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Intervista n. 5 a cura di Mariella Nocenzi
Responsabile WWF Italia
Roma, 3 ottobre 2000
Domanda: Quando e come è venuto a conoscenza di questo problema sociale del rischio da inquinamento elettromagnetico nella sua funzione sociale?
Risposta: Nel 1994, direi, svolgendo il servizio civile presso il WWF - all’interno dell’ufficio legale del WWF - mi sono iniziato a occupare di inquinamento elettromagnetico. Era una parola, all’epoca, esotica, sconosciuta, direi del tutto sconosciuta. Nessuno sapeva con questa parola cosa si intendesse dire. Infatti, nell’ufficio questa pratica era una di quelle che stanno in fondo al cassetto, perché comportava particolari difficoltà tecniche. Attraverso lo studio di questa pratica ho appreso che già da anni nel WWF c’era stata un’azione per mettere in luce questa nuova forma di inquinamento. Infatti, già alcuni anni prima, cinque o sei anni prima, in Liguria e a Rimini per degli elettrodotti il WWF aveva intrapreso due cause. Cause che, per quanto riguarda Rimini, portarono a una sentenza molti anni dopo, nel 1999.
Domanda: Recentemente è diventato un problema sociale. Perché secondo lei?
Risposta: Diciamo che già all’epoca iniziarono delle segnalazioni e poi queste segnalazioni sono aumentate, sono diventate un movimento che nasce proprio dal basso. Si potrebbe parlare di un movimento di base. E’ stata prima la gente a preoccuparsi di questa forma di inquinamento che i depositari tipici delle denunce in questo senso, cioè le associazioni. Infatti noi ricevevamo da molti soci e da molti cittadini delle richieste di informazioni in merito ai possibili rischi di questa forma di inquinamento, invisibile, in quanto ad effetti, ma percepibile dal punto di vista delle strutture. Una struttura tecnologica molto ravvicinata alle persone le porta ad uno stato d'ansia, in particolare delineato dal fatto che, anche in una condizione di inquinamento, il soggetto inquinato non sa se è in una situazione di inquinamento o meno, cioè non è in grado di calcolare effettivamente la portata oggettiva della fonte.
Domanda: Quale tipo di azione ha intrapreso, anche senza specificare, su incarico ufficiale, pubblico?
Risposta: Innanzitutto, come WWF ci siamo occupati di fare un’indagine dal punto di vista scientifico e giuridico. Abbiamo raccolto tutto il materiale degli anni precedenti e il materiale che sia in Italia che all’estero era disponibile su questo tema. Il tutto anche grazie a un coordinamento con l’estero. Abbiamo raccolto decine di studi scientifici sulla materia e tutte le norme nazionali e internazionali che sono state pubblicate, poi, in un libro-dossier che fu pubblicato, dopo alcuni anni di lavoro, alla fine del 1997. Quindi il proposito è stato quello di approfondire e capire oggettivamente se si trattasse effettivamente di un allarme e se era concreto e importante dedicarsi a questa materia. Il risultato è stato molto interessante, perché abbiamo visto come in alcuni Stati dell’area socialista questo problema fosse stato percepito già dieci o quindici anni prima rispetto ai Paesi occidentali. In quegli Stati, Russia, Polonia ed altri, esistevano delle leggi cautelative già dai primi anni 70 e per di più esisteva addirittura una pratica, nata nel periodo della Guerra Fredda, di utilizzo bellico di queste fonti, non tanto destinato a creare dei danni alle persone, quanto più che altro ad ostacolare gli attacchi nemici. Infatti, il primo studio particolarmente interessante fu quello relativo a un‘ambasciata americana a Mosca, che, bombardata dai campi elettromagnetici, registrò molte malattie fra tutti coloro che vi soggiornavano in quel periodo. Parliamo, comunque, della Guerra Fredda, quindi degli anni ’70. Altri studi furono rilevati in Polonia. Dal 1959 in poi, nel mondo occidentale, in America, in cui decine di studi documentarono le leucemie infantili e altre forme neurodegenerative in soggetti esposti a determinati campi elettromagnetici, sempre in corrispondenza di elettrodotti o cabine elettriche. In tempo recente, dalla metà degli anni ’80, si è iniziato a valutare i rischi connessi alle altre frequenze, le radiocomunicazioni e le microonde in generale.
Domanda: Quali tipi di rapporti ha potuto instaurare con gli altri attori sociali, ad esempio con il mondo politico, nella lotta all’inquinamento elettromagnetico?
