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Saggi
Della società fluido-tachicratica
di Umberto Pagano
Give me your hand for a time.
Hold on to mine. That’s right,
yes. Squeeze hard.
Time was we thought we had
time on our side.
Time was, time was,
those ragged birds cry.[1]
(Raymond Carver,
Through the Boughs)
1. Rapidità
Nella condizione di solidità il tempo è una dimensione del tutto inessenziale; laddove l’istantaneità ontologica dello stato liquido – irriverente verso ogni forma – profana il concetto di spazio e svilisce esizialmente ogni modello idraulico che sia costruito in ragione della medesima inessenzialità.
Zygmunt Bauman suggerisce proprio la liquidità come metafora pertinente nello sforzo di comprensione dell’attuale fase della modernità [Bauman, 2000, VII].
In effetti, le poderose accelerazioni molecolari interne alla materia sociale hanno marginalizzato il ruolo dello spazio e liquefatto il pesante universo moderno, inaugurando l’avvento del nuovo mondo secondo-moderno. Non è chiara la relazione eziologica tra l’accelerazione della produzione dell’esistenza e la sua precarizzazione; di fatto, però, è semplice e proficuo registrarne l’attuale, difficilmente confutabile, compresenza.
Se la Unsicherheit sia il devastante effetto della accelerazione o se sia una sua topica determinante è velleitario stabilire; di fatto, però, essa segna un’aberrazione strutturale che compromette in modo rilevantissimo la socialità [cfr. Pagano, 2002].
L’insicurezza permea l’esistenza e rende ardua ogni pianificazione di medio-lungo termine della vita. ogni scelta strategica deve essere improntata all’immediatezza dei risultati: non resta che sacrificarsi sull’altare della velocità. In un mondo così caratterizzato dalla turbolenza e dalla mutevolezza, “l’appagamento differito ha perso ogni attrattiva: è estremamente dubbio che gli sforzi e le fatiche investiti oggi possano tornare utili nel momento in cui si otterrà la ricompensa; non è affatto certo, inoltre, che i trofei che oggi ci attraggono saranno ancora desiderabili quando finalmente li avremo conquistati” [Bauman, 2000, 198].
Esattamente come le molecole di un fluido, gli individui non hanno stabilità alcuna, essi scorrono, si urtano, creano aggregati fugacissimi, istantanei, vivono di contatti precarissimi, si scivolano addosso per qualche microsecondo. Legami e unioni sono sempre più considerati cose da consumare anziché da costruire.
In un corpo allo stato solido l’intensità delle forze attrattive tra le particelle è elevatissima; eppure esse non sono affatto ferme ma compiono un moto limitato e ‘rigido’: una specie di oscillazione intorno ad un punto fisso. Un fluido, invece, è caratterizzato da un sistema cinetico in cui regna una grande libertà di movimento delle particelle e non esistono punti fermi: esso è tale proprio perché la velocità delle molecole che lo compongono è molto alta. Non a caso il passaggio dallo stato solido a quello fluido avviene fornendo energia termica, la quale, a livello delle particelle, equivale ad energia cinetica. L’oscillazione di ciascuna particella, allora, acquisterà ampiezze via via maggiori fino a vincere le forze attrattive delle altre: è il punto di fusione.
E’ sorprendente come tra le proprietà dei fluidi si possa ora annoverare quella di poter essere curiose ed icastiche epitomi della secondo-modernità. L’accelerazione indotta dalla compressione del tempo comunicativo ha fornito al sistema una tale quantità di energia cinetica da liquefarlo e renderlo un ammasso incerto senza punti fermi e riferimenti certi, in cui ogni unità è ossessionata dall’unico Valore veramente rilevante: la Velocità.
Viviamo un sistema a bassissima coesione in cui, esattamente come in un fluido, si realizzano la marginalità dello spazio e l’essenzialità del tempo, dato che ogni configurazione non dura che un solo istante. Ogni forma, ogni attività, ogni relazione, ogni legame sono massimamente precari nella società fluida del monouso. L’accelerazione rende del tutto incolmabile la tradizionale distanza che separa l'uomo dal mondo, esasperandone la di lui estraneità. La realtà perde peso specifico, logica, senso; gli eventi accadono tanto velocemente che la mente umana non arriva a coglierne motivi, significati, relazioni plausibili. La vita, frammentata, polverizzata tende ad essere vissuta episodicamente, come una serie pletorica di eventi sconnessi e difficilmente controllabili. Ecco allora, come avviene nel capolavoro di Albert Camus, che l'uomo si ritrova straniero nel mondo ed esperimenta la sua deriva esistenziale, il tragico naufragio nella sua vorticosa quotidianità fluida.
