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Recensioni

Ferrero G., La Democrazia in Italia - Studi e Precisioni.
Introduzione di Carlo Mongardini, Catanzaro, Rubbettino, 2000.

 

    Questo volume di Guglielmo Ferrero (1871-1942) può essere considerato a tutti gli effetti un inedito; pubblicato infatti nel 1925 fu immeditamente censurato e tutte le copie in circolazione restituite alla famiglia. Dopo venticinque anni è stato fortunatamente recuperato e riedito con una introduzione di Carlo Mongardini. Tale studio presenta una prospettiva interessante nella storiografia sul fascismo offrendo una diagnosi della crisi della civiltà occidentale fra le due guerre. Ferrero effettua in maniera brillante un’analisi del fascismo in termini di continuità con la storia ed i governi che l’hanno preceduto. Si potrebbe dire che per il Nostro il fascismo rappresenta quasi un punto d’arrivo, una manifestazione di mali precedenti o, per dirla con De Felice, la logica ed inevitabile conseguenza di una serie di tare caratteristiche dello sviluppo storico di un paese. L’analisi di Ferrero va però oltre l’analisi storica e politica dei fatti, passando attraverso lo studio della società italiana fino ad approdare a quella che Del Noce in seguito chiamerà analisi "transpolitica".

    La Democrazia in Italia presenta la situazione politica italiana (ma anche tedesca, austriaca e di altri paesi europei) come "governata da un sistema politico intermedio tra l’assolutismo, dominante sino al 1848 e la democrazia della Svizzera e della Francia" (p. 27): "in Italia, come in tutta l’Europa – e non poteva non essere così – la rivoluzione del 1848 fu nel tempo stesso vittoriosa e vinta in una ingegnosa combinazione (gli antichi avrebbero detto: contaminazione) dei due principi d’autorità che si erano affrontati sulle barricate e sui campi di battaglia di quell’anno e del seguente; il principio dinastico, inteso in senso largo, come il prestigio e il potere di tutte le istituzioni, i corpi e le classi dell’antico regime – aristocrazia, esercito, clero, magistratura, alta amministrazione, diplomazia- che facevan gruppo, in ogni Stato, intorno alla dinastia regnante; il principio democratico della sovranità popolare, operante nei corpi elettivi maggiori e minori e negli organi della pubblica opinione – stampa, associazioni e partiti" (pp. 27-28). Seguendo la ricostruzione che Ferrero fa della storia contemporanea italiana troviamo, nelle pagine di questo libro, un’illuminante descrizione sulle conseguenze che la prima guerra mondiale ha portato nella storia politica europea ed in particolar modo in Italia. "La guerra in Italia, fu una rivoluzione fin dal principio, innanzi tutto, perché distrusse con una violenta guerra intestina il gruppo dominante e l’onnipotenza del vecchio dittatore" (p.32).

    Queste pagine sono ancor più straordinarie se si pensa che sono state scritte solamente nel 1925 ed anticipano (se pure chiaramente in stato embrionale) molte delle analisi successive sugli effetti socio-culturali e politici dell’evento bellico. In particolar modo risulta davvero interessante il passaggio sulle classi medie "turbate" dalla guerra che ricorda la fondamentale intuizione di De Felice sull’importanza dei ceti medi emergenti nella nascita e nel primo sviluppo del fascismo. Ma l’intuizione geniale di Ferrero é l’interpretazione "continuista" del fascismo, una continuità che è maggiormente presente in questo pamphlet piuttosto che nella sua opera più organica, Potere (1942). Nell’aprile del 1924 osserva: "Abbiamo in Roma il nuovo successore, non di Cesare o di Traiano, ma di Giovanni Giolitti, di Francesco Crispi e di Agostino Depretis. Come ai tempi di Giolitti, come ai tempi di Crispi, come ai tempi di Depretis, il Parlamento é di nuovo la creatura e lo strumento del Capo del Governo, che, invece di obbedirgli, gli comanda, e che, per mezzo suo, invece di essere il primo servitore della nazione ne é il padrone". Ed aggiunge che "per chi conosce un po’ la storia dell’Italia contemporanea, quale fu e non quale raccontata dagli storiografi ufficiali, il nuovo padrone é una vecchia conoscenza, facile a riconoscere, anche sotto la camicia nera e il fez. È l’uomo che ha rifatto quello che già Giolitti e Depretis avevano fatto con molta fortuna, e Crispi tentato a mezzo" (pp.49-50).

