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Recensioni

Yves Pagès, Piccole Nature Morte al Lavoro, Bollati Boringhieri, Torino, 2000


    La globalizzazione e la così detta "New Economy" hanno apportato delle trasformazioni quanto mai significative al mondo del lavoro. Le modificazioni che tale importante paradigma della modernità ha visto realizzarsi nei tempi più recenti sono improntate a fenomeni che è possibile esemplificare come segue:

1. la scarsità di lavoro;

2. la flessibilità del lavoro e delle tipologie di contratti applicate;

3. la sempre più rilevante importanza assunta da fattori immateriali nel mondo lavorativo.

    La scarsità di lavoro, evidente paradosso della post-modernità nei paesi ad elevato tasso di terziarizzazione, è spiegabile in base alle dinamiche globali cui il mondo del lavoro è stato cooptato. La divisione internazionale del lavoro ha spostato materialmente mezzi e risorse economiche, umane e materiali dal mondo terziarizzato, non più disposto ad impiegare energie in attività considerate "di poco pregio", al mondo "in via di sviluppo", secondo la dizione preferita dalle Nazioni Unite, pronto ad avvantaggiarsi della propria competitività in termini di più ampi orari di lavoro, di meno diffusi (quando non assenti) sistemi di protezione sociale, di disponibilità di manodopera a bassa retribuzione.

    Il lavoro, dunque, si fa scarso nel mondo occidentale più tutelato in materia di social security e di welfare, mentre esso tende a dilagare come un’onda anomala sulle masse di uomini, donne e bambini del mondo in via di sviluppo. Ma, oltre a tale fattore di scarsità, è possibile notare un secondo elemento che caratterizza le trasformazioni del mondo del lavoro nel presente: la flessibilità, così chiaramente e adeguatamente rilevata da Richard Sennett nel suo più recente volume (L’uomo flessibile, Feltrinelli, Roma, 1999). La flessibilità determina l’annullamento della tradizionale divisione tra orari di lavoro, di vita e di riposo, cancella la possibilità di pianificare storie di vita basate su una coerente ed univoca narrazione delle vicende professionali, svuota di potere e di senso le tradizionali figure che hanno sino ad oggi dominato il mondo istituzionale del lavoro. Orientare verso la flessibilità assoluta le politiche del lavoro, come da più parti è stato proposto di recente in Italia, da un lato appare una necessità assoluta, in vista dell’obiettivo della competitività con lo scenario globale tratteggiato, dall’altro risulta la negazione stessa del ruolo dello Stato nell’economia e nel mondo del lavoro.

    Infine, l’importanza dei fattori immateriali è l’ultimo caposaldo della rivoluzione in atto. Internet e le reti tra aziende, il know-how tecnologico, l’importanza assunta dalla finanziarizzazione delle attività produttive e dall’info-telematica nei processi economici hanno assunto un ruolo sempre più pesante rispetto alla presenza e alla funzione della manodopera. La società della conoscenza privilegia il know how alla risorsa che lo detiene. In tal modo quest’ultima diviene immediatamente sostituibile, intercambiabile, in base a mutazioni di know how tecnologico e di competenze in continuo aggiornamento.

