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Unione Europea e globalizzazione
di Gian Piero Orsello
Le tormentate vicende collegate alla non dimenticata riunione del G8 a Genova nel luglio dello scorso anno hanno richiamato l'attenzione dell'opinione pubblica sulla realtà e sulle scelte della globalizzazione, sui problemi esistenti e sulle conseguenze relative. In effetti, va preliminarmente osservato che riunioni di tal genere hanno perduto molto del significato che aveva rivestito l'iniziale incontro al caminetto di Rambouillet e costituiscono ormai apertamente la pretesa dei cosiddetti sette grandi (più la Russia) di affrontare i problemi del mondo, sostituendosi così di fatto ad un'ONU che dovrebbe, per la verità, avere un maggior ruolo e un'incidenza concreta nella realtà internazionale sulla base di effettivi ed incisivi poteri.
Si deve anzitutto osservare che la divisione e i contrasti esistenti durante la guerra fredda tra mondo occidentale ed Est europeo avevano consentito una meno rigida contrapposizione tra Nord e Sud; dopo la conclusione della guerra fredda e il riassorbimento dei contrasti tra USA e Russia, il Nord si Š maggiormente consolidato e il Sud del mondo si è sempre più distaccato, cioè da una realtà euroasiatica sostanzialmente riunificata, contraddistinta dalla fine dell'economia pianificata e dallo sviluppo del mercato a livello universale.
Che cosa si deve intendere, anzitutto, per globalizzazione? Il problema non Š tanto di darne una definizione, quanto di comprenderne il significato e la portata. Vi sono alcuni riferimenti che spiegano che cosa si deve intendere per realtà della globalizzazione: ad esempio, il collegamento su internet come punto di incontro a carattere mondiale, utilizzabile da ogni angolo della terra nonché la possibilità di compiere acquisti o di assumere determinazioni on line attraverso il computer nelle diverse aree possibili; la diffusione a livello internazionale di alcuni prodotti di larghissimo consumo, bevande, liquori, tabacchi; la possibilità di acquisto di azioni in tutte le Borse del mondo e di investimento nelle aziende di Paese diversi; la contemporanea diffusione di messaggi televisivi e la visione di film, l'utilizzazione di mode consimili, l'ascolto delle stesse musiche ovunque in ogni parte del mondo; la fabbricazione di prodotti da parte di multinazionali operanti con proprie filiali nei diversi Stati. Si potrebbero aggiungere altri esempi per dimostrare un dato ormai acquisito, quello della globalizzazione dei mercati e dei comportamenti relativi.
Siamo di fronte, dunque, a fenomeni di globalismo anche nel mercato del lavoro e nei comportamenti umani che corrispondono alla globalizzazione dell'economia mentre nell'attuale realtà si può sostenere che la globalizzazione è frutto della rivoluzione tecnologica e della new economy, come l'avvento del capitalismo era derivato dalle prime iniziative a carattere industriale.
Globalizzazione, interscambio internazionale e futuro del capitalismo sono perciò al centro del dibattito su questo tema così rilevante e significativo sotto diverse angolazioni, quella economica e quella politica, con conseguenze evidenti sulla produzione e sull'occupazione. Globalizzazione significa anche senso di appartenenza comune e avvento progressivo di una società multiculturale, mentre contemporaneamente crescono identità di carattere nazionale e locale, perciò globalizzazione e diversità, globalizzazione e frammentazione sono sostanzialmente le due facce di una stessa medaglia, anche se la loro contemporanea esistenza evita il rischio dell'omogeneizzazione e può ridurre quello dell'egemonia. Adamo Smith, fin dal 1700, può essere considerato il fondatore del sistema di mercato moderno, ma in proposito osservava che nel mercato non v'è mai la perfezione in quanto vi è sempre una difformità di potere basata sul diverso grado di informazione da parte dei vari attori del mercato. Nel suo importante testo "La ricchezza delle Nazioni", lo stesso autore, noto per la sua dottrina liberale, affermava che le regole per il mercato sono necessarie, aggiungendo che un mercato senza regole è come un pollaio nel quale insieme alle galline si introduce una volpe: sono tutti liberi gli animali nel pollaio, ma la volpe lo è assai più delle galline!... Quindi una presenza di regole pubbliche di governo Š indispensabile proprio per salvaguardare la libertà del mercato.
E' opportuno affermare subito che considerare il tema della globalizzazione per chi non voglia o non possa limitarsi ad un'analisi di carattere economico significa compiere una valutazione di tale tematica in termini politici. Perciò, riprendendo un tema caro a Luciano Gallino, si può sostenere che la globalizzazione testimonia la prevalenza dell'ingiustizia nella realtà mondiale, mentre, appunto, il tema cruciale della distinzione tra la sinistra e la destra sta proprio nel diverso approccio in ordine all'attuazione della giustizia sociale tanto a livello globale quanto a livello nazionale, con il possibile parallelismo tra terzo stato e terzo mondo.