Risposta: Come fu difficile per noi comprendere la reale portata di questa forma di inquinamento, lo è stato altrettanto per il mondo politico. Io ho iniziato nel 1995 ad occuparmi di questo problema, di cui in Italia già alcune associazioni si interessavano dai primi anni’90, che ho potuto incontrare. Appresi da loro che da parte del mondo politico c’era assolutamente sordità su questo tema, che continuò per alcuni anni. E’ dal 1997 che si è iniziato da parte del mondo politico ad avere maggiore attenzione, ed infatti è da quella data che abbiamo iniziato ad avere delle norme, dei riferimenti alla salute relazionati ai campi. Prima c’era, nel 1992, una percezione dei rischi solamente relativi a situazioni acute, di pericolo acuto, e non per esposizione cronica.
Domanda: Con il mondo scientifico, invece, che tipo di rapporto ha potuto instaurare?
Risposta: Con il mondo scientifico c’è stato, direi, un forte dualismo. Da un lato scetticismo forte, quasi una sorta di protezionismo da parte del mondo della scienza. Ci si è imbattuti praticamente in due scienze, fatto contraddittorio perché la scienza può essere una sola. Invece, alcuni ricercatori più leali, o più spregiudicati che dir si voglia, hanno dato luce all’evidenza di certi dati che invece in qualche modo si è teso, da parte di altra scienza, a voler sottovalutare, voler sottomettere alle leggi del caos, cercando di non dare rilievo a dati evidenti sulla base di statistiche. Alcuni ricercatori si sono segnalati per un maggior zelo, riconoscendo di questi dati. Tanto è vero che, poi, la contraddizione è forte se si pensa che, in fondo, gli studi che sono stati oggetto di meta-analisi, in particolare in Italia, erano sempre gli stessi, però le considerazioni conclusive portavano a risultati completamente diversi. Per questo si può parlare di miopia, nella migliore delle ipotesi. Però, sempre più gli stessi studi hanno messo in luce degli effetti e delle conseguenze derivanti dai campi elettromagnetici estremamente indicative dell’esigenza di cautelare la salute. Tanto è vero che tutto ciò si traduce, ad esempio, nell’atteggiamento legislativo, nel parlare di precauzione e non di tutela sanitaria. Quasi a non voler sino ad oggi riconoscere il fatto che si sia in un campo all’interno del quale occorre fare tutela sanitaria, perché quello di precauzione è un principio ambientale. Questo principio è sancito dall’articolo 130R del Trattato Europeo e attiene all’aspetto ambientale e non sanitario della tutela dell’ambiente. Quindi, con il termine di precauzione si intende la tutela dell’ambiente da vari punti di vista, ma non precisamente da un punto di vista sanitario. Questo può essere un elemento che mette in luce questa sorta di miopia, questo atteggiamento un po’ scettico. Che poi, però, tanto scettico non era, perché a queste leggi si è arrivati abbastanza rapidamente, per alterne vicende, ma sempre nell’ambito di un fortissimo conflitto con soggetti economici. Per cui abbiamo avuto da parte della popolazione, prima di tutto una grandissima richiesta di informazione, che le istituzioni non sono state in grado di fornire: la gente si è rivolta dapprima alle istituzioni sanitarie (ad esempio le ASL) e avendo avuto da queste risposte estremamente evanescenti, diciamo delle risposte parascientifiche, poi si è rivolta alle associazioni. C’è stato un ritardo da parte delle istituzioni nel dare queste risposte scientifiche e si è determinato per questo un crescente allarme. Nel momento in cui la persona preoccupata di un certo problema non riceve dalle istituzioni preposte delle risposte precise, non fa altro che accrescere la propria preoccupazione.
