Home | La rivista | Ricerca | Autori | Approfondimenti | I nostri link | Iniziative | Forum | Servizi | Chi siamo
Osservatorio Sociale
Il Mezzogiorno e lo sviluppo della politica di massa. Una proposta di studio
di Carlo Colloca
1. Il disegno della ricerca
L'obiettivo è illustrare un percorso di ricerca in corso sulla carente diffusione della politica di massa e quindi, delle forme di mobilitazione collettiva e di partecipazione politica nel Mezzogiorno d'Italia1. L'idea è quella di verificare la tesi della storiografia più recente che – dopo aver manifestato segni di insofferenza e di dissenso per una visione unilaterale e statica della realtà meridionale, storicamente presentata nel suo complesso come una realtà di sola arretratezza economico-produttiva e di asfissia della vita politico-sociale2 – ha mostrato l'immagine di un Mezzogiorno differenziato al suo interno e segnato dalla presenza di realtà non banali di sviluppo economico e di dinamismo politico3 e sociale. In una prima fase si tenterà, pertanto, di studiare le ragioni per le quali, fra la fine dell'Ottocento e i primi vent'anni del Novecento, le forme di mobilitazione politica si sono manifestate in maniera disomogenea fra le aree del Sud e si rifletterà sul perché, laddove queste hanno avuto luogo, non si sono tradotte in forme più strutturate per un'autodifesa della società locale e per la promozione dell'azione collettiva. Si tratterà di riflettere sulle ragioni del mancato radicamento di tali processi e, quindi, sulle cause che hanno impedito l'affermarsi delle subculture politiche, diversamente a quanto accaduto nel Centro-Nord del Paese. Il percorso euristico dovrebbe concentrarsi, successivamente, sulla comparazione di due casi tipo del Mezzogiorno che – attraverso uno studio longitudinale fino ai nostri giorni – dovrebbe consentire una verifica delle linee di tendenza che possono emergere dalla prima fase dello studio e permettere, altresì, una più approfondita analisi dello sviluppo della politica di massa.
L'idea di affrontare questa tematica non è certo nuova4 anche se, nelle scienze sociali e sull'argomento, non si sono ancora pienamente sviluppati approfondimenti sistematici con riferimento al Meridione degli anni compresi fra la fine dell'Ottocento e gli anni che precedono l'avvento del fascismo, quando si costituiscono i sistemi politici locali (Trigilia 1988, 177), né sono stati censiti i casi che hanno fatto registrare forme di azione collettiva per il detto periodo e per gli anni successivi. Pertanto porre in questi termini il problema significa avviare un programma di ricerca che potrebbe consentire di tracciare una geografia dei fenomeni e dare l'opportunità, successivamente, attraverso uno studio del caso, di trarre le necessarie indicazioni per analizzarne l'evolversi dalle origini ai nostri giorni. In tal modo è possibile superare le grandi generalizzazioni che, offuscando le specificità relative ai tempi storici e alle aree geografiche, hanno descritto il Mezzogiorno come un tutto indifferenziato e sviluppare, successivamente, un'indagine approfondita su singole aree per affrontare i temi dell'assenza, della riemergenza o della trasformazione delle forme di mobilitazione collettiva5.
