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Recensioni


Pier Luigi Celli, L’Illusione Manageriale, Laterza, Roma-Bari, 1998.

    L’unità economica "Impresa" si trova inserita in un ambiente dai confini pallidi, chiaro effetto di un’economia internazionalizzata e ultra-dinamica. L’epoca delle certezze di carriera, di ruolo, di gusto dei consumatori, di ideologia, in una parola, della sicurezza, è tramontata. L’impresa che raggiunge i propri obiettivi seguendo esclusivamente suggerimenti nati entro i propri confini non è più concorrenziale, non è in grado di sfidare le nuove complessità. Un primo intervento da realizzare riguarda l’elemento culturale del management in quanto sterile e autoreferenziale. Perciò è necessario stimolare la formazione di una cultura più vicina al "sistema-paese" e al "sistema-mondo". Tutto ciò si può realizzare, seguendo il consiglio dell’autore, attraverso una nuova generazione di dirigenti in grado di alimentare contemporaneamente strategie di leadership funzionale e strategie di leadership socio-emotiva, per un "bricolage rischioso ma creativo" e certamente più idoneo al contesto economico e sociale in cui viviamo. Per fare ciò, occorre innanzi tutto intervenire sul linguaggio imprenditoriale che, con codici gergali ipersemplificati, attualmente è solo in grado di produrre una comunicazione meccanica, fatta di parole superflue. Il linguaggio imprenditoriale deve, invece, riuscire ad unire i "molteplici mondi individuali e collettivi" che continuamente attraversa e "vive".

    In Italia da un decennio, in particolar modo, si è registrata la tendenza da parte dell’impresa di evitare, come primo obiettivo, di ricadere nei vecchi errori di compromissione. Questa tendenza ha determinato un linguaggio strettamente scientifico (standard) che, se da una parte conferma l’incorruttibilità e l’essere "puliti", dall’altra determina una specie di afasia, causa prima dell’incapacità di formulare idee nuove e di confronto. L’Impresa che deve cambiare è quella che si è "fatta" su slogan pubblicitari e miti senza nessuna storia. Una tendenza quest’ultima che sembra ormai essere passata dal mondo imprenditoriale a quello sociale, come acutamente osserva nella postfazione Galimberti. Il male peggiore a detta di Celli, si registra nell’impresa pubblica e in particolare nella sua élite dirigenziale, che resta ancora troppo legata a logiche e bisogni non propri. La nostra impresa, in particolare quella pubblica, non ha mai potuto autonomamente gestirsi resistenze, chance, aperture, risorse e decisioni. Non che il privato sia sempre stato in grado di autogestirsi e di operare nel rispetto delle regole, ma certamente è sempre stato capace di mettere sul conto di chi "ufficialmente si disprezzava", le proprie magagne. In Italia, in questo momento, la soluzione adottata dalla maggioranza delle imprese, è quella del management science, con tutte le ipocrite certezze di importazione che gli appartengono. È chiaro che, finché non si agirà sul deficit di sensibilità sociale e cultura di governo propri della nostra impresa, uno sviluppo economico e sociale che favorisca il Paese, rimane solo un’utopia.

    È certamente una delle soluzioni più difficili quella che l’autore suggerisce per la nostra impresa, creare connessioni con la società e, soprattutto, autocriticarsi rimettendo in discussione l’egoismo tipico del capitalismo oligarchico. La soluzione più facile è nel "nuovo", perché chi entra nel nuovo ha l’entusiasmo, l’idea di libertà e il gusto del rischio che si traducono in flessibilità organizzativa e, in particolare, in una maggiore attenzione ai rapporti informali e nel rifiuto categorico degli imperativi tipici del sapere manageriale tradizionale. La prova del successo del "nuovo" è l’Omnitel che si è imposta nel mercato attraverso il "non rispetto" radicale delle buone e giuste regole della tradizione. Più difficile è il "nuovo inizio", ma non impossibile. In entrambe le situazioni, indispensabile è l’essere capaci di rompere con la continuità (routine), per intraprendere le molteplici esperienze del nuovo. In questo passaggio obbligato, dalla tranquilla routine al cambiamento incerto e continuo, non è sufficiente operare razionalmente scelte e obiettivi, occorre anche che la nuova situazione (il cambiamento) sia in grado di entusiasmare gli animi di tutti i membri dell’impresa.

    L’autore critica enormemente lo spreco manageriale dell’impresa sia pubblica sia privata, incapace di fare scuola ai propri manager e disposta solo alla loro sostituzione continua. Perciò esiste attualmente nel mondo imprenditoriale uno spreco inaccettabile, determinato da un cattivo uso delle risorse umane a disposizione e da una formazione, dove ce n’è, ridotta a "un formatore d’aula", per cui estraneo alla realtà lavorativa, alla cultura aziendale. Salvifica risulterebbe essere una formazione ricca di arte narrativa, in grado di lavorare sulle trame, in altre parole, capace di considerare nei propri programmi i bisogni e le necessità dell’organizzazione e di ogni suo membro. Una formazione, che Celli definisce, di tipo "assaporativo", che sappia offrire maggiori opportunità e spazio ai rapporti informali al fine di incrementare una ricca conversazione tra le parti. Tutto ciò dev’essere concepito come compito, non secondario, delle direzioni del personale. Il Manager in un contesto dove non manchino questi elementi educativi dovrà anche accettare la propria e l’altrui imperfezione e abbandonare così quel modello di carriera-Hag, facilmente raggiungibile dal super-manager, ultra razionale che non ha debolezze e, soprattutto, una vita che prescinda dal lavoro.

    Ora, l’esperienza personale dell’autore in campo imprenditoriale suggerisce, alle nuove o pentite generazioni, di abbandonare la cooptazione dall’alto nella selezione delle élite dirigenziali, perché non sono più sufficienti persone fedeli o buoni supporter, e di investire maggiormente su persone intelligenti e competitive. Il problema più serio e meno facile da risolvere, come osserva Galimberti, è certamente l’ambiente che circonda l’impresa, perché codificato con gli stessi schemi aziendali. "A questo punto l’Illusione manageriale, cui fa riferimento Pier Luigi Celli in questo suo libro, è in realtà la forma della politica e lo schema di lettura della società". L’impresa non può trovare un contributo all’esterno se prima non si interviene rinnovando la società.

 

Barbara Sabella

 


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