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SAGGI
Cultura civica e giovani generazioni
di Romina Conti
1. Cultura civica: un tentativo di definizione
A partire dalla fine della seconda guerra mondiale sono stati molti gli studiosi, per lo più americani, che si sono interessati alla società italiana (al cosiddetto caso italiano, espressione che ha dato anche il titolo ad una serie di contributi usciti nel 19741) e che si sono occupati più o meno direttamente del problema della cultura civica. La maggior parte di essi si chiedeva se sarebbe potuta sopravvivere la democrazia, e con quali modalità e sviluppi, in un simile contesto: uno Stato che aveva conosciuto una forte dittatura, un paese distrutto economicamente e afflitto da una divisione territoriale non effettiva, ma presente nell'immaginario collettivo del suo popolo. Nelle diverse interpretazioni fornite da questi molteplici contributi è evidente una comune e oramai consolidata convinzione: l'esistenza di una crisi culturale che affligge il nostro paese, "(...) una crisi dovuta ad un limite storico che contraddistingue la democrazia italiana: la carenza di un senso diffuso di identificazione con le istituzioni e di corresponsabilità sociale, con i suoi presupposti di fiducia negli altri, di coscienza dei diritti ma anche dei doveri nei confronti della collettività e dello stato" (Cartocci, 1994, p. 9). L'espressione che più spesso viene infatti usata per indicare lo stato della cultura politica italiana è quella di "sindrome particolaristica". Il carattere collettivo italiano sarebbe così affetto, secondo alcuni autori, da familismo e da particolarismo2, e cioè da un'incapacità a sviluppare solidarietà più ampie della propria cerchia di riferimento, e di conseguenza a sostenere un impegno civile in favore del raggiungimento del bene comune.
Ma le cause di un distorto radicamento della cultura civica non sono state ricercate soltanto in un'atavica tara nazionale del popolo italiano o nelle diverse tradizioni civiche delle nostre regioni, bensì anche in una peculiarità tipica del nostro sistema democratico. Secondo questa linea di pensiero3 la presenza di partiti "antisistema", e delle diverse e contrastanti identità da essi veicolate, poteva rappresentare un fattore di debolezza per lo sviluppo e la diffusione di valori liberal democratici e di atteggiamenti improntati alla cooperazione e alla mutualità.
Infine, un ultimo filone di studi4 interpreta la nostra arretratezza socio-culturale come risultato di una carente identificazione del popolo italiano con la nazione e con le istituzioni che la rappresentano. Sembra così essere precaria, per questi autori, l'identità etnica degli italiani, ciò che Tullio-Altan definisce come "(...) quello stato d'animo rappresentato da un insieme di valori per il quale noi partecipiamo in modo più o meno consapevole, ma di certo profondamente vissuto, a una realtà sociale collettiva capace di attribuirci un valore particolare in quanto membri di essa." (Tullio-Altan, 1995a, p.50). Secondo questo tipo di interpretazione, inoltre, le stesse istituzioni democratiche non sono state capaci di creare e di favorire lo sviluppo, di ciò che Bellah, e prima ancora Rousseau, definirono come religione civile quel: "(...) complesso simbolico costituito dagli eventi fondativi [di una] nazione..."5. Un compito sicuramente arduo, ma ancora più importante, secondo un simile approccio, per un paese, come l'Italia, che non ha conosciuto, a differenza di altre nazioni europee, quel processo di formazione dello Stato Assoluto fonte di valori quali l'obbedienza, la lealtà, il rispetto dell'ordine...
Sulla base di questa breve sintesi dei contributi sul concetto di cultura politica (o civica, poiché in suddetti interventi sono spesso utilizzati come sinonimi) emerge una chiara frammentarietà e parzialità dei diversi punti di vista. L'interrogativo che possiamo allora porci è se sia, ancora oggi, utile e produttivo studiare i moderni contesti sociali limitandoci ad adottare simili chiavi di interpretazione.