Questo percorso euristico potrà svolgersi attraverso una proficua interazione fra storia e scienze sociali, che dovrebbe tradursi nella rinuncia all'uso di modelli fin troppo schematici e ad elevata generalizzazione e con il superamento di orientamenti eccessivamente idiografici. Si tenterà di seguire l'insegnamento weberiano secondo cui la conoscenza storica muove dalla molteplicità del dato empirico che richiede, però, un'attenta selezione degli elementi che lo costituiscono per poter individuare quelli rilevanti rispetto all'obiettivo conoscitivo (Rossi 2001, xix). La ricerca sul Mezzogiorno è rimasta a lungo condizionata dalle posizioni del meridionalismo classico, che identificavano la "questione sociale" nel Sud con il problema del latifondo, appiattendo, dietro una generica considerazione di uniformità e marginalità, l'intera area e, altrettanto a lungo, la lettura delle vicende è stata modellata secondo talune dicotomie, quali arretratezza/progresso, sviluppo/sottosviluppo, base politica ristretta/democratizzazione, intesi come indicatori di un processo di modernizzazione più o meno raggiunto rispetto a una scala ideale da percorrere. I limiti di questa impostazione sono stati notevoli, al punto di rendere ardua la possibilità di cogliere il rapporto fra centro e periferia, i meccanismi di formazione territoriale dei gruppi politici, le modalità della formazione del consenso e della redistribuzione delle risorse, nonché l'evoluzione dei sistemi clientelari. Conseguentemente il Mezzogiorno, come oggetto di studio, ne è uscito pesantemente sacrificato proprio perché, come hanno mostrato alcune ricerche degli ultimi anni6, nella realtà, vi è stata al suo interno una trasformazione secondo specifiche regole politiche e combinazioni tra "moderno" e "tradizionale". E per cogliere tali dinamiche è sufficiente ripensare ai processi di diffusione e di crescente complessità della lotta politica e amministrativa che vive la società meridionale già dal primo allargamento del suffragio fino al suffragio universale. Per comprendere che si è di fronte a un quadro tutt'altro che statico e uniforme è opportuno ricordare il riformismo municipale defeliciano a Catania7, la Napoli del primo Novecento (Marmo 1978), le fasi di trasformazione che hanno interessato, in forme e misure diverse, le principali città pugliesi (Masella 1983), il significato dell'esperienza dei Fasci per decine di comuni piccoli e medi non soltanto siciliani (Romano 1959; Renda 1977).
Sarà quindi oggetto di studio la diffusione che hanno avuto nel Mezzogiorno le forme di organizzazione politica e di articolazione degli interessi quale processo parallelo a quello riscontrato, e maggiormente studiato, nelle aree Centro-Settentrionali del Paese8. In questa ottica l'obiettivo è proporre un'ipotesi di lettura diretta a individuare le eventuali forme di mobilitazione che, "con l'affermarsi o meno di forme di identità collettiva, di solidarietà allargate, come reazione all'erosione degli equilibri tradizionali" (Trigilia 1988, 175), si rafforzano localmente dando origine a subculture politiche. Questa prospettiva analitica riserverà, pertanto, una particolare attenzione allo spazio locale della politica, sia esso rappresentato dalla sociabilità comunitaria del circolo, dell'associazione, dell'organizzazione dei lavoratori o delle aggregazioni partitiche, dal collegio elettorale, dalle forme di azione collettiva delle grandi agitazioni agrarie, dalle lotte politiche e amministrative. Il proposito di studiare la sfera delle relazioni sociopolitiche e delle sue trasformazioni – nel quadro di una geografia degli spazi modellata dalla diversa interazione tra istituzioni centrali e logiche comunitarie – potrà rivelarsi ricco di potenziali sviluppi euristici. Tale approccio potrà consentire una più approfondita analisi del sistema di interrelazioni particolari fra fattori socio-culturali, politici ed economici, permettendo di valutare i vincoli endogeni ed esogeni che la "società locale"9 pone allo sviluppo di forme di mobilitazione collettiva. Occorre ribadire, pertanto, che la dimensione locale della politica rappresenta un punto di osservazione ideale per rintracciare tali "forme", perché rappresenta la riscoperta di quella "ambigua linea di confine che dalle aggregazioni elementari della società (famiglie, parentele, gruppi, clientele) si muove trasversalmente attraverso partiti, istituzioni, luoghi centrali […] È la politica nel suo farsi, scoperta nei meccanismi prosaici e disincantati del suo quotidiano lavorío, che slarga un vecchio palcoscenico […] dominato da pochi attori, ripopolando la scena con un'inattesa moltitudine di protagonisti. Qui finalmente, lo Stato e la Nazione perdono le maiuscole e sono visti all'opera, entro frammenti più o meno grandi di società civile"10.