    L’analisi di Ferrero è molto chiara: a cominciare dalla fine del secolo scorso, fino ad arrivare alla prima guerra mondiale, la gestione della cosa pubblica é spettata ad una "oligarchia degli anziani", ovvero "un piccolo gruppo di alti funzionari e di parlamentari autorevoli tutti attempati (per farne parte bisognava – e comincio a credere non fosse male – avere i capelli grigi) i quali, appoggiati non al Parlamento soltanto, ma anche alle due ossature salde dello Stato – Monarchia e Burocrazia – reggevano invisibili lo Stato e decidevano tutti gli affari capitali, sembrando di dipendere e cercando di andar d’accordo con il Parlamento, ma sapendo contrariarne e piegarne la volontà, quando era necessario" (p.29). La conclusione é che non si può parlare di una "rivoluzione" fascista, bensì di un colpo di stato: "Molti giovani che nell’ottobre del 1922 credettero di emulare i veterani di Cesare marciando su Roma, si immaginarono in buona fede di distruggere un vecchio mondo per creare un ordine nuovo di cose. Andavano invece a sostituire alla meglio, per qualche anno, la oligarchia degli anziani, disfatta dalla guerra (…). Di quelle trenta persone che comandavano prima della guerra, una diecina, e forse neppure tanti, sono stati sostituiti; ma gli altri venti comandano invisibili, come prima, anzi più di prima, perché ai nuovi difetta l’esperienza e la capacità dei predecessori" (p.60). Questa é dunque la ricostruzione storica che Ferrero fa in Democrazia in Italia. L’analisi di Ferrero va tuttavia oltre, muovendosi anche su un piano teorico e interpretativo. Ed é proprio a questo livello che si inserisce la teoria della legittimità, il principale e originale contributo che Ferrero ha fornito all’analisi del potere. I principi di legittimità sono per il Nostro – "giustificazioni del potere, cioè del diritto di comandare; perché fra tutte le ineguaglianze umane nessuna ha conseguenze tanto importanti e perciò tanto bisogno di giustificarsi, come l’ineguaglianza derivante dal potere". Essi sono simili alle figure intermedie tra gli uomini e gli dei che i Romani chiamavano "geni", sono delle "forze che agiscono nell’intimo delle società umane impedendo loro di cristallizzarsi in una forma definitiva. Forze la cui natura é assai oscura. Insomma un regime legittimo é quello in cui "il potere é stabilito ed esercitato secondo regole fissate da lungo tempo; note ed accettate da tutti, interpretate e applicate senza esitazioni e senza fluttuazioni per unanime accordo" (Potere, p. 208). Ferrrero stigmatizza il fascismo come governo privo di legittimità.

    La lettura di questo libro apre diverse piste di discussione. Anzitutto andrebbe ulteriormente valorizzato e approfondito il concetto ferreriano di legittimità che, a mio parere, richiama più l’idea di costituzione materiale che quella di cultura in senso antropologico. In secondo luogo, per quanto riguarda l’interpretazione radicale del fascismo, quale quella fornita da Ferrero, intento a rilevare motivi e germi preparatori del fascismo, occorre riconoscere che anche grazie a questa interpretazione oggi è possibile formulare un discorso relativo al ruolo che hanno giocato questi fattori per quanto riguarda l’affermazione del fascismo e la determinazione dei caratteri distintivi dei singoli fascismi. La lettura di questo libro appare pertanto quanto mai illuminante soprattutto oggi in un momento in cui sembra esser stata raggiunta una fase matura di studi sul fascismo italiano e non solo.

Giovanni Mario Ceci

 


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