THIRTEEN |
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Una studentessa modello, Tracy, quando arriva al liceo, subisce l’influenza di Evie Zamora, nota come la ragazza più carina della scuola, e fa di tutto per imitarla. La sua vita cambia, immediatamente: dal viso acqua e sapone diventa una ragazza con la fretta di crescere. Tracy abbandona le vecchie amiche ed ospita in casa la sua nuova compagna, Evie, che le fa scoprire un mondo pericoloso, fatto di solo droga, sesso e piccola criminalità. La ragazzina, salta le lezioni, smette di studiare e si impegna solo ad essere alla moda, sensuale e ad avere un look giusto. Il suo rapporto con la madre, Melanie, una parrucchiera alcolista, separata e fidanzata con un ex-tossicodipendente, da lei odiato, si deteriora mano a mano, ma, alla fine, la rivelazione della vera identità di Evie, la riporterà ad una sorta di riconciliazione con lei. L’opera prima della sceneggiatrice di “Vanilla Sky”, Katherine Hardwick, propone uno spaccato molto crudo della vita degli adolescenti di oggi. Tratto dalla sceneggiatura autobiografica della allora tredicenne Nikki Reed, oggi quindicenne, scritta due anni fa, “Thirteen” è la storia di una generazione sola, disperata ed iperstimolata a trasgredire le regole del buon vivere. Presentato in Concorso al Sudance film festival, il film ha avuto un grande trionfo. Ciò che sconcerta di “Thirteen è l’impotenza dei genitori a porre fine al cattivo comportamento dei ragazzi, che fanno di tutto per sentirsi accettati dalla società, che li circonda. Meno perverso di “Kids” di Larry Clark, questa regia di Hardwick ha un tono molto veritiero ed in ciò è aiutato anche dall’uso della macchina a mano, che corre attraverso la casa, dentro e fuori, sui boulevard, attraverso i corridoi della scuola, nei negozi. Il viaggio iniziatico di Tracy si trasforma da cammino autodistruttivo a rivelazione della ricerca d’affetto, a cui tendono tutti i ragazzi smarriti e confusi da un mondo, che valorizza solo ciò che è bello.
Intervista alla
regista Catherine Hardwick - Mi ha colpito la sceneggiatura che ha
scritto con una delle protagoniste del film, Nikki Reed. Ciò ha dato
veridicità al film. Come ha lavorato con tale ragazza? “Nikki la conoscevo da 5 anni, poiché ero stata con suo padre per poco tempo. Le volevo bene, come anche a suo fratello, e la ritenevo molto divertente. Poi, ad un tratto, a tredici anni si è trasformata in una ragazza di diciotto anni. Era sempre arrabbiata ed ossessionata dal suo aspetto esteriore. Si alzava alle 4:30 per farsi il trucco, curava il suo aspetto fisico e non faceva nulla: non leggeva libri, non studiava. I suoi genitori non sapevano come fare. Lei stava attraversando un brutto periodo ed aveva una relazione difficile con suo padre e sua madre. Era più a suo agio con me, che non ero uno dei suoi genitori. Così, le proposi di fare qualcosa di costruttivo: andare alle mostre, arrampicarsi su roccia, fare surf. Scoprii, che le piaceva recitare. La recitazione io e Nikki la prendemmo seriamente: le feci leggere libri, prendere lezioni, frequentare dei seminari. Ho visto che aveva un grosso istinto, ma non c’erano ruoli per una tredicenne. Allora, abbiamo pensato di scrivere una nostra storia, una teen comedy, dandoci sei giorni di tempo. Mi resi conto che bisognava scrivere quello che succede veramente a questi ragazzi”. - Mi ha colpito nel film l’impossibilità di capire cosa sta accadendo e come intervenire. Lei è stata privilegiata, perché non era la madre diretta ed è intervenuta da fuori. Qual è la ricetta? “Prima esisteva la tribù, la famiglia allargata, nel senso che se non bastavano i genitori c’erano altri adulti. Invece, oggi spesso non ci sono entrambe le figure dei genitori. L’adolescente ha bisogno di un rapporto di comunicazione. La madre dovrebbe scoprire cosa interessa alla propria figlia, farle fare delle attività fisiche: surf, scalare le montagne, ecc. Solo se ascolta, può scoprire un punto di contatto. Bisogna ricordare che l’adolescenza è un periodo che tutti noi abbiamo passato, un momento particolare, in cui ci si stacca dal genitore e ci si mette alla prova da soli. Prima c’erano i rituali di passaggio (riti), che erano naturali. C’è una citazione che dice che «ogni generazione è riuscita a sopravvivere avendo la scienza»”. - Secondo lei, quali sono le cause della cultura delle ragazze? “Principalmente, bisogna equilibrare ciò che la cultura dice loro di fare con ciò che dicono le loro mamme”. - Per quanto riguarda la stesura della sceneggiatura, ha parlato prima con degli assistenti sociali, psicologi? “Si. Ho parlato anche con degli insegnati, oltre che con un’associazione di psicologi. Questi hanno affermato che la storia risultava valida per una grossa fetta degli adolescenti”. - Lei è un’ottima scenografa. Come è avvenuto il passaggio da sceneggiatrice a regista? “Abbiamo