La ricerca si baserà su uno studio a livello sub-regionale, che avrà come unità di analisi la provincia11, anche se, è opportuno chiarire che "per i fenomeni sociali i confini geografici", nonché amministrativi, "non sono mai così netti, ma hanno un valore relativo" (Trigilia 1986, 16). La scelta della provincia come unità di riferimento discende: a) da esigenze relative all'oggetto della ricerca, ovvero l'interesse per uno studio comparato delle forme di mobilitazione collettiva e dei processi dalla forte connotazione locale, che determinano il mancato o il debole radicamento delle subculture politiche nel Meridione; b) dalla disponibilità di dati, quali le statistiche ufficiali, in particolare quelle demografiche e sociali, nonché altri rilevamenti, come le serie storiche per fenomeni quali gli scioperi, l'emigrazione, l'associazionismo assistenziale, sindacale e cooperativo. L'idea è recuperare, per il periodo compreso fra il 1880 e il 1920, oltre ai censimenti della popolazione, alcune pubblicazioni, già in parte utilizzate da Procacci (1970) nello studio sulla lotta di classe in Italia. Si tratta di talune edizioni a cura dell'Ufficio del lavoro del Ministero dell'Agricoltura, Industria e Commercio realizzate in tre serie ("a", "b" e "c") fra il 1904 e il 1920. La serie "b", in particolare, annovera fra gli studi realizzati i dati statistici sul mercato del lavoro, le notizie sul lavoro delle donne e i minori, le monografie regionali sulla condizione dell'industria italiana, la statistica degli scioperi avvenuti nell'agricoltura e nell'industria e i loro effetti economici, le notizie sulle variazioni dei salari e degli orari di lavoro nell'industria, i rapporti sulle organizzazioni dei lavoratori suddivise per federazione di mestiere, l'analisi delle correnti periodiche di migrazione interna e internazionale. Le informazioni, individuabili attraverso lo spoglio sistematico di questo materiale, saranno suddivise su base provinciale e distinte per dati socio-demografici, socio-economici e socio-politici, in modo tale da poter ricavare un indicatore di mobilitazione collettiva. Questi dati potranno essere ulteriormente integrati da informazioni inerenti il rapporto città-campagna, nonché l'origine e il ruolo svolto dal movimento cattolico e da quello socialista nel Sud del Paese. Occorrerà tenere conto, naturalmente, che le fonti statistiche presentano, negli anni, diversi metodi di rilevazione e di costruzione dei campioni; ciò potrà evitare i rischi di distorsione del materiale empirico consultato e consentire una più corretta comparazione nel tempo dei dati. Si promuoverà, pertanto, un sistema di ricerca misto qualitativo-quantitativo che, apportando una differente qualità informativa per varietà e ricchezza dei dati, consentirà di affrontare il problema da angolazioni diverse (Bruschi 1999, 495-497). L'analisi secondaria, in chiave comparata, dei suddetti dati non soltanto favorirà un'indagine dettagliata del Meridione, dando la possibilità di delineare una mappa articolata "per comprendere meglio le differenze spaziali e le loro conseguenze successive" nonché "gli elementi di somiglianza che pure ci sono e sono rilevanti" (Trigilia 1988, 178), ma permetterà anche di evidenziare quei processi che hanno aperto o chiuso la strada alla mobilitazione e alla formazione di identità collettive. Il tutto con la conclusione che tale percorso permetterà di ricostruire una mappa di eventi del passato e, soprattutto, di formulare delle ipotesi sulle linee di tendenza del Mezzogiorno contemporaneo, da sottoporre a un approfondimento e a una verifica attraverso una ricerca basata su alcuni casi tipici.