A nostro avviso, infatti, risulta sicuramente più opportuno studiare la cultura politica inserendola in un più ampio schema di analisi che tenga conto delle relazioni che essa necessariamente stabilisce con tutti gli altri campi del sistema sociale e non ridurla a categoria concettuale della sola sfera politica.
Le società contemporanee stanno attraversando un lungo periodo di transizione culturale, caratterizzato da complessi mutamenti: la globalizzazione, la postmodernizzazione, la formazione di entità sovranazionali, ... Si tratta di processi che inevitabilmente avranno degli effetti su ciò che pensano e su ciò che vogliono gli individui dalla loro vita: essi provocano, e provocheranno ancora, nuovi cambiamenti e assestamenti nella cultura delle società, e quindi anche nella loro cultura politica. Di fronte ad un simile scenario appare allora non del tutto sufficiente un'interpretazione basata esclusivamente sulla chiave di lettura della cultura politica.
Emerge allora chiaramente la necessità, messa in evidenza da più parti, della formulazione di un nuovo strumento di analisi che potremo identificare nel concetto di senso civico o di cultura civica. E' chiaro che la prima impressione che possiamo avere di fronte ad una tale proposta è quella di ritenerla finalizzata ad ottenere una semplice specificazione della più ampia espressione di cultura politica. Il problema che si pone è infatti quello di verificare se effettivamente è opportuno, e se esistono le condizioni, per mettere a punto un nuovo strumento di analisi, relativo al fenomeno della cultura civica inteso come aspetto della più ampia concezione di cultura, e non solo quindi di quella politica, di una società democratica.
Nel tentativo di trovare una risposta vale la pena, allora, chiedersi che cosa indica l'espressione "cultura civica" e ci scontreremo immediatamente con le prime difficoltà inerenti all'assenza di tale voce in un qualsiasi dizionario ed enciclopedia di sociologia o di scienza politica. Una delle poche indicazioni che possiamo rintracciare nel corso dell'analisi della letteratura è quella di Loredana Sciolla che, pur non dando una vera e propria definizione del concetto, ne individua le dimensioni che lo compongono. A tale proposito ci sembra importante illustrare questo tentativo di interpretazione, che poi ritornerà utile nello sviluppo di questo contributo.
Innanzitutto l'autrice parte dalla constatazione dell'esistenza di una marcata analogia tra le varie interpretazioni che hanno cercato di definire e di spiegare il fenomeno della cultura politica italiana: l'individuazione "(...) di un'unica tara nazionale che si manifesta in una sindrome particolaristica, di cui vengono evidenziate (...) singole componenti: 'il familismo', la lealtà a subculture politiche antisistema, l'attaccamento localistico al proprio 'campanile'" (Negri e Sciolla, 1996, p. 119). Date queste premesse, lo scopo che si pone la Sciolla è allora quello di tentare di abbandonare una certo determinismo culturale, una concezione ultrasocializzata dell'individuo, per cercare di ipotizzare un diverso modello dei meccanismi attraverso cui i valori si connettono ai comportamenti. E' così necessario, secondo l'autrice, esaminare analiticamente le diverse dimensioni della cultura civica (forme di appartenenza, relazioni fiduciarie, valori morali), osservando come empiricamente si connettono tra loro e più strettamente con i comportamenti politici.
Tre sono gli aspetti della cultura civica individuati dalla Sciolla6:
la sfera dei valori morali;
l'ambito della fiducia;
il piano relativo all'appartenenza territoriale.
Per quanto riguarda la prima dimensione, si fa riferimento all'insieme dei giudizi su ciò che è bene e su ciò che è male, giustificabile o meno, rispetto ad una serie di comportamenti nei confronti dei beni pubblici e dei diritti dell'individuo. Si tratta di un aspetto di carattere eterogeneo che comprende diverse dimensioni: la "civicness", il "relativismo morale" e "l'anticonformismo"7.