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Si può osservare - sulla base dei dati forniti dall'Istituto di Studi politici di Londra - che fra le cento più forti economie mondiali il rapporto è di 49 Stati e di 51 imprese multinazionali: le 200 maggiori imprese multinazionali presentano un fatturato che costituisce poco più del 27% del prodotto lordo mondiale. Si può aggiungere che il 10% della popolazione americana (cioè circa venticinquemilioni di persone) ha un reddito equivalente al 43% della popolazione mondiale, mentre il debito dei Paesi del sud del mondo Š di 2.400 miliardi di dollari, al di là di oltre un terzo delle loro esportazioni. Un miliardoetrecentomilioni di persone vivono sotto la soglia di povertà mentre i tre maggiori miliardari americani (Bill Gates con 90 miliardi di dollari, Warren Buffet con 36 e Paul Allen con 30) hanno complessivamente un reddito maggiore dei seicentomilioni di abitanti dei 48 Paesi meno sviluppati.
Fondo monetario internazionale, Banca mondiale e Organizzazione mondiale del commercio (nella quale di recente è entrata anche la Cina) costituiscono gli strumenti più rilevanti all'apice della globalizzazione che in concreto operano per rafforzare sempre più il potere degli Stati Uniti d'America.
L'internazionalizzazione dei processi migratori costituisce la principale leva della globalizzazione e genera contestazioni e contraddizioni proprio in quanto, nella realtà globale, l'immigrazione, il mercato del lavoro, i nuovi poteri e i diritti umani costituiscono un quadrilatero che tende di per sé alla stabilità, ma è sempre più artefice di scelte di potere lontane dalle esigenze delle minoranze: ciò comporta la coesistenza della globalizzazione dell'economia e della frammentazione della società.
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Quando si affronta il tema del mercato globale è forte la tentazione di concentrarsi più sulle preoccupazioni che sulle possibilità, di considerare la globalizzazione più una minaccia che una opportunità, come sostiene Giuliano Amato, ma a proposito dell'economia mondiale, la globalizzazione - cioè, la diffusione dell'economia di mercato in tutto il mondo - comporta la necessità che le attività economiche vengano disciplinate entro le regole della concorrenza, che dovrebbero eliminare il rischio di un ritorno verso protezionismi nazionali, ma che comportano nuovi pericoli derivanti dalla mancanza di un centro di gravità a livello mondiale, di un effettivo governo, che non escluda i Paesi più poveri dalla globalizzazione dei mercati, mentre va detto con chiarezza che il potere del governo federale americano ha accresciuto a dismisura i propri poteri soprattutto nella proiezione internazionale, tenendo conto che gli Stati Uniti esercitano un effettivo predominio sul mondo soprattutto da un punto di vista tecnologico e culturale, attraverso la moda, la musica, l'informazione, senza dimenticare talune forme di protezionismo industriale e la manifesta insofferenza verso ogni regola di politica ambientale. Ciò comporta una influenza anche sull'Europa che, tuttavia, attraverso le istituzioni dell'Unione europea tenta di acquisire una propria autonomia non soltanto sul piano economico, ma anche su quello politico, pur se sostanzialmente inesistente per quanto attiene il potere militare che della politica è un elemento essenziale. Ma è proprio sul terreno della tecnologia e dell'informatica (come aveva giustamente indicato Jacques Delors nel suo "libro bianco su crescita, competitività e occupazione" realizzato nel 1993) che l'Europa può progressivamente acquisire nel futuro una crescente autonomia soprattutto se riuscirà a sostenere in modo adeguato le necessarie esigenze della ricerca a livello comunitario ed eviterà progressivamente il grave limite del trasferimento dei cervelli al di là dell'Atlantico. Proprio sulla base del documento di Delors, anche se esso non ha avuto molte conseguenze d'ordine pratico, si può affermare che esso resta pur sempre un documento di grande rilievo sulle effettive intenzioni della politica dell'Unione e nella reale dimensione della sua coesione economica e sociale. Tali tendenze devono proporsi di ridurre almeno in Europa i contrasti derivanti dalla demarcazione fra "aree economicamente forti ed aree marginalizzate" e, quindi, di operare per consentire un'integrazione del fenomeno della globalizzazione che non costituisca soltanto un corollario della affermazione degli interessi delle aree più forti a danno di quelle più deboli.
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E' vero che la democrazia non può prescindere dal mercato, come il mercato dalla democrazia, anche se si è tuttora lontani da un tale obiettivo generalizzato su scala mondiale, e quindi occorre realizzare la possibilità di un compromesso, un compromesso tuttora valido, sulla base di ciò che è stato chiarito definitivamente e per tutti sul piano politico dalle scelte di Bad Godesberg della socialdemocrazia tedesca, per evitare, sia un egualitarismo fanatico sia un disegualitarismo autoritario.