L’umiliante catabasi della durevolezza ha lasciato sui tavoli anatomici dell’istantaneità putrescenti brandelli di identità perduta in avanzato stato di liquefazione e labili ricordi di un passato solido.
La quantità di futuro che all’uomo è dato di immaginare è funzione della qualità del suo presente. Il nostro attuale presente non lascia spazio che all’immediatezza e castiga il futuro in un’interzona limbica scura e molle, costituita “della stessa materia di cui sono fatti i sogni”, dove regnano incontrastati inverosimiglianza e paradosso, sfiducia e frustrazione, apatia e rassegnazione, irrazionalità e anomia, provvisorietà e schizofrenia, instabilità e mutevolezza.
Con la precarizzazione dell’esistenza l’uomo fluido ha inaugurato una stagione di sistematica distruzione del suo futuro, erodendolo fino al punto in cui l’agire perde senso e razionalità e si avvicina sempre più ad una sequenza ritmica di comportamenti automatici di risposta, tributandolo sull’altare sacrificale dell’hic et nunc.
Nel suo stadio pesante, il capitalismo era saldamente ancorato ai luoghi e la genesi del potere era legata all’obiettivo supremo della conquista dello spazio e alla sua successiva difesa, all’imponenza, al peso. Nel suo stadio post-moderno, invece, esso si emancipa dallo spazio e lega la sua stessa esistenza alla rapidità di spostamento. Il capitalismo leggero rifugge grandezza, imponenza, poderosità; le sue parole d’ordine sono ‘ridimensionare’, ‘snellire’, ‘velocizzare’. Il suo obiettivo? Ridursi fino a divenire un solo, unico, punto, dotato di velocità infinita. Mentre il capitale viaggia a velocità luminali i lavoratori sono condannati alla paralisi, vinti dalla forza-peso. Essi non possono che alzare la testa e ammirare il letale lampo fosforico che fornisce al capitale la spinta necessaria per lasciarli, in un attimo, ad annegare nei loro luoghi ormai liquefatti.
Ecco allora che la rapidità assurge a discriminante prioritaria della stratificazione sociale. Velocità e peso sono le variabili fondamentali per determinare lo strato di fluido in cui si colloca ogni individuo. Sempre più si apre una irriducibile frattura nell’umanità: tra braditipi e tachitipi. La rapidità è ormai il valore essenziale per la sopravvivenza, ed è il valore in base al quale si sta compiendo un’autentica selezione darwiniana. Non tutti saranno in grado di vivere il nuovo mondo liquido. Saranno necessarie mutazioni genetiche. Essere anfibi potrà servire, ma soprattutto bisognerà essere veloci. Grazie alla velocità, infatti, è possibile rimanere a galla, sviluppare una portanza in grado di vincere la gravità. La competizione in ambiente solido è assai dissimile da quella in ambiente liquido. Ha scritto Ralph Wald Emerson: “in skating over thin ice, our safety is in our speed”[2] [Waldo, 1841]. In una corsa su pista se si va lentamente si rimane dietro, in una gara di sci acquatico se si va lentamente si affonda. La salvezza sta nella velocità.
Le leggi della meccanica ci possono essere alquanto utili[3]. La forza che è necessario applicare ad un solido che abbia una densità superiore di quella del liquido in cui è immerso per riportarlo a galla dipende da molti fattori, tra cui il peso del corpo e la densità del liquido. E’ evidente come il singolo corpo non abbia molta scelta: se vuole rimanere in uno strato superficiale del fluido o deve avere un peso specifico minore di quello del liquido nel quale è immerso o deve accelerare in qualche modo la sua velocità fino a sviluppare quella forza ascensionale che riesca a farlo emergere, consentendogli poi di solcare agile e sicura la superficie
Infatti:
v>√2W/ρSCL (I)*
dove:
v è la velocità del corpo
W è il peso del corpo (pari a m∙g – massa per accelerazione di gravità)
p è la densità del liquido
S è la superficie del corpo
CL è un coefficiente che considera la forma del corpo
La (I), pure se risultante da diverse approssimazioni, illustra in modo sorprendentemente efficace la condizione sociale qui analizzata. v è la velocità necessaria per generare un moto ascensionale, essa dipende direttamente da W e inversamente dalla densità del liquido. Più aumenta la fluidità del ‘brodo’ sociale (cioè <0), più - ceteris paribus - deve aumentare la velocità necessaria a far stare il corpo in superficie. Dunque ognuno deve scegliere molto attentamente il proprio rapporto massa/velocità. Leggerezza e rapidità. Rapidità e leggerezza. La società fluida è tachicratica: il potere è detenuto da chi è veloce. E spesso chi è più leggero è anche più veloce (Principio persaepe levis res atque minutis corporibus factas celeris licet esse videre [Lucrezio, De Rerum Natura, IV, v. 185]).
