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Saggi

I giovani nella "modernità avanzata"
Verso una nuova silent revolution?

di Marisa Ferrari Occhionero

1. Postmodernità e disagio giovanile

    Il nostro é un tempo di grandi cambiamenti, caratterizzato da processi sempre più coinvolgenti per la loro magnitudine e che sempre più destano ansie per le sfide sociali che pongono. La frequente richiesta di scelte e di opzioni multiple mette in crisi la politica di vita individuale, con pulsioni verso comportamenti orientati alla massimizzazione del proprio "io" che, per essere troppo finalizzati all'affermazione di un ethos individualista, finiscono col perdere di vista, molto spesso, quella dimensione collettiva che è necessaria per la vitalità della società stessa. Sembra, comunque, abbastanza chiaro che ci troviamo in una situazione che potrebbe definirsi "interstiziale" per le forti ambivalenze e contraddittorietà che la distinguono nel suo dibattersi tra modernità e tradizione, tra orientamenti e valori di tipo consumistico enfatizzanti il benessere, e valori che pongono enfasi sulla crescita della soggettività e sull'acquisizione di beni immateriali.

    All'origine di questa confusione e del malessere che si colgono un po' dovunque sta, forse, la forte accelerazione impressa alle trasformazioni di tipo istituzionale - mondo del lavoro, famiglia, scuola e così via - che la società italiana ha subito in un lasso di tempo troppo breve per metabolizzarle. Malessere ed incertezza sono presenti soprattutto nei giovani e si manifestano con atteggiamenti di disaffezione verso le istituzioni, in particolare verso quella politica, di sfiducia e di scetticismo nei confronti del proprio futuro. Ma questi sentimenti non sono estranei neppure alla generazione più anziana, come risulta anche da ricerche condotte, quella che, per il fatto di avere un'identità già consolidata e, quindi, meno fragile, dovrebbe essere meno vulnerabile e sensibile ai cambiamenti. Ci si chiede da più parti se sia possibile dare una definizione della "condizione dei giovani". La risposta è negativa per la difficoltà stessa, incontrata dalle scienze sociali, nel tentativo di elaborare strumenti concettuali idonei a comprendere quali sono gli aspetti principali che la caratterizzano, quali le modalità d'espressione della sua evoluzione. Si tratta, infatti, di una nozione estremamente variabile, che, per il fatto di essere soggetta a cambiamenti di tipo storico e a variazioni di tipo socio-culturale, pone problemi di definizione e di analisi concettuale.

    Ed è proprio dai profondi mutamenti legati al processo di modernizzazione e dalle innumerevoli contraddizioni che la società di oggi ci presenta che ci sembra si debba partire per capire che non si tratta di considerare il mondo dei giovani come fonte di dilemmi o, più semplicemente, come un "problema", ma piuttosto di vedere nella loro condizione il frutto dello spirito del tempo, quello che contraddistingue la modernità avanzata o postmodernità, come la si voglia chiamare. Una società o un "tempo" che pone costantemente l'individuo sotto pressione, di fronte a scelte che implicano opzioni tra diverse rappresentazioni della normalità, ed ancora tra differenti, talvolta nettamente contrastanti, pratiche di costruzione del proprio look, del proprio corpo o della propria identità. Gli effetti sono un taglio netto con la dimensione diacronica di un piano di vita e con la susseguente enfatizzazione del consumo "hic et nunc": la centralità posta sull'abbigliamento e sull'apparenza fisica, la perdita della linea di demarcazione tra tempo lavorativo e tempo libero, l'aumento del "tempo vuoto", come da alcuni osservato, e un atteggiamento passivo come caratteristica di questa condizione. Una cultura che potrebbe definirsi del "precario" perché è proprio la precarietà, l'effimero, che sembra contraddistinguere il mondo giovanile e non solo, giacché il mondo degli adulti non sembra del tutto immune dall'esserne contagiato. La connessione profonda tra una diffusa condizione sociale fluttuante, incerta e frammentata e la crescente solitudine dell'individuo nel definire il proprio ego potrebbe essere all'origine della difficoltà dei giovani di pensare ad un futuro, il loro.