Marx, in anni ormai molto lontani e in condizioni assai diverse da quelle attuali, ha insegnato anche a quelli che poi non sarebbero stati marxisti la corrispondenza tra l'espansione del capitalismo nella realtà internazionale e la progressiva analoga estensione della classe operaia nella stessa dimensione, anche se alla sua epoca era difficile prevedere una evoluzione del capitalismo come quella che si è realizzata ai giorni nostri in un'area ormai tanto dilatata nonostante l'arretratezza di molte zone del mondo, tuttora, come si dice, in via di sviluppo. La Russia, prima dell'introduzione del sistema sovietico, presentava un'economia di tipo rurale che nulla aveva a che fare con una realtà di tipo capitalistico e la settantennale dittatura del proletariato, limitata ad un solo Paese con alcuni satelliti del medesimo orientamento politico ed economico, non ha rappresentato un'evoluzione di segno diverso sul piano mondiale da quell'espansione del capitalismo, che, tuttavia, ha cominciato a realizzarsi nell'Europa centrorientale soltanto dopo la caduta del muro di Berlino e con la quale ha dovuto fare i conti anche la Cina, tuttora comunista almeno come sistema autoritario, ma in piena evoluzione economica con una progressiva accentuazione delle privatizzazioni.
Il mercato globale unificato si avvale di una ideologia che trova il proprio fondamento non in norme giuridiche ma nei principi che costituiscono la regolamentazione del mercato nei vari Paesi, si basano sulla produzione e conferiscono al mercato le caratteristiche di una realtà unificata globale: è l'ideologia che ha fatto sì che l'espressione globalizzazione abbia sostituito quella ormai meno pregnante di sistema capitalistico, che ha trovato nel thatcherismo e nel reaganismo uno slancio possente e un dinamismo crescente proprio mentre si registrava la contemporanea caduta di sistemi collettivistici che ha così fornito al mercato nuovi spazi e maggiore vigore.
Infatti, dopo la fine del sistema comunista, è diffuso il convincimento che il capitalismo sia l'unico modello in grado di assicurare l'organizzazione di ogni attività economica e che il mercato costituisca lo strumento adeguato per consentire lo sviluppo di una società libera, trascurando di considerare che nell'ambito della realtà retta da un'economia capitalista si possono realizzare due esperienze assai diverse fra loro, quella degli Stati Uniti d'America e quella rappresentata dal modello europeo, garantito ora, con la realtà comunitaria, da una effettiva coesione economica e sociale.
Come si è detto, di globalizzazione si è cominciato concretamente a parlare dopo la fine del sistema sovietico e dopo la conclusione della guerra fredda, quando l'equilibrio mondiale era garantito dalle due superpotenze: prevale, dunque, ora senza contrasti, la logica del mercato - da non confondere tuttavia con la filosofia del mercato - anche se temperata in vari Paesi da governi ispirati a posizioni di sinistra democratica, che, in quanto tali, hanno tentato e tentano di ricondurre tale logica a prevalenti scelte di governo di carattere politico tali da non annullare, ma almeno da condizionare il mercato .
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Sorta dalle ceneri dell'iniziativa di Marx e dopo le traversie della terza Internazionale, l'attuale Internazionale socialista potrebbe e dovrebbe costituire la risposta politica globalizzata, come alleanza politica a dimensione ormai universale, alla rigidità del sistema capitalistico, pur operando senza tuttavia rifiutare le scelte della logica del mercato e nell'ambito di una realtà mondiale che dovrebbe essere garantita sempre più da un'ONU adeguatamente riformata.
Ai giorni nostri l'Internazionale socialista riunisce, dopo le grandi iniziative assunte all'epoca della presidenza di Willy Brandt (da non dimenticare il ruolo da lui avuto, per incarico dell'ONU, di indagare i rapporti tra Nord e Sud, indicandone le soluzioni possibili) non soltanto i tradizionali partiti europei, ma anche quelli che ad essi si sono aggiunti nell'Asia, nell'Africa e nelle Americhe, senza dimenticare gli stretti rapporti con il partito democratico statunitense, rafforzatisi durante la presidenza Clinton, considerando anche tutte le forze di progresso e i movimenti di liberazione esistenti nelle diverse aree della terra, consentendo così all'Internazionale socialista una dimensione universalistica con una rappresentatività politica a livello mondiale.
A ragione della propria dimensione e del proprio ruolo l'Internazionale socialista dovrebbe esprimere una forza politica maggiore di quanto non appaia dalle risoluzioni dei suoi rituali congressi, che pur affrontano puntualmente tutti i problemi esistenti nella realtà mondiale, mentre, sulla base della propria autorità politica e morale, dovrebbe porre con maggiore incidenza l'urgenza di una effettiva riforma dell'Organizzazione delle Nazioni Unite, in modo da garantire, secondo il suo statuto, la volontà politica unitaria di tutti i Paesi membri, che, senza eccezione (ora compresa anche la Svizzera, che ne è stata fuori fino ai giorni nostri nonché con l'aggiunta proprio nelle ultime ore del nuovo Stato di Timor-Est) rappresentano l'intera collettività dei popoli del mondo e devono poter sempre più rappresentare tutte le aree mondiali anche nel Consiglio di sicurezza, evitando così di consentire di fatto forme di pretesa rappresentatività ad organismi occasionali e autoreferenziali. Diversamente da quella attualmente esistente si determinerebbe una globalizzazione positiva nell'interesse delle generazioni future in quanto basata sull'integrazione dei popoli, la giustizia sociale e un'effettiva libertà politica estesa a tutte le genti.
