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Perché 'il dubbio'
di Fabio de Nardis
Si è convinti, insomma, che l'applicabilità delle scienze sociali non sia fattibile, da un punto di vista pratico-operativo, ma soprattutto, non possa dare risultati soddisfacenti, se manca di un'accurata analisi storica delle condizioni di partenza, che preceda la formulazione di eventuali prescrizioni. Il detto degli antichi, secondo i quali omnis definitio est periculosa, acquista un senso e diventa veritiero quando a monte del ragionamento definitorio manca un'attenta analisi strutturale del sistema sociale all'interno del quale si è avviato il processo conoscitivo. Il rischio d'incompletezza è grande quando la definizione prototipica generalizza l'oggetto indagato estrapolandolo dal suo contesto storico-sociale in maniera sincronica. Essa acquisterebbe una dimensione meta-storica, valida per qualsiasi costellazione storica e, quindi, per nessuna nello specifico.
Si vuole lottare contro la pretesa politologica di ridurre l'analisi della politica a semplici operazioni tecnico-ingegneristiche, tralasciando l'analisi storica delle diverse realtà nazionali. Non è possibile estrapolare un modello di forma di governo o di sistema elettorale da un determinato paese ipostatizzandolo, in maniera arbitraria, per poi reificarlo in un altro contesto nazionale ad esso estraneo. Non è possibile parlare di "prototipi" o "modelli" validi in assoluto, in quanto ogni caso è strettamente legato alla specifica realtà storico-congiunturale a cui è applicato. L'impostazione politologica, dunque, difetta di un adeguato senso di relatività storica che, come scrive Cerroni, rischia di produrre "un'indebita esternalizzazione apologetica del presente".
Dunque, non si deve cadere nell'errore di presupporre che tra scienze sociali e mondo sociale intercorra la stessa relazione che esiste tra scienze naturali e mondo naturale. In realtà il rapporto istituito tra scienze sociali e mondo della pratica è estremamente più complicato, se non altro perché tra scienze della società e sfera sociale c'è di mezzo l'individuo e i suoi comportamenti non possono essere ricondotti drasticamente e in maniera rigida a regole comportamentali, estrapolate da quel mondo della complessità all'interno del quale esso è storicamente immesso.
Una rivista, quindi, che non intende rinunciare al primato laico dell'attività scientifica, svincolata da dogmatismi metafisici e da assurde pretese escatologiche. Una rivista che si basa sulla ferma convinzione che la scienza sia, per definizione, la disciplina del "parziale" e che quindi non debba puntare a scoprire la "verità", ma a porre interrogativi che stimolino e contribuiscano alla conoscenza del sociale. Ecco perché si è pensato a "Il Dubbio" come nome della rivista. Si tratta del Dubbio creativo di cartesiana memoria, al Dubbio positivo e costruttivo, prerequisito minimo per qualsiasi attività scientifica. Il Dubbio inteso come l'anello di congiunzione tra il puro pensiero speculativo e la moderna conoscenza scientifica; il Dubbio laico, quindi, che non conosce verità e mette in discussione la realtà per poterla comprendere; il Dubbio che rivaluta l'episteme contro l'opinione e la doxa, non quello scettico, dunque, orientato verso la convinzione dell'impossibilità, per l'individuo, di conoscere. A questa concezione va contrapposta quella del Dubbio sistematico moderno che, già per Galilei, era alla base della ricerca e dell'invenzione.
Si tratta del Dubbio inteso come rinuncia del pregiudizio (Hegel),dei cosiddetti idola baconiani; una sorta di epoché, intesa come sospensione critica da ideologismi e dogmatismi, nel nome di una conoscenza scientifica verificabile. Si tratta di quello stesso Dubbio che per Beck è il dono più prezioso che i pensatori possano offrire a coloro che cercano la propria strada. Si tratta di quel Dubbio laico di cui parlava Descartes, secondo cui qualsiasi cosa possa essere falsificata e messa in discussione, tranne il fatto di poterlo fare. "Tutto ciò che so - scrive Cartesio - l'ho appreso attraverso a o da percezioni sensorie. Ma si può realmente credere ai propri sensi? Posso essere certo che siedo qui accanto alla stufa calda nella mia veste da camera e tengo in mano questo pezzo di carta? Posso essere del tutto certo che queste sono le mie mani, questo il mio corpo? Sicuramente vedo le mie mani, sento il mio corpo. Ma non esistono persone che credono di essere re mentre in realtà sono povere in canna? Non esistono persone persuase che il loro capo è fatto di terraglia e il loro corpo di vetro? Non è possibile che Dio abbia fatto le cose in modo che io creda di vedere cielo e terra, e creda di avere un corpo tridimensionale, mentre nella realtà non esiste nulla di simile? Non si può escludere questa possibilità".
Le parole di Cartesio, dunque, non esprimono altro che lo stato d'animo che quotidianamente coinvolge l'intellettuale. Si tratta di una dimensione di ansia e di angoscia, una dimensione che non si può comunicare e che quindi presuppone un forte elemento di solitudine, ma anche una dimensione laica in cui l'individuo si riappropria della realtà in cui è immerso, mettendola in discussione; si tratta di quella dimensione in cui l'angoscia esistenziale e l'ansia di conoscenza trasforma il fidelis in homo faber, creatore della propria esistenza, attraverso i tre fattori essenziali per l'attività scientifica: la "curiosità", intesa come desiderio di sapere; il "discorso", inteso come logos, come argomentazione razionale svincolata dalla chiacchiera e dalla retorica, che altro non sarebbe che l'ammissione implicita di una sconfitta scientifica; la "aggressività", intesa come desiderio di penetrare il reale presente, per progettare un reale futuro.
Continua Cartesio: "Debbo dunque prendere in considerazione la possibilità che cielo e terra, che tutte le figure nello spazio non siano altro che illusioni e fantasie, di cui uno spirito selvaggio si serve come di trappole per la mia credulità. Dovrò dunque pensare che non possiedo occhi ne mani, ne sangue, carni o sensi, ma che erroneamente credo di possederli. Sarebbe possibile che infine mi persuadessi anche che io stesso non esisto? No, io esisto. Infatti di questo posso persuadermi, cioè del fatto che sono in grado di pensare e di dubitare".
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