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Intervista n. 1 a cura di Mariella Nocenzi

Deputato parlamento italiano del Partito dei Verdi, firmatario
della legge quadro sull’ elettrosmog

Roma, 17 ottobre 2000

 

Domanda: Inizierei con il chiederle come e quando è venuto a conoscenza nelle sue attività professionali con il problema dell’inquinamento elettromagnetico?

Risposta: E’ una storia abbastanza lunga, perché verso la metà degli anni Ottanta in Italia si è prodotto quasi esattamente quello che si è prodotto negli Stati Uniti negli anni Settanta: la percezione del rischio elettromagnetico fu immediatamente connessa all’installazione della rete di trasmissione televisiva, i tralicci per capirci. Quindi le prime preoccupazioni, alla base poi della costituzione dei primi comitati di cittadini "preoccupati", sono legate all’installazione di tralicci per le linee ad alta tensione, da cui, quindi, il problema degli elettrodotti e dei cavi ad alta tensione. Addirittura, verso la fine degli anni Ottanta, credo che fosse il pretore di Marina di Pietrasanta, in Versilia, che dette ragione ai dipendenti che si battevano contro l’installazione di questi elettrodotti. Addirittura nell’estate del 1990 il problema divenne critico, anche perché l’ENEL tentò lungo la costiera Romagnola di far insediare la linea - lì era la terza, sul Tirreno, invece, ne passano tantissime - ad altissima tensione (forse era la mitica mille kilowatt). Questo causò vere e proprie sollevazioni popolari. Allora io mi trovavo in una delle Commissioni Parlamentari per le Attività Produttive ed ero preoccupato un po’ della situazione. Siccome stavo discutendo in Commissione Industria su uno dei disegni legge del Governo attuativi del Piano nazionale energetico - l’ultimo quello del 1988, poi non ne sono stati fatti più - approfittai per chiedere al Presidente della Commissione un incontro informale tra Ufficio di Presidenza della Commissione e questi comitati. Cosa che accadde puntualmente, esattamente a settembre. Vennero i tre comitati rappresentativi un po’ di tutte le situazioni italiane, dal Veneto alla Versilia, anche dal Sud del Paese. Questa audizione non fu inutile, almeno dal punto di vista normativo, perché in seguito fu inserito nel disegno di legge, che poi diventò la legge n° 9 del gennaio 1991 l’art.2, che originariamente non c’era, e che prevedeva la valutazione di impatto ambientale anche per bacini idrici con certe caratteristiche e per gli elettrodotti ad alta tensione. Da qui poi si ingenerò una strada troppo tortuosa che partì inizialmente dal Dpcm dell’aprile 1992, che fissava appunto, in attuazione dell’art.2, cosa si dovesse intendere per alta tensione (e qui già andammo male), e le distanze di rispetto che furono delineate sulla base delle linee guida dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, seguito poi da un altro Dpcm del 1995, e poi da un decreto concertato da tre ministeri, Ambiente, Sanità e Attività Produttive sulle alte frequenze (invece i primi due sono relativi solo a bassissime frequenze, cioè agli elettrodotti). E questo è stato un po’ l’iter legislativo riguardo alla questione dell’inquinamento elettromagnetico. Se poi la domanda era da quando io abbia iniziato a interessarmi di queste cose, da un punto di vista proprio scientifico, potrei rispondere che ne venni a contatto già a partire dai primi anni Ottanta, in quanto seguii la tesi - devo dire fatto per me un po’ anomalo, perché all’epoca io ero un ricercatore universitario che si interessava in maniera un po’ astratta della fisica matematica - di un mio vecchio studente che, essendo un ottimo elettronico, se ne uscì fuori con un’ipotesi di progettazione di un captatore ionico che serve a fare un certo tipo di misure per quanto riguarda la concentrazione di ioni in aria, i quali ioni sono anche degli indicatori della salubrità o meno dell’aria … Allora cominciai a seguire questa tesi e c’erano anche problemi abbastanza raffinati nel progettare lo strumento sperimentale, problemi teorici. Quando lui si laureò nel’84-’85 avevo già un po’ messo un orecchio, anzi più di un orecchio - anche un po’ di cervello - in questa problematica dell’inquinamento elettromagnetico.

Domanda: Recentemente, però, questo è diventato un problema sociale, al di là della sua valenza scientifica - di cui lei è esperto. Soprattutto si connette il rischio all’antenna sulla propria casa, al ripetitore del telefonino, se non proprio anche al cellulare, più che per altre fonti. Che esperienza diretta ha avuto con questo nuovo tipo di problematica sociale?