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Il dibattito sulla globalizzazione non manca di suscitare valutazioni contrastanti: in effetti, si tratta di una espressione - la cui origine ormai lontana si può ritrovare nel cosiddetto "villaggio globale", secondo la definizione datane negli anni '60 dal sociologo canadese Marshall MacLuhan in tema di comunicazione sociale - di rilevanza multipla, culturale, sociale, politica, economica, con evidenti implicazioni di carattere ideologico. Negli anni Novanta l'integrazione dei mercati finanziari si è imposta riflette sull'economia reale come evidente e primaria connotazione della globalizzazione, che già in precedenza si caratterizzava per gli ampi processi di liberalizzazione, di privatizzazione, di una deregulation selvaggia, realizzata sulla base di uno slancio neoliberista senza precedenti, che ha fatto trionfare sostanzialmente ovunque l'economica di mercato, qua e là soltanto garantita da un forte impegno di governo tale da non lasciarle completamente libero il campo.
La globalizzazione si configura, quindi, come l'ultima tappa di un processo evolutivo dell'economia mondiale, nella quale si manifesta la connessione fra aree geografiche e geopolitiche per dar vita a forme di integrazione e anche a un abbassamento dei costi dei trasporti delle merci su scala nazionale. Il mercato unico mondiale è perciò "il punto di arrivo di un processo iniziato in tempi lontani con il consumo familiare" con la cultura dell'illuminismo e, più tardi, con la rivoluzione industriale e la nuova società borghese; nell'attuale fase storica, dopo il ventesimo secolo, il secolo breve di Hobsbawn, funestato da conflitti europei fratricidi, divenuti poi guerre mondiali, "le industrie di ogni tipo stanno perdendo la loro identità nazionale e si spargono per il pianeta alla ricerca di capitali, mercati, lavoro e tecnologia".
Nella realtà internazionale si sono succedute nel tempo varie forme di regolamentazione degli scambi, tali da consentire lo sviluppo dell'economia di mercato, in grado anche di creare una vasta rete di diritti e di obblighi internazionali, che hanno quindi posto precisi limiti ad una indiscriminata libertà attraverso organizzazioni a carattere mondiale che sono rette da norme comuni, che consentono attività di controllo e di verifica e che possono se necessario applicare sanzioni.
Negli USA si sostiene che l'interesse nazionale coincida con quello delle sue grandi multinazionali che ne favoriscono la competitività, senza tuttavia avvertire che, nonostante le enormi risorse dedicate alla ricerca e allo sviluppo nonché alla progettazione e alla produzione e inoltre all'impegno crescente di manodopera straniera e alla utilizzazione progressiva di impianti situati all'estero, è rilevabile una ostinata miopia nel difendere gli interessi delle aziende nazionali nei confronti degli investitori stranieri con una pretesa di rovesciare sull'Europa comunitaria, considerata ingiustamente "fortezza" i propri protezionismi, che hanno determinato crescenti difficoltà di carattere economico e finanziario in alcuni Paesi dell'Asia e dell'America latina producendo non poche aree di instabilità politica.
E' peraltro evidente che appare sempre più superato il ruolo di uno Stato nazionale che non è più in grado, nella liberalizzazione dei mercati finanziari, di esercitare forme autarchiche di controllo sulle proprie politiche monetarie, anche di fronte a transazioni di capitali sempre più facilitate da una potente tecnologia dell'informazione, che ha costituito proprio il volano della globalizzazione, nella quale si confrontano processi di industrializzazione, di riconversione delle attività produttive, di trasformazione del territorio, del ruolo dei trasporti e delle comunicazioni nonché delle "grandi autostrade" dei beni immateriali: ciò vale sia in ordine ad una economia resa fortemente espansiva da uno slancio senza precedenti, come accade in questi anni negli Stati Uniti, sia nella realtà di una economia sempre più caratterizzata dalla sovranazionalità, come avviene nell'Unione europea.
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La struttura e le forme di governo dell'economia internazionale appaiono, dunque, radicalmente cambiate rispetto a quelle a lungo prevalenti: in realtà, le economie dei Paesi più sviluppati dominano l'economia internazionale per quanto attiene agli scambi ed agli investimenti, mentre i Paesi in via di sviluppo partecipano in una percentuale assai ridotta all'economia internazionale; conseguenza di tale situazione la formazione di grandi blocchi economici e commerciali a carattere sostanzialmente (e in alcuni casi anche formalmente) sovranazionale, con una maggiore prospettiva di regionalizzazione piuttosto che di internazionalizzazione, in una visione che sottolinea la complementarietà tra regionalismo e multilaterilismo.
L'integrazione economica internazionale costringe tutti i Paesi a notevoli sforzi di adeguamento mentre la sfera di discrezionalità delle decisioni nazionali di politica economica e sociale si contrae con la conseguenza di comprimere anche lo spazio della partecipazione democratica dei cittadini. Molte delle resistenze protezionistiche contro l'integrazione internazionale si annidano nella pretesa difesa delle singole sovranità nazionali contro l'omologazione imposta dalle esigenze dei mercati e dall'univocità della direzione di marcia, per cui può sembrare che soltanto la sovranità nazionale, ormai peraltro superata, possa rappresentare la rinuncia alle conseguenze della globalizzazione.
