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SAGGI
Immagini digitali e sintesi sociale: contro l’ideologia dell’immateriale
1. La frattura digitale
Un secolo fa, il secolo nuovo dell'immagine digitale e della computer grafica, i caratteri dell'icona sintetica costituirono occasione forte di riflessione; una riflessione che tematizzò rotture epistemologiche radicali e fratture cognitive1. Nonostante Deleuze avesse intimato la cautela [Deleuze, 1995. 1972-90: 230 e sg.], le analisi prodotte non si astennero dal rilevare i tratti di novità assoluta dell'immagine di sintesi e affrontarono la riconfigurazione in corso dei limiti comunicativi dello sviluppo, nei termini di un salto di carattere tecnico nella composizione del senso comunicato. Lo spostamento della contraddizione di fondo inerente al movimento di autoespansione del capitale veniva trattato come una faccenda specialistica di supporti digitali e di simulazione del dato. Ovviamente veniva colto e trattenuto un elemento autentico.
L'icona sintetica manifestava caratteri di indubbia novità; veniva da essa reciso ogni legame con il mondo della referenza e molte delle questioni inerenti la soglia inferiore di pertinenza, o il livello primario della semiosi [Eco, 1997: 59-63; 80-98; 104 e sg.; 121 e sg.. Landowski, 1989: 111-134.], sembrarono superati o richiesero forti aggiustamenti. L'icona analogica, l'unità minima di senso per i prodotti della televisione classica, sebbene rielaborasse in modo proprio i legami che la rimandavano al proprio denotatum, non poteva tuttavia fare a meno dell'esistenza del denotatum stesso, della sua presenza reale ed effettiva; registrava, infatti, quella presenza, rendendola sì secondo modi propri, e non riuscendo però a prescindere dal suo esserne traccia. Il segno analogico funzionava, anche nelle sue versioni più avanzate, secondo il meccanismo di trasformazione all'opera nei processi ordinari di semiosi [Eco, 1975]. Pertinentizzava, cioè, porzioni distinte del continuum che Peirce chiamava oggetto dinamico e le vincolava poi alla costruzione di un oggetto immediato che costituisse materia di rinvio sensato a quello2; un rinvio processuale nei modi e costitutivamente intersoggettivo; dunque sociale.
Quando l'icona digitale irruppe, come fatto comunicativo, sulla scena della produzione culturale contemporanea, gli stadi evolutivi pensati per lo sviluppo delle nostre merci simboliche fecero posto a fratture non più ricomponibili, a nuove ere ed a iati mai previsti; i caratteri della discretezza e della discontinuità radicali, morti insieme al segno analogico, ricomparvero come proprietà della struttura sociale, e del suo mutamento, nelle interpretazioni che mettevano a tema quello digitale. L'icona sintetica non si costituisce neppur indirettamente come traccia di qualcosa che l'abbia impressa; non rinvia ad uno stimolo esterno di alcun tipo. Trova nel modello matematico che la informa il suo principio di germinazione interna e la sua origine. Non ha bisogno di null'altro ad essa estraneo, è una specie di in sé dotato di coscienza e dunque, fra breve, si diceva, probabilmente anche di autocoscienza; l'intelligenza artificiale si configurava, appena un secolo fa, come un futuro prossimo a venire e non come l'ossimoro che essa è.