Risposta: L’esperienza è singolare, perché si sono costituiti e sono in piedi in questo momento in Italia una miriade incredibile di comitati di cittadini preoccupati per le diverse origini, le diverse fonti da inquinamento elettromagnetico, e ciò per il fatto che ritengono che le onde fanno male. All’interno dello spettro elettromagnetico loro si riferiscono solo ad una parte delle onde, diciamo soltanto una parte dello spettro elettromagnetico, le cosiddette radiazioni non ionizzanti, mentre le radiazioni ionizzanti sono state il tema del movimento nucleare. Qui parliamo di frequenze che vanno da 0 a 300 mhz al secondo, quindi, in questa parte dello spettro, che pure è molto cospicua - cioè si va da pochi giri al secondo a 300 milioni di cicli al secondo - insistono generatori di onde elettromagnetiche diversissimi fra loro: dalle onde cosiddette Ulf, cioè Ultra Light Frequences, agli Elf, Extreme Low Frequences (per capirci le onde elettromagnetiche associate agli elettrodotti), per andare poi più in su, verso tutti i dispositivi che abbiamo in casa, a tutti gli apparecchi di telefonia fissa e mobile e a tutti gli apparecchi che rendono possibili le telecomunicazioni, quindi radio, televisione. Quindi questo è il panorama con gli infiniti dispositivi che funzionano perché ricevono o trasmettono onde e campi elettromagnetici. Tra parentesi, ormai è invalsa la terminologia di chiamare campi elettromagnetici quelli a bassissime frequenze, nonostante i loro periodi lunghissimi di frequenza: questa è la terminologia. Quindi, quello che si può dire è che, come già è accaduto in altri settori, che possono essere poco radiazionalizzanti, e cioè, per capirci, le radiazioni connesse al ciclo combustibile-nucleare, o anche particolari tipi di tossici, c’è un forte divario tra l’entità del rischio e la percezione del rischio. Non c’è dubbio che sono di gran lunga più penalizzanti per la salute le radiazioni ionizzanti - le sto mettendo quasi in ordine - e molto di meno lo sono le radiazioni elettromagnetiche non ionizzanti. Però quello che le accomuna è che il pericolo non si vede, e ciò rende molto più suscettibili alla presenza di questo pericolo. D’altro canto, soprattutto in Italia - ma gente preoccupata ce n’è in tutto il mondo - la particolare fioritura di iniziative e comitati tanto per cambiare è legata al cattivo rapporto che le preposte istituzioni stabiliscono con i cittadini. Se io do vita all’antenna selvaggia, e cioè per cinque anni cerco di rialzare antenne su ogni condominio, fuor di ogni regola e soltanto con l’idea di avere tanti posti per poter ricevere o trasmettere, diventa troppo esplicito il vantaggio utilitaristico per l’azienda per cui si fanno queste cose e la scarsa attenzione per quelli che possono essere gli interessi più generali della popolazione. Quindi, a rendere più acuta la percezione del rischio c’è stato anche questo atteggiamento che adesso ho sintetizzato con lo slogan "antenna selvaggia", cioè il solito comportamento sbracato degli amministratori e delle aziende e anche dei cittadini che, pur di avere un piccolo beneficio patrimoniale e di quattrini per mettere l’antenna sul tetto, poi hanno consentito ad una diffusione incontrollata e probabilmente eccessiva di questi sistemi trasmittenti o ricetrasmittenti.

Domanda: Lei, in modo molto interessante, riunisce la figura dello scienziato, per come era prima, di un ambientalista convinto, molto attento a queste tematiche, e di politico come è ora in funzione. Che tipo di rapporto ha instaurato e visto attraverso la sua esperienza personale con il mondo sociale? Attualmente questa problematica sociale sta spingendo il mondo politico verso determinate soluzioni?