2. Processo di individualizzazione e "autodirezione"

    Uno dei processi che maggiormente hanno contribuito a trasformare la società e che viene considerato associato alla modernizzazione, è il processo di individualizzazione con l'emergere di un ethos individualista come suo output, che renderebbe gli individui meno dipendenti dalle istituzioni tradizionali e più orientati alla libertà individuale e all'autonomia personale. Modernizzazione e individualizzazione hanno prodotto una crescente erosione dei valori morali tradizionali e dell'autorità, che ha, poi, la sua ricaduta su tutti i tipi di istituzioni, come sostiene Inglehart (Inglehart, 1977), nei confronti delle quali si nota una crescente disaffezione per la loro inadeguatezza a soddisfare i nuovi bisogni e le nuove domande della gente; l'individualismo diviene, in tal modo, come orientamento di base della moderna ed affluente società, strumento di protesta anti-istituzionale.

    Altro problema di un certo rilievo per il nostro tempo e concernente, senza distinzione, tutte le società occidentali, sarebbe, poi, quello rappresentato dalla complessa relazione tra individualizzazione e globalizzazione, soggettività e cambiamento sociale. Anche la globalizzazione, come i processi di individualizzazione e di modernizzazione, riguarda da vicino le istituzioni, in una continua tensione dialettica in cui alcune di esse vengono sostituite con altre, ritenute, al momento, maggiormente soddisfacenti e più rispondenti. Entrambe - globalizzazione ed individualizzazione - sembrano caratterizzate dalla graduale scomparsa dell'ethos collettivo, enfatizzante le responsabilità morali comuni, con una perdita del senso della "morale sociale" e di tutto il suo bagaglio di norme e di ordine generalmente accettati, che diventa sempre più frammentario ed eterogeneo. Quella "morale sociale" che, secondo Touraine (1998), è un concetto basilare nella società per il fatto che l'idea di società avrebbe assunto un suo proprio significato con l'inizio del processo di modernizzazione, quando cioè bene e male, funzionale e disfunzionale, non potevano più essere definiti in relazione ad un messaggio divino o alla tradizione, ma dovevano essere considerati come elemento della società stessa. A livello sociale, la morale farebbe riferimento, quindi, a ciò che è bene e a ciò che é male, a ciò che è funzionale o disfunzionale nella società secondo un gruppo di persone che condividono un interesse comune.

    Strettamente connesso all'individualizzazione è l'individualismo che differisce, però, dalla prima in quanto non si tratta di un processo, bensì di convinzioni, credenze, valori o atteggiamenti che pongono alla base di ogni decisione l'autonomia individuale e il diritto di prendere decisioni sfruttando le varie opportunità individuali, svincolate da ogni costrizione, sia essa di tipo religioso che tradizionale. È così per gli atteggiamenti nei confronti della sessualità e di istanze etiche, come nel caso del divorzio, dell'aborto, dell'omosessualità, dell'eutanasia, che, delegittimate da sempre dalla chiesa cattolica, vanno acquisendo sempre più legittimità ed accettazione da parte della gente, con un livello crescente di permissivismo. In particolare, la fase di transizione attuale, o di "tarda modernità", così come viene definita da molti (Giddens 1991,1996; Beck 1992; Castells 1996; Bauman 1998) sembra caratterizzata da una crescente connessione tra individualizzazione e cambiamenti socioeconomici che riguardano, praticamente, tutte le sfere e le pratiche del vivere sociale, da quella economica a quella politica, a quella culturale e che assumono sempre più visibilità e consistenza in una grande varietà di fenomeni.

