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Intervista n. 2 a cura di Mariella Nocenzi
Alto dirigente ENEL
Roma, 19/10/2000
Domanda: Come e quando è venuto a conoscenza di quello che è diventato un problema sociale, l’inquinamento elettromagnetico?
Risposta: Dunque, io di questa questione mi ero occupato molto vagamente tantissimi anni fa, quando ero ancora parlamentare. Però era un problema così, molto marginale. Infatti, ricordo che ero uno dei tanti firmatari di una proposta di legge in tal senso firmata dall’on. Scalia. Dopo di che non avevo più sentito parlare di questa cosa, sembrava un "tema morto", diciamo così, ha continuato ad essere presente come tema dell’inquinamento paesaggistico e si diceva che in un certo luogo l’elettrodotto stava male. Poi nel 1994, quando sono diventato Presidente dell’…, mi sono occupato per due anni molto, ma solo ed esclusivamente dal punto di vista paesaggistico, del problema: c’erano tratti di elettrodotto costruiti tanto tempo prima in zone di campagna, poi inglobate nelle città e li ho fatti togliere o interrare. A Roma per esempio, nella zona Laurentina, il comune di Roma ci chiedeva di fare un piano di interramento di questi elettrodotti, che poi si è realizzato. Poi, quando divenni Presidente dell’…, il problema andava assumendo un’importanza progressiva, come mi accorgevo dalla mia rassegna stampa che mi veniva portata qui la mattina ogni giorno: cresceva il numero di articoli dedicati a questa tema. I pezzi dedicati a questo problema crescevano, crescevano le interrogazioni parlamentari, insomma c’era un movimento che si stava creando. Allora ho deciso di "prendere il toro per le corna" e mi sono messo a studiare la questione, arrivando ad un primo ciclo di conclusioni, che mi sono state fornite prevalentemente dall’ENEL, perché questa azienda conosceva il tema. Però io volevo essere sicuro sulla questione, perché era un tema su cui percepivo una grande incertezza scientifica, con poche effettive ricerche in corso. Una delle prime cose che è avvenuta qui in ENEL è stato il commissionamento di una ricerca ad un noto professore, di cui non mi ricordo più il nome, che era la prima ricerca fatta non in modo epidemiologico. Senonché, questo professore, che onestamente è una persona psicologicamente un po’ particolare, mentre nella convenzione si diceva in modo molto chiaro che era stato scelto perché c’era incertezza e non c’erano evidenti riscontri, si costituì come perito e testimone contro la mia Azienda in un processo. Non si poteva dare una ricerca sull’incertezza a uno che è convinto che va tutto male e così ritirammo la commissione. Allora, cominciai a studiare la cosa e, a questo punto, allargai molto le fonti di informazione. Tra l’altro ho preso una persona, qui, che veniva dal movimento ambientalista per chiederle di guardare le cose dall’altro punto di vista. Abbiamo coinvolto l’Organizzazione Mondiale della Sanità e tutti quelli che dovevamo coinvolgere. Ancora oggi, da quello che io posso osservare in linea logica e posso pensare in linea fattuale, mi sembra che siamo di fronte a un caso molto sopravvalutato. Adesso le faccio una considerazione se vuole molto a-scientifica. In parte ciò avviene perché c’è molto malessere. La gente è stressata, vive numerose angosce. In parte, poi, secondo me, abbiamo incorporata una specie di percezione di immortalità, per cui quando le malattie ci arrivano addosso restiamo sorpresi, le riteniamo un’ingiustizia. Queste due cose producono una specie di ricerca continua del capro espiatorio, cioè, la gente ha bisogno di darsi una giustificazione del fatto che certe malattie sono arrivate e probabilmente si sente meglio - poi lei mi aiuti, non mi faccia dire delle stupidaggini - se riesce ad attribuire questa responsabilità ad un fattore esterno, ad una causa scatenante che può spiegare il perché. Quindi io non posso chiedere ad una persona che ha un figlio malato o è malata essa stessa perché dice che si può morire se si ha un filo della luce vicino casa, avendo questa una percezione limitata del nesso causa-effetto. Purtroppo non c’è niente da fare, è impossibile riuscire a spostare il sistema di relazioni. I campi elettromagnetici vengono accusati di una serie di patologie enormi e tra di loro senza una relazione, dalle leucemie, ai tumori, alle cefalee, alla mancanza di latte al seno … all’abbondanza di latte al seno. Non so se lei ritiene possibili queste cose insieme.