Ma non possiamo trascurare un’altra variabile
fondamentale della (I): CL, il coefficiente che considera la forma
del corpo in movimento; quest’ultima è indispensabile per calcolare la velocità
necessaria al corpo per ascendere nel fluido. Solo se CL è positivo
si realizzerà (ad una certa velocità) un moto ascensionale, la cui rapidità è
proporzionale all’aumento di CL. Se CL, invece, fosse
negativo, il moto generato sarebbe ineluttabilmente discendente. In pratica, i
corpi per muoversi con successo verso l’alto devono assumere una forma idonea e
devono riuscire a cambiarla in lassi temporali assai ridotti in relazione ai
mutamenti del liquido in cui sono immersi, devono possedere una razionalità
metamorfica. La possibilità di occupare stabilmente gli strati superiori del
liquido sociale non può prescindere dalla rapidità di risposta morfodinamica;
l’assunzione di una forma inefficace (per difetto di razionalità o incapacità di
elaborare gli input informativi provenienti dall’ambiente) comporta
alternativamente un moto discensionale (se CL≤0)[4]
o, se CL>0 ma con un valore basso, la necessità di una altissima
velocità - e dunque di una grande energia – al fine di generare ascensione
(un’altissima velocità, ceteris paribus, assai maggiore rispetto a quella
sufficiente ad un corpo con un CL prossimo a 1).
I braditipi, pesanti e metallici,
irrimediabilmente discronici rispetto al ritmo dell’esistenza, incatenati sul
fondo, non possono che rassegnarsi all’ineluttabilità di una traiettoria
discenditiva, giù giù, fino al fondo, dove annegheranno, senza rumore.
Rimarranno lì, ingombranti relitti inservibili, dimenticate memorie inutili
dell’era del peso, curiosi solidi arcaici, tra conglomerati di alghe iridescenti
ed effimere muffe.
Max Weber si sbagliava allorquando
“estrapolando la propria visione del futuro
dall’esperienza di allora del capitalismo pesante (l’uomo che coniò
l’espressione «gabbia di ferro» non poteva certo sapere che la «pesantezza»
fosse un mero attributo transitorio del capitalismo e che altre modalità di
ordine capitalista fossero concepibili e già in vista) predisse l’imminente
trionfo della «razionalità strumentale»; con il quesito sulla destinazione della
storia umana risolto in quattro e quattr’otto e la questione dei fini delle
azioni umane ormai appianata e non più oggetto di disputa, la gente sarebbe
alfine giunta a preoccuparsi principalmente e forse esclusivamente della
questione dei mezzi: il futuro sarebbe stato, per così dire, ossessionato dai
mezzi [Bauman, 2000, 58].
La Risikogesellschaft è una società a
teleologia debole, se non del tutto evanescente: il vero problema dei nevrotici
esseri fluidi che la compongono non è quello dei mezzi, ma quello dei
fini. Quando l’Unsicherheit diviene attributo imprescindibile del
mondo, gli uomini sono costretti ad intraprendere il gioco dell’esistenza solo
sulla base di piani imbastiti, provvisori e instabilissimi, validi al massimo
per un paio di mosse. “I lassi di tempo etichettati come futuro si accorciano e
la durata della vita nel suo complesso viene sezionata in episodi affrontati
«uno per volta». La continuità cessa di essere il segno del miglioramento” [Ibidem,
157]. Se prima ci si muoveva lungo un sentiero, per quanto irto e sdrucciolevole
e tortuoso, intravedendo una meta, ora si nuota senza tregua, senza cognizione
della propria posizione, alla frenetica (e spesso vana) ricerca di qualche
scoglio, e nulla si intravede all’orizzonte. Solo paure e apatie e acquatiche
insicurezze.
Stante la parossistica discontinuità
dell’esperienza vissuta e il dissolvimento dei suoi telos, sempre meno si
può interpretare l’agire umano nei termini weberiani della
razionalità-rispetto-allo-scopo (Zweckrational), tanto meno in modo
razionale-rispetto-al-valore (Wertrational).