2. Digitalità e Dominio: la totalità comunicativo-produttiva e la sua concretezza duale.
Per individuarne i termini occorre certo allargare il campo di osservazione e, ad esempio, comprendere le considerazioni precedenti, di ordine prevalentemente semiotico, in un quadro sociologico. Ecco, allora, che le immagini si riappropriano di coloro che, soggetti associati e situati storicamente, si producono e riproducono anche decodificandone il senso; lungi dall'essere oggetti autonomi passibili di indagini neutre, esse si presentano ora come fase o modo di una riproduzione sociale condannata costitutivamente ad essere sensata, significativa; dunque legittimante [Berger-Luckmann, 1966: 132-162]. L'intelligenza e la sua artificialità descrivono allora, e limitano, lo spazio della ricostituzione iterata del legame sociale, configurandosi dunque, nei nostri sistemi a capitalismo avanzato, come modulazione concreta di una contraddizione a cui non riusciamo a sottrarci, soprattutto perché i suoi confini sono quelli dello spazio sociale, si identificano con la società stessa. Eccone la descrizione:
"Ciò che deve sempre essere tenuto in evidenza, contro la tendenza della dottrina (che Marx avrebbe chiamato volgare) ad occultarlo, è il binomio sfruttamento-dominio quale costante del processo di autoespansione del capitale [..]. L'elemento sfruttamento è un processo deterministico, mentre l'elemento dominio, invece, è un processo intrinsecamente contingente o aleatorio. In altri termini, mentre la sussunzione del lavoro vivo, la sua conversione in capitale, è un processo in sé e per sé automatico e necessario, come un processo chimico in laboratorio, la subordinazione del lavoro vivo [..] è un processo che non è mai garantito in assoluto e che deve fare le sue prove continuamente. Sul piano del dominio è implicata la dinamica relazionale fra i vivi, cioè un sistema aperto di comunicazione sociale intersoggettiva [..]. Il problema dello sviluppo [..] rinvia agli argomenti non soltanto e separatamente dell'analisi economica, ma della teoria dell'azione-comunicazione." [Giannotti, 1982: 22-23].
Piuttosto che di immagini sintetiche occorrerebbe, dunque, parlare di legittimazione sintetica all'opera negli aggregati sociali del controllo post-disciplinare [Deleuze, 1980. Foucault, 1975]3. In queste formazioni sociali, cioè nel nostro oggi, la mancanza di un fuori, di un esterno qualsiasi in grado di determinare sviluppi ed assestamenti progressivi della struttura, è considerato ormai da tempo, per chi si riconosce a qualsiasi titolo nella tradizione critica, un dato di fatto [Horkheimer, 1942. Marcuse, 1963. 1965. Baudrillard, 1976. Hardt-Negri, 2000.]. Posto a questo livello di analisi, il problema della mancanza del riferimento esterno di un'immagine, comunque essa sia prodotta, ad un referente che ne costituisca il criterio e la motivazione, si sviluppa quasi naturalmente nei termini di una critica dell'ideologia e di una crisi di legittimazione nel capitalismo maturo [Habermas, 1973]. E qui partiamo, dunque, dalla considerazione che i nostri sistemi sociali presentano una contrazione fortissima dell'interstizio, caratteristico della modernità, che separa progetto e oggetto, invenzione e azione; futuro e presente. Si tratta della questione classica, almeno in un'ottica francofortese, inerente alla funzione sempre più affermativa svolta dalla cultura [Marcuse, 1937] in ogni sua manifestazione concreta; e per ciò stesso, oggi, amministrata, formale non solo e non tanto nelle sfere simboliche della sovrastruttura quanto, soprattutto, in quelle basiche dell'azione e della produzione. La concretezza vivente dell'esperienza sociale, minacciata dal formalismo della sua riproduzione legittima, può essere custodita nei criteri della ricerca che la pone ad oggetto.
Intelligenza e artificio, comunicazione e produzione, interazione e lavoro, costituiscono intanto, da Gramsci ad Habermas e Althusser, i poli di un processo dialettico che rifiuta, per l'analisi sociale, il paradigma astratto e formale della totalità hegeliana; e non a caso:
La totalità hegeliana non è affatto quel concetto malleabile che ci si immagina, è invece un concetto perfettamente definito e individualizzato nella sua funzione teorica. La totalità marxista è, dal canto suo, anch'essa rigorosamente definita. Queste due totalità non hanno in comune che: a) un termine; b) una vaga concezione dell'unità delle cose; c) alcuni nemici teorici [..]. La totalità hegeliana è lo sviluppo alienato di un'unità semplice, d'un principio semplice, esso stesso momento dello sviluppo dell'idea; non è dunque [..] che il fenomeno, la manifestazione di sé di questo principio semplice [..]. Il che significa dunque affermare che la totalità hegeliana; 1) non è realmente ma solo apparentemente articolata in sfere; 2) che non ha come unità la sua complessità stessa, ossia la struttura di questa complessità; 3) che essa è dunque sprovvista di quella struttura a dominante che è la condizione assoluta che consente a una complessità reale di essere unità". [Althusser, 1965: 180-181]