In effetti, ci troviamo di fronte ad una divaricazione di valutazioni intorno alla globalizzazione: per gli economisti essa è considerata sostanzialmente in modo positivo, mentre sociologi e politologi danno di essa un giudizio sostanzialmente negativo. E' evidente che la globalizzazione tiene conto dell'innovazione tecnologica, ma essa di un'immagine semplicistica dell'equilibrio mondiale nel quale emergono sempre più tendenze ultranazionalistiche e "piccole patrie" di carattere localistico, con fenomeni di razzismo e di xenofobia come quelli che si sono registrati recentemente non soltanto in Francia ma anche nella maggioranza dei Paesi europei, come rifiuto dell'immigrazione e di una realtà civile ormai oggettivamente multietnica, accanto al culto del prodotto interno lordo di ciascuno Stato in termini assoluti, mentre vanno sostanzialmente in crisi il diritto internazionale ed il sistema degli Stati nazionali da esso sorretto: così alla politica e alla democrazia si sostituiscono spesso il potere economico imperialista e la mera amministrazione.
Il problema della sovranazionalità acquista dunque una nuova validità in quanto essa deve significare sia il governo comune da parte degli Stati sia anche il governo di un mondo sempre più organizzato e disciplinato intorno alle grandi organizzazioni internazionali ed in particolare a quella universale esistente, cioè l'ONU, in modo da rispondere effettivamente al ruolo che a tale organizzazione Š stato attribuito fin dalla sua costituzione, ma all'ONU occorre una profonda trasformazione che possa dare ad essa basi sostanzialmente più egualitarie attraverso una rappresentanza meno parcellizzata sulla base di un nume amplissimo di Stati grandi e piccoli, ma più effettivamente realistica come espressione delle diverse aree continentali, in modo da consentire una forma più valida e un potere più efficace di quanto spesso non accada, giacché l'ONU si limita sovente a ratificare decisioni sostanzialmente adottate sulla base degli interessi dei grandi Paesi e in particolare, nonostante i tentativi della Russia di mantenere un ruolo effettivo sul piano internazionale, da parte degli Stati Uniti d'America, al cui potere di intervento - spesso tollerato dalle decisioni del Consiglio di sicurezza - manca tuttora il contrappeso necessario dell'Unione europea (mentre vi è sempre la acquiescenza della Gran Bretagna, anche se guidata da un governo laburista), come dimostrato da alcuni esempi evidenti, la guerra del Golfo (e le rinnovate minacce all'Irak), le missioni nei Balcani, l'invasione dell'Afghanistan - che pure ha avuto l'effetto positivo dell'eliminazione dell'antistorico regime dei talebani - dopo l'attentato terroristico dell'11 settembre a New York.
Nel quadro della nuova dimensione globalizzata deve assumere particolare valore il riconoscimento dei diritti umani e in tale ambito deve essere considerata, per quanto più direttamente ci riguarda come europei, la Carta dei diritti fondamentali approvata dal Consiglio europeo di Nizza nel dicembre 2000, che dovrebbe costituire il preambolo della Costituzione europea al cui progetto lavora attualmente la Convenzione di Bruxelles.
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Di fronte al fenomeno della globalizzazione nella sua espansione mondiale, che appare sotto molti aspetti ineluttabile ed ingovernabile nei suoi valori di integrazione commerciale e finanziaria, si leva il sistema di integrazione economica regionale che contraddistingue l'Unione europea, pur basata fondamentalmente sul principio della concorrenza, ma che presenta evidenti caratteri di una propria autonoma capacità di governo, tenendo conto delle caratteristiche fondamentali del modello sociale europeo.
Il processo di liberalizzazione multilaterale degli scambi si riferisce a varie forme di integrazione regionale, tra le quali la più rilevante, la più evoluta e la più completa è, appunto, l'Unione europea, nella quale si à già attuato un processo di trasferimento di sovranità dagli Stati alla competenza sovranazionale.
L'Unione europea ha realizzato così una dimensione comunitaria sovranazionale che costituisce il fattore principale del processo di integrazione con la realizzazione del mercato unico europeo, il che consente di affermare che per gli Stati dell'Unione europea globalizzazione significa anzitutto europeizzazione, con una totalità di scambi commerciali all'interno dell'area, passata dal 46% del 1950 ad oltre il 60 % del 2000, mentre la stessa Unione europea costituisce la massima potenza commerciale del mondo, due terzi del commercio totale dei membri dell'Unione a livello mondiale, senza dimenticare il valore della politica comunitaria nei confronti della cooperazione allo sviluppo, e cioè l'alta percentuale di impegno nei confronti delle aree del sud del mondo.
L'integrazione economica internazionale costringe tutti i Paesi a notevoli sforzi di adeguamento, mentre la sfera di discrezionalità delle decisioni nazionali di politica economica e sociale si contrae con la conseguenza di comprimere anche lo spazio della partecipazione democratica dei cittadini. Molte delle resistenze protezionistiche contro l'integrazione internazionale si annidano nella pretesa difesa delle singole sovranità nazionali contro l'omologazione imposta dalle esigenze dei mercati e dall'univocità della direzione di marcia, per cui può sembrare che soltanto la sovranità nazionale, ormai peraltro superata e sorpassata, possa rappresentare la rinuncia ai benefici della globalizzazione, che il processo di integrazione economica internazionale arreca a tutti i Paesi. E' quindi evidente il carattere dinamico e positivo che assume nell'Unione europea il superamento delle singole sovranità nazionali e il crescente ruolo, anche sul piano istituzionale, determinato dalla sovranazionalità.