Nella modernità liquida, cronofondata e
tachicratica, si determina un nuovo Idealtypen dell’agire: la razionalità
rispetto al ritmo (Rhythmusrational). Non si può fare altro che cercare
di adeguarsi al ritmo di vita generale, alla folle e autoreferenzaiale rapidità
del sistema. E gli unici possibili valori di riferimento rimangono appunto
velocità ed accelerazione: solo rispetto ad essi ha senso essere
razionali. Ma la tendenza che si può individuare è, addirittura, quella verso un
progressivo quanto ineluttabile dissolvimento della razionalità stessa.
L’accelerazione dell’azione arriverà ad un punto
tale da comprimere il pensiero e lasciare spazio solo ad una emulazione
emotiva/istintiva del ritmo ‘globale’. Stiamo viaggiando a velocità luminale
verso quegli idealtipi di agire che Weber indicò come semplicemente uniforme
e passivamente orientato, cioè quelli in cui si verifica,
rispettivamente, una reazione omogenea di più individui ad un evento oggettivo
ed una azione individuale eterodiretta passivamente condizionata da un
comportamento collettivo [cfr. Crespi, 1985, 222].
La liquefazione dell’universo sociale preconizza
la caduta agli inferi nel baratro senza ritorno della irrazionalità tachifondata:
l’agire meramente ritmico (Rhythmisch). Esso inevitabilmente finirà per
cannibalizzare, oltre che le determinazioni razionali, anche le altre forme
idealtipiche previste da Weber - quella affettiva (affektuell) e quella
tradizionale (traditional) - ed erodere la prevedibilità quale fondamento
essenziale del relazionarsi reciproco tra gli individui. La scontata coerenza
ritmica del comportamento di un individuo rispetto al tempo ‘battuto’ dal
sistema, infatti, nessuna indicazione fornisce circa il verso, la
direzione, di tale comportamento: sarà facile ipotizzare quando ed in
quanto tempo qualcuno farà qualcosa, ma sempre più difficile sarà prevedere
cosa egli farà. Tutto questo indurrà un ulteriore aumento della turbolenza e
della incertezza del sistema fluido.
Forse, può risultare utile e interessante
scomodare il concetto paretiano di
azione non logica
[5]
e la relativa tassonomia. In particolare, l’agire razionale-rispetto-al-ritmo
costituirebbe una “azione non logica del quarto tipo”, quella in cui il fine
soggettivo esiste ma non coincide affatto con quello oggettivo. In questo caso
sulla scelta razionale della coerenza ritmica poggerebbe il fine
individuale, laddove il fine oggettivo sarebbe costituito dalla perpetuazione
dell’ordine ritmico-tachicratico: l’autoreferenzialità del sistema. L’agire
ritmico rientrerebbe, invece, a pieno titolo nella categoria del “tipo puro di
azione non logica”, nel quale pur essendoci un fine oggettivo, manca del tutto
quello soggettivamente percepito. Dunque, rimarrebbe immutata la teleologia del
sistema, ma il versante individuale sarebbe fatalmente esposto ad una
progressiva de-razionalizzazione.
La transizione dalla situazione di
tachi-razionalità a quella di illogicità ritmica, comportando l’annichilimento
del pensiero, induce un’aberrazione del sistema dovuta alla collaterale perdita
di razionalità morfodinamica e, conseguentemente, un parossistico moto
atassico, cioè convulso e incontrollato dalla volontà. Il caos metamorfico, in
pratica, causerebbe l’assunzione di forme inidonee, indipendentemente dalla
grandezza dell’accelerazione, a sviluppare efficaci traiettorie ascensionali o,
addirittura, di forme con CL negativo, dalle quali potrebbe solo
derivare un inevitabile moto discendente.
In dettaglio: in caso di un coefficiente di forma
positivo ma molto basso, la velocità critica dovrebbe essere altissima; ciò
implicherebbe l’uso di enormi quantità di energia facendo crescere
insostenibilmente l’entropia, visto che crescerebbe a dismisura il divario tra
il ritmo al quale la società preleva dall’ambiente materia ed energia a bassa
entropia e le trasforma in energia inutilizzabile e il ritmo ‘naturale’ di
conversione [cfr. Rifkin, 1980, 135-151]. Nella (I), infatti, se CL
tendesse ad assumere valore zero la velocità necessaria per ascendere dovrebbe
tendere all’infinito (); gli individui ormai totalmente accecati e folli,
sprecherebbero inutilmente tutta l’energia disponibile nel vano tentativo di
raggiungere l’utopica velocità critica.