    Un quadro molto completo e decisamente branché delle tendenze sintetizzate viene offerto dal volume di Yves Pagès, Piccole nature morte al lavoro, recentemente pubblicato da Bollati Boringhieri. Laddove l’unicità e la certezza dei soggetti e delle modalità di esplicazione dell’attività lavorativa vengono meno, infatti, non resta che descrivere i protagonisti -seppur solo temporaneamente sulla scena- della commedia che viene rappresentata tutti i giorni negli uffici e nelle fabbriche: e quindi ecco comparire sotto i nostri occhi i mille soggetti sfuggenti, perché flessibili, che animano il poco stabile mondo delle professioni del nuovo millennio. Dalle pagine di Pagès emergono quindi "esordienti d’operetta in pre-pensionamento, bigliettaie di mostre temporanee, massaggiatrici dalle 5 alle 7, schiavi comprimibili di laboratori clandestini, diploma + dottorato senza lavoro confessabile, travestiti da Pluto a Marne la Vallée, sorveglianti di insuccesso scolastico, stagisti a tutti gli stadi, tossici disintossicati con il lavoro, teleutenti in formazione catodica, free lance stressati, giovani quadri licenziati per un sì o per un no, aiuti dell’aiuto – regista, sciampiste pagate in nero, angeli custodi dei trasporti pubblici, tesisti riciclati in note a piè di pagina, imballatrici di marrons glacés, giuristi in scadenza di diritti, controfigure istantanee" (Piccole nature morte al lavoro, Torino, Bollati Boringhieri, 2000, pp.11-13). Pagès accende la luce su ognuna di queste piccole storie vere di vita e di lavoro, dedicando ad ognuno di loro poche pagine di mirabile osservazione sociologica, precisa ma la tempo stesso realmente a-valutativa. L’effetto è quello di sbalordire il lettore con la constatazione contestuale sia del cambiamento profondo, radicale e irreversibile attraversato dal mondo del lavoro che del riverbero che esso getta sulle singole vite dei lavoratori intrappolati dalla flessibilità.

    Ed ecco, quindi, dal loro angolo di visuale, ciò che appare della decantata era dell’accesso (J. Rifkin, L’era dell’accesso, Milano, Mondadori, 2000): ore di lavoro al computer, uffici pieni di post-it colorati e consulenti sempre diversi che entrano dalle porte, parchi a tema 24 ore su 24, metropolitane dove mendicare, miniere in chiusura, aule di concorso piene di aspiranti poliziotti, macellerie prive di interiora, ingressi di discoteche sorvegliate da vigilanti rigorosamente di colore, panetterie aperte tutta la notte, pub gestiti come sale da intervista per campionatici scansafatiche. Ma al di là dei luoghi in cui il lavoro si trasforma e si riforma, occorre rilevare come le storie professionali o semi-professionali di ognuno si pongano come emblemi di una flessibilità e di un’incertezza che non consentono più il regolare processo di sviluppo per tappe e fasi fondamentali delle vite umane. A questo proposito vale la pena di ricordare il caso di José, l’essere umano che impersona Pluto, l’eroe di Walt Disney, intrappolato da una maschera di 2 metri e 50 e dall’amore che i bambini di tutta Europa gli manifestano nelle loro scorribande ad Eurodisney. Come può riuscire a pianificare percorsi esistenziali sulla base di un’attività professionale caratterizzata dall’incertezza e dalla precarietà, oltre che da una maschera buffa calata sulla sua reale identità di uomo e lavoratore? Nel suo caso, Pagès conclude amaro: "Ora che i campi di lavoro sono aperti al pubblico, gli attori domestici devono sudare dentro la loro seconda pelle e tacere fino a far scomparire in sé la traccia oscena del lavoro. L’attrazione moderna ha le sue leggi: se vuoi abolire il proletariato, dallo in spettacolo" (Y. Pagès, ibidem, pag. 19).

    Giunti a questa condizione sia professionale che esistenziale, sembra opportuno rilevare che le piccole nature morte al lavoro descritte da Pagès offrono un valore esemplare per coloro che, decisori politici e opinion makers, affrontano i temi legati alle politiche del lavoro, proponendo ricette mutuate da esperienze nazionali di cui hanno conoscenza solo superficiale. Troppo spesso i montatori notturni di documentari da consegnare il giorno dopo, le dattilografe di chilometri di righe per le edizioni economiche, le comparse cinematografiche senza permesso di soggiorno, i correttori di bozze a chili, le stagiste sfruttate, le guardie notturne afflitte da narcolessia rappresentano la zona in ombra del pianeta della flessibilità. Pagès adempie a pieno al suo ruolo di sociologo, mostrando a tutti, in particolare ai politici e agli esperti di politiche sociali e del lavoro conquistati dall’idea di flessibilità senza reti, chi sono le persone e quali sono le vite che tale paradigma designa.

Maria Cristina Antonucci

 


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