    Da un punto di vista più propriamente qualitativo, nuovi paradigmi socio-culturali vengono a sostituirsi a quelli della modernità: laddove una certa enfasi veniva posta su "generalizzazioni, standardizzazione, omogeneità e similarità", il focus è ora spostato su caratteristiche come "originalità, flessibilità, pluralismo, differenze, originalità creativa" che, insieme ad interpretazioni personali della realtà sociale, sono decisamente predominanti, in quanto sembrano promettere maggiore libertà, maggiori diritti, perfino maggiore felicità e benessere personale. Così le decisioni e le preferenze individuali sono prese essenzialmente sulla base di considerazioni autonome che sono spesso finalizzate al conseguimento di interessi personali e che considerano il proprio "io" come punto di riferimento nella definizione della propria scala di valori e dei propri atteggiamenti. In altre parole, l'affermarsi dell'autodirezione, con il conseguente rifiuto di qualsiasi forma di eterodirezione, per usare termini mutuati da Riesman ("inner-direction" e "other-direction" sono quelli originali, usati dall'autore nel suo famoso lavoro The Lonely Crowd del 1950), sembrerebbe condurre a un rifiuto e a una completa autonomia decisionale nei confronti dei doveri e dei compiti tradizionalmente connessi alla famiglia, alla chiesa, alla vita della comunità e alla responsabilità sociale.

    Discorso analogo vale per le questioni morali che dipendono totalmente da convinzioni personali. Ad una graduale erosione di tutto ciò che sembrava acquisito vanno sostituendosi forme particolaristiche che sospingono sempre più l'individuo, come è già stato osservato, verso atteggiamenti egoistici, volti a conseguire un benessere personale costruito sulla realizzazione immediata dei propri desideri, ben lontano da obiettivi di lunga durata perché tutto può cambiare con grande facilità. Il diffondersi di atteggiamenti e comportamenti di tipo individualistico è bene sottolineato da Bauman (1998) quando sostiene che mano a mano che gli individui sono sedotti dalla ricerca della felicità attraverso il consumo, la collezione di sensazioni, the gathering of sensations, life from attraction to attraction and from sensation to sensation, diviene lo scopo principale nella vita. Questa "cultura dell'autorealizzazione" che va sempre più delineandosi, porterebbe alla proliferazione di codici etici, ad un pluralismo comportamentale e, più in generale, a un aumento della sfera delle libertà individuali.

3. Giovani e adulti: assonanze e dissonanze

    Utile alla comprensione del quadro che si va delineando può essere l'accenno alle numerose e profonde trasformazioni che, negli ultimi decenni, hanno riguardato i modelli di formazione e dissoluzione familiare nei paesi europei e occidentali. Esse hanno prodotto modificazioni sostanziali nelle tradizionali strutture familiari, nella loro composizione, nonché nei comportamenti tra i membri: dilazione nei tempi dell'abbandono della casa genitoriale, del matrimonio, della maternità/paternità, della creazione, in generale, di una nuova famiglia, democratizzazione dell'autorità dei genitori. Le mutate condizioni economiche determinatesi alle soglie degli anni Ottanta - recessione, aumento dell'inflazione, crescita della disoccupazione, crisi degli alloggi e così via - avevano posto un freno alla cultura ribelle che si era andata delineando dagli anni Settanta in poi, costringendo i giovani ad una rivalutazione in senso positivo della famiglia e, quindi, a un ritorno ad essa. Da allora i cambiamenti si sono velocizzati fino alla situazione attuale in cui la coabitazione genitori-figli si è notevolmente prolungata. Ci dicono infatti le statistiche che il 50% dei giovani trentenni di oggi abitano ancora con la loro famiglia di origine, così che la famiglia è spesso composta di due generazioni di adulti: quella dei genitori e quella dei figli, giovani adulti. Questo fenomeno, che gli americani chiamano deferral syndrome, si spiega alla luce di alcuni fattori - il prolungamento dell'istruzione, le precarie condizioni del mercato occupazionale con la connessa difficoltà di reperire un lavoro, la disoccupazione - che hanno caratterizzato il paese per anni e che costituiscono un potente elemento di "destabilizzazione" nel percorso biografico dei giovani, nella transizione, cioè, alla fase adulta. Per non parlare, poi, di quel "vuoto ideologico" nel quale i giovani di oggi sono completamente calati.