Domanda: Lei, comunque, con questi esempi, mi sta un po’ spiegando qual è il rapporto che avete avuto con la società e che lei ha cercato di leggere nei contatti con la società. Prima, però, ha fatto anche accenni al mondo politico e al mondo scientifico. Che tipo di contatti e relazioni ha instaurato con essi?
Risposta: Guardi, da questo punto di vista io ho cercato di avere un approccio razionale. Le posso assicurare che sono partito scevro di giudizi e mi sono detto "Studiamo il problema: se c’è il problema, faremo quel che dobbiamo fare". Lo studio mi ha portato alla conclusione che certo qualche cosa da fare c’è, perché comunque per ragioni paesaggistiche, per ragioni di sicurezza psicologica, qualcosa si può fare, nonostante l’impegno in termini economici, organizzativi. Poi se vuole, si può anche spendere 40-50 mila miliardi e rifare il sistema elettrico italiano. Comunque ho adottato un approccio diretto con la questione. Ho accettato gli inviti ai congressi di una nota Associazione contro i campi elettromagnetici, ho sollecitato io un’inchiesta del Parlamento, sono stato in Commissione parlamentare, ho ascoltato testimonianze di scienziati, dell’Organizzazione Mondiale della Sanità. Poi mi sono accorto che non era il modo migliore di agire e, adesso, sono passato ad un’altra strategia. Perché non c’è niente da fare. Non c’è nessuna possibilità di costruire un mondo razionale. Se io vado al Senato e dico: "Scusate, signori senatori, voi mi chiedete di portare a 0,2 microtesla l’emissione elettromagnetica, mentre voi state nella vostra aula otto ore al giorno, dove se io misurassi se ne contano ben di più di tesla", allora loro mi guardano e mi dicono: "Si, va bene. Noi stiamo qui, ma tu pensa agli elettrodotti". Il mondo politico è diviso in due parti. Da una parte c’è chi governa e si rende conto del problema, ma dall’altra parte c’è chi non governa e molti parlamentari hanno scoperto in questo dei campi elettromagnetici uno dei tanti filoni su cui acquisire consenso a prescindere dalle conseguenze. Quindi il mondo politico, da questo punto di vista, reagisce come reagisce sempre di fronte a queste questioni, cioè cercando di capire dove sta il vantaggio elettorale. Se parliamo dei ministri, poi, semplificando, reagiscono in base ai loro ruoli. Il Ministro dell’Industria dice: "Beh, è una stupidaggine", il Ministro dell’Ambiente dice: "E’ un problema gravissimo". Normale. Il mondo scientifico, invece, a mio parere è sopravvalutato. Noi, come opinione pubblica, abbiamo una visione del mondo scientifico come portatore di certezze, disinteressato. In realtà anche qui gli interessi sono fortissimi. Non c’è dubbio che ci sono ricercatori che hanno particolari interessi. Ci fu anche un caso clamoroso, che se vuole le ritrovo, di un ricercatore americano che è stato scoperto, e poi ha dovuto confessare, di aver falsificato tutti i dati sui campi elettromagnetici, per riuscire a farsi dare una ricerca molto importante su un certo tema. È un caso internazionale che uscì sul Wall Street Journal, sul Financial Time, su The Economist e che ha provocato tutto un dibattito sulla ricerca scientifica Vede, il professor Veronesi, il Ministro della Sanità, ritiene che questo dell’inquinamento elettromagnetico sia un "non sense", una cosa che non esiste. Naturalmente io tendo a dire perché il professor Veronesi è una persona di esperienza, una persona saggia, è abituato a fare