L'iniziativa dell'Unione europea rappresenta una risposta attiva alla globalizzazione giacché un'Unione europea economica e finanziaria più stretta tra gli Stati membri consente una maggiore autonomia nella formulazione delle politiche economiche, la salvaguardia di un modello europeo di società, l'influenza determinante nella realtà del commercio internazionale, senza cadere nel protezionismo ma invece resistendo a protezionismi altrui e determinando un libero scambio all'interno dell'Unione e imponendo misure di contingentamento nei confronti dell'estero. Una politica coerente da parte dell'Unione europea, massima potenza commerciale nel mondo, nei confronti delle altre aree mondiali ha fatto si che la politica commerciale dell'Unione europea, specie dopo l'avvento del mercato unico del 1993, costituisse uno degli strumenti fondamentali non solo nell'accelerazione del mercato intracomunitario, che ammonta a due terzi del commercio totale dei membri dell'Unione, ma anche nell'apertura dell'Unione europea al resto del mondo, considerando pure il valore della politica comunitaria di cooperazione allo sviluppo, e quindi anche nei riflessi della forza politica che l'Unione europea esercita nei confronti della realtà mondiale.
Perciò dal canto nostro, di cittadini d'Europa, la presenza e il ruolo dell'Unione europea - soprattutto con l'iniziativa della moneta comune - ci dovrebbe esimere da una rappresentanza artificiosa come il G8 per assicurare invece una posizione unitaria - e quindi anche di quei Paesi che non partecipano al G8 - mentre è noto l'impegno che a livello comunitario esiste, sulla base delle varie Convenzioni esistenti, nei confronti dei Paesi in via di sviluppo, certamente in maggior misura degli aiuti da parte degli Stati Uniti d'America e del Giappone. E, d'altra parte, proprio l'avvento dell'Unione economica e monetaria e il ruolo dell'EURO - nonostante quella che si pensa possa essere una sua temporanea crisi di assestamento - ha consentito di contrastare le situazioni di instabilità regionali che si manifestino nella realtà europea e incide sia sulla stabilità dei prezzi sia sulla fiducia nella capacità di conservazione del potere d'acquisto della moneta. Ciò comporta una conseguente positiva influenza sulla stabilità politica, peraltro, necessaria per consentire maggiore forza alla moneta europea, dotandola anche di coerenti istituzioni di governo dell'economia, strumento indispensabile per consentire all'EURO una sfida effettiva nei confronti del dollaro, tenuto conto che l'opinione pubblica americana non teme tanto l'impatto con lo yen quanto appunto il rafforzamento "politico" della moneta europea nel quadro della globalizzazione, in ordine alla quale occorre sempre più l'impegno non soltanto degli Stati e dei mercati ma anche delle società civili, il terzo pilastro necessario, secondo la valutazione di Ralf Dahrendorf . La società civile, infatti, deve sempre più essere considerata una forma organizzativa nazionale per consentire alle realtà sottostanti di dare risposte positive alla globalizzazione.
In tal senso, i ministri degli affari sociali dell'Unione europea hanno adottato all'unanimità una strategia europea di lotta all'emarginazione sociale, in grado di realizzare una politica positiva nei confronti della povertà, tenuto conto che nell'area dell'Unione europea oltre sessanta milioni di persone vivono al di sotto della soglia di povertà, nei cui confronti occorre appunto una politica sociale di lotta all'emarginazione, che ha consentito di raggiungere l'obiettivo di quattro milioni di nuovi posti di lavoro, mentre nota la grande dimensione che raggiunge negli Stati Uniti l'emarginazione sociale - e la conseguente diserzione politica - nonostante il progressivo aumento della ricchezza prodotta.
E' del resto evidente che nell'ambito della globalizzazione - e ciò vale soprattutto per la politica dell'Unione europea - occorre provvedere per realizzare una realtà più dignitosa, che tenga conto anche della prolungata durata della vita umana e delle esigenze effettive di un numero crescente di anziani: a tal fine si deve evitare il permanere di una realtà ossessionata dal profitto, che dilapidi il patrimonio ecologico, che invece operi per realizzare uno sviluppo sostenibile e che consenta una crescita progressiva non soltanto sul piano economico in generale ma con i necessari riflessi su quello sociale per ridurre la larga percentuale di emarginati esistente anche in Europa, con particolare riferimento all'immigrazione dai Paesi del terzo mondo, che non può non avere conseguenze negative su una complessa realt… positiva caratterizzata dal boom economico.
Per quanto ci riguarda, come affermato da Furio Colombo in un articolo per la rivista "Telema", «non abbiamo altra scelta: cambia la nostra percezione del tempo, il mondo globalizzato lascia poco potere alla politica, ma esso cambia la nostra identità e perciò vivremo una vita diversa».