    Come dimostra l'evidenza empirica, esiste una spiccata specificità del modello dei paesi mediterranei segnati profondamente dal generalizzato rinvio dei passaggi principali nella transizione alla vita adulta: uscita da casa, nuova unione, assunzione di ruoli genitoriali. Sempre più ragazzi e ragazze tendono a contrapporre i benefici dell'emancipazione dalla famiglia di origine ai rischi di perdita di status che essa lascia paventare (Micheli, 1999). D'altronde, in famiglia, godono di ampia e indiscussa libertà. È con gli anni Settanta che inizia la diffusione di nuovi modelli familiari, quali le coabitazione preconiugali, le unioni consensuali di fatto, la stabilizzazione su livelli abbastanza alti dei tassi di divorzio, e un recupero di fecondità oltre i 30 anni (Micheli, 1999). Lesthaeghe (1991) ha offerto una lettura dei recenti modelli riproduttivi strettamente correlata a quella della prima grande transizione demografica, che egli denomina "transizione silenziosa", o seconda transizione demografica, che corrisponderebbe a una ulteriore manifestazione dell'autonomia individuale diretta contro ogni espressione di autorità istituzionale: dal campo della socializzazione a quello dell'autorità religiosa, dai valori politici alla sfera domestica, fino alle istituzioni di controllo e regolazione della devianza. Come si è accennato, il mutamento dei costumi, va di pari passo con l'erosione delle norme sociali, anche di quelle relative alle età di iniziazione alla società adulta.

    In genere gli studiosi tendono ad attribuire la contrazione delle scelte riproduttive e la refrattarietà ad assumere un ruolo e uno status da adulto a fattori di tipo strutturale facenti riferimento soprattutto al quadro dei condizionamenti materiali: disoccupazione elevata, sviluppo economico tardivo, cultura di emancipazione all'interno della famiglia di origine, disponibilità di un'abitazione. Assai più persistenti ed efficaci dei fattori economici ci sembrano, invece, quelli culturali, tra i quali il forte processo di laicizzazione della società italiana. Alcuni sociologi attribuiscono la trasformazione dei costumi all'incepparsi dei meccanismi di trasmissione intergenerazionale. Cerchiamo di chiarirne il significato rifacendoci alle possibili accezioni del termine "generazione": quella antropologica come genealogica o come discendenza che rimanda al dato della successione e della compresenza di più nodi verticali di parentela (nonni, genitori, figli) dentro una stessa famiglia; quella storico-demografica di generazione come coorte, definibile a sua volta come aggregato di individui che hanno sperimentato lo stesso evento nello stesso intervallo di tempo, e infine l'accezione sociologica che definisce "situazione generazionale" quella che accomuna individui appartenenti a leve contigue nel quadro di un medesimo contesto storico-sociale che influenza modi di sentire, pensare e agire (Cavalli, 1993). Le differenze che si riscontrano nella evoluzione dei comportamenti o atteggiamenti per coorti di età dipendono da tre tipi di processi: i processi di maturazione della personalità (effetto età); l'esposizione selettiva a eventi e situazioni storiche nella fase formativa del ciclo di vita (effetto coorte) e il momento storico in cui viene effettuata la rilevazione (effetto periodo). Inglehart, ricostruendo gli orientamenti di valore degli intervistati distinti per coorti decennali, ha correlato i differenti effetti dimostrando come progressivamente le coorti più giovani permeano gradualmente le fasce di età più anziane determinando sostanziali mutamenti delle priorità valoriali (effetto coorte) (Inglehart, 1993 e 1998). Sempre Inglehart offre una spiegazione del cambiamento generazionale legata al tenore di vita dell'ambito di socializzazione dell'individuo (effetto periodo), per cui l'effetto coorte, che avrebbe una natura psicologica, sommato con le influenze congiungurali (effetto periodo), condizionerebbero gli orientamenti valoriali e l'identità generazionale stessa.