molti esempi di questo passaggio: Hitchock, Burton, Cameron. Mi occupavo di sceneggiatura già prima. Infatti, tra un lavoro e l’altro ero solita scrivere delle mie sceneggiature. Sono andata ad una scuola di cinematografia, dopo essermi laureata in architettura. Per “Thirteen” ho trovato un basso budget per realizzarlo. Una mia prima sceneggiatura si svolgeva durante la guerra civile americana e parlava di una ragazza, che combatteva travestita da uomo. Era una storia vera”. - Ritiene che la cultura di oggi dovrebbe fare un po’ di autocritica? Pensa che essa è ipocrita ad accorgersi solo ora dell’importanza della famiglia? Il dramma di queste bambine è la mancanza di famiglia? “Sicuramente si, ma credo che ci sia un’accentuazione posta sul guadagno, sul capitalismo, sui valori materiali. L’unico valore vero è la famiglia, ma deve essere un fenomeno sentito da tutto il mondo”. - Tutti i personaggi del film hanno dei
problemi, non solo le donne, ma anche gli uomini. Il film è incentrato sul
problematiche delle donne, mentre quelle degli uomini vengono solo toccate:
problemi di lavoro, droga. Lei parla di una famiglia distrutta che non
andava sostituita. Come sostituire l’autorevolezza? “ Credo che non vada fatto e che non bisogna esagerare. Un altro fenomeno è il divario di età tra padre e figlio. Voi vedete una madre, Holly Hunter, vestirsi come una diciottenne e la figlia cercare di imitare la madre, una quarantenne. I genitori per primi cercano di perpetuare questi atteggiamenti dei loro figli. Molti terapeuti ci hanno informato che il tema dell’amicizia tra genitori e figli e dell’autorevolezza è un percorso difficile. I giovani cambiano di giorno in giorno”. - Ci sono degli idoli per queste ragazze nel cinema, nella lettura? “Ho visto foto di modelle, di Angelina Jolie, di superstars, attaccate in una stanza di una di queste ragazze del film”. - Leggono fumetti? “No, sfogliano solo le riviste che contengono molte fotografie. Nella classe, che frequenta Nikki, c’è una cultura della distruzione: non si studia. Sono 45 alunni e hanno pochi modelli a cui rifarsi. A livello sociale bisognerebbe fare qualcosa. Sono pochi i ragazzi che possono permettersi di andare nelle scuole private. Non sono entusiasta di spendere fondi per la guerra, invece per aiutare i giovani si. Ogni sabato ci sono dei giornalisti che vanno in alcune scuole pubbliche, per aiutare i ragazzi a studiare, a scrivere le loro emozioni, invece di tagliarsi le vene, come Tracy nel film”. - Come ha vissuto lei, personalmente, quest’età transitoria? Dopo l’esperienza del film è cambiata Nikki? “Io sono nata e cresciuta nel Texas meridionale, dove c’è stata molta cultura delle droghe. V’erano i festini, le ragazze calde ed io non riuscivo a costruirmi una nicchia in tale mondo. Inoltre, non avevo l’aspetto di Nikki. Oggi si è aggiunto il bisogno di essere sexy e i mass-media non fanno altro che pubblicizzarlo, a danno dei giovani ragazzi, che assorbono tale messaggio, mettendolo in atto. C’è un tasso di ipocrisia molto alto nella società. Nikki oggi ha quindici anni, frequenta il secondo ginnasio ed ha un nuovo ragazzo. L’esperienza di “Thirteen” è stata utile: voleva recitare e ci è riuscita. Ha risolto alcuni problemi, anche se si sono aggiunti altri. Ultimamente, ha fatto una scelta dura per un nuovo film”. - Thirteen è stato vietato negli Stati
Uniti ai minori di diciassette anni, mentre in Italia esce per tutti. Quali
sono state le reazioni del pubblico e della critica? Che tipo di messaggio
esce, se non un senso di colpa per i genitori? “La censura viene se compare per due volte la parola che inizia con f. Si, questo film è vietato ai minori di diciassette anni, almeno che siano accompagnati. Sullo schermo puoi mostrare gente ammazzata in grande quantità, ma tale fatto non lo capisco! Quasi tutti i critici hanno amato questo film e provocato molti commenti. Tra il pubblico c’erano genitori che, non avendo figli di questa età, rimasero spaventati, al contrario di altre, che erano a conoscenza della situazione e sapevano che era così. Il film ha aperto un dialogo tra i genitori ed i figli. Noi ci auguriamo che il sistema psicologico migliori e che sorga un servizio pubblico per aiutare questi ragazzi. Si può fare anche cine-terapia, mostrando questo film. Parlando del film, i ragazzi parlano di sé. Si tratta di un sistema mediato”.
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Regia: Catherine Hardwick Cast: Holly Hunter Evan Rachel Wood Nikki Reed Brady Corbet Deborah
Kara Unger Sceneggiatura: Catherine Hardwick & Nikki Reed Fotografia: Elliot Davis Musica:
Mark Mothersbaugh Produzione: Michael London Productions Working Title Films Antidote
Films Distribuzione: 20th Century Fox Origine: Usa, 2003 Durata: 100’
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Recensione di: Grazia Monteleone Data: 01/12/2003 Thanks To: - |