La dimensione della fiducia risulta essere un po' più complessa; innanzitutto possiamo definire la fiducia "(...) come l'assunzione selettiva di un criterio di affidabilità, che rende possibile alle persone accettare dei rischi e intraprendere insieme azioni dall'esito incerto, o intrattenere degli scambi, anche quando le condizioni sembrano precarie, o implicano vulnerabilità" (Roniger, 1992, p.13). Si tratta quindi di un sistema di aspettative sull'agire conforme alle attese di istituzioni e di persone, che può costituire il fondamento per condotte cooperative di vasto raggio. Come ci fa notare la Sciolla, la natura psicologica attribuita al concetto di fiducia è stata interpretata, di volta in volta, in maniera diversa dai vari autori. Vi è stato chi ne ha sottolineato il carattere di scelta8, e chi invece lo ha valutato come una disposizione d'animo interiorizzata9. In modo particolare, questa seconda chiave di lettura risulta, alla luce di una serie di studi10, difficilmente sostenibile dato che se la fiducia fosse un tratto culturale interiorizzato dovrebbe manifestare una stabilità nel tempo e nel proprio significato che è assai ardua da dimostrare.
Infine, l'aspetto dell'appartenenza territoriale invita a riflettere, secondo questo tipo di interpretazione, sul radicamento degli individui in contesti diversi: da quello più strettamente vicino (il territorio locale), a quello più ampio, privo di una vera e propria dimensione (quello mondiale, o cosmopolita). Un indicatore che, secondo l'autrice, risulta avere un ruolo importante nella verifica delle relazioni che si possono stabilire tra identità nazionale, localismo e virtù civiche. Come abbiamo visto anche nel corso di questo contributo, vari autori affermano che atteggiamenti di corresponsabilità sociale e di collaborazione per la realizzazione del bene comune sono maggiormente riscontrabili laddove sia diffuso un condiviso sentimento di appartenenza, una comune identità. La debolezza dell'identità etnica del popolo italiano potrebbe dar luogo a dannosi localismi, efficaci surrogati "(...) dell'inerte o estinto sentimento (e identità) nazionale" (Rusconi, 1993, p.177).
Sinteticamente, dall'analisi empirica condotta dalla Sciolla si possono trarre queste conclusioni: il senso civico degli italiani sembra non accompagnarsi né alla fiducia generalizzata verso le istituzioni, né, tantomeno, alla partecipazione politica tradizionale. Esso però non è assente, le sue manifestazioni si rivelano nel campo del pre-politico, in quella sfera della vita sociale dove vengono rielaborati in forma pubblica gli interessi privati.
Alla luce di questa breve esposizione è piuttosto evidente che la categoria concettuale della cultura civica può rappresentare una chiave di interpretazione nuova e forse più vantaggiosa se impiegata autonomamente in determinati campi di indagine.
A tale proposito in questa sede cercheremo di applicare, per quanto possibile, un simile strumento di analisi alla ricerca empirica "The Integration of Young People into Working Life and the Future of Democratic Culture in Southern Europe" promossa dal Centro Interuniversitario di Sociologia Politica di Firenze, coofinanziata dalla DG XXII della Commissione Europea, volta ad analizzare i valori politici delle giovani generazioni dell'Europa del Mediterraneo.
2. La cultura civica delle giovani generazioni
Sulla base di quanto sopra esposto e con riferimento alla concettualizzazione fornita dalla Sciolla su tale argomento, cercheremo di evidenziare alcuni dei tratti più caratteristici della cultura civica propria delle giovani generazioni italiane11.
Innanzitutto possiamo presentare sinteticamente la ricerca: essa si è svolta nel 1997 e nel 1998 su due campioni distinti di giovani12 tra i 18 e i 30 anni di età caratterizzati da una condizione socio-occupazionale contrastante: da un lato gli studenti universitari e dall'altro i giovani in cerca di occupazione.