    È comunque difficile offrire un tracciato regolare delle discontinuità del mutamento storico-sociale che individuano le diverse generazioni. Dall'emergere di nuove generazioni derivano non solo un cambiamento congiunturale negli orientamenti valoriali, laddove il processo di trasmissione e di rottura degli orientamenti è inscritto nelle dinamiche familiari (Donati 1995), ma anche profonde mutazioni degli orientamenti radicati, dovute alla esposizione a una fonte di innovazione stabile. Una chiara rappresentazione della parabola valoriale generazionale ci sembra possa essere considerata quella costituita dalla progressiva sostituzione di una filosofia basata sul solidarismo, tipica dei nati tra gli anni Trenta e Quaranta, con una filosofia centrata sull'autoaffermazione che caratterizza i nati dopo gli anni Sessanta. Esistono, comunque, altre dimensioni, tra cui una certa disposizione di fondo, da parte delle generazioni adulte, a compiere scelte autonome rispetto ad una disposizione elusiva ed ansiosa, da parte delle giovani generazioni (Micheli, 1999). Il rifiuto dell'impegno collettivo, di quello sociale, politico e religioso da parte dei giovani degli anni 2000 non sembra imputabile ad una scomparsa o flessione della socialità la quale tende ad esprimersi nelle relazioni amicali, nel gruppo dei "pari". È proprio l'amicizia che assume un posto centrale nella sfera valoriale dei giovani, collocandosi subito dopo la famiglia, come dimostrano le inchieste IARD. Le forme di espressione del disagio giovanile (fino a quelle più estreme di trasgressione e a quelle autolesioniste del suicidio), esprimerebbero, quindi, non tanto la negazione del sistema di valori tradizionali di riferimento, ma piuttosto il tentativo di sovrapporne uno che offra maggiore condivisione familiare e una netta riduzione dello spazio conflittuale. In sostanza si avrebbe, così, un doppio effetto intergenerazionale di socializzazione: quella dei giovani al sistema dei valori tradizionali e una socializzazione "al contrario" o "a ritroso" degli adulti, attraverso una progressiva adesione e adattamento dei genitori al sistema dei valori condivisi dalle giovani generazioni.

4. Considerazioni finali

    Questo "post" che stiamo vivendo è, senza dubbio, permeato di incertezze e di contraddizioni. Vi si potrebbero cogliere, forse, i sintomi di una "silent revolution", nella quale la traiettoria più evidente sembra quella di una lenta ma inarrestabile marcia verso l'acquisizione di nuovi spazi e di nuove libertà. I giovani, eredi di un mondo disordinato, faticano a trovare in esso un significato "autentico". Si ribellano a qualsiasi forma di autoritarismo, di dovere, alla monotonia, rifiutano i formalismi e i vari modelli di impegno. Rifiutano la politica, quella esercitata negli apparati di partito, perché refrattaria a mettere nella sua agenda tematiche "issue oriented", a trattare, cioè, problemi che abbiano una loro specificità, una loro concretezza. Esprimono tutto il loro potenziale emotivo nel divertimento, attribuendogli una grande importanza, come osserva Beck nel suo ultimo lavoro (Beck, 2000): praticano sport, ascoltano musica, consumano per appagare la loro gioia di vivere. Ma sono almeno felici, soddisfatti della loro vita? No, lo sono di meno, addirittura di meno della generazione adulta, facendo invertire una tendenza inveterata secondo la quale i giovani, per motivi che sono sufficientemente comprensibili, erano più soddisfatti, come dimostrano alcuni riscontri empirici (Inglehart e Ferrari Occhionero, 2000). E per quanto concerne gli adulti, sono, poi, così distanti dai loro figli? No, almeno a quanto ci risulta. L'accentuata convergenza intergenerazionale sembra decisamente sfatare il ritratto, talvolta iperbolico, di un gap generation, costruito, spesso, dai media. Entrambi sembrano subire gli effetti dello "spirito del tempo" e delle incertezze indotte dalla modernità avanzata o postmodernità. Un tempo che dovrà, prima o poi, porre mano alla rinegoziazione dei fondamenti dell'ordine sociale e della convivenza precedentemente stabiliti. Per concludere, negli atteggiamenti evitanti delle giovani generazioni non c'è angoscia, ma, piuttosto, sentimenti di ansia e di insicurezza determinate, principalmente, dalla difficoltà di inserimento nel mondo del lavoro, dalle incognite che riguardano la loro condizione di vita e la possibilità concreta di costruirsi un progetto di vita; per quanto concerne, invece, le generazioni più anziane - quelle dei loro genitori- si tratta di proporre modelli di comportamento che siano credibili e di trovare un codice inedito di comportamento e comprensione per affrontare eventi che si pongono loro per la prima volta e che risultano del tutto nuovi ad una generazione "schiacciata" tra l'eterna vecchiaia dei genitori e la prolungata giovinezza dei figli.

 

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