L'analisi comparata, utilizzata di frequente nel campo delle scienze sociali12 riveste, pertanto, una doppia importanza, ovvero la possibilità di spiegare causalmente le differenze storiche, a livello territoriale, fra le diverse forme di mobilitazione collettiva e di partecipazione politica, nonché il vantaggio di evidenziare l'eccezionalità di certe aree (Rossi 1990, xxiii). Queste ultime in una seconda fase della ricerca potranno essere sottoposte a uno studio del caso che permetta di identificare – tramite un'indagine comparativa di lungo periodo che coinvolga due province del Mezzogiorno – la presenza di identità collettive, di una struttura sociale, di una mobilità di gruppi e di ceti e di un'attività politica, tale da far pensare all'esistenza di forme di mobilitazione e partecipazione politica, che sono all'origine di quel particolare insediamento sociale rappresentato dalle subculture politiche territoriali.
2. Le forme di mobilitazione collettiva nel Mezzogiorno
L'idea è di interrogarsi sulle iniziali forme di politicizzazione del Meridione dalla fine degli anni Ottanta dell'Ottocento, muovendo dal revisionismo storico-sociale che ha di recente contestato lo stereotipo di un Mezzogiorno indistinto e attardato da ingombranti pesi culturali, quali il "familismo amorale" e il basso grado di civismo, e dal sottosviluppo, cui lo condannerebbe il dualismo economico proprio della fase postunitaria, a causa anche di una élite borghese ritenuta incapace di governare il processo di modernizzazione.
Innanzitutto andranno sottolineate le riforme elettorali della fine del XIX secolo che inaugurano un periodo nel quale si profilano alcuni mutamenti nel rapporto fra le popolazioni meridionali e la politica. Quindi per tracciare una mappa socio-politica del Sud occorrerà ricordare, prioritariamente, la struttura agraria originaria e i rapporti di produzione della campagna, ovvero quella "questione demaniale" che "accelera i processi di costruzione di un'identità municipale e di emancipazione politica della comunità dalla dipendenza ideologica nei confronti della grande proprietà" (Lupo 1988, 44). Altra variabile significativa sarà costituita dalle identità urbane, quali le tradizioni culturali, le risorse istituzionali e organizzative (Trigilia 1988, 178), che occorrerà analizzare in stretta connessione con lo studio di quelle élite locali colte nel vivo delle loro relazioni con il potere e della loro attività amministrativa. Seguire questa strada significherà verificare, nella ricostruzione delle politiche amministrative, delle biografie di amministratori locali, dei conflitti sociali e politici, la rispondenza fra l'assetto istituzionale del sistema e il suo funzionamento nella prassi corrente.
Si delineeranno, pertanto, i diversi "Mezzogiorni" attraverso una riflessione sull'egemonia esercitata da taluni centri urbani (ad esempio Bari e Catania) nell'organizzazione della vita commerciale e nelle relazioni con le istituzioni centrali, nonché sulla ben definita configurazione tanto delle aree costiere attrezzate per culture intensive, che consentono la formazione precoce di una piccola proprietà contadina, quanto delle cosiddette agro-towns, di tipologia mista, urbana e rurale (Antonacci 1996), dove si promuove un'agricoltura estensiva. I braccianti-contadini vivevano una condizione sociale di generale subalternità, incrinata soltanto da occasionali rivendicazioni e soprattutto da flussi migratori che concorrevano a infrangere un tessuto sociale altrimenti privo di agenti endogeni di mutamento. Si intenderà evidenziare come la partecipazione politica è avvenuta in un clima di elevata autorità sociale delle élite rurali e sotto il peso delle reti notabilari e clientelari volte a canalizzare il consenso13. Eppure taluni studi, contraddicendo uno stereotipo, sottolineano l'emergere anche nel Mezzogiorno, tra il 1874 e il 1919, di forme di aggregazione sociale ed economica che avrebbero rappresentato la base per successive azioni politiche di massa. Naturalmente per una riconsiderazione aggiornata e allargata delle forme di mobilitazione collettiva nel Meridione sarà necessario attribuire giusta importanza allo studio di un altro fattore: quel fermento di vita associativa rappresentato dalle leghe di resistenza di braccianti e coloni ad affittanze collettive, dalle associazioni di ceti urbani, dai tentativi