La distopia escatologica verso cui ci muoviamo è
ben delineata. Il destino dei braditipi è segnato: o si adegueranno al
nuovo mondo panritmico o saranno sopraffatti e risucchiati sul fondo
della modernità liquida e lì incatenati dalla loro frustrazione ineluttabilmente
generata dal divario tra velocità desiderata e velocità possibile. E il loro
destino sarà non dissimile da quello sperimentato dai dinosauri alla fine del
cretacico. Essi saranno i primi a perire. Ma il sistema autoreferenziale
continuerà ad autoindurre aumenti della velocità fino alla totale casualità
della morfogenesi[6]
e all’atassia; in quel momento il liquido sociale sarà governato da una sola
forza: il Caos.
Molti artisti hanno già da tempo intuito la
centralità della rapidità nella nostra cultura, l’ineluttabile accelerazione
della fugacità, il peso della leggerezza, e cercano un’estetica ad
esse omogenea. “Un tempo una delle massime preoccupazioni degli artisti era la
durata degli affreschi e delle tele(…). Ora i materiali preferiti nell’arte sono
quelli che proclamano e sfoggiano la propria deperibilità” [Bauman, 2001, 202].
Nel giugno del 1984 Italo Calvino venne invitato
dall’Università di Harvard a tenere un ciclo di sei conferenze durante il corso
del successivo anno accademico. Calvino decise di dedicare le conferenze a
quelli che lui considerava i valori-guida per la letteratura del terzo
millennio. Egli intitolò il ciclo “Six memos for the next millennium”.
Morì subito prima della partenza per gli Stati Uniti. Sulla sua scrivania c’era
il dattiloscritto definitivo di cinque Lezioni preparate; mancava solo
l’ultima, rimasta incompleta. Calvino aveva dedicato ogni conferenza ad un
valore. Le prime due conferenze riguardavano la leggerezza e la rapidità.
2. L’era del consumo tachionico
Contrariamente a quanto comunemente si pensi, la
teoria della relatività ristretta non esclude in modo categorico velocità
superluminali (cioè maggiori di quelle della luce[7]).
Tutt’altro:
in realtà, la
tradizionale formulazione einsteiniana della relatività speciale può essere
facilmente ampliata in modo da includere ab initio la possibilità
dell’esistenza di particelle dotate di velocità superiori a c [cfr.
Recami, 2001, 21-29]; esse scaturiscono dalle
equazioni che descrivono la teoria, quando in queste ultime si inseriscono i
numeri immaginari. A queste particelle è stato dato il nome di tachioni.
Già Lucrezio, nel suo De Rerum Natura,
supponeva l’esistenza di particelle superluminali: quone vides citius debere
et longius ire multiplexque loci spatium transcurrere eodem tempore quo solis
pervolgant lumina caelum? [Lucrezio, DRN, IV, vv. 208-210].
Dopo due millenni i tachioni non sono ancora stati
rilevati sperimentalmente[8],
per ora sono solo matematicamente ipotizzabili; ma se esistessero dovrebbero
avere caratteristiche assai peculiari, tanto per cominciare una massa
immaginaria (m2 < 0).
Inoltre, com’è noto, la fisica relativistica
prevede una dilatazione del tempo interno, un suo rallentamento, proporzionale
all’incremento della velocità, fino a c in cui il tempo si arresta. Ora,
complesse formule matematiche dimostrano l’assoluta logicità di quanto è
possibile immaginare già intuitivamente, cioè che ad una velocità superluminale
il tempo dovrà scorrere più lentamente dell'immobilità, ovvero nella direzione
“negativa” del passato. Nel mondo tachionico più veloci si viaggia, più il tempo
va indietro rapidamente.
E’ stata proprio tale conclusione a ‘congelare’
per anni la ricerca, dopo che R.C. Tolman, nel 1917, illustrò il suo scomodo
paradosso secondo il quale se i tachioni esistessero e fossero usati per
trasmettere un messaggio, quest’ultimo dovrebbe arrivare a destinazione prima di
essere spedito. Una tale conclusione collide con una legge inviolabile, se non
al prezzo di destrutturare in un attimo l’intero scibile umano finora prodotto:
il principio di causalità, per il quale gli effetti non possono mai
precedere le cause che li generano.
Ma anche l’obiezione di Tolman è chiaramente
superabile. Infatti, è stato dimostrato [cfr. Caldirola-Recami, 1980, 249-298]
che, per la cosiddetta regola di reinterpretazione, un eventuale tachione
T emesso da A e assorbito da B, sarebbe percepito da un
osservatore subluminale come un antitachione T’ emesso da B e
assorbito da A, in pratica come una particella speculare a quella reale,
con carica opposta e in viaggio nella direzione temporale “giusta”[9].