una ricerca di questo tipo. Capisco che si può anche dire che il professor Veronesi è molto arrabbiato che vengano impiegate risorse così grandi per occuparsi di un problema che lui considera trascurabile, mentre invece lui non riesce ad avere queste risorse per occuparsi dei tumori accertati, che sono invece noti e conosciuti. Però, nell’insieme, devo dire che il mondo scientifico ha un approccio molto più cauto. In Italia, poi, c’è una cosa particolare che a me fa imbestialire e cioè che viene considerato mondo scientifico un ricercatore dell’ISPESL che fino a ieri si occupava di sicurezza degli ascensori. In Italia abbiamo il Ministero della Sanità, l’ISPESL, il CNR, l’Istituto Superiore di Sanità: attenzione, in realtà non abbiamo questi tre organismi, ma l’insieme dei ricercatori degli Istituti che compongono questi organismi, in cui ciascuno sostiene quel che gli pare, senza responsabilità e senza certificazione. Se lei dice "Istituto Superiore della Sanità, tu sei il mio consulente", perché l’ISS è organo che ha obblighi, doveri e diritti di consulenza nei confronti del Ministero della Sanità, e gli si chiede di fornire un parere ufficiale, è certo che il parere ufficiale non c’è: c’è il parere di uno, o di quell’altro, che si litigano fra di loro, con uno che dice che non c’è nessun problema, l’altro che moriremo tutti di cancro. Però nell’insieme devo dire che il mondo scientifico, se per mondo scientifico intendiamo non queste povertà italiane, ma i Premi Nobel o i grandi centri di ricerca, ha affrontato il problema con metodologie scientifiche, facendo indagini epidemiologiche molto lunghe e arrivando sempre più o meno alle stesse conclusioni, che nel linguaggio cauto del ricercatore serio sono normalmente formulate nel modo seguente: "Allo stato attuale dei fatti, ci sentiamo di escludere che ci siano effetti probabili, ma non escludiamo che se ne possano riscontrare in seguito", perché giustamente il ricercatore può attestare quanto da lui direttamente sperimentato, ma non può parlare anche per gli altri ricercatori e le loro attività. Anche qui l’approccio è molto importante. Chi è abituato al linguaggio del mondo scientifico capisce, ma chi non è abituato e vuole strumentalizzare commenta: "Vedi, non si sentono di escludere…". Ma io non mi sento nemmeno di escludere che le scarpe che lei porta, che ne so?, le procurino dopodomani una cervicale. Capisce?
Domanda: Certo. Invece, in riferimento al mondo delle comunicazioni cosa può dirmi, il mondo mediale che invece gestisce, amplifica e rappresenta questo rischio?
Risposta: Il mondo mediale, come diceva qualcuno l’altro giorno parlando di un altro argomento affine a questo, vende emozioni. Vende emozioni, soprattutto la televisione. La paura è un’emozione molto forte, quindi l’atteggiamento del mondo mediale si orienta in tal senso…Io ho chiesto una miriade di volte al direttore del … (nota testata giornalistica italiana), "Scusami, tu hai uno dei migliori giornalisti scientifici che ci sono in Italia al tuo giornale, che è …, e allora perché costui non si è mai occupato di campi elettromagnetici, e di solito se ne occupano un giovanotto che fa il corrispondente dalla …, e un altro giovanotto che io sono andato a trovare a Milano e con cui mi sono divertito, diventandone amico, parlando di un noto romanziere americano di cui lui è un grande specialista?
Intervistatore: Quindi sono esperti di altre cose?