di organizzazione degli agrari e dei proprietari, dalle reti familiari, dalle casse rurali e artigiane, dai circoli cattolici e dalle organizzazioni socialiste. Occorrerà riflettere sull'eredità e la memoria di un movimento di massa senza precedenti, quale i Fasci siciliani, la cui eco superò i confini regionali e in cui il protagonismo rurale si era incontrato con le idee di progresso dei radicali e dei socialisti e nei primi anni Novanta dell'Ottocento si era tradotto nella mobilitazione di circa trecento associazioni, coinvolgendo decine di migliaia di contadini (Zangheri 1997). Si aveva allora la diffusione di forme di sociabilità originate dapprima dalle pratiche in comune del lavoro e quindi dalla conflittualità sociale14, che facilitava un apprendistato politico con connotazioni di classe altrove non rinvenibili e predisponeva i canali per l'incunearsi delle idee del socialismo e del sindacalismo rivoluzionario, determinando, altresì, la conquista di amministrazioni locali di piccoli centri rurali nel segno del riformismo municipale15. Il Meridione conosceva da allora – e sarà opportuno valutare approfonditamente tale questione per gli sviluppi che può avere avuto fino ai giorni nostri – una lotta politica e amministrativa che non poteva che confrontarsi con una mobilitazione politica incipiente, ma mitigata dalla competizione tra gruppi clientelari, dalla dispersione dei borghi urbanizzati, dall'esclusione dal diritto di voto dei contadini analfabeti e dall'incidenza dell'emigrazione, che possono annoverarsi tra gli indicatori del mancato radicamento delle forme di mobilitazione collettiva. Da un'attenta analisi sociologica della combinazione dei suddetti fattori si potrà delineare una mappa del Mezzogiorno che suggerisca delle ipotesi sulla consistenza e sulla conformazione di quelle identità collettive che altrove, attraverso lo sviluppo del movimento socialista e cattolico, hanno favorito il radicarsi di subculture politiche, favorendo "un'autonomizzazione della politica dalle strutture tradizionali primarie (famiglia e parentela) e una maggiore emancipazione della politica dalla società" (Trigilia 1988, 179).
Il percorso delineato non potrà perciò prescindere dal ripercorrere la letteratura socio-politologica che, a partire dagli anni Sessanta del secolo appena trascorso, ha prestato attenzione alla carenza di azione collettiva nel Mezzogiorno e allo strutturarsi della partecipazione politica nelle forme del clientelismo16. Recuperare alla memoria e rileggere in modo critico questi contributi – avendo come punto di partenza una mappa della variegata realtà meridionale nello sviluppo della politica di massa – dovrebbe consentire di formulare delle ipotesi sul perché il Meridione ha avuto e, probabilmente continua ad avere, forme di mobilitazione collettiva di natura diversa rispetto al resto del Paese. Dovrebbe far riflettere, altresì, sulle ragioni del difficile e spesso mancato radicamento delle stesse, indice, quest'ultimo, dell'esistenza di ostacoli che hanno pesantemente condizionato l'interazione fra Stato, mercato, struttura sociale e sistema politico, dal secondo dopoguerra ai nostri giorni. Ne deriverà, pertanto, lo stimolo a verificare la mobilità di un mondo locale, spesso rurale, solitamente considerato statico, e "la sua capacità di adattare e assorbire le novità provenienti dall'esterno; ma anche la sua possibilità di influenzare la realtà più 'moderna' rappresentata dal 'centro'" (Musella 1988, 78). Le regioni meridionali sono state il laboratorio nel quale la costruzione del sistema politico si è realizzata attraverso la capacità dimostrata dai partiti al potere di stimolare e filtrare aspettative e domande della società civile (Trigilia 1998). Il consolidamento democratico nel Sud ha avuto luogo attraverso la legittimazione delle istituzioni, ma senza la mobilitazione e la partecipazione attiva della popolazione. Una tendenza diffusa e persistente della cultura politica meridionale è consistita nelle "fluttuazioni" rapide che contraddistinguevano gli orientamenti di voto e nella marcata "vocazione governativa", ovvero nel cospicuo contributo dato alla formazione di élite di governo, sia prima che dopo l'epoca repubblicana (Diamanti 1999, 226). Il territorio meridionale ha visto il formarsi di una rete non integrata di rapporti di protezione e di notabilato che ha