Nonostante questo, alcuni astrofisici sono
convinti di poter ‘trovare’ i tachioni negli sciami di raggi cosmici che urtano
frequentemente lo strato superiore dell'atmosfera terrestre, producendo una
cascata di particelle secondarie che possono venire rilevate a terra. Essi
argomentano che se, come da loro ipotizzato, alcune delle particelle generate
dall’urto fossero F.T.L (Faster Than Light), esse dovrebbero raggiungere
i rivelatori di terra non solo prima delle altre particelle dello sciame, ma
anche prima che la radiazione cosmica originaria (primaria) abbia luogo[10].
Probabilmente i tachioni non saranno mai osservati
sperimentalmente, probabilmente nemmeno esistono nella realtà e sono solo
astrazioni matematiche, curiosi trucchi (meta)fisici, scarti paradossali della
relatività, destabilizzanti vibrazioni di non-senso. Tuttavia, non possiamo
sottrarci al devastante fascino insito nella di loro ricerca; condizionati da
quel fascino scorgiamo l’accattivante possibilità di usare la velocità
tachionica come icastica metafora dei meccanismi cinetico-sociali.
La liquefazione della struttura sociale ha
comportato l’instaurazione di un regime tachi-consumistico basato
sull’accelerazione dell’induzione dei bisogni.
Se il proto-capitalismo pesante era impegnato
nella socializzazione urbana di enormi masse di individui per estrarne forza
lavoro, il capitalismo post-moderno è impegnato nella vampiresca suzione della
forza consumo: il suo principale problema non è più quello
tecnologico-produttivo della creazione del bene, ma quello psicologico della
poiesi del bisogno, quello della produzione del consumatore.
Ha ben chiarito Jean Baudrillard: “Quel che è vero
non è che i bisogni sono il frutto della produzione, ma che il sistema dei
bisogni è il prodotto del sistema di produzione” [Baudrillard, 1974, 73].
Ciò che viene generato non è il bisogno di oggetti specifici, ma piuttosto il
bisogno di aver bisogno, il metadesiderio di desiderare, poiché i bisogni non
sono prodotti come rapporto di un individuo con un oggetto ma come elementi del
sistema, come un’estensione organizzata delle forza produttive [cfr.Ibidem].
Il sistema dipende pressoché totalmente dalla
cronica insoddisfazione che ne costituisce il fondamento ontologico: l’unica
forma di gratificazione ipotizzabile è quella istantanea, in grado di chiudere
in modo illusoriamente soddisfacente un ciclo di desiderio e aprirne
immediatamente un altro di maggiore intensità senza intaccare lo stato di
dipendenza dell’unico, autentico, prodotto del sistema: il consumatore. E’
allora evidente come il ritmo di crescita autoreferenziale del sistema sia
necessariamente correlato col tempo di consumo.
L’autopoiesi del monismo produttivo, con la sua
parossistica proliferazione di valori-segno, determina la sussunzione della vita
reale al capitale e realizza l’espropriazione del tempo individuale. Rilassarsi,
divertirsi, lavorare, amare, odiare, vivere diventano solo momenti di un tempo
capitalistico che tutto fagocita, lasciandosi dietro la striscia escrementizia
della noia, dell’inutilità, dell’insignificanza. Il sistema, compiuta la
crono-normalizzazione del mondo, ci produce in serie, ci consuma, ci svuota, ci
ingloba integralmente nello schema ritmico-(ir)razionale che consente la sua
incessante riproduzione.
Nella società liquida il consumo compulsivo
raggiunge la sua situazione ideale, fornendo la prova definitiva della
sua superiorità evolutiva. In esso la gratificazione va persino oltre
l’istantaneità rimarcata da Bauman [cfr. Bauman, 1998, 91-95]: essa è ormai
tachionica.
Il meccanismo di produzione del consumatore ha
raggiunto un tale livello di “perfezione” che il consumo fisico del bene è
divenuto del tutto epifenomenico, accessorio, irrilevante. Il ciclo
desiderio-acquisto-desiderio (D-A-D’, dove D<D’) è di fatto indipendente dal
consumo fisico dell’oggetto che è ormai un inutile spreco di tempo, una
inefficienza, un pleonastico rallentamento della proliferazione del sistema.
Quante sono le cose che compriamo e immediatamente accantoniamo senza nemmeno
pensare concretamente di consumare in qualche modo? Ma, addirittura, il
simulacro di gratificazione precede tachionicamente l’acquisto e nel
momento stesso del possesso perdiamo ogni interesse per l’oggetto. L’atto di
acquisto genera emanazioni simili a quelle particelle minutissime, che
percorrono lo spazio più rapide dei raggi del sole, di cui parlava Lucrezio.