In secondo luogo, ai fini di tale contributo, è opportuno mettere in evidenza che contrariamente a quanto potevamo aspettarci, i due campioni risultano avere un background sociale e familiare molto simile. Più della metà degli studenti e dei disoccupati hanno infatti dei genitori con uno status sociale mediamente elevato, per circa un quinto di entrambi vi sono genitori in possesso di un diploma di laurea (una percentuale che risulta addirittura più elevata tra i padri e le madri dei disoccupati).
Si tratta di elementi che possono far pensare ad un vero e proprio cambiamento in atto della società italiana. Il disoccupato infatti non sembra più rintracciabile solo ed esclusivamente in situazioni di disagio sociale, di marginalità e di scarsa formazione, al contrario, il problema della disoccupazione sembra ormai investire gran parte dell'universo giovanile italiano. La presenza di una quota non irrilevante di disoccupati con laurea e, ancor più, di disoccupati che provengono da famiglie benestanti e scolarizzate, con genitori che possiedono un titolo di studio elevato, mette bene in risalto quella che sembra essere una peculiarità tipicamente italiana (Recchi, 1999). Sulla base di questi risultati possiamo quindi 'trascurare' l'influenza della variabile status familiare socio-culturale nella nostra riflessione sulle dimensioni della cultura civica.
Ciò che infatti ci preme maggiormente mettere in evidenza sono le tendenze valoriali che accompagnano queste giovani generazioni. Anche per quanto riguarda il quadro dei valori, secondo il quale si orientano i comportamenti dei nostri due gruppi di intervistati, non si rilevano marcate peculiarità e differenze. Innanzitutto è da rilevare che i giovani di questa ricerca si caratterizzano per un vistoso spostamento a sinistra nel panorama politico italiano. Ma contrariamente a ciò, quel cambiamento verso valori postmaterialisti intravisto e teorizzato da Inglehart, sembra ancora non completamente realizzato nel contesto italiano. Infatti per quanto riguarda i nostri campioni solo il 17,4% degli studenti e una ancor più bassa percentuale tra i disoccupati (13,9%), può essere definito postmaterialista secondo gli indicatori utilizzati dall'ideatore di tale teoria (grafico 1).
Grafico 1. Distribuzione dell'indice di postmaterialismo per studenti e disoccupati
Siamo di fronte invece a giovani che si caratterizzano per una spiccata apertura mentale e culturale, almeno per quanto riguarda la dimensione del "liberalismo culturale"13 (circa l'80% dei due campioni raggiungono livelli di medio e alto liberalismo culturale, grafico 2).
Grafico 2: Distribuzione dell'indice di liberalismo culturale per studenti e disoccupati
Tale tipo di atteggiamento però non sempre si manifesta in maniera coerente e soprattutto non influenza ciò che riguarda la sfera pubblica, il mondo politico. I nostri giovani, infatti, siano essi studenti o disoccupati, fanno rilevare un forte senso di sfiducia verso tutte le istituzioni pubbliche14: le loro uniche speranze sembrano essere riposte, come avremo modo di vedere, soltanto nell'associazionismo ambientale e di volontariato.
Come infatti possiamo vedere dalla tabella 1, chi ha un più elevato liberalismo culturale tende ad avere anche un più consistente grado di sfiducia nelle tradizionali istituzioni; una tendenza ancora più marcata nel campione degli studenti, dove si presume che l'istruzione agisca come una delle variabili maggiormente influenzanti il livello di apertura mentale di un individuo.