reso molto difficile il prodursi di istituzioni sociali e politiche unitarie legittimate anche dal basso. Dopo il 1992, a seguito della destrutturazione del ceto politico centrale e locale e dei vincoli crescenti sulla spesa pubblica, è impresso un profondo ridimensionamento a queste dinamiche ed emerge il tema delle diversità sociali, politiche ed economiche fra le diverse aree del Sud e del cosiddetto "sviluppo senza autonomia" (Trigilia 1992). La diversa regolazione dei localismi ha potuto produrre, anche fra aree del Mezzogiorno fra loro confinati, sistemi regionali distinti: è il caso della Lucania e della Calabria protagoniste di un mancato coordinamento fra lo sviluppo sociale e quello economico (Fantozzi 1997). Da un'analisi dei partiti, delle leadership, della varie forme di associazionismo si ipotizza la presenza in Lucania di "una più forte caratterizzazione subculturale dei partiti di massa" (ivi, 107), che recuperando la rete dei rapporti primari ha promosso forme di cooperazione e di reciproca fiducia, prerequisiti fondativi per esperienze di trasformazione sociale ed economica. Diversamente dalla Calabria dove interessi legati ad "arcipelaghi clientelari e familistici" (ibid.) hanno animato lo scontro all'interno delle forze politiche determinando un deficit di governabilità e di civismo e inibendo lo sviluppo.
È opportuno sottolineare, quindi, la svolta in corso nel modo di analizzare e "giudicare" il Sud. Le scienze sociali hanno evidenziato, negli ultimi anni, l'assenza di un nesso di necessità causale tra la permanenza dei valori tradizionali della società meridionale e l'insufficiente formazione di ethos civile17 e hanno tematizzato un problema connesso: il poter parlare di un rinnovato legame fra ceto politico, interessi locali e società18;. Una riflessione in questa direzione può consentire di studiare gli sviluppi del sistema "quasi-subculturale" meridionale (Farneti 1983, 103) e può dare spazio a un'ulteriore approfondimento delle trasformazioni che hanno subito taluni sistemi politici locali nel Mezzogiorno.
3. Uno studio del caso
Lungo questo itinerario si dovrebbe approdare a una geografia dell'attuale condizione delle forme di mobilitazione e partecipazione politica, e quindi a un'analisi del rapporto fra struttura sociale, sistema politico e azione collettiva nel Mezzogiorno contemporaneo. Il punto di partenza di questa ipotesi di ricerca potrebbe essere rappresentato da uno studio del caso, quale strumento di analisi più adatto per indagare sul potenziale di differenziazione interna che il Sud in movimento, e dagli orientamenti sociali, politici ed economici per nulla scontati, sembra riservare agli osservatori delle realtà locali19. Un problema cruciale per la ricerca consisterà nello scegliere le aree da studiare e l'indicazione in questa direzione potrà venire dalle mappe di cui si è già parlato. L'idea è quella di realizzare uno studio longitudinale che segua l'evoluzione di taluni casi nel tempo fino ai nostri giorni a partire dall'avvento del fascismo, che delle mappe socio-politiche dovrebbe rappresentare il confine temporale ad quem. A questo punto dell'indagine, si possono avanzare soltanto delle ipotesi, che fanno pensare a un ambito territoriale da rintracciare nella Sicilia orientale e nella Calabria settentrionale20. Occorrerà valutare se realizzare un'analisi comparata fra le province presenti in queste due aree oppure fra esse e altre realtà che presentano forme di mobilitazione collettiva e di diffusione e radicamento della politica di massa, da individuarsi nel Centro-Nordest del Paese, dove il fenomeno oggetto di studio si è radicato nel tempo e nello spazio dando luogo alle subculture politiche. In entrambe le situazioni sarà comunque necessaria un'ulteriore riflessione: se optare o meno per aree fra loro politicamente abbastanza omogenee. Occorrerà scegliere, quindi, fra una 'strategia dei casi più distanti', dove l'attenzione è rivolta a situazioni fra loro eterogenee, e una 'strategia dei casi più simili', dove si ipotizza che talune proprietà (di natura culturale, socio-economica o politico-istituzionale) possono essere considerate costanti, il che riduce "il numero di alternative che […] occorre considerare prima di poter inferire l'esistenza di un nesso causale (o anche di una semplice associazione) fra le proprietà" (Fideli 1998, 127-128).
