRENDIMENTO DELLA NOSTRA LINGUA
a cura del prof. Antonio Margherini

LE SILLABE

 

Luigi De Bellis

 
 
 

INDICE

Introduzione
Concetti preliminari
Le lettere
Le sillabe
Le parole
Le parti del discorso
Elisione e troncamento
La punteggiatura
La proposizione
I complementi
Il periodo
Lo stile
Il linguaggio figurato
I linguaggi settoriali
 
Esercitazioni
 
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                           LE SILLABE (= molecole)

1.

Una o più vocali con o senza una o più consonanti, che da sola o in gruppo costituisca un corpo fonetico che si pronuncia con una sola emissione di voce, forma una SILLABA.

2.

La sillaba dunque è l'indicazione grafica di una vocale o di un gruppo di vocali o di un gruppo di lettere contenente almeno una vocale che si pronunzia con una sola emissione di fiato.

Esempi

                                           a-e-i-o-u

              ai -au-ei-eu-iu-oi-ou-ui-ia-ua-ie-ue-io-uo
             (dittonghi, cioè due vocali di cui una sia "i" o "u")*

                         uai - uei - uoi - iai - iei - iuo
           (trittonghi, cioè tre vocali, due delle quali siano 'T' o 'V'), 

                                 da -de-di-do-du 

                                 ad-en-in-od-un 

                                      qua - qui 

                                tra - fra - sco - sca 

                                       spro - stra

3.

Alcune sillabe possono costituire parola (se hanno un senso in sé definito) e possono far parte di una parola:
     a (preposizione) - a-mi-co (parte di parola)
     qua (avverbio di luogo) - qua-dra-to (parte di parola)

4.

Altre sillabe da sole non costituiscono parola:
     stra (non significa nulla)
     stra-or-di-na-rio (parte di parola)

5.

Si noti nella parola "straordinario" che la a e la o di straor non costituiscono dittongo perché non si possono pronunciare con un'unica emissione di fiato e perciò danno vita a due sillabe; invece la i e la o di rio costituiscono dittongo e fanno una sola sillaba.
Però anche i dittonghi a volte richiedono due emissioni di fiato per essere pronunciati e in questo caso formano sillabe separatamente e costituiscono quello che i grammatici chiamano iato (=separazione): mor-mo-rì-o.

6.

In pratica la scomposizione di una parola nelle sillabe che la costituiscono serve unicamente quando c'è la necessità di dividerla in due tronconi perché tutta intera non entra nel rigo di scrittura (questo avviene ovviamente a fine rigo).
A tal riguardo diamo alcuni suggerimenti pratici da seguire in barba a tutte le "regole" che si dovrebbero conoscere per scomporre correttamente una parola in sillabe:

a) non creare l'occasione: se una parola non entra nel rigo, riportarla nel rigo successivo.
Questo suggerimento taglia la testa al toro - come si suol dire - e dovrebbe dispensarci da darne altri. Ma poiché può capitare che proprio non possiamo fare a meno di dividere una parola in due parti, ecco altri suggerimenti, sempre di natura pratica:

b) non dividere mai le vocali, anche se non costituiscono dittongo o trittongo: straor-di-na-rio;

c) assegnare le consonanti sempre alla vocale o alle vocali che le seguono a meno che il loro gruppo non sia di quelli che non possono dare inizio ad una parola. In questo caso una consonante si lega alla vocale precedente.

Esempi:
man-gia-na-stri: il gruppo ng è stato diviso perché non esiste in italiano una parola che inizi con "ng", mentre il gruppo str è rimasto compatto in quanto può dare inizio a parole (strofinaccio, straordinario, straniero, ecc.);
mu-si-cas-set-ta: le ss e le tt vanno divise perché non esistono parole che iniziano con due consonanti uguali.

7.

La sillaba si dice tonica quando l'accento tonico della parola (quello che indica la sillaba su cui deve essere marcata l'intensità del suono nella pronuncia della parola) cade sulla sua vocale o su una delle sue vocali. altrimenti si dice atona (cavàllo: ca: sillaba "atona"; vàl: sillaba "tonica"; lo: sillaba "atona").**


* ui ed iu fanno dittongo quando nella pronuncia entrambe sono "atone" (senza accento tonico: "guidàre", "Giusèppe") o quando l'accento cade sulla seconda vocale ("Lgi", `fme"); u ed i formano dittongo con o a e quando entrambe le vocali sono "atone" ("Euròpa", "guerrièro") o quando l'accento cade su "o", "a", "e" ("làuto", "medno").

** In italiano abbiamo l'accento grave ( ' ) per indicare le vocali dal suono aperto ("bontà", "ahimè") e l'accento acuto ( ' ) per indicare le vocali dal suono chiuso (`perché", "pózzo"). In pratica noi usiamo sempre l'accento grave su tutte le vocali e riserviamo quello acuto solo per la e e la ó quando hanno suono chiuso: pésca (l'attività dei pescatori), per distinguerla da "pèsca" (il frutto del pesco); bótte (il recipiente per il vino) per distinguerla da "bòtte" (le percosse). Tuttavia nella scrittura l'accento di solito si omette, tranne che sulle parole "tronche" per le quali è obbligatorio (`felicità", virtù").

Attenzione: le parole monosillabe si scrivono sempre senza accento ("sta", "va", "fa", "qui", "qua", ecc.) a meno che si tratti di "omògrafi" (due parole graficamente uguali ma di significato diverso) nel qual caso bisogna mettere l'accento su di una (quella che si pronuncia con suono marcato) per distinguerla dall'altra: per esempio si dice "la vidi al cinema" e "andai anch'io", perché nel primo caso "la" è pronome personale e nel secondo "là" è avverbio di luogo e fra le due è questa seconda che si pronuncia con tono più marcato. Così pure: "li vidi al cinema" e "andai anch'io".

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2001 © Luigi De Bellis