Tabella 1: Medie della fiducia nelle istituzioni secondo l'indice di liberalismo culturale per studenti e disoccupati
|
Governo |
Parlamento |
Partiti |
Sindacati |
Polizia |
Chiesa |
Ass. Ambiente |
Volontariato |
|||||||||||||||
|
S* |
D** |
S* |
D** |
S* |
D** |
S* |
D** |
S* |
D** |
S* |
D** |
S* |
D** |
S* |
D** |
|||||||
|
4,95 |
4,64 |
5,12 |
4,68 |
4,47 |
4,23 |
5,20 |
5,05 |
5,96 |
5,44 |
5,15 |
4,76 |
6.45 |
6.17 |
7.69 |
7.33 |
|||||||
Basso liberalismo cult. |
5,02 |
4,64 |
5,21 |
4,72 |
4,51 |
4,31 |
5,18 |
4,84 |
6,54 |
6,02 |
6,59 |
6,25 |
6.50 |
6.75 |
7.85 |
7.84 |
|||||||
Medio liberalismo cult. |
4,97 |
4,64 |
5,21 |
4,73 |
4,60 |
4,21 |
5,34 |
5,13 |
6,16 |
5,73 |
5,37 |
5,28 |
6.47 |
6.26 |
7.68 |
7.32 |
|||||||
Alto liberalismo cult. |
4,86 |
4,64 |
4,94 |
4,60 |
4,25 |
4,24 |
5,02 |
5,02 |
5,26 |
4,94 |
3,86 |
3,74 |
6.40 |
5.91 |
7.60 |
7.19 |
|||||||
|
|
|
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*S= studenti **D= disoccupati
Questa sfiducia è confermata anche dai tassi di partecipazione istituzionale che registrano percentuali bassissime, a differenza della partecipazione associativa che invece riscontra un elevato grado di presenze; una tendenza già rilevata anche dall'ultimo rapporto Iard, che addirittura vedeva aumentare anche la multiassociazione, (la partecipazione a diverse associazioni). Sembra inoltre che questi giovani siano maggiormente disposti ad un tipo di partecipazione movimentista non convenzionale15 (e in questo caso più gli studenti dei disoccupati) a riprova del fatto che un certo relativismo culturale si possa trasformare in autentico anticonformismo (nel senso definito dalla Sciolla- vedi tabella 2).
Tabella 2: Medie della partecipazione movimentista non convenzionale secondo l'indice di liberalismo culturale per studenti e disoccupati
|
Partecipazione movimentista non convenzionale (medie) |
|
|
Studenti |
Disoccupati |
|
1.60 |
1.16 |
Basso liberalismo culturale |
1.14 |
0.58 |
Medio liberalismo culturale |
1.54 |
0.89 |
Alto liberalismo culturale |
2.00 |
1,63 |
Un buon grado di liberalismo culturale e quindi di apertura mentale delle giovani generazioni inviterebbe a pensare anche alla diffusione di atteggiamenti orientati al cosmopolitismo, all'internazionalizzazione, all'europeizzazione...In realtà, tra i giovani del nostro campione, l'appartenenza territoriale più sentita è quella al contesto nazionale; l'Europa è l'entità per la quale si rileva una maggiore indifferenza.
Un risultato che può trovare una conferma, seppure indiretta, nel fatto che circa il 60% dei disoccupati e l'80% degli studenti con alto liberalismo culturale dichiarano di essere d'accordo o abbastanza d'accordo a che lo stato tuteli e si faccia garante dell'identità nazionale (tabella 3).
