ANTOINETTE
CALABRETTA
ARIA AUTUNNALE
ã Proprietà letteraria riservata all’Autore
Prefazione È arduo parlare di poesia,
sempre, specie per chi non è, per così dire, addetto ai lavori, e in un
tempo in cui circola abbondantemente, nel bosco fitto della grande e
piccola editoria, una infinità di produzioni che suscita perplessità. Ma
quando si legge qualcosa di autentico e genuino si è tentati di fermarsi
un po' a riflettere. Forse il proliferare di scrittori di
"poesia" più o meno sconosciuti, più o meno acculturati,
lontani dal mondo delle Lettere e ancor di più dalle Accademie, non è
casuale in questo trapasso di Millennio; forse la voglia di pubblicare non
è solo semplice aspirazione alla gloria; forse c'è qualcos'altro che
urge dentro e che, in maniera ancora confusa, tende a prendere forma per
farsi voce di tutti o voce dei più. Affinché
questa "voce" possa manifestarsi sempre più chiara e
"dirci" qualcosa, magari non di nuovo, ma di "vero" e
"autentico", credo sia il caso di abbandonare le alture e
piegarsi ad ascoltare. Forse qualcosa sortirà. Forse una speranza
risorgerà a dare nuova linfa alla nostra umanità confusa e frastornata
dall'assordante tambureggiare di voci che hanno "declamato"
troppo e "dato" poco. È con l'intento di ascoltare
appunto che bisogna, a mio avviso, accostarsi alla raccolta di liriche di
Antonietta Calabretta: né poetessa, né letterata, ma donna di una terra
tormentata, quale la Sicilia, trapiantata in una terra "felice"
che per lei, come per molti, ha significato l'unica possibilità di vita e
per altri addirittura il benessere e la ricchezza, quanto non la notorietà
e continua ad essere "un mito" per tutti o quasi. E dalla lettura si alza una
flebile voce, come una lievissima musica, a raccontare una storia che ne
racchiude tante, ma è sempre la stessa: quella di chi ha
"dovuto" strappare le radici dal proprio cuore e colmare
"da sola" il vuoto sanguinante che lo strappo ha procurato.
"Banalissima" storia di una emigrante forzata, di una donna
provata nei suoi sogni e nei suoi affetti, di un'anima in pena sempre
pronta, con coraggio, a lottare contro la sofferenza fisica e psicologica,
e a sperare di alimentare, col sogno, la vita. "Banalissima"
dicevo non perché insignificante (mai la storia di un uomo è tale), ma
perché così comune a tanti da non suscitare alcun interesse. Eppure così
attuale da diventare emblematica, se è vero che i sentimenti espressi
sono di tutti coloro che, volontariamente o meno, con valigie di sogni e
di speranze, si sono allontanati dalla
loro "terra" soffrendone lo sradicamento, la nostalgia e la
solitudine. La prima nota accompagna un
tema che è centrale nella silloge: quello del ricordo, che si
materializza ora in un "faro/
amante fedele/ complice di muti sospiri/ segreti cullati/ dalla sinfonia
del mare"; ora nella figura del padre morto che "per
altri sentieri/ percorri il tuo
cammino", e a cui l'autrice chiede: "nei miei sogni… / vienimi a trovare/ di te parlami,/ di altre
dimore/ raccontami", ora in quel "mare profondo/ mare
amaro" della sua terra; ora in una foto che suscita "Memorie
di speranze perdute/ nel vento
dell'attesa", dove è un'immagine che ritornerà
nell'ultimo componimento di chiusura di cui dirò oltre. Quasi incastonata tra i
ricordi sta la vicenda umana dell'autrice che quasi grida la sua rabbia in
Italia mia per il dolore
e la solitudine determinati dalla perdita delle radici e sottolineati
dalla reiterazione del verso "Figlia
di nessuno hai voluto che io fossi". In questa lirica appaiono in
nuce quasi tutti i temi presenti negli altri componimenti: l'amore
viscerale per la sua terra che esprimerà in alcune liriche in cui
rivivranno i luoghi dell'infanzia lontana (Il
focolare e la rosa, Piccolo
mare, Via La Farina) dove si manifesta una forte capacità
evocatrice; il tema della solitudine col suo carico di angoscia dove al
peso del sentirsi soli si accompagna un dolore percepito sempre più come
elemento costitutivo della vita stessa "Il
nulla e il vuoto/rimbombano in me/ come lontane risonanze./ Il cuore si
stringe in agonia,/ e, in una morsa straziante, mi trascina là dove/ mete
sconosciute/ mi attendono"; il valore sacrale degli affetti che
in Italia
mia fa tutt'uno col sentimento di amore per la patria dove :
"Le ossa dei miei antenati nel