Risposta: Possiamo fare una distinzione tra una figura particolare, e cioè quella dell’ambientalista che ha una competenza scientifica diretta di questa materia e quella del politico. Per quel che mi riguarda, in tutti questi anni ho mantenuto aperto un certo filo fondamentale che mi consente di dedicare tempo alla ricerca. Per questo da parecchio tempo mi sono smobilitato da un certo tipo di ricerche che facevo, che erano ricerche di carattere più astratto, cioè dimostrazioni, per capirci. Ovviamente è un lavoro che uno può condurre per molti mesi senza ottenere alcun risultato e tra l’altro impegnandosi in maniera quasi totale dal punto di vista della concentrazione mentale che questa attività richiede. Concentrazione che, però, è incompatibile con la concentrazione analoga che richiede l’impegno parlamentare. Nonostante ciò in tutti questi anni mi sono molto interessato a tutta la problematica scientifica che sta dietro al fenomeno delle radiazioni elettromagnetiche non ionizzanti, perché poi bisogna dare la risposta alla famosa domanda "Fanno male o no?". Allora, mi pare ormai del tutto consolidato che dal punto di vista delle più serie indagini epidemiologiche ci sono delle indubbie correlazioni. Oltretutto queste indagini epidemiologiche non riguardano tutto lo spettro interessato: ce ne sono alcune che riguardano gli Elf e cito sempre la più nota e secondo me fatta meglio, cioè quella fatta a Stoccolma nel 1992, che riguarda appunto la correlazione tra le insorgenze di leucemie e gli elettrodotti e che mise già allora in luce il fatto che, in corrispondenza a valori di cinquecento volte inferiori ai limiti previsti dalla OMS, si avevano effetti significativi, certo con un rischio bassissimo, questo io non l’ho mai celato. Però era impressionante che si potessero registrare effetti con un rischio bassissimo. C’era anche, poi, la contraddizione che magari salendo come intensità di campo magnetico - che è quello che, anche qui con qualche paradossalità, è a tutt’oggi nel mirino degli effetti negativi dal punto di vista sanitario - salendo di intensità di campo magnetico questi effetti sparivano. Oggi sappiamo perché nel 1992 non si sapeva. Però in generale dico che da un lato le indagini epidemiologiche ci dicono, oggi, che man mano che si esplora tutto lo spettro in corrispondenza dei diversi tipi di dispositivi elettronici che generano radiazioni non ionizzanti si vedono correlazioni tra diseases di carattere sanitario e sorgente elettromagnetica. Quindi non è più in dubbio che queste correlazioni esistano e che quindi esistano disturbi sanitari di vario genere a seconda della banda di spettro che i dispositivi originano in termini di radiazioni elettromagnetiche. Quello che a me interessa dal punto di vista scientifico è capire perché. Perché non esisteva fino a qualche anno fa una teoria in grado di interpretare questo tipo di fenomeni? Devo dire che però, negli anni Novanta, tra il 1990 e il 1994, elementi di questa teoria sono stati costruiti per quello che riguarda l’Italia da un mio collega di corso … che nel 1994 produsse un bel libro, "La coerenza della materia" in cui, prendendo in esame delle teorie che erano già note ai fisici teorici negli anni Settanta - la cosiddetta teoria della supervarianza di Nike - è in grado di costruire un edificio teorico in grado di interpretare alcuni di questi fenomeni. Esistono delle basi teoriche che ci permettono di capire perché campi magnetici ad intensità estremamente bassa sono in grado di produrre effetti sanitari. Sostanzialmente perché, lo dico con uno slogan, le strutture torbide presenti nella struttura della materia sono più diffuse e più significative di quanto non ammettano le teorie più diffuse per quanto riguarda la presenza di ordine nella materia. Il protagonista di tutte queste cose, poi, è il cosiddetto campo quantistico, che in qualche modo è il sotterraneo vettore che trasporta queste interazioni. Rispetto a tutto ciò, la cosa è significativa perché, come ai tempi della battaglia antinucleare, fisici e ingegneri fingevano - o proprio erano ignoranti - e non sapevano quello che i biologi sapevano da alcuni decenni prima, e cioè che non esiste soglia agli effetti sanitari, anzi somatici e genetici, di mutazione genetica, cioè non c’è una soglia al di sotto della quale la dose mi risparmia gli effetti somatici o genetici. E’ sempre un ragionamento probabilistico, per cui i rischi saranno bassissimi, ma la soglia non c’è. Ragionamento su cui ingegneri e fisici hanno insistito per molto tempo. Ma i biologi lo sapevano. Noi fummo dei divulgatori che fecero sapere questo. Oggi esistono delle epidemiologie che ci rendono consapevoli che ci sono correlazioni tra il fatto che l’organismo viene investito da radiazioni elettromagnetiche e che possono insorgere una serie di disturbi anche di carattere leucemico. I rischi sono molto bassi, ma questo non vuol dire che non ci siano. Poi sta al decisore politico fare un confronto costi-benefici/rischi, non agli organi deputati. Invece, da questo punto di vista, io ho trovato singolare che l’Istituto Superiore di Sanità - che all’epoca della battaglia antinucleare fu estremamente rispettoso delle preoccupazioni dei cittadini e di quello che gli enti territoriali, fossero piccoli Comuni o Regioni, gli prospettavano, delle domande che gli rivolgevano - a tutt’oggi ha una qualche spaccatura al suo interno, osservando: "Ma se dovessimo far fronte a questo tipo di rischi, spenderemmo una barca di soldi!", che è tipicamente un compito che non compete all’ISS, a cui compete, invece, dire che i rischi sono molto bassi, cosa che peraltro dico pure io. Però poi, appunto, qui ritorniamo alla percezione del rischio. Per completare, però, la risposta, io ho finora parlato molto dello studio - anche perché oltretutto sono tre anni che devo passare da un appunto di quaranta pagine che voleva divulgare tutte queste cose a un qualcosa che adesso è diventato di tre volumi che forse riusciremo a far uscire, io e i miei collaboratori, prima di Natale e dovrebbe essere la "Bibbia del tutto" … Le dicevo anche che nel 1994 fu eseguita una sperimentazione da due ricercatori russi, Novirof e Jadin, che poi, per essere pubblicata sulla rivista più nota sull’elettromagnetismo, ci mise tre, quattro anni. La ricerca è uscita nel 1998 ed è stata firmata da quattro persone, perché, forse, anche gli statunitensi hanno partecipato a questa pubblicazione, la quale presenta una sperimentazione estremamente convincente che risponde al perché ci sono delle finestre, per così dire, nell’effetto e perché al di sopra di certe intensità non si hanno più effetti. Si spiega che ciò avviene proprio perché ci sono delle crisi di risonanza che vengono attivate in corrispondenza a certe finestre di frequenza. Ma è una cosa lunga e complicata da spiegare. Però questo tipo di sperimentazione spiega molto bene il perché ci possano essere effetti a campi di intensità molto bassa e perché accada solo in corrispondenza di certi valori di frequenza e non a certi altri. Quindi l’obiezione che veniva fatta sul fatto che a più elevate intensità non si trovavano effetti, si spiega esattamente con il fatto che non c’è la finestra di frequenza. Se c’è la finestra il campo passa, se non c’è la finestra il campo non passa, tutto qua. La finestra è sempre collegata, appunto, alla dinamica estremamente complessa che hanno le parti interne della cellula. Questa esperienza è stata risolutiva nel dare una serie di risposte che quando, ad esempio, cominciammo ad