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Recensioni

J. P. Kotter, On What Leaders Really Do, Harvard, 1999, (trad. it.)
I leader, Milano, il Sole 24 ORE,1999.

    Alle porte del nuovo millennio, in un ambiente di lavoro ipercompetitivo e altamente dinamico, si fa sempre più urgente un'analisi del fenomeno della leadership che Kotter giudica un elemento indispensabile per garantire la permanenza e la prosperità delle singole imprese. L'autore, da subito, tiene a smentire i luoghi comuni in merito alla leadership. Prima di tutto, sottolinea che, contrariamente all'opinione diffusa, il problema non riguarda affatto lo stile dei leader ma la sostanza del loro ruolo. Continua, contestando l'idea secondo cui le conseguenze di una leadership poco efficiente sarebbero minime, perché una qualsiasi performance è il prodotto di molti fattori interni ed esterni all'impresa. Concorde con l'esistenza di una pluralità di fattori concomitanti, l'autore sottolinea l'importanza di una guida efficace da parte del leader e denuncia il fatto che ancora troppe organizzazioni ignorano il potenziale di leadership. Questo è il motivo per cui si riscontra, in un grande numero di aziende, l'inesistenza di formazione e di esempi in materia e l'esistenza di sanzioni disciplinari, più o meno gravi, per punire coloro che commettono errori quando tentano di assumersi responsabilità decisionali. Cosa forse ancora più grave è che la stessa membership ignora i propri bisogni formativi.

    Questi sono i chiari segnali di una grave confusione che si fa tra il termine-concetto di management e quello di leadership. Kotter conferma, dopo un'intensa attività di ricerca sul tema della leadership l'ipotesi secondo cui il comportamento "inusuale" di alcuni manager sia da collegare quasi interamente al ruolo della leadership nel cambiamento. Quest'ultima nasce così dalla sfida al cambiamento continuo, veloce e poco prevedibile e per questo la si può definire una creatura del terzo millennio. Oggi la leadership non può essere fraintesa e/o ignorata ma anzi conosciuta e alimentata, considerata per quello che rappresenta, cioè una componente indispensabile per implementare il cambiamento. Bisogna perciò lasciarsi alle spalle la tipica organizzazione del XX secolo, caratterizzata da monopoli e oligopoli e dove i cambiamenti, soprattutto quelli legati alla qualità, sono poco frequenti, dato che i diversi settori dell'economia cambiano molto lentamente richiedendo un rinnovamento organizzativo meno reattivo. Oggi, gli interventi sulle organizzazioni sono richiesti di continuo nella forma di reengineering, riorientamento strategico, qualità totale, ristrutturazione, cambiamento culturale, acquisizioni e fusioni.

    Secondo l'autore, "negli interventi più efficaci, i leader seguono otto fasi complicate, in cui: creano un senso d'urgenza; mettono insieme una squadra abbastanza autorevole da poter dirigere il processo; creano una visione adeguata e stimolante; comunicano quella nuova visione a tutta l'organizzazione; conferiscono ai collaboratori l'autonomia decisionale necessaria a mettere in atto la visione; producono risultati di breve termine in grado di dare credibilità ai loro sforzi e di disarmare gli scettici; creano slancio e lo utilizzano per affrontare i problemi più delicati del cambiamento; incorporano il nuovo comportamento nella cultura organizzativa" (J.P. Kotter,1999, p.9). Portare a compimento tutte le otto fasi può comunque non essere sufficiente, in quanto la trasformazione di sistemi e strutture deve essere accompagnata dall'acquisizione della cultura insita nella nuova organizzazione. Nuova e vecchia cultura, infatti, spesso in antitesi, si conciliano per poi fondersi dopo molto tempo e con enormi difficoltà. Kotter, a questo punto, ci ricorda che, anche per l'integrazione culturale è indispensabile la leadership che opera, a differenza del management, proprio attraverso la cultura e le persone. La leadership deve essere considerata una materia soft e "calda", mentre il management opera attraverso la gerarchia e i sistemi. È una materia più hard e più fredda(Kotter,1999, p.13). Molto semplicisticamente ci si riferisce al management quando ci si trova di fronte un'organizzazione burocratica in grado di assicurare un cambiamento di tipo incrementale, ma non certo un cambiamento repentino, radicale e perciò di tipo non incrementale.

    Attualmente, la situazione descrittaci dall'autore, all'interno delle aziende è, di frequente, confusionaria. "Alle persone si chiede di "dirigere" (lead) e invece loro "gestiscono" (manage) ancora più intensamente, e provano un senso di frustrazione quando le loro azioni non incontrano l'apprezzamento dei superiori o dei clienti" (Kotter,1999,p.15). Così, ancora oggi, i leader sono visti con sospetto e considerati come potenzialmente pericolo si nella maggior parte delle aziende dove prevale radicalmente la parte di management con persone che realizzano progetti particolareggiati e budget dettagliati e dove è possibile osservare network altamente gerarchizzati. È in questo che si rileva l'incapacità d'adattamento al cambiamento per molte aziende. Per questa ragione è ora che le aziende smettano di inseguire solo ed esclusivamente l'operato collegato alla pianificazione e al controllo, rivalutando, altresì, la logica/illogica della visione e/o dell'ispirazione. Il lavoro manageriale è obbligato a contemplare i nuovi soggetti (i leader) e a rivedere, con urgenza, l'organigramma, in quanto i leader agiscono a differenza dei manager, il più delle volte, attraverso complesse reti di relazioni caratterizzate dalla dipendenza reciproca.