tuo/ ventre conservi ancora./ Il loro spirito la mia tomba veglia" e
che in Padre
mio pare riecheggiare il sentimento di "corrispondenza
d'amorosi sensi" di foscoliana memoria nei versi "In silenzio la pioggia bacia la tua tomba,/ mentre, lontano i
tuoi tre rami/ ti cullano con il loro pensiero d'amore" quasi a
rispondere a quella voce degli antenati che in Italia mia "penetrò/
finché giunse il mio udire" in una comunicazione segreta e
costante resa possibile dall'amore che va oltre la tomba; il tema del
"ritorno" che è speranza di rivedere la propria terra, ma è
soprattutto recupero del passato, dei sogni e delle speranze di un tempo,
di una giovinezza sempre attesa ma mai vissuta (Addio giovinezza), di un amore semplice e forte che possa
racchiudere e rivivificare con la sua linfa una esistenza sentita come
vuoto, come "morte". In questa ottica sono da
leggere le liriche d'amore (Cuore, Come
un fiore, Leone,
Fiamma
d'amore, Verme umano, Negli
occhi tuoi neri) nelle quali l'autrice esprime l'eterna vicenda
amorosa in cui coraggio, generosità, sdegno, illusione e delusione,
insomma la passione richiama al fuoco metaforicamente rappresentato in Desiderio dall' "Etna che
maestosa stai/ fra terra e cielo/ con la tua bocca possente/ di fiamma
regale che sfida chi vuole/ frenare i tuoi fiumi di passione
infuocati", che è motivo fortemente sentito tanto da ritornare
nell'ultima terzina di Fiamma
d'amore: "di cenere il
tempo riempie il braciere./ Ma dentro la bracia, come vulcano,/ continua a
crepitare faville d'amore" o negli ultimi versi di Radici.
"Un sospiro trema,/ eppure un
cuore è sempre colmo d'amore". È in questo sentimento
dell'amore che abbraccia gli affetti familiari perduti, la patria madre e
matrigna, la natura con i suoi solari paesaggi marini o le tenebrose sere
tempestose, con i suoi fiumi e i suoi prati e le vie colorati di gerani
del suo paese natio, la vita e la morte, che è da riconoscere il fulcro
dell'ispirazione poetica della Calabretta. La voce flebile dell'amore è
quella che costituisce il filo conduttore di tutta la silloge e dà un
tono unitario al variegato mondo poetico della scrittrice, la quale trova
nella forza possente di questo sentimento la capacità di risalire
dall'abisso del vuoto ogni qualvolta sembra esservi precipitata. Non solo,
ma dinanzi al dolore assoluto, la morte, la cui presenza aleggia frequente
in molti versi, l'amore assume un ruolo inedito. Se la vita è madre, con
le dolcezze e le sofferenze che porta in sé, in Madre
Morte, anche la negazione della vita, la morte appunto, è
rappresentata arditamente come madre, che maternamente sottrae alla vita
la sua bambina, per uno slancio di amore che paradossalmente nega la vita
se questa, come spesso accade, è fonte di dolore. All'autrice è negata
anche questa soluzione perché lei deve mietere il suo grano con le sue
stesse mani, deve consumare tutte le sue forze e percorrere tutto il suo
calvario. A lei non resta altro che un barlume di vita, ma potente, nei
ricordi "che ritornano/ in
primavera quando/ ci svegliamo/ e sbadigliando ci destiamo/ dal sonno
lento dell'inverno/ … e nella mente svolazzano/ come papere/ dopo un
bagno nello stagno/ …nelle sere d'estate/ quando qualcosa/ ci trascina
verso il mare/ … in autunno/ quando la fiamma del focolare/ diminuisce
il tempo./ I ricordi ritornano/ in inverno/ quando nel sonno/ si trova
riposo/ e ricomincia così,/ la lunga attesa/ del risveglio". E
con questi versi si chiude la silloge quasi ad indicare nel risveglio
l'unica speranza scandita dal tempo che più o meno dolcemente, ma sempre
inesorabilmente, tutto travolge e consuma. In questo ritorno ciclico delle stagioni, in questo ritorno prepotente dei ricordi che "vogliono dire/ le loro parole/ chiedono un posto sulla carta/ su un libro, sulla libreria,/ in biblioteca…", c'è una forza vitale che alimenta quella voce che si fa sentire attraverso le metafore, le allitterazioni, le similitudini, la parola semplice, il verso spezzato, i paragoni arditi e le sottili analogie, che quando più quando meno riuscite, costituiscono lo strumento espressivo semplice , ma adatto a cantare una storia emblematica. Angela Pennisi |
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Ricordi ricordi di un faro amante fedele complice di muti sospiri segreti cullati dalla sinfonia del mare.