esaminare la legge ora in dibattito in Parlamento ancora non c’erano. Io sono stato il primo presentatore della questione del campo elettromagnetico, proprio perché avevo seguito questa esperienza che prima ricordavo dei comitati preoccupati dall’inquinamento elettromagnetico. Quando cominciammo ad esaminare in questa legislatura - era fra il 1996 e il 1997 - questo tipo di proposte di legge, visto che poi immediatamente anche altri ne fecero, perchè l’inquinamento stava diventando "di moda", la pubblicazione di Novirof e Jadin ancora non c’era, essendo uscita nel 1998. C’era il lavoro dei due studiosi, ma francamente anch’io che sono molto interno e addetto ai lavori, non lo sapevo: lo sapevano solo i due autori, gli altri non lo sapevano. Appena fu pubblicato sono stato forse il primo a darne diffusione in Italia. Ho partecipato ad un convegno a Trento e immediatamente feci sapere di questi risultati, che sono appunto molto significativi per le risposte che possono dare. Posso parlare della politica, come ho già fatto, e questo senza rifiutare la mia natura di politico, in questo caso di politico estremamente informato ai fatti, di divulgatore scientifico e, per quello che posso, di costruttore di opportunità. Per esempio, se pensiamo al caso della Scuola Elementare Leopardi, la scuola di Roma che è stata bombardata dalle onde elettromagnetiche e che è diventato un caso nazionale, lì sono state infelici le scelte e io sono riuscito a far scattare la forca della sommatoria, poiché quando nello stesso luogo arrivano più radiazioni elettromagnetiche da più sorgenti che concentrano il loro bersaglio in un’area ristretta, è possibile misurare la radioattività sommata di queste fonti. A seguito di vari incontri con il mio gruppo di ricerca, misi a punto una metodologia di relazione a maglie che ha avuto anche un apprezzamento particolare dall’OMS e che viene usata adesso anche in altre ricerche che appartengono a questo gruppo. Diciamo che questa è un’attività che, compatibilmente al fatto che sono occupato in altre cose e avendo, per fortuna, un gruppo di collaboratori molto validi, gente molto brava, mi posso permettere, limitandomi al più a dirgli cosa sul piano metodologico o teorico andrebbe meglio. Siamo stati fortunati e abbiamo messo a punto una serie di dispositivi e di metodologie che sono molto utili. Questa esperienza è particolarissima. La politica cosa ha percepito? Ha percepito la percezione del rischio, man mano che la gente si preoccupava. Io in questi dieci anni avrò girato non so quante decine di volte in Italia, chiamato per questo problema, e il parlamentare locale quando vede un comitato di duecento cittadini, o il sindaco un intero Paese che si preoccupa, ovviamente cominciano a metterci l’orecchio. Questo, ad esempio, ha giovato a far approvare alla Camera un insieme di proposte di legge, da cui il Governo ha fatto un disegno di legge che è "quadro", nel senso che riguarda tutte le forme di inquinamento elettromagnetico, quelle a bassissime frequenze o ad alte frequenze, e che riguarda anche le operazioni di bonifica e il risanamento da effettuare. Sicuramente questo testo, che è stato approvato alla Camera nell’ottobre 1999, esattamente un anno fa, ed è andato al Senato, e che corre anche il rischio di essere approvato in questa legislatura, se dovesse essere approvato sarebbe la prima Legge quadro al mondo in questa materia. Quindi, questa percezione del rischio ha avuto il risultato positivo di porre, una volta tanto, l’Italia all’avanguardia in materia di tutela ambientale e sanitaria. Cosa che, tra l’altro, non è la prima volta che accade. Questo non so quanto interessa la sua ricerca, però visto che non si interessa solo di inquinamento elettromagnetico, è opportuno ricordare che ciò si verifica più spesso di quanto non si creda. Questa è una Legge quadro, cui ci sono voluti lunghi tempi per l’elaborazione e per esprimere la volontà di farla. Sono le tipiche tematiche in cui tutti si proclamano difensori della salute, in teoria non ci dovrebbe essere nessuna opposizione ad approvare questa legge e quindi dovrebbe essere approvata a breve. Volevo sottolineare il fatto che non è il primo caso in cui l’Italia si trova avanti rispetto ad altri Paesi. Basti ricordare alcuni esempi estremamente significativi. Noi abbiamo bandito l’amianto con una legge del 1992, che, addirittura è un caso interessante, se non per lei, per gli studiosi che fanno Teoria Costituzionale, perché, respinta dal Presidente della Repubblica a Camere sciolte, fu approvata in sede di Commissione deliberante e quindi divenne legge in virtù di un principio costituzionale che prevede che, in caso di diverso parere tra Camere che hanno votato la legge e Presidente della Repubblica che deve firmare, l’ultima parola l’abbiano gli eletti del Parlamento. Proprio per soddisfare questo principio costituzionale potemmo riunire la Commissione in sede deliberante e quindi approvarla. La legge dell’amianto è del 1992 ed è la prima legge che bandisce la produzione e l’utilizzo di amianto. C’erano fino ad allora una serie di predisposizioni prese in precedenza come un decreto dell’anno precedente, un censimento, le mappe regionali, la conferenza sull’amianto, la quale, invece di tenersi due anni dopo, nel 1994, si è tenuta nel 1999, ma questo attiene a difficoltà che hanno le leggi italiane ad essere attuate. In Italia abbiamo pure la legislazione più avanzata da un punto di vista ambientale-sanitario in materia di carburante. C’è una legge che fissa il tenore di benzene all’1%, che in Europa non c’è, e la battaglia per limitare i cosiddetti HC - idrocarburi, polichimici, aromatici e saturi. C’era chi si opponeva, e qui ci fu un fronte molto compatto - perché notoriamente i petrolieri sono molto potenti - che trovò appiglio nel fatto che i livelli previsti dalla Direttiva europea erano molto superiori a quelli italiani e quindi scendere al 30% come avevamo proposto in molti emendamenti non fu possibile, perché si disse "Il resto dell’Europa sta a 45%, la direttiva porta a 40%, noi non possiamo scendere troppo più in basso". Però abbiamo anticipato anche in questo campo l’atteggiamento dell’Unione Europea. Lo stesso si può dire per i CFC (clorofluorocarburi). Adesso sto ricapitolando alcuni di quelli che sono stati i grandi temi trattati alla Conferenza di Rio de Janeiro. Quando c’erano parole come il buco dell’ozono, l’effetto serra, dietro c’erano attività produttive e quindi un conflitto tra interessi di grandi industrie e i governi nazionali, che ovviamente sono sottoposti alla pressione di questo tipo di attività produttive e interessi più generali che sono quelli dell’ambiente e della salute umana. Il buco dell’ozono è dovuto soprattutto ai CFC, non solo, ma soprattutto ai CFC. Noi abbiamo la legge più avanzata che è stata osservata, perché prevedeva in tempi troppo accorciati la messa al bando degli ozono-videns. Perché la dovremmo modificare? Essa configura un assetto decisamente sopravanzato riguardo alla percezione del rischio, alla sua considerazione, all’idea ambientale e sanitaria e più in generale al problema del famoso confronto costi-benefici/rischi. Nel caso delle radiazioni elettromagnetiche c’è una sorta di concorso, nel senso che c’è questa diffusissima percezione del rischio e c’è un Parlamento che, se mai riuscisse a produrre questa legge, si trova in sintonia totale con i cittadini. Questo è singolare perché di solito si "predica" sempre la totale lontananza del Parlamento dalle esigenze dei cittadini.