Un’insopportabile, folle, ossessiva
insoddisfazione ci governa fino al possesso lenitivo dell’oggetto magico
e quando questo è raggiunto (e solo in quel momento) ci accorgiamo che la
gratificazione si confondeva col desiderio, che in qualche modo essa è già
avvenuta (non ricordiamo bene quando…) ma in quello stesso istante dobbiamo
ricominciare a desiderare qualcosa di più. E’ la logica della dipendenza, alla
quale è ontologicamente legata l’insoddisfazione.
Nella misura in cui il ritmo del sistema erode la
razionalità dell’agire, riducendolo a mera azione non logica, il contraccolpo in
termini di atassia induce una morfodinamica stocastica dei coefficienti di forma
CL e un conseguente abnorme spreco di energia; sprofondandoci
nell’illogicità dell’azione: è il momento in cui non ha più senso la relazione
con gli altri, non ha più senso il futuro, non ha più senso nulla.
Una sola cosa la perfetta efficienza del sistema
autoreferenziale trascura – o essa costituisce proprio il suo telos? - :
che il perseguimento della minimizzazione dei tempi a prescindere dai costi
energetici, lo avvicina con rapidità agghiacciante allo spartiacque entropico,
all’annientamento, all’autodistruzione.
L’economia della percezione individuale è stata
completamente stravolta. La massima epitome di questo processo è riscontrabile
nei mutamenti dei consumi culturali e più di tutto nella Grande Madre Rete,
sacerdotessa dell’accelerazione.
La navigazione (la metafora liquido-fondata è
anche qui assai efficace) nel magmatico web-fluido è gravida di vane illusioni.
Promesse di libertà illimitata ad un navigante la cui barca virtuale è, invece,
eterodiretta e segue percorsi prestabiliti benché numerosissimi, invisibili ma
non per questo meno cogenti.
“L'incalzare degli stimoli non lascia respiro e su
ognuno di essi ci si può soffermare solo pochi istanti, travolti da una sorta di
coazione a procedere.(…) Di solito l'eccesso di stimoli induce l'assuefazione:
allora, ascoltando le voci sussurranti senza freno e misura nel mare virtuale,
il navigante ha l'impressione straniante di assistere al flusso di coscienza di
una creatura sconfinata che si racconta una storia interminabile” [Longo, 1999]
La rete ha proliferato in modo tanto rapido e
rigoglioso proprio perché rispecchia - fino ad esserne l’epitome - la struttura
della cultura odierna che, da sistematica e organica, è divenuta pletorica e
dis-integrata. La rete è il non-luogo, dove non c'è né il vicino né il lontano
perché lo spazio è morto; è il non-tempo, che vive in un eterno presente, perché
il futuro è stato smembrato dalla rapidità.
“In questo universo utopico e ucronico la storia è
stata uccisa, schiacciata su una temporalità immediata (…). In questo modo le
categorie fondamentali del mondo reale, il tempo, lo spazio, la causalità,
vengono sovvertite, s'intrecciano e si contaminano per fornire categorie nuove o
spariscono, generando un vuoto categoriale che viene riempito dall'accumulo
sequenziale e ossessivo di dati, richiami, immagini, testi. (…) L'argomentazione
è soffocata dall'accrezione caotica delle informazioni e scompare fra le quinte
del tempo annullato. Le attività che richiedono uno sviluppo cronologico tendono
a essere bandite: non si può più ragionare, sistemare, ordinare perché i nuovi
dati incalzano, i collegamenti ammiccano invitanti, spingendo il visitatore
sempre in altre zone del non-tempo”[Ibidem].
Una incessante coazione a ripetere, ripetere
rapidi, ripetere più rapidi, più rapidamente, ancora, per sempre, per sempre,
per sempre, per sempre, per sempre, precipitevolissimevolmente,
mentementementementementementementementementem, fino a che tutto sarà un
unico, insensatissimo, lento rumore.
Nella liquida incertezza della società tachionica
siamo condannati a sperimentare su noi stessi un doloroso paradosso temporale: è
tanta la velocità del nostro presente che il futuro è solo un’indecente
fantasia.
Baudrillard,
J.
(1974), La société de cosummation. Ses mytes, ses structures.
Gallimard, Paris; trad.
it.
La società dei consumi. I suoi miti e le sue strutture, Bompiani,
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Bauman, Z.
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[1]
Dammi la mano per un po’. Tieni la mia. Così va bene, si. Stringi forte.
C’era un tempo in cui credevamo di avere il tempo dalla nostra parte.
C’era un tempo, c’era un tempo, piangono gli uccelli arruffati. (T.d.A.)
[2]
Nel pattinare sul ghiaccio sottile la velocità è la nostra unica salvezza. (T.d.A).