Tabella 3: Distribuzione del grado di accordo alla tutela dell'identità nazionale da parte dello Stato secondo l'indice di liberalismo culturale per studenti e disoccupati
|
Disaccordo |
Abbastanza disaccordo |
Incerto |
Abbastanza d'accordo |
D'accordo |
||||||
|
Stud. |
Dis. |
Stud. |
Dis. |
Stud. |
Dis. |
Stud. |
Dis. |
Stud. |
Dis. |
|
Basso liberalismo culturale |
0.4 |
1.6 |
1.4 |
3.2 |
7.4 |
19.0 |
34.0 |
38.1 |
56.7 |
38.1 |
|
Medio liberalismo culturale |
1.0 |
1.1 |
1.6 |
6.2 |
7.8 |
15.0 |
36.0 |
42.1 |
53.7 |
35.5 |
|
Alto liberalismo culturale |
1.4 |
5.8 |
1.9 |
10.8 |
10.0 |
19.5 |
35.8 |
32.0 |
50.9 |
32.0 |
|
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Ancora più sorprendente appare allora il risultato secondo il quale nel più elevato livello di apertura culturale vi siano 4 persone su 10, in entrambi i campioni, che si dichiarano a favore di un intervento statale per bloccare totalmente il fenomeno immigrazione, e circa il 26% degli studenti e il 18.6% dei disoccupati che hanno invece preferito non prendere alcuna posizione (o non abbiano saputo prenderla) di fronte ad una questione così attuale e delicata (tabella 4).
Tabella 4: Distribuzione del grado di accordo al blocco dell'immigrazione secondo l'indice di liberalismo culturale per studenti e disoccupati
|
Disaccordo |
Abbastanza disaccordo |
Incerto |
Abbastanza d'accordo |
D'accordo |
|||||||||
|
Stud. |
Dis. |
Stud. |
Dis. |
Stud. |
Dis. |
Stud. |
Dis. |
Stud. |
Dis. |
||||
Basso liberalismo culturale |
6.7 |
6.3 |
20.6 |
15.9 |
29.4 |
28.6 |
28.7 |
17.5 |
14.5 |
31.7 |
||||
Medio liberalismo culturale |
7.4 |
8.4 |
20.3 |
19.4 |
27.7 |
21.6 |
27.7 |
28.6 |
16.9 |
22.0 |
||||
Alto liberalismo culturale |
18.6 |
22.7 |
20.3 |
20.2 |
26.0 |
18.6 |
25.4 |
19.0 |
17.5 |
19.4 |
||||
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La sintetica e parziale rassegna di questi risultati sembra evidenziare che la presenza di elevati livelli di apertura, di tolleranza, di 'sano' individualismo... non necessariamente portano all'assunzione di atteggiamenti improntati alla partecipazione politica e alla fiducia totale nei confronti delle tradizionali istituzioni pubbliche. Non possiamo pensare in termini di stretto determinismo culturale. Ciò che emerge, invece da questa esposizione, è la conferma del fatto che difficilmente sarà possibile interpretare le tendenze del mondo giovanile con gli schemi propri della teoria sulla cultura politica. Specialmente quando ciò di cui maggiormente difettano questi giovani è una decisa e ben delineata identità politica costruita secondo criteri di valore e di senso ben definiti.
Il revival dell'ideologia politica testimoniato dalla nostra ricerca, oltre che dai rapporti Iard, la necessità di tutela dell'identità nazionale da parte dello Stato, la paura dell'invasione straniera, non sono altro infatti che i segni di un marcato e reale disorientamento che pervade la crescita e l'esperienza di questa generazione verso il mondo degli adulti.
3. Conclusioni
Alla luce dei risultati di questa ricerca, e di molte altre condotte a livello nazionale, la generazione alle soglie del duemila appare confusa, disorientata, priva di una propria identità.. Un segmento della popolazione orientato alla presentificazione e alla reversibilità delle scelte (Iard, 1997), immerso in una sorta di stato di moratoria psico-sociale (Marsiglia, 1999), e di conseguenza incapace di assumersi delle responsabilità importanti e a lunga scadenza.
Nel tirare le nostre conclusioni, non dobbiamo però trascurare il fatto che le nostre società, e quella italiana in particolare, stanno vivendo un momento di transizione verso la tarda modernità, carico di contraddizioni e difficoltà, fonti, a loro volta, di dubbi e incertezze (la cosiddetta "società del rischio" di Beck). E' comprensibile quindi che il percorso dei giovani verso il mondo degli adulti possa essere così incerto e poco lineare.