Domanda: Le volevo chiedere come mai, secondo lei, rispetto a tanti altri Paesi si è riusciti in Italia ad avere questo accordo anche contro interessi economici coinvolti? E’ solamente perché la società ha questa forza vitale di spinta?

Risposta: Beh, indubbiamente nella società italiana ci sono germi, talvolta anche particolaristici, ma che rendono la partecipazione un fatto reale. Noi non abbiamo quella struttura tipicamente anglosassone del comitato per il tombino, del comitato per il pozzo, però è anche vero che su alcuni temi di grande rilevanza c’è vitalità - le radiocomunicazioni, ad esempio, sono il nocciolo duro, su cui ci hanno fatto una campagna notevole e non si può pensare che il cittadino sia tormentato e sia soltanto il consumatore dei dispositivi, dal telefonino cellulare alle infinite articolazioni che l’industria elettronica di consumo e della telematica di consumo gli mettono a disposizione. Ci sarà sempre una parte di cittadini che diventa più colta, più consapevole e si pone anche altri problemi. Indubbiamente in Italia ci sono questi aspetti significativi, anche se devo dire che c’è stato un movimento ambientalista molto meno diffuso che in altri Paesi, nel senso che, ad esempio, in Olanda quasi tutti gli olandesi sono iscritti a Greenpeace. Però una cosa è pagare una quota sociale per Greenpeace, una cosa è sapersi mobilitare su alcune tematiche. Da questo punto di vista io credo che molte di queste cose sono figlie della capacità che in Italia ha avuto il movimento ambientalista di costruirsi in modo fortemente organizzato, soprattutto sulla battaglia antinucleare: all’epoca esso nacque da una liasòn tra antiche esperienze ambientaliste di natura fortemente protezionista e di una natura che aveva come protagonista il WWF e il nuovo soggetto che era Legambiente, più spostata su tematiche di impatto ambientale dovuto esattamente al tipo di produzione, …Quando nel 1986 la nube di Chernobyl è piovuta in mezza Europa, dalla Svezia alla Finlandia alla Francia e alla Germania, e poi è arrivata anche in Italia - in Italia, devo dire, ci è arrivata pure per dritto, geograficamente parlando - ben diverse furono le reazioni: svedesi e finlandesi furono i primi a denunciare, non ricordo le cifre del 1986, questa radioattività; in Francia, addirittura, lo "Stato nucleare" riuscì a seppellire la notizia. Tant’è che dopo quindici giorni che noi avevamo già fatto la manifestazione, non mi ricordo quale giornale francese uscì dicendo "Scusateci", cioè chiese scusa perché avevano taciuto le ricadute nucleari. In Italia, invece, già il 10 maggio ci fu la manifestazione nazionale con più di centomila persone in piazza. Quindi diciamo che la stessa preoccupazione ha avuto risposte diverse in Paesi diversi. Questo, se devo dire la verità, evidenzia un movimento ambientalista meno diffuso come iscrizioni e come numerosità, ma sicuramente molto più capace di incidere. Tant’è che nell’ottobre 1986, cioè pochi mesi dopo, anche se l’Italia aveva pochi impianti nucleari tra centrali e altri tipi di impianti, ci fu il blocco degli impianti nucleari organizzato dal movimento ambientalista. Quindi, questa particolare vivacità si deve - lo dico io naturalmente perché sono tra i vari fondatori - soprattutto per la presenza di Legambiente che da questo punto di vista ha un impegno e aveva un impatto molto più concreto di altre associazioni. Tra l’altro posso parlare di un movimento ambientalista a cui hanno fatto riferimento non soltanto gli ambientalisti D.O.C., ma gente che ha trovato uno sfogo alle sue preoccupazioni, alle sue richieste, ingrossando queste fila se non altro in grossi momenti di partecipazione, magari non iscrivendosi, non facendo militanza ambientalista, ma dando importanti contributi.

Domanda: Quindi anche il mondo economico, in parte anche il mondo scientifico, oltre che la gente comune, secondo lei, hanno una consapevolezza ambientalista più netta rispetto ad altri Paesi?