Aria autunnale
Il velo di un tempo passato striscia la rena trascinando con sé orme di passi di un tempo che fu.
In silenzio l'aria autunnale vola baciando il velo mentre guarda lontano quei luoghi non più esistenti.
L'imbrunire porta con sé un'effimera pace, che dolcemente accarezza l'anima in fatica.
Italia mia
Eri anche mia, Italia mia, ma non sei voluta essermi madre. Hai preferito amare gli stranieri anziché i figli tuoi, Italia mia.
Figlia di nessuno hai voluto che io fossi, e di torture hai voluto cibarmi. Non dalle tue braccia, ma da venti e tempeste hai voluto che io fossi cullata.
Figlia di nessuno hai voluto che io fossi. Dal seno materno la mia bocca togliesti; e pietre deponesti sulla mia via. Da mani che lasciarono timbri neri sulla mia pelle hai voluto che io fossi accarezzata.
Figlia di nessuno hai voluto che io fossi. Le tue belle arti non volesti insegnarmi. Perché hai voluto che dalla tua acqua non fossi dissetata e dal tuo grano non fossi nutrita?
Figlia di nessuno hai voluto che io fossi. Dal profumo di gelsomino mi portasti via, e per sentieri lontani trasferisti il mio essere imprigionandomi in labirinti; e da mani complici, viva, io venni sepolta. Al mio grido d'amore tu rimanesti sorda. Le ossa dei miei antenati nel tuo ventre conservi ancora.
Il loro spirito la mia tomba veglia; la loro eco penetrò finché giunse il mio udire, e dissotterrandomi con mani e piedi, a vivere tornai.
Adesso, Italia mia, sviscerata da sola la mia esistenza, con nostalgia mi richiami perché da te possa ritornare.
Padre mio
Per me, tua figlia, in silenzio, pregavi per la mia luce.
Nell'ombra, alla Madonna accendevi una candela.
Le tue mani ossute sulla mia fronte alleviavano il mio cuore quando il dolore acuto il mio corpo invadeva.
Dove sei, Padre mio? per altri sentieri percorri il tuo cammino.
Anche tu hai amato in silenzio; e in silenzio solitario hai vissuto la tua vita.
Potevi tu rompere il muro della tua solitudine? Sì, forse, ma non sapevi come; o forse tu non hai voluto.
Sapevi di svegliare l'ira degli dei terrestri se anche tu reclamavi il tuo territorio con le tue virtù e i tuoi talenti.
Paura avevi di offendere questi dei se anche tu un po' di gioia avessi goduto. Ed inconsapevole, a loro facesti spazio.
Dove sei adesso? Dov'è la tua anima conservata? Quale angelo ti venne affidato?
Nei miei sogni, ti chiedo: vienimi a trovare, di te parlami, di altre dimore raccontami.
Un treno, una ferrovia
Din… Din… Din… Din… Din… Sul muro della stazione ferroviaria, dritta e svelta la campana annuncia l'arrivo imperioso del treno destando ansie a chi solo sta per rimanere, e speranze in chi per sentieri lontani s'avventura.
Folgorante il treno arriva. Volti trepidanti si radunano.
Un saluto, un abbraccio, un addio. Lacrime ingoiate in silenzio. Poi lo sbattere cupo delle porte ronza nell'aria profonda e grigia.
Impetuoso il treno riparte. Fra poco sarà già lontano. Con sé porta via speranze e gioventù; amori appena cominciati; amori finiti, e altri mai finiti. Amori ancora non nati spaziano nell'aria in cerca di cuori che dentro li raccolgano.
Binari nascosti dentro la muta campagna, misteri lontani in essi conservano.
Un treno, una ferrovia: un'aquila in volo verso il nido che l'attende.
Addio, Giovinezza
Addio, Giovinezza. Vai via prima ancora d'averti conosciuta. Non ti è stato dato il tempo di sorridermi.