Concordo con quanto sostenuto da Arrigo Levi, nella sua "lezione all'assemblea del 4 novembre scorso, promossa come ogni anno, per conto della Rivista, dalla Società editrice e dall'Associazione "Il Mulino": «la globalizzazione, intesa come condizione di avvicinamento fra le civiltà e di universale interdipendenza fra le nazioni, e non solo come un fatto economico, è frutto di quel progresso tecnico e scientifico che è caratteristica dominante dell'età moderna e contemporanea, dove tempo e spazio si sono come contratti, le distanze sono cancellate, i tempi della storia si sono accelerati, per cui viviamo tutti in tempo reale, in una nuova condizione di interdipendenza, tutte le vicende del mondo».
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Di fronte all'iniziativa europea esiste una sostanziale coincidenza tra il governo attuale della globalizzazione e la progressiva americanizzazione del pianeta, nonostante i limiti dell'attuale presidenza repubblicana - a proposito della quale il giornalista Premio Pulitzer del New York Times Thomas Friedman ne ha dimostrato l'impreparazione , l'incompetenza e «l'incapacità culturale di immaginare il mondo» - e nonostante la sua apertura "compassionevole", che si fa tuttora portatrice di una linea di politica economica e sociale basata sulla deregulation, che è stata negativamente sperimentata durante le precedenti presidenze Reagan e Bush senior secondo l'insegnamento di Friedman ed il modello tatcheriano e che ha come conseguenza di un settoriale superamento della recessione economica l'aumento vertiginoso delle aree di povertà e la mancanza di protezione sociale, particolarmente grave nel campo sanitario, mentre nei confronti dei cosiddetti settori del "popolo di Seattle" ci si è totalmente dimenticati degli affidamenti formulati dal Presidente Clinton. A questo proposito va osservato che le polemiche manifestatesi in varie sedi e non soltanto nell'ambito dell'OMC hanno reso problematica l'ipotesi europea di lanciare all'inizio del 2000 il "millenium round" e hanno determinato sostanzialmente, al di là delle sue velleitarie manifestazioni, il fallimento della terza conferenza ministeriale dell'OMC a Seattle, determinato soprattutto dalle pretese egemoniche dell'intervento degli Stati Uniti d'America, con la mancata attribuzione al Presidente Clinton da parte del Congresso della facoltà preventiva di negoziare, e quindi di fatto limitando la credibilità negoziale degli Stati Uniti, che se si sono riscontrate nell'ambito dell'OMC importanti differenze di posizioni tra Unione europea e USA in ordine alla liberalizzazione del settore agricolo, come in precedenza era avvenuto in ordine alla politica ambientale, e se, più in generale, appaiono evidenti le ragioni di una profonda modificazione del ruolo dell'OMC in corrispondenza con l'evoluzione dell'economia internazionale e a seguito di un progressivo miglioramento della trasparenza dei suoi processi decisionali. E' opportuno tenere presente al riguardo che l'Unione europea ha chiesto all'organizzazione mondiale del commercio di essere autorizzata ad imporre sanzioni commerciali nei confronti degli Stati Uniti d'America a causa di agevolazioni fiscali alle imprese esportatrici americane che l'OMC aveva già criticato per violazione delle regole del commercio internazionale. L'inatteso rafforzamento dell'inflazione negli Stati Uniti, causa dell'aumento del costo del denaro, è stato valutato a Montreal nel corso del vertice G 20: si tratta di verificare la staffetta tra l'economia americana e quella europea nel ruolo del propulsore della crescita economica con riferimento anche all'aumento dei costi dei prodotti petroliferi.
Pesano, comunque, sugli Stati Uniti d'America, come è noto, due concezioni della realtà e conseguentemente della politica: da un lato, una posizione sostanzialmente isolazionista ("orientatà a vedere l'America come un universo autosufficiente"), dall’altro una posizione più internazionalista, aperta al confronto con il resto del mondo.
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Vi è anzitutto da osservare che le forze che si richiamano al modello europeo, per essere coerenti con le scelte e gli indirizzi comunitari, che privilegiano la concorrenza, hanno dovuto rinunciare alle prevalenti politiche delle nazionalizzazioni per imboccare la via delle privatizzazioni, che in Italia hanno sostituito ormai quasi completamente quelle partecipazioni statali che avevano caratterizzato per vari decenni un sistema ad economia mista. Ma va osservato che la modernità, cioè un processo di modernizzazione ormai compiuto, con il raggiungimento di una realtà giustamente definita postmoderna, ha cambiato profondamente i termini della società italiana, in precedenza prevalentemente rurale e in un epoca successiva sviluppatasi su un piano industriale, invece ora per lo più basata su una realtà di servizi e con una prevalenza di lavoro autonomo, con la conseguenza che è difficile per quanti si richiamino ai valori e alla prassi della sinistra democratica riferirsi, come per il passato, alla tradizionale classe operaia, mentre si devono fare i conti con una nuova situazione sociale che presuppone scelte diverse e mutati rapporti di forza.