Risposta: Mah, io direi che si sono stabiliti da oltre quindici anni dei particolari raccordi che in parte tengono, in parte non tengono, ovviamente. Perché l’Italia fu l’unico Paese in cui si presero provvedimenti per cautelarsi dalla radioattività dopo Chernobyl? L’Istituto Superiore della Sanità, allora, suggerì al Ministro della Sanità, di bandire le verdure a foglie larghe, di evitare il consumo di latte che era stato munto in quei giorni nelle dosi che potevano indurre a insorgenze di tumore alla tiroide, soprattutto fra i bambini che, in modo molto tirchio, l’Enea indicò in bassissimo numero di casi, e che invece ragionevolmente noi valutammo in molte migliaia di casi, anche se ovviamente - e questo è sempre il problema delle epidemie - del tutto inosservabili, perché non è che essi portano l’etichetta "Tumore alla tiroide da Chernobyl". Nell’arco di quindici, venti, trent’anni sono un rumore del tutto assorbito nel fondo dei casi di tumore che ci sono, quindi l’osservabilità è sempre molto difficile. Allora successe questa cosa perché esisteva una contiguità tra i pochi scienziati che si battevano contro il nucleare, ricercatori e scienziati attenti a queste problematiche, e la pletora di tutti coloro che, pur appartenendo al mondo scientifico, ripetevano in maniera stucchevole e antistorica, che il progresso tecnico-scientifico è in grado di dare risposte a ogni problema si ponga. Cosa che, nonostante i favolosi risultati del progresso tecnico-scientifico, è onestamente falsa e solo un cretino può continuare a ripetere. Però i cretini costituiscono ancora una maggioranza cospicua all’interno del mondo scientifico, che anche in preparazione della Conferenza di Rio de Janeiro del 1992, ha fatto un appello firmato da tutti gli scienziati del mondo, in cui si conosceva che il gap di condizioni ambientali, igieniche e sanitarie tra il mondo ricco e il mondo povero si stava ampliando, si dava atto, ovviamente e giustamente, dei grandi risultati del progresso tecnico-scientifico, si mettevano in contrasto questi due aspetti, per concludere, però, che in ogni caso dal progresso tecnico-scientifico, dalla scienza, veniva la risposta a ogni quesito dell’umanità. Quindi c’è dietro un dibattito, che ormai in Italia è aperto da oltre trent’anni, sull’oggettività della scienza, sul mito di Prometeo che ha travasato la saggezza … quella versione giudaico-cristiana del dominio dell’uomo sulla natura. Una certa lettura del genere si travasa al mondo, credo, attraverso il mito di Prometeo, viene ribadito nella vulgata cristiana dal giudaismo, arriva indenne fino al marxismo, che tranquillamente ripropone un rapporto del tutto analogo tra uomo e natura: ma, oramai è decrepito, mostra buchi da tutte le parti.

Domanda: Quindi, secondo lei, come politico, questo ruolo di mediazione tra interessi sociali ed economici che la politica dovrebbe attuare, cambierà o sta cambiando in considerazione di questi problemi che sono invisibili, come lei ha detto, e che hanno effetti a lungo termine?

Risposta: Guardi, è molto difficile fare una valutazione perché, francamente, se devo parlare come politico, questi temi - che poi sono i grandi temi del cosiddetto sviluppo futuro sostenibile - sono temi che in Italia trovano una forza politica troppo esile rispetto agli impegni. E questo è anche un po’ il guaio di questo Paese. Sto parlando soprattutto dei Verdi. I Verdi sono un po’ condannati, da quando sono nati, a viaggiare tra il 2.5 e il 3%. Non si sono spostati di una virgola. In tutti i Paesi europei c’è questa fascia di ceti medi, evidentemente urbani ma non solo, abbastanza acculturati, dotati oltre che di sensibilità, anche di consapevolezza, cultura. Poi l’adesione ai Verdi diventa anche un modo di comportarsi, uno stile di vita, o almeno una parte del proprio stile di vita. In questo, in Italia, stiamo abbastanza indietro. Mi ricordo ancora nel lontano 1979 che il Ministro degli Interni tedesco consentì a finanziare una riunione degli esponenti dei movimenti ambientalisti europei nella famosa foresta di (…). Erano gli anni in cui c’erano state le iniziative di movimento, le "Bürgerinitiativen", dove si riconosceva sostanzialmente quella fascia sociale, che è appunto la piccola e media borghesia urbana, che vive decentemente e che ha capito che si può fare un passo indietro per consentire che altri facciano un passo avanti. Noi diciamo l’intelligenza sociale, che nel corso degli anni ha costruito la base su cui sono cresciuti i Verdi in tutta Europa. Ora, i Verdi stanno al 6.5% in Germania, al 10% in Francia, al 25% in Belgio, al 20% in Svezia. Erano arrivati anche al 14% in Inghilterra, ma lì hanno uno spietato sistema che se non raggiungi la soglia sei fuori… Allora, io devo dire che nei più importanti Paesi europei c’è chi rappresenta non soltanto la questione ambientale, perché i Verdi sono visti come protettori dell’ambiente, ma è proprio la sfida di una ideologia innovativa: il mondo politico europeo è ancora diviso tra due vecchie ideologie ottocentesche, il liberismo e il socialismo, come derivato del marxismo, oltre all’ancora più lunga tradizione di un cattolicesimo che può essere o riformatore, e quindi guardare con più simpatia al socialismo, o moderato, e quindi guardare con più simpatia al liberismo, tutte tendenze che, nella migliore delle ipotesi, sono state partorite nell’Ottocento, se non anche prima. Insomma, gli unici che hanno posto la questione dei limiti dello sviluppo del pianeta che è diventato come uno shuttle, e dove l’uso va programmato per risorse e consumi, sono gli ambientalisti che hanno collaborato con i Verdi. I Verdi hanno risposte positive nei più importanti Paesi d’Europa, ma non Italia. Allora io non sono molto ottimista, perché è una fatica bestiale permeare la cultura politica e quindi poi le decisioni politiche. E’ un lavoraccio. Si sta parlando in questi giorni dell’alluvione. Allora, finalmente si sta estendendo il coro di quelli che riconoscono che riempire le aree golinali di abitazioni civili, distretti produttivi, cementare, asfaltare, porta ogni volta che piove ad un disastro… Sì, ci sono stati tre giorni di pioggia di seguito, ma mi pare che, se poi andiamo a vedere i dati, non è che sia un fatto straordinario. Sappiamo sempre che ciò accade in autunno e, però, anche qui l’effetto serra c’entra: piove tradizionalmente a novembre, ma adesso anche ad ottobre, o tradizionalmente ad aprile, ma con il cambiamento di clima, anche a maggio o a marzo ci sono alluvioni. Allora perché le alluvioni generano danni così elevati, anche se questa volta meno del 1994, pur essendo il livello un po’ cresciuto rispetto al 1994? Probabilmente perché ci sono stati una serie di insediamenti, opere e c’è stata una politica di disinteresse. Nel 1994 fu impressionante quando vedemmo quattromila ettari del Tanaro, tutti coltivati a pioppo scomparire …Tutta questa roba qui è regolamentata da una legge fatta nel 1989. Certo, nella decima legislatura si fecero molte leggi importanti. Era la prima volta che c’erano i Verdi, quindi si lavorò per la legge sul risparmio energetico, alla legge sulla difesa del suolo, per citare alcuni importanti esempi: senza retorica, tutte queste leggi furono fatte per impulso del Verdi. Questa legge sulla difesa del suolo prevedeva i piani di bacino. Tutto è stato fatto con estremo ritardo. Il piano del Po’ tuttora è ancora allo stato iniziale: in effetti hanno cominciato a fare le cose da poco, hanno cominciato a fare i primi 150 metri.