Il viso non più giovane io vedo dal finestrino del treno che furtivamente rispecchia il mio volto.
Addio, Giovinezza. Come una foglia riluttante ti separi dal ramo che ti diede vita.
Il tempo t'ingiallisce e ti appassisce per poi, come polvere, farti sparire nell'umido suolo dell'autunno.
Altre foglie verdeggianti prenderanno il tuo posto.
Addio, Giovinezza. A lungo ho atteso il tuo arrivo. Dove sei stata tutti questi anni? Adesso che ti ho ritrovata e posso sorriderti tu devi andare via. Hai appena sfiorato il mio viso, e già ti debbo dire addio.
Che tristezza il non averti vissuta in pieno! Mi sei sempre sfuggita ed io non ti ho mai rincorsa. Credevo che il tempo fosse tutto mio; ignara ero della tua tenera brevità.
Dei miei tormenti non hai potuto darmi conforto. Eri troppo tenera e dopo tutto… la giovinezza è fatta per sorridere non per subire a lungo, dolori ingiusti.
Così tu, Giovinezza, ti sei sempre tenuta nascosta per proteggerti.
Adesso come foglia appassita, debbo rassegnarmi al destino che l'autunno traccia inesorabilmente.
Cuore
Cuore che tanto hai amato chi non ti ha saputo amare, cullati adesso nel vasto prato dell'amore dove ogni fiore e filo d'erba emanano il loro sorriso profondo.
Avvolgerti adesso tu puoi nell'amore di chi ti fa sorridere e piangere di tenerezza.
La freccia non più ti penetrerà per ferirti, ma per aprirti la via che ti porta da chi sa amare.
I sassi della montagna non più appariranno per bloccarti il cammino, ma per dirigerti là dove la libertà di amare è infinita.
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Cinguettio d'uccello
Un uccello messaggero appartenente alla mia verde età mi venne in sogno cinguettando melodie e arie di un tempo; quando le rose, libere di fiorire, sbocciavano sui giardini di ogni luogo,
quando l'aria primaverile trasportava nei sobborghi il suono della melodia del tempo,
quando l'erba libera di nascere in ogni pezzo di terra bruna, ne faceva un prato tutto verde.
Puoi tu, uccello cinguettante, riportare alla Rosa la libertà di sbocciare ed emanare il suo profumo per i borghi?
Puoi tu riportare alla Rosa la libertà di rimanere senza essere dalle mani incuranti schiacciata?
Puoi tu, uccello cinguettante, sprigionare un cuore serrato da sbarre di ferro e dare libertà al canto racchiuso nella Rosa?
Solo l'aria del tempo che passa può dirlo con certezza.
Come un fiore
Come un fiore le mie mani ti raccolsero; sul mio seno con amore ti cullai.
Le tue spine nascoste io non vidi, e gentilmente sul mio cuore ti posai credendo che il tuo profumo ravvivasse la mia anima.
Dalla tua rugiada credevo d'essere dissetata, ma veleno fermentato versavi sulla mia bocca.
La tua voce e le tue parole, come fili di ragno, il mio cuore intrappolavano.
Ma l'uragano nebbia e nuvole spazzò via; il tuo viso trapunto di bugie emerse.
Corpo senza vita, succhiato da mille bugie e promesse non mantenute.
Come vampiro, all'altrui sangue ti nutrivi e in vita ti mantenevi.
Il torrente con sé l'impurità porta via, e nel fondo del mare, nella nullità, si perde il tuo viso.
Sognare
Mare profondo mare amaro lo spirito inebria.
Sole d'estate dormire mi fa.
Sulla spiaggia con occhi chiusi sogno l'amore.
Dormire vorrei: nel sogno trovare la mia realtà, la mia casa, le cose perdute ritrovarle nel sogno - e nel sogno rimanere con la mia realtà. Svegliarmi? Perché? quando è nel sogno che la mia realtà esiste.
Foto
Foto di volti una volta conosciuti e tanto amati.
Foto che racchiudono un frammento di tempo e di speranze; speranze inghiottite dall'attesa e dall'inesorabile inutile esistenza di un dio incompetente.
Destino sconosciuto rimane nella foto: il sorriso di una madre che già sa cos'è la vita; il viso di un padre che fa credere che poi la vita non è tanto male. Mangia, bevi, dormi, vivi la vita, anche se la vivi nel buio.
Visi racchiusi nel tempo: un presente non vissuto.