Ecco perché‚ appare ora più difficile il compito di assicurare una rappresentanza politica a settori di opinione che meno tradizionalmente possono rispondere ai disegni ed ai programmi di una sinistra democratica e che spesso operano in modo innovativo e fuori dagli schemi della tradizionale rappresentanza politica, mentre si può assistere per contro alla presa che facilmente possono ottenere in vari Paesi d'Europa proposte liberiste e prevalenti tendenze demagogiche e populiste. Naturalmente una tale situazione non è peculiare per l'Italia, ma si presenta nei vari Stati europei, anche se nel nostro Paese pesano di più divisioni, ormai antistoriche, sia fra le forze di sinistra sia nelle rappresentanze sindacali, condizionamenti più recenti negli schieramenti politici, riflessi di quella mancata rivoluzione liberale, che avrebbe dovuto meglio garantire le istituzioni e rendere più rispondenti le scelte politiche a una dialettica democratica, con una libera alternanza tra forze riformiste e settori conservatori di tendenza liberale, realizzata attraverso sperimentati processi alla guida dei governi e affrancata da ogni rischio o tentazione di regime. Pesano più che altrove nella realtà italiana le posizioni contrapposte durante la guerra fredda, gli effetti perversi delle nefaste stagioni del terrorismo e di tangentopoli, il brusco passaggio dalla logica proporzionalista ad una, peraltro non compiuta, riforma maggioritaria, scarsamente bipolare, che ha fatto esplodere tutte le contraddizioni per lungo tempo coperte da unanimismi coatti.
Ralph Dahrendorf, in un interessante saggio della fine degli anni ottanta, aveva previsto che, con la fine del socialismo reale nell'Europa centro-orientale, si sarebbe verificata anche una grave crisi europea del socialismo democratico: una previsione manifestatasi errata, considerati gli ampi successi ottenuti da allora dai partiti socialisti e socialdemocratici, sia nell'Europa occidentale sia in quella dell'est - anche se attualmente tali forze politiche presentano quasi ovunque non piccole difficoltà di carattere politico ed elettorale - mentre si deve osservare che i partiti democristiani o postdemocristiani aderenti al PPE sono progressivamente scivolati verso una prevalente tendenza moderata, con la presenza di tutte le forze conservatrici esistenti in Europa, comprese, tuttora con qualche eccezione, quelle operanti in Italia.
E' opportuno ricordare che i governi realizzati da partiti socialdemocratici soprattutto in Europa si sono caratterizzati sulla base di quel compromesso con il capitalismo che ha prodotto lo Stato del benessere e ha realizzato alcuni obiettivi importanti, l'inserimento delle masse dei lavoratori nel sistema democratico liberale, la salvaguardia dei diritti sociali, il metodo della concertazione che ha reso protagoniste per molto tempo delle scelte di governo le organizzazioni sindacali, ma v'è da osservare che la tendenza alla globalizzazione dell'economia ha colto in effetti il socialismo in un periodo di crisi profonda derivante da vari fattori, le conseguenze dell'innovazione tecnologica, la collegata trasformazione della classe operaia, la diminuzione della presenza della mano pubblica nell'economia, il sostanziale mutamento del ruolo dei partiti politici, una meno sentita solidarietà sociale a causa di un accentuato egoismo individualistico. Parallelamente si è sostanzialmente modificato il rapporto tra mercato e politica anche a causa di una crescita esponenziale dell'importanza dei sistemi di comunicazione di massa e del ruolo dell'informazione che condiziona ormai tutte le scelte politiche e di governo e che assume un'importanza, in una dimensione sempre più di carattere planetario, pari a quella della globalizzazione dell'economia.
I temi fondamentali per la sinistra democratica riguardano la formazione, il lavoro, l'ambiente, l'estensione dei diritti e la garanzia per il Welfare: Anthony Giddens ha indicato come terza via la tendenza ad adattare la socialdemocrazia ad un mondo che è cambiato in modo radicale, cercando di trascendere sia la socialdemocrazia di un tempo sia il neoliberismo per adattarsi alle nuove esigenze della società e tendere così a non avere paura del futuro impegnandosi nell'innovazione. Occorre, dunque, misurarsi con una realtà assai diversa da quella del passato e molto più difficile, anche se essa ci riporta - come sostiene Pietro Rossi - ai valori di fondo di un tempo. I temi fondamentali di rinnovamento si riassumono in una incisiva politica di giustizia sociale, in grado di governare gli effetti della globalizzazione e della nuova rivoluzione tecnologica con una forte coesione economica e sociale.
La nostra sfida verso la modernità deve essere consideratà come una sfida continua e un prioritario impegno verso un più forte e garantito assetto istituzionale dell'Unione europea, cui deve corrispondere un più efficiente ordinamento federale interno a carattere solidale, come Š avvenuto in Italia con l'approvazione del nuovo testo del titolo V della Costituzione, successivamente confermata dal previsto referendum costituzionale.
Occorre, dunque, essere convinti della necessità di ripoliticizzare l'economia e dare nuovamente spazio ai desideri, alle speranze e ai sogni delle donne e degli uomini. Per quanto ci riguarda, occorre rendere consapevoli i cittadini e soprattutto i giovani di dover operare coerentemente con decisione contro l'involuzione della politica che rischia di riportare indietro di decenni l'assetto democratico civile e laico del nostro Paese, nella speranza di creare le premesse per una prospettiva concreta di alternativa democratica di cui l'uomo, la persona, il cittadino possano essere protagonisti per le loro scelte e per il loro destino.
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