Tuttavia, nonostante la precarietà di tale momento storico, nell'universo giovanile si rilevano comunque particolari elementi di novità e di fermento. In questa direzione, la forte crescita dell'associazionismo tra i giovani può forse rappresentare un nuovo modo di manifestare la cultura civica e di concepire la democrazia. Riprendendo le considerazione di Loredana Sciolla, possiamo quindi sostenere che il senso civico nelle nuove generazioni non è assente, ma piuttosto sono diverse le modalità di manifestazione. E' infatti nella sfera della società civile, in quella dimensione pre-politica dove il pubblico tende sempre più a trasformarsi in privato, che si riscontrano atteggiamenti volti alla corresponsabilità sociale e alla cooperazione. L'impegno nelle più diverse associazioni potrebbe così esprimere una nuova forma di partecipazione politica (Inglehart, 1998), forse più silenziosa e meno evidente rispetto a quella del passato, ma non per questo meno efficace.
Infine, e di conseguenza, un avvertimento di metodo. Seppure in questo contributo l'utilizzo delle dimensioni della cultura civica individuate dalla Sciolla è stato parziale, sintetico e focalizzato alla sola sfera dei valori, è forse necessaria una più accurata operazionalizzazione e definizione dello strumento per una riflessione più approfondita sullo stretto rapporto che intercorre tra il cambiamento culturale e quello politico nelle società della tarda modernità..
Note
1 Vedi Cavazza F.L., Graubard S.R. (a cura di), 1974.
2 Molti sono stati gli studiosi e i contributi che si sono cimentati con il fenomeno del particolarismo italiano. Secondo E.C. Banfield la causa, per la quale non si era formato in Italia un compatto e resistente tessuto associativo e di atteggiamenti volti alla realizzazione del bene comune, era da individuare nei tratti culturali profondamente radicati nel carattere collettivo del suo popolo. In ciò che l'autore stesso indicò con l'espressione di 'familismo amorale': "(...) massimizzare i vantaggi materiali e immediati della famiglia nucleare; supporre che tutti gli altri si comportino allo stesso modo" (Banfield 1976, p. 105). La caratteristica del 'particolarismo' si ritrova anche in Almond e Verba (1963), i quali nella loro ricerca sulla cultura politica in diverse nazioni, definirono quella italiana come parochial, caratterizzata da "(...) alienazione politica, isolamento sociale e sfiducia" (Almond, Verba,1963, p.403). Lo stesso Bellah (1974) individuò questa peculiarità italiana, che definì come una religione premoderna e precrestiana, una sorta di 'basso continuo', un sottofondo "(...) una sonorità profonda e ripetitiva, un bordone che continua nonostante tutti gli sviluppi melodici dei registri alti (le teologie e le filosofie formali), arrivando talvolta a soffocarli insieme" (Bellah, 1974, p. 444). Infine, in anni più recenti si possono vedere le ricerche di R. Inglehart (1983), e R. Putnam (1993), che pur seguendo approcci diversi concordano ancora nel definire la cultura italiana come affetta da una sindrome particolaristica. .
3 Approccio pertinente al campo della scienza politica: Sartori (1982), Istituto Cattaneo (ciclo di ricerche effettuato dal 1963 al 1965).
4 Cartocci (1994), Diamanti (1994), Rusconi (1991), Scoppola (1991), Tullio-Altan (1995).
5 Da Cartocci R., "Presentazione", in Tullio-Altan, 1995a, p.XVIII.
6 Aspetti spesso confusi nei contributi su tale argomento: un esempio tra i più noti di questo tipo di confusione si ritrova in Inglehart R., Valori e cultura politica nella società industriale avanzata, 1993. L'autore, in primo luogo, fa uso del concetto di cultura politica e di quello di cultura civica in maniera indifferenziata, e in secondo luogo, riduce quest'ultimo essenzialmente a due indicatori: la fiducia interpersonale e la soddisfazione complessiva per la propria vita (Inglehart, 1993, p. 47).