Amate persone: un infuso di lontana e vaga memoria. Memorie di speranze perdute nel vento dell'attesa.
Lingua muta
Lingua muta tante cose vuol dire: una voce vuole trovare.
Pensieri in cerca di parole. Corde vocali in cerca di suono vibrano nel silenzio della mente.
Fra poco gli alberi spogli si copriranno di verde: lingua muta la sua voce troverà.
Al risveglio della Primavera una melodia forse può cantare. Lingua muta forse non più sarà.
Leone
Davanti a me appari robusto e forte. Mi guardi con persistenza. Chi sei? Da dove vieni? A passi lenti ti avvicini a me.
Il tuo odore riconosco. So chi sei. So che vieni da lontano.
Mi fai paura - ma più non fuggo. I miei passi incontrano i tuoi. Le mie braccia si schiudono: con trepidanza ti accolgono. Per me già trovasti un posto da pascolare nell'erba gialla e verde. Riscaldami nelle tue forti e orgogliose braccia. Odore sapore di terra e fuoco porti con te. Da solo - in malinconia i tuoi occhi hanno vissuto. Non più solitudine per te: insieme vivremo nel fuoco del tuo sole.
Mi guardi ancora? so cosa vuoi dirmi: è giunta l'ora di non fuggirti più.
Voce sconosciuta
Nel serrato buio della notte profonda una voce inerte e remota mi trascina là dove è sospeso il vuoto.
È una voce che non riconosco, che non mi appartiene, che non è mai stata mia.
Chi sei? Che vuoi? Cibarti tu non puoi dei miei sudori. Va con i tuoi pari. Di me dimenticati. Nulla ho più da darti. I miei sudori appartengono alla mia forza, la mia anima all'infinito.
Voce che insisti a trascinarmi nel fondo del tuo pozzo, sappi che non ho più nessun conto da saldare. Io non ti debbo nulla.
Per molto tempo ti sei cibata rubandomi via la giovinezza, i miei amori, le mie speranze dorate; la mia luce; le mie gioie te le sei ingoiate senza pietà.
Non ti sarò obbediente. Non più ti farò nutrire del mio cuore. Non più mi farò trascinare nel fondo del tuo pozzo. Da me non avrai più nulla di cui saziare il tuo goloso egoismo.
Ti sfiderò se ci proverai ancora. Io e te non abbiamo nulla da dirci.
Desiderio
Etna che maestosamente stai lì fra terra e cielo con la tua bocca possente di fiamma regale che sfida chi vuole frenare i tuoi fiumi di passioni infuocati,
fa' che il tuo calore raggiunga il suolo della terra che con trepidanza ti attende per unirsi al tuo infuocato ardore.
Unisciti alle forze supernaturali per difendere e proteggere nostra Madre Terra.
Brigida, Inanna, Persefone! uscite dall'Etna per far tremare e sparire nel nulla l'arroganza dell'uomo distruttore della natura,
radunatevi e ridate alla Terra la libertà di procreare le sue maestose bellezze.
Ridare si devono ai mari le spiagge e le acque limpide; ai fiumi la libertà di scorrere lungo il loro cammino; ai bambini i prati per correre fra l'erba verde; ai monti i robusti e forti alberi verdeggianti; agli animali il loro dominio sul cielo e sulla terra; al sole il suo splendore nell'aria fine e trasparente; al vento il profumo dei fiori selvatici: che la sua brezza ci accarezzi portandoci gioia e libertà di vivere sul suolo di nostra Madre Terra.
Il focolare e la rosa
Sul focolare con fuoco di segatura, cuoce la magra cena in una pentola nera affumicata.
Fuliggine, dominio di ragni, negli angoli fa da sfondo ad un silenzio che non serve più.
Una mano palpa nel buio occhi che cercano luce.
Una solitaria lampadina velata di tristezza un lieve fascio di luce emana posandosi sulle pareti di mattoni logorati, mentre svelti razzolano per i muri spaventati.
La notte - sapore crudo di vergine in eterna gravidanza.
Una finestra con portali semichiusi : antico altare non più in uso.
Nell'ombra un tavolo con sopra frutta invisibile e caffè senza sapore: un lume spento in attesa d'essere acceso.
Buia è la sera, e nel buio bisogna vedere e trovare la via.
Sul muro, appesa in cornice semplice, l'Addolorata rimane muta tra il suono di passi affaccendati ora svelti, ora lenti, ora silenziosi; passi che fanno da sfondo ad una cupezza ammaliante.