    Kotter insiste sull'elemento "confusione" che regna nelle Aziende e ribadisce che senza una chiara conoscenza delle differenze che contraddistinguono il management dalla leaderschip non è possibile implementare efficacemente il cambiamento che va assumendo, di giorno in giorno, un'importanza sempre più rimarchevole. Un cambiamento, che a parere dei "futurologi", in un sistema globale in crescita e sempre più dinamico, procederà in modo sempre incostante e imprevedibile.

    Kotter, nella sua analisi, non trascura la resistenza al cambiamento e, a tal riguardo, individua quattro ragioni per cui le persone resistono ad esso: 1) il desiderio di non perdere qualcosa cui si tiene in modo particolare; 2) un'interpretazione sbagliata del cambiamento; 3) l'idea che il cambiamento non abbia senso per l'organizzazione; 4) una bassa tolleranza al cambiamento. Si tratta di elementi che riguardano la sfera emozionale e quando si tenta di investigare nella sfera emotiva è ostico poter quantificare e tanto più classificare, entro confini rigidi, le ragioni che spingono a compiere o meno una certa azione. Per questo è molto più facile la prevenzione che la diagnosi o la cura della resistenza al cambiamento e ciò, per Kotter, è possibile attraverso l'utilizzo di uno tra i più antichi e sempre efficaci strumenti, quello dell'educazione, possibile per mezzo di una chiara e buona comunicazione, sollecitando attivamente la partecipazione dei collaboratori e coinvolgendoli di continuo nella progettazione e nell'implementazione. Tutto ciò dev'essere immesso, poi, in un'organizzazione che sia in grado di supportare, facilitando, il lavoro dei collaboratori (o membership).Il supporto lo si ottiene eliminando le burocrazie inutili, offrendo incentivi economici e soprattutto dando la possibilità ai collaboratori di esprimere loro opinioni e critiche, affinché, abbiano sempre la sensazione di poter operare in libertà. Non sempre però al manager conviene attuare un'educazione preventiva di questo genere, perché troppo impegnativa e troppo costosa, così, attraverso la manipolazione e la cooptazione si avvale, il più delle volte del semplice consenso passivo, oppure fa fronte alla resistenza coercitivamente, costringendo i propri collaboratori ad adattarsi al cambiamento, in maniera implicita (paura del licenziamento), o esplicita (speranza di promozione).

    L'azienda, contemporaneamente alla risoluzione del problema di resistenza al cambiamento, deve affrontare quello della giusta mescolanza o bilanciamento tra management (gestione della complessità) e leadership (gestione del cambiamento). Come Kotter evidenzia, "management e leadership sono due sistemi d'azione distinti e complementari" (p.51), mentre il management s'impegna a creare una struttura organizzativa, una serie di mansioni, comunica il piano, delega le responsabilità e controlla l'implementazione (lavoro deduttivo), la leadership individua le persone giuste da inserire nei posti giusti, dalle parole dell'autore, "allinea le persone"(lavoro induttivo).

    In questo contesto appare vitale un rapporto d'interdipendenza fra tutti i soggetti dell'organizzazione, attraverso allineamento, e non più organizzazione delle persone; più comunicazione e meno progettazione e coinvolgimento di sempre più soggetti. Dunque, va inserito nel network qualsiasi soggetto: personale interno, fornitori, clienti, manager, etc., che possa contribuire alla realizzazione della strategia o ostacolarne l'implementazione.

    Giunti a questo punto occorre che il leader offra ai collaboratori una valida motivazione che li sostenga nel superare i problemi insiti nel cambiamento, spingendoli ad assumere, anch'essi funzioni di leadership. Nelle aziende culturalmente più elevate, l'autore nota che prevalgono reti di rapporti informali che sostengono efficacemente le attività di leadership, mentre in quelle culturalmente meno elevate o affatto elevate prevalgono reti di rapporti formali atti a coordinare le attività manageriali. È chiara perciò l'urgenza di una rivalutazione e sostenimento dei rapporti informali all'interno dell'Azienda.

    Kotter afferma che i manager efficaci combinano più forme di potere e affiancano spesso il potere a opere di persuasione, sono sensibili ai comportamenti giudicati legittimi dagli altri riguardo all'uso del potere, sanno intuitivamente discernere le situazioni e accostarle a differenti usi del potere stesso. Inoltre, questo tipo di manager sa sfruttare tutte le risorse per accrescere il proprio potere mitigandolo con l'autocontrollo e la maturità, cosciente dell'influenza che esercita sui comportamenti di molte persone.

    Insomma, oggi non è più consentito, a chi vuole potenziare la leadership all'interno della propria azienda, la concezione del capo come colui che sovrasta tutti e tutto e all'organizzazione come sistema rigidamente gerarchico. Fondamentale è l'esistenza di un rapporto di dipendenza reciproca fra i vari soggetti interni ed esterni all'organizzazione.

    Purtroppo, ancora oggi, come conclude l'autore, le aziende non elaborano, se non in parte, questo tipo di pianificazione, occupate ancora, come sono, a curare la rigida "gestione dei numeri" e impegnate nella continua ed estenuante produzione di carta. I manager distolti così dal fare le cose più impellenti, non andranno molto lontano.

 

Barbara Sabella


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