Domanda: Molti giudicano queste preoccupazioni molto egoistiche, cioè limitate al fatto che, ad esempio, un ripetitore televisivo, un’antenna della comunicazione cellulare sia vicino alla propria casa e non magari lontano. Quindi, non c’è una consapevolezza globale estesa nel tempo e nello spazio da parte della gente che si rivolge a voi, o comunque, come lei diceva, alle istituzioni: la gente pare molto più sollecitata da esigenze di difesa personale e non magari dal problema dell’ambiente, degli altri…
Risposta: Per arrivare a parlare di questo, vorrei fare un piccolo passo indietro e completare il discorso che stavamo facendo prima. Mentre da un lato le istituzioni sono state così evanescenti e superficiali, hanno quasi manifestato un senso di colpa nei confronti delle industrie nel mettere in luce un problema che poteva essere tale, il mondo dell’industria, parallelamente, ha visto questo come un problema di comunicazione. Per cui abbiamo assistito a campagne di pubblicità, le quali dapprima ignoravano il problema. Poi, quando invece il mondo economico si è resi conto - da interviste, per esempio, che sono venuti a fare anche qui con degli istituti d’indagine – che il problema era sentito dalla gente, nei depliants informativi dei servizi di telefonia mobile, ad esempio, hanno persino indicato e dato grande spazio a rassicurazioni circa i possibili pericoli connessi all’elettromagnetismo. Poi ci sono state campagne pubblicitarie televisive, o attraverso volantini, considerando il problema da un punto di vista di stretta comunicazione, non come un problema in se stesso, ma quasi come una fantasia del consumatore, da curare attraverso una comunicazione precisa. Affermerei che tutto ciò, oltre ad essere stato condannato da sentenze di giurisprudenza, è stato un atteggiamento controproducente, perché forse ha contribuito anch’esso ad allarmare almeno un certo tipo di persone più sensibili. Quindi, la gente è anche stata un po’ frastornata. Si è avuta un po’ la sensazione che si volesse abbassare l’allarme sociale attraverso il meccanismo del ricondurre questa nuova forma di inquinamento ad una delle tante forme di inquinamento esistenti, con le quali convivere, conseguenza del progresso, senza le quali era impossibile migliorare le proprie forme di benessere. Così si è cercato di ridurre l’allarme sociale su questo tema, magari creando confusione e parlando molto spesso dell’assenza di risultati da parte della scienza. Fattore da un lato falso, perché esistono molte ricerche scientifiche che documentano i danni alla salute, anche se, essendo danni correlati ad un’esposizione nel tempo, queste ricerche scientifiche hanno sempre un carattere di probabilità del rischio e non di certezza. Dietro questa assenza di un nesso causale evidente, il mondo delle industrie ha cercato di influire sul processo decisionale, politico, legislativo, nell’ambito della comunicazione, dicendo che in fondo ancora non vi erano certezze in questa materia, rinviando al futuro, a ulteriori necessità di ricerche, l’opportunità di prendere delle decisioni. Ma questo, ad un'analisi molto attenta, appare il punto critico di questo approccio, perché è stato detto che, ad esempio, se delle incertezze come queste fossero presenti in relazione a degli alimenti, nessuna autorità sanitaria avrebbe messo in circolazione questi alimenti, mentre l’incertezza sulle onde elettromagnetiche è stata utilizzata come strumento per dire: "Oggi non c’è problema perché non se ne sa nulla di certo". Quindi, secondo il nostro punto di vista, è stata utilizzata una tecnica impropria, poiché voler tranquillizzare la gente sulla base di una non conoscenza non è sicuramente uno strumento efficace, serio. Tornando alla sua domanda, la presenza di un’antenna su un tetto o di un telefonino è percepita in maniera diversa, in quanto l’antenna viene temuta perché, innanzi tutto, esteticamente è più aggressiva e non viene percepita come uno strumento utile dalla persona che vive in prossimità di questa antenna. Quindi psicologicamente non esiste un equilibrio tra costi e benefici – anche se in materia sanitaria non si dovrebbe mai utilizzare questo criterio. Al contrario il cellulare, magari per motivi di lavoro, familiari, personali è temuto meno perché se ne apprezza un certo tipo di vantaggio, vantaggio che l’antenna alla persona che abita di fronte non li dà. Per di più il cellulare è piccolo, è carino, c’è una certa estetica, è un gadget, mentre l’antenna ha questa forma aggressiva, incute paura. Per la verità, da un punto di vista scientifico, i problemi sono capovolti, perché le antenne provocano un inquinamento direi minimo, o di un ordine di grandezza inferiore ai cellulari. E’ quanto è emerso da una ricerca che abbiamo fatto in collaborazione con il CNR e con l’ISPESL e che abbiamo anche pubblicato sul nostro sito Internet: durante una telefonata si è esposti a campi magnetici una decina di volte superiori rispetto all’esposizione cui in genere sono sottoposte le persone che vanno più vicino alle antenne. Certo è che anche