Ciò che distingue la struttura sociale dalla totalità di Hegel è, e deve essere, l'elemento della concretezza, appunto, cioè il carattere di realtà e di esistenza (non solo di resistenza), di attualità, diremmo ancora con Deleuze [1969: 20 e sg.], che un'istanza universale manifesta nella sua realizzazione storico-sociale. La comunicazione o il senso, leve primarie della costituzione sociale insieme, appunto, al lavoro, si presentano oggi sotto la specie concreta del segno sintetico, della presenza significativa di un elemento che fa a meno ab origine di un fuori, di un esterno al quale riferirsi, di un denotatum appunto. Se anche il conflitto non lo si voglia intendere come costituente unico e assoluto del legame sociale e del mutamento, e se dunque la dialettica la si voglia comprendere non come fondamento del dialogo, quanto piuttosto come conseguenza della sua repressione [Habermas, 1957]; per quanto, quindi, la vita associata si preferisca modellizzarla come una difesa dei mondi vitali, retti dall'intesa comunicativa, nei confronti delle sistemiche logiche di scopo, logiche, queste, primariamente produttive, purtuttavia bisogna prendere atto che la direzione portante della riproduzione sociale vigente consiste nell'aver escluso l'indipendenza reciproca (Marx avrebbe parlato di indifferenza) di questi due elementi fra loro, cifra della comunicazione analogica e modello inadatto all'oggi. Un oggi, il nostro, in cui sistemi sociali altamente complessi aggregano non soggetti post-convenzionali in regime di resistenza vitale [Habermas, 1976: 49-73], ma soprattutto procedure la cui convenzionalità risiede nel fare a meno del soggetto, proprio mentre sembrano porlo come loro criterio ultimo. La soggettività, come dispiegamento formalmente indefinito e potenzialmente inarrestabile di strategie per la costruzione di identità sempre nuove, assorbe l'individuo in un modo talmente completo che solo lo strutturalismo althusseriano, dunque un'analisi formale a sua volta, riesce a descriverne i termini. Egli ci spiega che la totalità sociale è sempre strutturata secondo un principio interno di contraddizione, che si manifesta realmente in ogni ambito e settore ma che non può essere confuso con quella contraddizione 'in ultima istanza' rappresentata dalla sfera della produzione materiale. La contraddizione è a dominante [Althusser, 1965: 152 e sg.] perché la prevalenza di una contraddizione sulle altre e di un elemento, all'interno della contraddizione stessa, fra quelli che la costituiscono, si presenta come caratteristica ineliminabile di ogni struttura, ed è dunque il principio autentico della sua comprensione. La contraddizione è la condizione di possibilità della struttura e, nello stesso tempo, questa esiste solo nelle sue contraddizioni. Giddens ha chiarito questo aspetto, prescindendo da una dimensione politica della ricerca, nel senso della dualità strutturale dei sistemi sociali:
La costituzione degli agenti e quella delle strutture non sono due insiemi di fenomeni dati indipendentemente, non sono un dualismo ma rappresentano una dualità [..]. Le propietà strutturali dei sistemi sociali sono insieme mezzo e risultato delle pratiche che organizzano ricorsivamente. La struttura non è esterna agli individui [..]; in quanto esemplificata nelle pratiche sociali, essa è in certo qual modo più interna che esterna, in senso durkheimiano, alle loro attività [Giddens, 1984: 25].
La costituzione della società, dunque, non si svolge quotidianamente secondo un rapporto di indipendenza fra soggetto e sistema, attore ed azione, immagine e fruitore; nella concretezza a dominante del nostro rapporto sociale il modello kantiano, di un soggetto con possibilità trascendentalmente date di informare l'oggetto da conoscere, non è applicabile mai. La dualità, la dipendenza reciproca di azione e struttura, di soggetto e sistema, si configura oggi in un senso di cui l'icona digitale è la manifestazione più evidente e, insieme, contraddittoria. E' divenuto chiaro, nel corso del tempo, che l'immagine di sintesi non costituisca una novità nei suoi propri termini ma che, al contrario, rappresenti benissimo la forma del complessivo rapporto sociale, un rapporto che riconfigura la relazione classica fra forze produttive e rapporti di produzione incidendo in maniera irrevocabilmente negativa sul secondo elemento, e facendo dei percorsi intersoggettivi di senso, della sfera della legittimazione e del consenso, non più un ambito a parte, retto da configurazioni ideologiche che trattengono in forma trasfigurata l'esigenza e la speranza del nuovo, ma un elemento completamente socializzato, integrato e amministrato. Esso ricopre anzi, nei sistemi vigenti, il ruolo che spettava, ancora un secolo fa, alle forze della produzione, prima fra tutte la scienza. Nei nostri sistemi sociali, la lotta per il senso [Habermas, 1975] si presenta come livello attuale del conflitto e come criterio del legame sociale stesso. Allora il piano del dominio, della giustificazione ideologica dei rapporti strutturali di sfruttamento, e dunque della conservazione di un principio di diversità, sempre trattenuto come negazione da ogni ideologia, viene drammaticamente ad appiattirsi su quello della produzione, tanto che si stenta ad individuare i limiti e le differenze reciproche fra produzione e comunicazione.
