COLDPLAY

A RUSH OF BLOOD TO THE HEAD

la cover del cd

singolo "In my place"

gruppo

 

Politik

In my place

God put a smile upon your face

The Scientist

Clocks

Daylight

Green eyes

Warning sign

A whisper

A rush of blood to the head

Amsterdam

 

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Largamente anticipata dal singolo di lancio "in my place", l'opera seconda dei Coldplay traccia le rotte verso i nuovi orizzonti sonori che il quartetto inglese non fa mistero di inseguire.Se infatti Parachutes poteva tradire un gusto un po' acerbo verso la composizione pop e le soluzioni facili, A rush of blood to the head segna una evoluzione in parte inaspettata,in parte da benedire.Se esistessero delle coordinate fantastiche sulle quali disporre questa tendenza musicale,beh potremmo collocare questo gruppo a metà strada tra il malinconico pessimismo radioheadiano e il cazzeggio pop/rock degli Oasis : dei primi sono evidenti le atmosfere dominanti ,il modo di cantare di Chris Martin e alcune scelte musicali, mentre dei secondi c'è l'indiscutibile predilezione per le sonorità brit-pop. Parlavo di scelte musicali, ma sarebbe meglio definirle melodiche : sarà la malinconia sopra descritta, sarà che hanno imparato a scrivere così, ma se c'è una cosa che fa di questo un disco rock sono proprio le melodie insolite, mai banali, insomma, per nulla pop, pare siano trascinate lamentose dalla voce del cantante,che, peraltro, è autore  di testi incentrati sui temi dello smarrimento post-fine-storia, della necessità di comunicare e anche dei rimorsi. Da un certo punto di vista "in my place" rischia di tradire quello che è il reale andamento del disco, fatto di melodie mai dirette e composto da tracce difficilmente riconducibili ad una struttura esplicitamente pop, anzi a conquistarvi potrebbe essere proprio questo senso di smarrimento e di sorpresa, sorpresa per come ad esempio nasce e si evolve la bellissima "politik", oppure per la sconvolgente "clocks" ( "vieni su per i miei mari,maledette mancate occasioni/sono una parte della cura, o della malattia?")  ; oltre a questi momenti, forse i più rock, troviamo intervalli di romanticismo come le splendide " the scientist" e "a rush of blood to the head" con strizzatina d'occhio agli anni '60 ("green eyes") e volendo pure agli U2 ("warning sign").L’ultima scarica di rock è “a whisper” e anche definirla niente male sarebbe ingiusto : oltre ad essere suonata come Qualcuno comanda, questa traccia sembra riflettere l’ombra di  quei Radiohead che scesi dal treno con Ok Computer non abbiamo poi più rivisto.Il disco si conclude sulle note abbastanza pacate della già citata “a rush of blood to the head” e di “Amsterdam” . La prima impressione probabilmente vi porterà a non capire perché tanta importanza ad un disco che è si carino, ma niente di speciale ; la spiegazione la potrete trarre da soli una volta usciti da quella spirale di inspiegabile dipendenza che quest’album sembra provocare : saranno le melodie così capricciose, sarà la carica emotiva della voce di Chris Martin (in questo sempre più vicino a Jeff Buckley) , fatto sta che alla fine dovremo ammettere la riuscita di quest’opera, che traccia dopo traccia sembra fotografarci mentre fissiamo il vuoto nel malinconico ricordo di ciò che è stato, senza accorgerci che ad offuscarci la vista è una lacrima, e non una delle tante gocce di pioggia che si affollano, rumorose, sul vetro della nostra finestra.

Vincenzo De Simone

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