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Geremy Rifkin, L'era dell'accesso. La rivoluzione della new economy, Milano, Arnoldo Mondadori Editore, 2000
All'inizio del terzo millennio sono molti quelli che sostengono che l'introduzione di tecnologie sempre più sofisticate stia cambiando i principi fondamentali della società. Tra questi si può collocare Jeremy Rifkin, con il suo recente libro L'era dell'accesso.
L'economia di mercato, geograficamente radicata, in cui venditori e compratori permutano beni e servizi e l'obiettivo dello scambio è il trasferimento della proprietà, sta cedendo il passo all'economia del cyberspazio in cui utenti e fornitori si scambiano informazioni, conoscenze, esperienze e fantasie e l'obiettivo è fornire accesso all'esperienza quotidiana di ognuno.
Rifkin sostiene che il capitalismo sta ridisegnando se stesso sotto forma di rete, compratori e fornitori cedono il posto a fornitori ed utenti a server e client. In tale prospettiva si deve quindi riconsiderare la proprietà, che è stata l'elemento caratterizzante della società capitalistica, riconosciuta come una sorta di convenzione sociale del mondo moderno, finalizzata alla determinazione delle sfere di influenza individuale.
Hegel considera la proprietà come espressione della libertà dell'individuo, che circondandosi dei suoi beni espande la sua personalità nel tempo e nello spazio "la proprietà diventa un'estensione di un individuo. Gli altri possono conoscere e riconoscerne la personalità attraverso gli oggetti che possiede" (p.175), ma nell'era dell'accesso lo spazio perde importanza, i luoghi sono irrilevanti nella società dell'alta velocità e della massima volatilità. In un'economia globale basata sulle reti tutto viene gestito dall'accelerazione dell'innovazione tecnologica, che rende necessario che in un mercato ipercompetitivo le economie di velocità sostituiscano le economie di scala, "In un ambiente ipercommerciale di questo genere, l'idea stessa di proprietà comincia ad apparire anacronistica" (p. 30), per questo l'accesso temporaneo a beni e servizi diventa un'alternativa sempre più allettante e sicura rispetto all'acquisto e al possesso di lungo termine.
Nella seconda parte del testo Rifkin analizza quella che definisce l'era del capitalismo culturale, in cui l'accesso è più importante della proprietà nella strutturazione economica, e questo porta inevitabilmente a una trasformazione delle risorse culturali in esperienze personali e di intrattenimento. Il consumatore, che è diventato il protagonista del mercato saturo di produzione, non si chiede più "cosa vorrei possedere che ancora non ho?, ma, cosa voglio provare che ancora non ho provato?"(p. 194), questo fa si che il consumatore culturale oltre ad appropriarsi della vita culturale e delle forme artistiche di comunicazione, si appropri anche dell'esperienza vissuta. Si parla già dell'industria dell'esperienza, che va dal turismo all'intrattenimento e sembra sia il settore destinato a dominare la new economy. Quindi mentre la proprietà riguarda il mio e il tuo, l'accesso considera la questione della natura culturale e del controllo delle esperienze.
La cultura è considerata come un'esperienza umana condivisa, che però oggi attraverso le nuove tecnologie di comunicazione viene trascinata all'interno della sfera economica e diventa merce essa stessa; è opinione condivisa infatti, chela "comunicazione sia il nucleo della cultura" come rammenta Edward T.Hall (p.185), quindi non potrà essere disgiunta dalla cultura e viceversa, perciò quando "tutte le forme di comunicazione vengono trasformate in merce, la cultura - materia della comunicazione - diventa inevitabilmente merce"(p.186). Prove di questo si ritrovano ovunque: cinema, TV, radio, turismo globale, città e parchi tematici, moda …ed è evidente che nell'economia globale l'industria culturale è il settore in maggiore crescita. Questo ha scaturito una vera lotta tra le multinazionali per appropriarsi del controllo dei canali di comunicazione e delle risorse culturali, che costituiranno la parte più consistente della sfera economica nel futuro, ele multinazionali dei media stanno costruendo una rete mondiale di comunicazione che scavalca completamente i confini nazionali, ma nel fare ciò inevitabilmente modificano la vita politica. "La deregolamentazione dei sistemi di comunicazione e di trasmissione via etere globali, e la loro assunzione nell ''ambito della sfera economica e commerciale sta spogliando gli Stati nazionali della capacità di supervisionare e di controllare le comunicazioni nell'ambito dei propri confini"(p. 297). Nel 1997 è stato fatto un accordo tra sessanta paesi, che ha posto fine ai monopoli telefonici pubblici; artefici e accesi sostenitori di tale accordo sono stati WTO e World Bank, quest'ultima facendo di questa deregolamentazione una condizione necessaria per la concessione di nuovi prestiti o l'espansione dei termini di quelli in atto. Tale accordo internazionale ha contribuito molto all'indebolimento dei governi nazionali, sottraendo gran parte del potere di cui disponevano di diritto.
La realtà individuata da Rifkin è che gli Stati e i loro governi finora sono stati caratterizzati dalla territorialità e dai confini dei loro territori. "ma quando gran parte della vita sociale ed economica si svilupperà nel mondo immateriale del cyberspazio, come potranno istituzioni politiche radicate nel territorio non perdere importanza e visibilità?"; inoltre egli arriva a formulare un quesito drastico, ma molto intuitivo, "Finora quando l'attività dell'uomo è stata legata al territorio lo Stato ha avuto un senso. Ora che la vita economica e sociale è sempre più svincolata da qualsiasi considerazione geografica, lo Stato ha ancora ragione di esistere"(p.304). Sono questi grandi interrogativi per i quali qualsiasi tentativo di risposta risulterebbe affrettato e criticabile.
Rifkin nonostante accetti e apprezzi l'era dell'accesso, avvisa il lettore che questa come tutte le cose, può avere anche effetti negativi. Il problema maggiore sta nel fatto che garantirsi l'accesso alle reti comporta una perdita di accesso al capitale sociale, questo preclude due elementi fondamentali per la società e anche per lo scambio, la fiducia sociale e l'empatia è evidente che mancando questi due parametri l'economia anche se fornitrice di tutti i beni materiali, non potrà più esistere.
Infine un secondo ma non minore problema è che l'era dell'accesso crea un divario culturale, economico e sociale ancora maggiore tra nord e sud del mondo, in quanto solo 1/5 della popolazione mondiale sta passando dalla proprietà all'accesso, mentre la restante popolazione non è in una fase di produzione satura e quindi vede ancora come valore principale la proprietà.
Molti concetti del testo sono già stati criticati e altri probabilmente lo saranno, si deve però riconoscere all'autore una ampia capacità critica ed intuitiva, ed indubbiamente il testo è ricco di numerosi spunti che faranno riflettere molto il lettore.
Michela Luzi
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