THE DIVINE COMEDY

REGENERATION

Timestratched

Bad Ambassador

Perfect Lovesong

Not to Self

Lost Property

Eye of the Needle

Love What You Do

Dumb It Down

Mastermind

Regeneration

The Beauty Regime

torna a bloodfowers

Un grezzo richiamo al futurismo annuncia già dalla copertina che alcune cose sono cambiate : Neil Hannon, leader dei Divine Comedy, ha deciso che non si può sempre fare tutto da soli, si è lasciato convincere a farsi aiutare da altri sei musicisti rinunciando anche ad apparire in copertina come spesso è accaduto in passato. L’ego del giovane dandy irlandese ha però preteso in cambio un produttore d’eccezione : Nigel Godrich , già mago del suono di Radiohead e Travis, e spolverando alcuni lavori precedenti ci si rende conto che effettivamente il produttore qualche merito ce l’ha. Da sempre interessato ad una forma di pop che non fosse banale o ripetitiva, Hannon si lascia alle spalle la classe e l’eleganza di “A short album about love” e si dedica ad una evoluzione in parte spiazzante, in parte estremamente gratificante.Sembra finita l’epoca degli arrangiamenti orchestrali a tutti i costi , le chitarre acustiche si fanno largo ed i loro accompagnamenti si dispongono lungo tracce dal sapore anche un po’ ironico, come “Bad Ambassador” (“voglio mostrarti molto di più…ma forse un’altra volta”)  e  “Perfect lovesong” , quest’ultima quasi un campione dimostrativo della perfetta canzone pop.I contenuti non tardano ad emergere in mezzo a tanta finta leggerezza, ed ecco quindi ballate dall’incedere lento e trascinante, come “Not To Self” , o la bellissima “Lost Property” , spaccato di un visionarioe romanticismo sul paradiso delle cose perdute.Interessante, se non altro per il brillante testo , è “Eye Of The Needle” , in cui Hannon fissa l’ipocrisia dei fedeli con un’immagine sospesa tra l’ironico ed il triste (“le auto nel cortile della chiesa/sono scintillanti e tedesche/chiaramente in contrasto/col tema del sermone/e durante la comunione/fissavo le persone/che si stringevano attraverso la cruna dell’ago”).Ci sono sprazzi di ottimismo (“Love What You Do”) , ma la protesta verso la rigidità delle strutture sociali sembra dominare, dando così la luce a capolavori come “Mastermind” (“dimmi cosa diavolo è normale, e chi è sano/e comunque perché fregarmene?/i sogni che abbiamo fatto provano che siamo tutti matti e questo va bene”) e      “ The Beauty Regime” (“tutto ciò di cui hai bisogno è dimenticare tutti i consigli inutili e vivere la tua vita per te/non lasciare che ti vendano dei sogni impossibili/non essere schiavo del regime della bellezza/guarda di nuovo nello specchio e vedi quanto perfetto sei”).Il disco si chiude con questi versi, a sigillo di un lavoro essenzialmente pop ma che non rifiuta di citare realtà musicali attigue tra le quali spiccano i Radiohead su tutti (“Not to self” , “Regeneration”), e qui torniamo al discorso del produttore, abile nel tirare fuori laddove è necessario le grandi potenzialità rock dell’intero gruppo.Purtroppo lo stesso gruppo si è sciolto a fine 2001 per volontà dello stesso leader, il quale ne ha conservato il nome rendendo molto probabile l’idea di rivederlo affacciato agli scaffali dei negozi, se non altro perché ascoltando questo disco si ha tutta l’impressione che questo folletto abbia ancora molto da dire,soprattutto a quei finti intellettuali votati al dio rock convinti che la musica sia buona purchè non leggera, assuefatti alla ormai smentita regola che pop è una parolaccia e che la popstar intelligente sia solo una figura mitologica evocata (ed inventata) dai discografici in crisi…decisamente triste.

Vincenzo De Simone