Risposta: Credo di sì, nel senso che ad uno, quando sono andato a trovarlo ho chiesto "Ma lei cosa faceva prima?", e lui: "Io sono stato in America, ho lavorato all’Università, sono il traduttore dei libri di questo autore" che mi ha spedito. In realtà, in quell’occasione gli ho pure chiesto: "Ma lei cosa ne sa dei campi elettromagnetici?". E lui mi ha risposto: "Niente, ma mi sono messo a studiare…". Con l’altro giornalista che si occupa di questi problemi, sempre per la nota testata, una fra le più serie in Italia, non ho approfondito la conoscenza perché parlandoci al telefono mi ha detto: "Ma lei sta parlando sul telefonino?". Io gli ho risposto: "Sì, per forza, lei mi ha trovato sul cellulare…". E lui per tutta risposta mi ha detto: "Ma l’ha messo l’auricolare?". E io "No, guardi..". E lui "No, perché sa, io prima avevo dei mal di testa terribili. Da quando ho messo l’auricolare non ho più il mal di testa". Capisce da chi siamo informati? Io ho detto "Guardi, a me il mal di testa non viene a parlare al telefono, quindi…".
Domanda: Quindi dice che c’è anche poca competenza? Il messaggio viene facilmente strumentalizzato?
Risposta: No, non è proprio così, ma la stampa contemporanea nell’insieme ha bisogno di coprire pagine e notiziabilità. Io trovo spesso scritte anche cose che io ho detto che, anche se chi mi ha fatto l’intervista è perfetto, nell’impaginazione del messaggio e con un titolo che viene messo in un certo modo, con la rappresentazione virtuale del mondo che si da per far sì che il problema possa vendere e farsi leggere, diventano tutta altra cosa. Quindi io non mi aspetto dalla stampa quotidiana serietà o un approccio scientificamente corretto. A tal proposito trovo molto giusto quello che scrisse una decina d’anni fa l’autore di un libretto molto importante e interessante che si intitolava Megatrance, in cui parlando di informazione disse che "l’informazione è una scatola. La possiamo paragonare ad una scatola che contiene una serie di oggetti. Quando ne esce uno ne può entrare un altro. Quando ne entra uno ne esce un altro". In realtà, è proprio così, se ciò si intende con il fatto che essa è determinata dalla forza dei canali di trasmissione e poi dalla capacità di percepire di ciascuno di noi. Allora, in questi vent’anni io ho visto questi temi andare e venire ciclicamente. Di alcuni come le piogge acide Lei ne sente più parlare? Pensa che sia stato risolto il problema delle piogge acide? Non credo proprio, no? Come per le piogge acide, così per il buco dell’ozono, l’effetto serra, il nucleare, l’agricoltura biologica. Ma è inevitabile che sia così. Questi problemi li ho visti affermare, entrare, qualcuno è rimasto, qualcuno è diventato una stella cometa, qualche altro non si sa. Adesso è il momento dei campi elettromagnetici.
Domanda: Invece il mondo economico si è dimostrato - anche se è un problema transeunte sul piano dell’attenzione sociale - molto attento. Forse ha anche preceduto una politica che "cavalca la tigre" e anche una scienza che non può dare certezze. Lei cosa ne pensa?
Risposta: Io penso che qualche volta sono pentito di essermi occupato di questo problema, perché penso che la mia Azienda, se per mondo economico Lei la vuole comprendere, che pure ha affrontato la questione seriamente, ha finito per fare da volano a tutta la questione. Se io dico: "Guardate che costa quarantamila miliardi ridurre, se non eliminare i rischi da inquinamento elettromagnetico connessi con la rete elettrica nazionale" diventa un’ulteriore notizia. In realtà, in fondo, non sono pentito, perché nell’immediato questo ha provocato un ulteriore arroventamento della polemica e quindi è tornato addosso a noi come un boomerang. Però, siccome abbiamo messo sul tavolo argomenti solidi, un po’ alla volta tutto il resto si sta infrangendo contro questi argomenti.