Domanda: Però molto lentamente?

Risposta: E’ una cosa faticosissima e non solo a parole. Questo è un aspetto tipico dell’Italia, cioè la fragilità e il rischio idrogeologico, per motivi vari non ha corrispondenti in Francia. Questo ha trovato una pattuglia verde che è riuscita a far dichiarare, con i governi di centro-sinistra, la difesa del suolo non soltanto infrastruttura primaria, ma priorità economica. Noi abbiamo voluto sottrarre la difesa del suolo dal "Capitolo Ambiente" per farle riconoscere il valore di priorità economica, cioè come una delle grandi infrastrutture del Paese. Invece di pensare sempre alle infrastrutture in termini di strade, ferrovie e ponti, la difesa del suolo è una struttura come le altre: se si combatte il rischio idrogeologico si risparmiano un sacco di quattrini e un sacco di vite umane, detto in termini molto semplici…

Domanda: Quindi lei è un pessimista, però trova dei cambiamenti nella politica?

Risposta: Si, e non solo a chiacchiere. Perché nelle finanziarie degli ultimi tre anni, la difesa del suolo ha ottenuto 3 mila miliardi che al 31 ottobre del 1999 erano stati approvati tutti con "piani stralcio". Certo, dall’approvazione dei piani stralcio alla esecuzione dei medesimi ci passerà ancora altro tempo, ma è stata una fatica incredibile. Va benissimo, siamo qui per questo. Ma il problema è un altro: il timore è che l’Italia è ancora un Paese lontano dagli altri. Io sono il Presidente della "Commissione …" e vedo il quadro molto bene da questo punto di vista. Noi abbiamo una serie di handicap. Spero che con questa unificazione europea certe cose valgano per tutto il mondo politico. C’è stato questo fatto dei Verdi, i quali, forse, hanno ottenuto troppo alle elezioni. Non c’è stato un corrispettivo rispetto a quanto i Verdi hanno ottenuto francamente nell’interesse generale del Paese, perché non è che abbiano legami consolidati con grandi corporazioni sociali o grandi interessi corporati. La legge sull’ozono, la legge sui parchi, la legge sulla carta, la legge sull’elettrosmog, anzi, sono tutte cose che in qualche modo confliggono con gli interessi legittimi ma molto particolari, molto consolidati e molto forti a livello economico. Noi abbiamo avuto sempre un forte consenso, "sì, sì andate avanti", che non si è mai tradotto in consenso elettorale, almeno… Moltissimi sondaggi ci davano come uno dei più forti partiti nelle intenzioni di voto, anche a livelli del 30%, che però diventava il mitico 2.5% - 3%. C’è un dato sociologico estremamente interessante: la prima volta che i Verdi si sono presentati alle elezioni fu nel gennaio del 1985. Su base nazionale quel voto valeva il 2.5% e siamo nel 1985. L’anno dopo Chernobyl, 1986, la catastrofe nucleare: cosa di più su cui suonare l’allarme e spingere le preoccupazioni della gente verso l’ambientalismo? Cosa che in effetti poi è anche successa, ma in termini di voto, andiamo alle politiche del 1987 - quelle che videro la prima pattuglia verde in Parlamento - e quanti voti abbiamo preso con una campagna tutta incentrata sul "No al nucleare"? Esattamente il 2.6%, cioè lo 0.1% in più di due anni prima. Questo la dice un po’ lunga su alcune vischiosità dell’elettorato italiano e su un’arretratezza del nostro Paese che fa ancora schierare in maniera fortemente ideologica….Così, morto il Partito Comunista, morta la Democrazia Cristiana, c’è ancora una fortissima propensione a schierarsi ideologicamente, con scarsa attenzione ai contenuti come promotori di politica. I contenuti sono relegati al rango di sensibilità e preoccupazione. C’è questa dissociazione tra sensibilità, modo di produrre, consumare e organizzare la società, detto in modo molto schematico: questi stanno in un angolo, sono le cose di cui mi preoccupo e al più ci posso fare un comitato. La connessione tra questo e il fatto che ci vuole una rappresentanza politica stenta ad affermarsi e ciò può essere legato ai Verdi, che sicuramente avranno fatto degli errori. Però, per quanto i Verdi possano aver sbagliato, c’è un gap culturale che si legge ancora in gran parte dell’elettorato, quello che ancora va a votare e che è legato all’ideologia. Noi lo vediamo nei due poli che si contrappongono e nell’incidenza inevitabile che la crisi del sistema politico italiano degli ultimi vent’anni ha avuto nella consapevolezza dell’elettorato. Sono oltre dieci anni che c’è una fascia rilevante dell’elettorato che fibrilla e che esprime una domanda di nuovo, di cambiamento, e che però è un cambiamento puramente in termini comunicazionali. Anche quella è una richiesta ideologica, quella che Montanelli definisce bene come "il bisogno di sentirsi sdegnati" da parte degli italiani: i partiti sono niente e vogliamo il cambiamento. Sono tutte impostazioni fortissimamente ideologiche rimaste nel nostro Paese, in cui quelli che vanno a votare votano come votavano i nonni o i genitori, votano per l’ideologia. "Voglio un cambiamento, i partiti fanno schifo", ma la traduzione in termini politici manca. Infatti dei programmi non importa niente a nessuno. Si fanno, ma è difficilissimo pensare che la gente va a votare per i programmi. I programmi sono diventati un fatto di comunicazione, quattro parole stupide.