[3]
E’ appena il caso di precisare che se le nozioni mutuate dalla fisica
possono fornirci un’efficace metafora ‘qualitativa’, non si pretende
tuttavia di affermare la prevedibilità delle dinamiche sociali in base a
leggi fisiche. Anzi, all’opposto, si vuole sottolineare proprio la sempre
più spinta imprevedibilità delle dinamiche sociali. Certo, sarebbe molto
interessante tentare applicazioni sociologiche dei risultati che si stanno
raggiungendo nello studio dei sistemi fluidi turbolenti attraverso approcci
di meccanica statistica e teoria del caos.
(*)
Mi piace rivolgere un sincero quanto doveroso ringraziamento agli Ing. Luigi
Paparone e Antonio Visingardi del CIRA (Centro Italiano Ricerche
Aerospaziali) di Capua (CE); i loro preziosi suggerimenti sono stati
indispensabili per sviluppare alcuni dei concetti di meccanica qui
utilizzati. Esclusivamente mia rimane la responsabilità, per tutto quanto è
scritto nel presente contributo.
[4]
Se CL <0 la (I) perde ogni senso e il moto ascensionale, o anche
solo quello orizzontale, diventano semplicemente impossibili (infatti è non
è pensabile che il quadrato della velocità sia negativo). Con CL
<0, quindi, non può che svilupparsi una forza discendente F=v2SCL < 0.
[5]
Vilfredo Pareto ha individuato quattro tipi di azione non logica. Il
primo è quello in cui si riscontra l’assenza sia di un fine soggettivo che
di un fine oggettivo, sono azioni che l’uomo compie meccanicamente per
abitudine. Il secondo tipo comprende le azioni che hanno un fine soggettivo
ma non un fine oggettivo (ad esempio cambio strada perché un gatto nero mi
ha tagliato la strada). Il terzo genere di azione non logica, definito «tipo
puro», si riferisce ad azioni in cui pur esistendo un fine oggettivo manca
il fine soggettivamente percepito (si tratta in linea di massima di
comportamenti di tipo fisiologico-istintivo). La quarta categoria comprende
azioni in cui esistano sia il fine soggettivo che quello oggettivo, ma essi
non coincidono (i riti religiosi, ad esempio, hanno una loro utilità sociale
per quanto attiene i rafforzamenti dei legami di gruppo, pur essendo del
tutto diverso il fine perseguito dai singoli credenti) [cfr. Pareto, 1916,
II, 79-171].
[6]
In questo caso, sembra ragionevole ipotizzare che prima o poi tutti i corpi
in movimento finiscano per schiantarsi sul fondo. Gli eventi CL>0
e CL<0 sarebbero equipropabili e uguali a ½.
[7]
La velocità della luce è considerata costante in tutti i sistemi inerziali
ed indicata con c; essa è pari a poco meno di 300.000 Km/sec,
precisamente c = 2,998x108
metri/secondo
[8]
Tuttavia, molti esperimenti farebbero supporre l’effettiva esistenza dei
tachioni. In particolare è stato empiricamente dimostrato che il quadrato
della massa dei neutrini muonici è negativo. Tali neutrini hanno dunque
massa immaginaria e sono dunque tachionici. [cfr.
Recami, 2001, 21-29]. Inoltre, in alcuni laboratori sarebbero state
registrate – per brevissime distanze - velocità di fase e di gruppo
di un fascio di microonde pari 375mila Km/sec, dunque tachioniche.
[9]
Inoltre, anche i ricercatori che asseriscono di aver rilevato nei fasci di
microonde velocità superluminali, precisano che la violazione di c
non vale per la velocità dei segnali, sicché rimane ben saldo il
principio di causalità.
[10] Nel
1973 due ricercatori che erano di base in Australia, Roger Clay e Philip
Crouch, trovarono con i loro rilevatori di raggi cosmici ciò che sembravano
essere una solida prova in favore dell'esistenza del precursore FTL. I dati
furono inviati alla rivista Nature e pubblicati nel 1974; ci furono stupore,
meraviglia ed entusiasmo negli ambienti scientifici. Non è mai stato
rilevata alcuna inesattezza nella procedura seguita per la rilevazione dei
due ricercatori, dunque i risultati sono tuttora validi, ma non vengono più
considerati una prova dell'esistenza dei tachioni, poiché in esperimenti
successivi non si è riusciti a trovare altri precursori in associazione con
gli sciami prodotti dai raggi cosmici. Oggi, generalmente, si tende a
riconoscere che deve essere stato qualcos'altro nel 1973 ad azionare
i rilevatori.
Riferimenti bibliografici