"In questa fase si è realizzata la possibilità di una eccezionale estensione delle attività cognitive, tramite i media computazionali. La conoscenza si presenta non come una cosa acquisibile una volta per tutte [..] ma come processo infinito [..]; viene meno anche la possibilità di recintare il proprio dominio di competenza e di intervento informato [..]. I saperi non possono più presentarsi l'uno accanto all'altro come se costituissero una totalità, essi si ridefiniscono e riorganizzano in quanto appartenenti alla totalità della comunicazione-produzione" [Ponzio, 2001: 177-178].
3. Forme sintetiche e flusso mediale
Il principio tecnico della costruzione di immagini di sintesi, d'altra parte, si evidenzia come livello secondo, come manifestazione di una procedura più profonda, simile nelle funzioni alla forma denaro analizzata da Marx [1844: 151-157. 1857-58: 41-203]. Lì si trattava di evidenziare come la funzione sociale del denaro non si esaurisse nella sua funzione economica ma come, al contrario, in questa non venisse che a compimento evidente il tipo di una relazione sociale; il denaro come equivalente generale è, in Marx, l'epifanìa della fungibilità universale dell'individuo, alienato in un mondo che non riconosce e che, soprattutto, non lo riconosce come soggetto ma solo come cosa, sotto la specie di una merce. Allo stesso modo la digitalizzazione dell'immagine esprime un carattere più generale della tardo-modernità, che radicalizza e porta a tema esacerbatamente proprio questa fungibilità. Dipendere non da un esterno, da un fuori, ma dal solo modello interno del proprio funzionamento è, più che un elemento di novità nella formattazione dell'immagine, la forma dell'attuale riproduzione sociale. E' la società senza sintesi4 che richiede, come modo proprio, quella proceduralità algoritmica, assunta a principio di senso, garantita dall'immagine sintetica. Si tratta della matematizzazione dell'esperienza di cui Adorno aveva individuato le dinamiche [Adorno, 1956: 20-50] e che rappresenta oggi l'universalità concreta del nostro quotidiano.
Che si tratti di una procedura profonda di formattazione sociale e non di un criterio tecnico per la formazione di immagini, risulta con estrema evidenza nella letteratura specialistica prodotta, trascorso il secolo nuovo, dalla sociologia dei media. Il tratto caratteristico dei lavori ultimi in merito alla comunicazione mediale è il rinvenimento di un processo di fusione, diciamo di complementarità fra i vari media (linguaggi, palinsesti, generi) e insieme di implementazione della loro digitalità sociale, cioè del loro riferimento esclusivo a sé stessi [Bettetini, 1991. Sorice, 2002: 183 e sg.]; scompare il bisogno di riferirsi a qualcosa di estraneo. L'eteronomìa, quella ferita non cauterizzata che in Weber si presenta come disincanto [1922: 290 e sg.]5, risulta qui, nel campo dei media post-generalisti, completamente cicatrizzata. E tutto ciò indipendentemente dal carattere tecnicamente digitale o analogico delle loro trasmissioni e del rapporto fra senso e supporto. E' il flusso mediale a cui si riferiva Williams [1974] ad essere digitale costitutivamente, al di là della quantità e qualità di prodotti culturali tecnicamente digitalizzati e delle loro specifiche sfere della circolazione (Web, virtual reality, videogames). Si assiste infatti ad una convergenza, all'interno di una medesima piattaforma mediale, di prodotti apparentemente diversi, soprattutto secondo criteri di valutazione di tipo specialistico, ma che hanno rivelato invece la loro identità di fondo sotto la specie, appunto, della loro fungibilità reciproca. La neo-televisione, ad esempio, si costituisce appunto come piattaforma ultramediale, in grado di far convergere in uno stesso luogo, quello del consumo, prodotti e funzioni fino ad oggi formalmente diversi, analogici gli uni e digitali gli altri [Marroncelli, 2002]. La possibilità di fruire, mediante il medesimo terminale, di prodotti non più solo multimediali (testo, immagini, musica) ma plurimediali, nel senso che si attivano in modo differente rispetto alla scelta dell'utente, rappresenta già oggi una realtà per l'industria culturale: essa consente al soggetto di immettersi attivamente in rete tramite il medesimo strumento con cui sta ricevendo passivamente le immagini analogiche di un prodotto generalista. L'interpellazione [Althusser-Balibar, 1965]6 a cui il fruitore della televisione classica era soggetto muta di senso, o lo perde del tutto; la distanza fra il sistema broadcasting e