la tecnica di installazione di queste antenne ha contribuito fortemente ad accrescere questo allarme, perché le antenne sono state installate nei giorni di festa, in agosto, lontano dall’attenzione degli abitanti. Tutto ciò con una scarsa garanzia dal punto di vista normativo, poiché all’inizio non c’era una legge e si è cercato di convincere i proprietari degli immobili tramite canoni, regali. Dopo di che, quando ha cominciato ad esserci un po’ più di contrasto, si sono utilizzati immobili di terzi, cioè di enti o di proprietari immobiliari, in modo tale che chi abitava sotto non avesse voce in capitolo. E a quel punto si sono costruite antenne di notte, in agosto, molto spesso si è iniziato con autorizzazioni provvisorie, senza subire particolari ostacoli da parte delle pubbliche amministrazioni, che hanno avuto sempre un atteggiamento molto timoroso nei confronti di questi grandi gestori, per immagine e potenza nei confronti delle istituzioni ben più potenti rispetto ad un comune cittadino che pur avrebbe fatto una cosa analoga. Tutto questo insieme di forzature si univa ad un ricatto tipico che si metteva in atto nell’installare un’antenna su un palazzo, con il dire che la negazione di questa installazione avrebbe comportato l’installazione dell’antenna nel palazzo a fianco e con ciò si sarebbe stati esposti ad un maggior inquinamento, perché è più inquinato chi è intorno e non chi si trova sotto, oltre a non ricevere il canone relativo. La somma di tutte queste piccole violenze ha innescato nei confronti delle antenne delle lotte forti, movimenti e comitati spontanei di cittadini, diffusissimi in Italia, che conta migliaia di soggetti, decine di migliaia di persone attive che hanno fatto un’autentica battaglia politica, battaglia politica che non è proprio tipica della nostra epoca, in cui per il benessere, e per una serie di condizioni che lei mi insegna, non esiste più una grande mobilitazione della gente su questi temi. Invece da questo punto di vista è stata una novità anche per l’ambientalismo, perché risvegliava nelle persone la coscienza dell’ambiente di vita come un qualcosa da proteggere e da tutelare, sia pur da un punto di vista strettamente egoistico, perché a nessuno interessa l’antenna messa nel paese accanto, ma quando viene messa in un ambito di vita circoscritto, ciò è sufficiente per risvegliare nella maggior parte delle persone questa coscienza ambientale. Quindi è stato per l’ambientalismo e l’associazionismo un’occasione di mobilitazione anche diretta su altre problematiche più generali.
Domanda: Per concludere volevo farle una domanda che ha poco a che vedere con l’inquinamento elettromagnetico a livello specifico. Oggi si parla molto di società dell’incertezza o di società del rischio per definire la nostra società, lei pensa che effettivamente si possa configurare questo tipo di società rispetto al passato, dove prevale il rischio e l’incertezza?
Risposta: Da un punto di vista sanitario o da un punto di vista generale?
Intervistatore: Generale…
Risposta: Diciamo che il progresso è stato sempre indicato come la via della certezza e quindi dell’allontanamento dei pericoli che erano insiti nella vita dei primi uomini nel bosco. Quindi l’allontanamento dal bosco, la costruzione della casa nel cemento sono stati momenti simbolici di una maggiore sicurezza. In realtà, questo modello via via ha rappresentato agli occhi della gente una promessa mai mantenuta. Perché, se da un lato è vero che nelle nostre case e nelle nostre macchine non subiamo più le aggressioni portate agli uomini primitivi dagli animali feroci, però dall’altro lato subiamo incidenti di tutti i tipi e quindi l’apprensione nei confronti di possibili pericoli aumenta, essendo prima qualcosa di naturale, mentre adesso i pericoli hanno una dimensione artificiale.
Domanda: E lei, personalmente, si è mai mobilitato come cittadino contro qualche rischio sociale, di qualsiasi genere, sia ambientale che sociale più generalmente, nella sua vita?
Risposta: Io faccio questa attività come volontario, per soddisfazione personale, con la speranza di aumentare la cultura dell’ambiente, la cultura di un certo tipo di qualità della vita. Quindi la mia mobilitazione è quella di dedicare parte del mio tempo in questa attività.
Domanda: Lei si considera "coinvolto" nei problemi, ma anche un attore, come si dice a livello scientifico, che può decidere qualcosa o può incidere nelle decisioni…?
Risposta: Sì. Diciamo che anche questa può essere stata una forma di difesa. Perché il poter essere un attore, il poter approfondire i temi, il poter cercare di modificare le cose è dimostrazione della possibilità di poter intervenire nelle decisioni che ci riguardano. Ecco, poter incidere nel mondo in cui viviamo - nel mio caso attraverso l’associazione del WWF, ha rappresentato per me come cittadino un’occasione particolarmente appetibile per poter realizzare un certo tipo di aspirazioni, di desideri e di ideali che vorrei fossero estesi all’intera società.
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