7 La "civicness" è costituita, sostanzialmente, da atteggiamenti condivisi di condanna verso uno spettro di azioni che mostrano scarso rispetto della cosa pubblica e delle regole del vivere civile. Espressione che secondo la Sciolla (1996) più si avvicina al concetto, maggiormente diffuso e conosciuto di senso comune o di spirito civico. Esempi degli atteggiamenti sopra descritti possono essere: non pagare le tasse, guidare in stato di ubriachezza, accettare bustarelle...Inoltre vengono disapprovate azioni radicalmente conflittuali e anti-istituzionali. Nel "relativismo morale" si associano criteri oggettivi di giudizio alla tolleranza nei confronti di varie forme di trasgressione della morale comune e ad atteggiamenti di tutela radicale delle preferenze sessuali. Tale dimensione tende a giustificare comportamenti quali il divorzio, l'aborto, il suicidio, l'eutanasia, l'omosessualità, le relazioni extra-coniugali, la prostituzione. Infine la dimensione dell' "anticonformismo" che è caratterizzata, principalmente, da atteggiamenti antiautoritari e non convenzionali. In questa dimensione si ritrovano infatti atteggiamenti propri di quella precedente (permissività verso il divorzio, l'aborto, l'omosessualità, la prostituzione), ma al contrario di quest'ultima vi rientrano anche elementi conflittuali quali la giustificazione degli scontri con la polizia e l'ammissione del consumo di droghe leggere.
8 A tale proposito si possono vedere i contributi di Luhmann N. e Dunn J., in Gambetta, 1989.
9 Si possono consultare le opere di Almond G. A. e Verba S.(1963), di Inglehart R. (1983, 1993) , e Putnam R. D. (1993).
10 Secondo i sondaggi dell'Eurobarometro (1976-1986) e dell'Eurisko (1986-1992), che forniscono delle serie storiche dei dati sulla fiducia interpersonale e di quella nei confronti delle istituzioni degli italiani, si può notare come vi sia una forte crescita della prima intorno alla fine degli anni Settanta e gli inizi degli anni Ottanta e, al contrario, un forte declino della seconda nel corso degli anni Ottanta.
11Da premettere che un'analisi puntuale e dettagliata, su un tale oggetto di studio, necessiterebbe di un'attenta riflessione su ogni singolo item proposto dal questionario, ma per la natura di tale contributo ci limiteremo ad esaminare gli indicatori aggregati più importanti e con risultanze più evidenti.
12 Gli studenti sono 1352, mentre i disoccupati sono 594.
13 Un indicatore costruito sulla base di item volti a rilevare dimensioni quali: l'individualismo, la tolleranza e l'apertura verso certi tipi di comportamenti (uso di droghe, prostituzione, manipolazione genetica...).
14 Come rilevano anche gli autori dei rapporti Iard, " a partire dalla prima indagine Iard (1983) si assiste ad un calo della fiducia dei giovani per lo Stato nel suo insieme, in particolare per le istituzioni della politica e quelle amministrative... bassi livelli di fiducia istituzionale .. non sono certo una novità nel nostro Paese; tuttavia occorre ricordare il crollo verticale di fiducia degli anni Ottanta nel sistema politico, a cui non corrisponde sei anni dopo alcun segnale di inversione, nonostante le importanti operazioni di ingegneria istituzionale, l'innegabile impegno per il risanamento delle finanze pubbliche, il ricambio della classe politica." (AA.VV., 1997, p.141).
15 Un indicatore costruito sulla base della partecipazione a dimostrazioni violente, occupazioni di case o scuole, blocco del traffico.
Bibliografia
AA.VV., Gli italiani e lo stato, "Il Sole 24 Ore", 8 Luglio 1988, pp. I-VII
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