quello dello spettatore sovrano e attivo, si rivela come una delle tante distinzioni formali, destinate ad invecchiamento precoce proprio in quanto formali, e dunque fin dall'inizio frutto di astrazione indeterminata, per restare a Marx; la concretezza del processo storico di sfruttamento e dominio, di produzione materiale e riproduzione simbolica, le sopravanza quasi da subito. La comunicazione da uno a molti e quella dai molti all'uno, o quella dei molti fra di loro, tipica delle mailing list e dei forum di rete, si fondono già in un insieme coerente dotato di senso, che non ha più bisogno di essere fruito dallo spettatore, magari attraverso strategie attive diversificate (zapping, zipping, flipping [Grandi, 1992: 257 e sg.] che però attuose non lo sono state mai. La procedura, infatti, oggi più di ieri, anticipa ogni sua mossa e lo determina come utente tanto individuale nella sua specificità da renderne superflua l'esistenza.
4. L'esigenza del denotatum: sensorietà e limiti dello sviluppo.
Ed infatti ciò di cui il capitale si nutre non è certo l'esistenza quanto, piuttosto, la resistenza. E' la reazione, l'opposizione, la negatività reale delle forze vitali immanenti negli aggregati sociali a determinare le crisi che delineano i movimenti ulteriori di sviluppo della società, i suoi adeguamenti progressivi a quelle istanze. Che sia proprio questo motore dello sviluppo ad essere in crisi lo abbiamo visto a sufficienza; che le ragioni di questa crisi derivino dal fatto che la sfera individuale delle relazioni e, soprattutto, della corporeità e delle emozioni è, nelle società post-disciplinari, il terreno primario della realizzazione capitalistica, come fase della riproduzione sociale, dovrebbe essere altrettanto evidente. Che i termini di questa riproduzione non possano esaurirsi nella sfera della circolazione, perché "..ogni concezione teoretica che ponga la riproduzione come un semplice momento della circolazione del capitale (come hanno fatto l'economia classica, la teoria marxiana e le teorie neoclassiche) non è poi in grado di affrontare criticamente le condizioni della nostra situazione attuale [..], in particolare [..] la descrizione del biopotere" [Hardt-Negri, 2000: 431, nota 17], e che dunque la soggettività di rete, nonostante ci occupiamo di "sovradeterminazione imperiale della democrazia, in cui la moltitudine viene catturata in una serie di apparati di controllo flessibili e modulari" [ibidem: 298], si costituisca comunque come un potenziale emancipativo liberato e antagonista, è, poi, elemento di certezza per alcuni. Noi vorremmo chiudere, in linea con le intenzioni della rivista che ci ospita, con un dubbio. La perdita del denotatum non indica forse una lesione irrimediabile della dialettica società-natura, e dunque di quell'elemento in fondo irriducibile costituito dalla autonomia di un esterno che pone vincoli e limiti e costringe l'individuo associato a determinare sempre diversamente, e poi a svolgere, i termini della propria auto-produzione? Se il lavoro non è più il luogo primario della sintesi sociale, e non può più essere considerato capitale variabile "..perché ormai è il potere inerente alla cooperazione della forza lavoro (e, in particolare, del lavoro immateriale) che permette al lavoro di valorizzarsi" [ibidem: 275]; e se esso non è più il luogo di questa sintesi soprattutto perché immateriale, dunque faccenda di sensibilità cognitive e di smobilitazione sensoriale. Se l'immaterialità e la smaterializzazione sono i criteri dell'attuale autoespansione produttiva, è corretto vedere proprio nei termini di questa autoespansione le possibilità di un riscatto? Inseguire ad aeternum le ristrutturazioni sistemiche non può significare perdere molte delle ragioni di quella resistenza vitale che le ha determinate? C'è forse un limite al movimento della riproduzione sociale, che certo non può essere identificata con una fase della realizzazione capitalistica, ma nemmeno ipostatizzata come sua ragione umana interna, come criterio implicito presente a tutti i costi. C'è forse un punto di equilibrio fra produzione materiale e riproduzione simbolica ed è costituito dalla ricomposizione della coppia libertà/felicità come criterio ultimo e come obbiettivo che le società post-industriali hanno a portata di mano già da molto tempo ma di cui continuano a mancare la realizzazione. Vedere nella comunicazione di sintesi il luogo della ricomposizione possibile della sintesi sociale significa, probabilmente, commettere un errore di prospettiva.