Domanda: Lei come giudica chi, ad esempio, valorizza questa azione del mondo economico parlando di impresa responsabile, secondo la sua esperienza?
Risposta: Sì, io penso che alla fine sia questa l’unica strada economicamente vantaggiosa: la responsabilità sociale. Le posso fornire gli Atti, che sarebbero molto interessanti per una sua analisi, dell’incontro annuale di un’organizzazione che si chiama E7, costituita dalle sette compagnie elettriche più grandi del mondo che si è tenuto la scorsa settimana in Canada. Abbiamo dedicato un’intera mattina al problema del social trust verso clienti, investitori, gli stakeholders, un tema molto delicato per i giapponesi e i francesi che hanno il problema del nucleare, ma che ha una forte valenza per tutti se allargato ad altre problematiche. Ci sono state alcune relazioni veramente intelligenti ed interessanti - io ce le ho qua, glie le posso mandare - e alla fine concordiamo tutti su una cosa: non c’è nulla altro da fare che essere proattivi, cioè anticipare i problemi, essere completamente trasparenti, perché se tu dici una bugia su una cosa piccola, poi quando dici la verità su una cosa grande non ti credono più. Trasparenti, disponibili, onesti. Questo paga, e non nel breve termine. Non è vero che se io dico: "Non ho avuto nessun rilascio di radioattività" è meglio che non se dico: "Ho dei rilasci di radioattività, bassissimi, al di sotto delle soglie naturali" perché creo una preoccupazione. In verità, la prima affermazione non è vera, quanto invece lo è la seconda e a lungo termine questa sarà l’unica realtà. Se anche creo ora preoccupazione e allarme, poi, quando dimostrerò a qualcuno che dal pavimento di casa sua esce più radioattività che dalla centrale che io ho, alla fine avrò fornito l’immagine reale e su cui confidare per chi relaziona con la mia azienda. Nel caso dell’elettromagnetismo è inutile che mi scontri con la tensione emotiva delle madri che hanno un asilo sotto l’elettrodotto, poiché faccio prima a spostare l’elettrodotto che non a spostare l’asilo.
Domanda: Nonostante i costi, lei dice?
Risposta: Nonostante i costi, però lì si media e noi siamo diventati bravi a fare in modo che le responsabilità connesse ad un caso come questo siano condivise anche da altri soggetti sociali, quindi Comune, Regione, Stato… nonostante la straordinarietà di questo Paese. L’ultima novità viene dalla magistratura: ho ricevuto l’altro ieri un avviso di garanzia dal procuratore …per gettito di cose pericolose. Le cose pericolose sarebbero costituite dalle onde elettromagnetiche. Dal momento che nessuno può dire che noi violiamo la legge, poiché siamo all’interno di tutte le norme perfettamente, allora il magistrato si è inventato il reato di gettito di cose pericolose per poter mettere sotto accusa la società.
Domanda: Quindi questa è l’ultima novità per rendere responsabile il mondo economico?
Risposta: Certo. Gettito di cose pericolose…
Domanda: Per concludere, volevo chiederle un po’ più astrattamente…se, secondo lei davvero oggi si può parlare di più di una società dell’incertezza e del rischio rispetto al passato? Sembra un paradosso, visto il progresso…
Risposta: No, assolutamente no. Io non sono assolutamente d’accordo con questa affermazione. L’incertezza è una delle grandi conquiste della ricerca scientifica, poiché l’idea ordinata del mondo è finita e oggi le scelte probabilistiche, la quantistica ci hanno insegnato che non siamo in grado di prevedere come esattamente vanno le cose. Sotto questo punto di vista, certamente il mondo è incerto. Se per incertezza e per rischio lei intende che oggi ci sono più rischi e si sta peggio di come si stava venti-trenta anni fa, le dico assolutamente di no. Non sono assolutamente d’accordo.
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