Domanda: Volevo farle un’ultima domanda. Oggi, a livello sociologico, si parla molto di società del rischio. Lei in questa società del rischio, rispetto al passato, crede nella mobilitazione o crede, invece, che i processi decisionali ci passino sulle teste e non possiamo fare nulla?

Risposta: Guardi, io penso che proprio per i motivi che le ho ampiamente esposto, in realtà c’è una profonda differenza. Mentre negli anni Settanta, quando il governo proponeva venti centrali nucleari, il mio collega di facoltà, più anziano, Felice Ippolito, si sbracciava … Ippolito era quello che con maggior piglio, ma anche gli altri la pensavano allo stesso modo, teorizzava la gravità del convivere con il rischio. Ora, qui si crea una distinzione molto sottile. Una cosa vuol dire convivere con il rischio, una cosa è dire rischio zero (cosa che alcuni ricercatori di cultura e provenienza cattolica fanno). Una cosa è dire combattiamo il rischio cercando di vedere in un’analisi molto approfondita se il tipo di soluzioni tecnologico-produttive sono surrogabili con quelle a rischio minore, molto banalmente se c’è la necessità di correre questo rischio, nella consapevolezza che il rischio zero è una cosa impossibile, perché posso pure morire ridendo o mangiando un fagiolo. Però non ci possiamo neanche accontentare del criterio ALARA. Lo conosce, si? Mi pare motivo che quel criterio, facendo riferimento alla possibilità tecnologica, vale soltanto per quelli che credono alla neutralità astratta della evoluzione tecnologica e scientifica. Anche qui l’Italia ha mostrato le sue debolezze, perché il dibattito sulla natura della scienza in Olanda si faceva negli anni Trenta, qui in Italia è iniziato negli anni Settanta. Quindi il discorso ALARA che potrebbe sembrare intermedio tra continuare con il rischio e il "rischio zero", in realtà sa troppo di pressioni che i grandi gruppi multinazionali - dalle grandi majors del nucleare negli anni Settanta, alle grandi aziende della telematica e delle comunicazioni degli anni Novanta, ripetono in vicende simili.

Domanda: Oggi pure?

Risposta: Oggi le pressioni delle grandissime aziende della telematica, si sono superate, come si suol dire: l’ENEL parla di centomila miliardi, e lo ripete pure, per eliminare l’inquinamento elettromagnetico - una cifra che non sta né in cielo né in terra e che da diciottomila, che già era falsa, è lievitata a centomila. Certo, è un pacchetto di soldi e bisogna decidere i soldi come li si deve spendere, se affrontare un rischio o un altro. Questo è un po’ il quadro. Quindi dobbiamo convivere con il rischio, ma mi pare che non sia più attuale. Così, il "rischio zero" mi sembra che sia una cosa profetica che può lavare la coscienza di chi si sente molto morale, ma non ha campo. Il criterio ALARA mi pare una risposta tecnocratica che è troppo inficiata dal giustificato sospetto che i cosiddetti poteri forti sono troppo determinanti. Quindi, bisogna tutelare un livello che è al tempo stesso scientifico, analitico di conoscenza della società e che sappia trovare il consenso attorno a certe scelte, dichiarando il contesto. Questo è fondamentale. Quello che non è più accettabile è che si propugni una comunità, un gruppo, un personaggio, dicendo "Noi siamo al di sopra delle parti". Nessuno è al di sopra delle parti. Allora è più corretto e forse anche più credibile dichiarare il contesto: "Noi siamo quei tecnici, quegli scienziati la cui cultura è quella della tutela dell’ambiente e della salute e cerchiamo di spingere al massimo in questa direzione, cioè non accontentandoci di slogans o di parole d’ordine che cercano di "cavalcare la tigre", ma fornendo in ogni settore quelle argomentazioni tecnico-scientifiche che da un lato contrastano finte verità galoppanti, dall’altro propongono soluzioni diverse. Quanto spazio c’è per questa roba in Italia? Più di quanto sembrerebbe, anche se anche qui scontiamo un aspetto particolare, cioè che c’è una cultura scientifica estremamente più bassa che negli altri Paesi europei.

Domanda: La politica può fare qualcosa per integrare queste prospettive o lei si ritiene un po’ scettico?

Risposta: Sono scettico perché qui si chiede anche troppo alla politica. Questi sono mutamenti culturali a cui molto meglio è servita in questi vent’anni l’esistenza del movimento ambientalista che, nelle sue parti più qualificate, è riuscito esattamente a rappresentare tutto ciò. Noi abbiamo vinto la battaglia antinucleare perché siamo stati molto bravi, ma anche perché, quando c’erano confronti e scontri con gli ingegneri con la giacchetta blu, o con l’Enea, mediamente vincevamo 3-0. Eravamo sei o sette, non di più, però… quando c’era la proposta di fare l’impianto nucleare, sostanzialmente, poi alla fine…

 


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