La reazione e la resistenza non sono posizioni vuote o termini immotivati; forse implicitano e pretendono la ricongiunzione pacificata, a metà fra serenità e piacere, che Marcuse chiamò 'sensorietà' [1955: 194-214] e che consiste in una mediazione robusta, reale e concreta, fra sensibilità e ragione, fra natura e società. Essa presuppone quella fondazione naturalistica della ragione che Habermas tanto rimproverò a Marcuse stesso ma che ci sembra, oggi come ieri, l'unico criterio e l'unico punto di approdo auspicabile per i processi sociali in corso. Un approdo molto poco digitale nei suoi tratti costitutivi e, purtroppo, estremamente lontano. Contro fiducie eccessive, da un lato nel potere poietico della ragione e dall'altro in quello produttivo dell'emozione, ripeschiamo qui pochi sfacciatissimi passaggi di un'intervista che Herbert Marcuse, appunto, rilasciò poco prima di morire:
"Marcuse: Quello che dico si fonda su due giudizi di valore, che non sono ulteriormente riducibili: 1) è meglio vivere che non vivere 2) è meglio avere una vita buona, che una cattiva. Se uno non li accetta, allora non può partecipare alla discussione. Sul terreno di questi due giudizi di valore mi sembra che risulti la possibilità di determinare il concetto di ragione: è razionale quella repressione (giacchè il concetto di ragione è un concetto repressivo, su di questo non mi pare che possa sussistere il minimo dubbio), di cui si può dimostrare che favorisce le opportunità di una vita migliore in una società migliore
Habermas: Chi determina che cosa è la vita migliore?
Marcuse: Proprio a questa domanda io rifiuterei di rispondere. Se qualcuno non sa ancora che cosa è una vita migliore, allora il suo è un caso disperato". (Habermas 1983, 189)
NOTE
1 Esemplificativo e fortemente paradigmatico è Bettetini-Colombo [1993]; cfr., anche, Quéau [1992] e Couchot [1988].
2 Sul problema del rapporto fra oggetto dinamico ed immediato, rapporto che è la semiosi stessa, cfr. Eco [1984]; per un raccordo della questione in oggetto con il tema heideggeriano dell'evento, cfr. Sini [1990: 241 e sg.].
3 Per una critica al concetto di controllo, ed alle sue relazioni originarie con lo sviluppo della comunicazione come forza strutturale e produttiva nella tardo-modernità, cfr. Thompson [1995: 176 e sg.] e Giddens [1984: 143-156]. Sul probabile fraintendimento giddensiano delle categorie di Marx cfr. Valzania [2002: nota 8].
4 Sul problema della sintesi sociale e sulla sua fondazione o meno nel lavoro, cfr. Marx [1844: 158-188] e Habermas [1968: 27-67].
5 La tematica è oggetto di una bibliografia sterminata su Weber. Per un inquadramento cfr. Jedlowski [2000: 119-144]; per una ricognizione nell'ottica qui adottata, cfr. almeno Giddens [1984: 209-217] e, soprattutto, Marcuse [1964].
6 Sui termini del concetto di interpellazione in Althusser, e sulle conseguenze della sua assunzione all'interno dei Cultural Studies, cfr. Grandi [1992: 112 e sg.; 124 e sg.], con relativa bibliografia di approfondimento.
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