La scelta di un'indagine centrata su uno studio del caso discende dall'idea che tale strategia di ricerca potrà consentire "un maggiore controllo dell'influenza del contesto sui fenomeni in esame; la possibilità di mettere a fuoco meglio le interdipendenze tra aspetti diversi, economici, sociali e politici", con l'opportunità "di introdurre, combinando tecniche di ricerca differenti, una dimensione dinamica, di valutare cioè i mutamenti che intervengono nel tempo in una serie di fattori" (Trigilia 1986, 209). L'uso combinato di varie tecniche di ricerca sarà rivolto alla raccolta di dati socio-economici e politici. Si attingerà perciò alla produzione storica locale (sovente viziata da un connaturato taglio localistico, ma sempre molto ricca di informazioni); alla letteratura "grigia" prodotta dalle amministrazioni municipali, dalle strutture di partito, dalle organizzazioni sindacali o da altri organismi istituzionali (si pensi ad esempio ai rapporti ministeriali o alle inchieste prefettizie); alle tesi di laurea, talvolta datate nell'impostazione dell'analisi, ma quanto mai ricche nella parte documentaria; allo spoglio della stampa locale, meno abbondante di informazioni di quanto comunemente si ritiene, ma comunque doviziosa di notizie. Questa strategia di ricerca porterà alla costituzione di una prima banca-dati che potrà essere ulteriormente arricchita da altre fonti documentarie, quali i dizionari biografici a partire dai quali si possono intessere molte ipotesi di lettura delle élite locali, con l'obiettivo di rendere visibili nessi ulteriori con il mondo dell'economia e delle professioni. Come si può intuire si tratterà di una documentazione miscellanea, con marcate disomogeneità, ma necessaria per impostare eventuali strumenti di indagine qualitativa, come interviste con questionario e colloqui con osservatori qualificati. L'idea – che necessita di ulteriori elaborazioni e puntualizzazioni – è di predisporre una griglia analitica che ponendo in relazione i momenti più significativi della vita del Paese con i sistemi politici locali meridionali oggetto di studio, consenta di verificare, dall'avvento del fascismo a oggi, le forme che ha preso l'azione collettiva attraverso l'analisi delle trasformazioni della rappresentanza e dell'assetto politico, nonché del peso che sui mutamenti sociali hanno strutture tradizionali come la Chiesa, le reti associative, i partiti, le organizzazioni del mondo del lavoro, la famiglia e la comunità locale.
L'analisi sociologica, così condotta, dovrebbe consegnare qualche indicazione su quanto e come sta cambiando il Mezzogiorno e quali soggetti tutto ciò coinvolge e in che modo. Si tratta di un percorso di studio che potrà rivelarsi tanto più interessante quanto riuscirà a cogliere i tratti di continuità e le differenze di una realtà piuttosto composita, risultato di molteplici tipologie di organizzazione economica, di circuiti politici e di società civile e resa omogenea, probabilmente, soltanto dal problema della mancata formazione di una classe dirigente capace di farsi portatrice di istanze di modernizzazione.
Home | La rivista | Ricerca | Autori | Approfondimenti | I nostri link | Iniziative | Forum | Servizi | Chi siamo