Padre
Senza dirmi addio sei andato via per prendere le ali della morte.
Racchiuso nelle braccia della notte, sei stato trasportato dall'aquila notturna nell'immensità dove siede il muto silenzio.
La Signora Luna, vestita del suo bianco mantello, ti fece strada con i suoi raggi bianchi e luminosi.
Obbediente tu la seguisti affidandoti a Lei con tenera rassegnazione.
Tre rami del tuo tenero albero, piansero al capezzale del tuo letto ormai eterno.
Anche tu, ultima mia radice, sei andato via nel regno di Persefone.
Di te rimane il ricordo, la tenerezza e il bene che desti in silenzio a chi a te si affidava per conforto e aiuto.
Lontano, il tuo corpo è adesso racchiuso in una tomba grigia cementata nel vasto giardino delle ombre.
In silenzio la pioggia bacia la tua tomba, mentre, lontano, i tuoi tre Rami ti cullano con il loro pensiero d'amore.
Onde marine
Col sorriso ammantato di stelle lucenti, la notte discende dolce sulla terra.
Con il fruscio delle onde marine, suona la melodia del canto notturno.
Con la morbida carezza di chi sa amare, la riva siede con forza a dare sostegno alle acque che, con continua insistenza, ritornano a baciare il manto di sabbia.
Là in mezzo al mare, nella barca del pescatore la luce del faro balla la danza delle onde marine.
Sorriso riccioluto
In mente mi viene il tuo sorriso che di speranza illuminava l'aria attorno a me.
Al mio cuore il tuo sorriso riccioluto dava conferma del tuo amore paterno.
Come ogni cosa amata del passato, anche tu sei entrato nel giardino dei ricordi belli e dolorosi.
Fiamma d'amore
Come l'Etna dalla bocca infuocata sbocca l'eterna passione,
la fiamma crepita dal ceppo ardore d'amore penetrando nel fondo del cuore che ama.
Di cenere il tempo riempie il braciere. Ma dentro, la bracia, come vulcano, continua a crepitare faville d'amore.
Radici
Radici sparse nel mondo, spezzate qua e là.
Un fiore sboccia, ma radice non ha. Il seme non sempre fa radici, eppure, un fiore nasce e sboccia.
Un terremoto qua e là scuote la terra bruna, eppure il suolo, sotto i piedi, rimane, sempre, a sostenerci.
Un sospiro trema, eppure un cuore è sempre colmo d'amore.
Piccolo mare
Dolce la notte discendeva, lentamente, e l'aria, l'odore di abeti trasportava d'intorno per le vie.
Nella casetta dal tetto basso, dal letto con lenzuolo bianco e coperta cielo azzurro, un lume con lingua in fiamma illuminava in silenzio la stanza della nonna-padre.
Col volto sottile e gentili movimenti, le ombre ballavano su pareti e soffitto, quando lei si muoveva per la stanza, indaffarata nelle sue piccole faccende serali.
Magia di vivere portava ella con il suo minuto corpo e mani che sapevano tessere la tela del tempo. Lo striscio delle pianelle consumate dal tempo e dagli stenti, davano nello sfondo del focolare un'accogliente sinfonia appartenente alla realtà degli spiriti poeti.
Nel braciere in silenzio ardeva la bracia sotto la cenere, mentre un caldo mattone involtato nello scialle veniva posto sotto la coperta che sembrava un piccolo mare con la sponda bianca. Io e la mia nonna-padre eravamo le due piccole barche di questo piccolo mare tutto nostro.
Verme umano
Come un verme schiacciato, svanisce il tuo volto nell'irreparabile nullità. Hai preferito vanificarti, anziché darti all'amore.
Come un verme hai agito: nessuna tua sostanza hai voluto ti sostenesse di fronte al più semplice e al più bel sentimento che è l'amore.
Come un verme che si nutre di putredine, svanisce adesso il tuo viso nell'aria affumicata dall'eterna nebbia.
Un verme umano non può amare né essere amato da un fiore fresco e profumato, poiché di putredine vuole nutrirsi e dedicare ad essa la propria esistenza.
Negli occhi tuoi neri
Negli occhi tuoi neri non più mi perderò. Dentro le tue pupille i miei sogni perduti troverò.
Nelle tue braccia mari infiniti nuoterò, e sulla tua vela l'aria del futuro navigherò.
La tua mano - zampa di leone - baciata dalla terra e dal fuoco, con rozza dolcezza, il volto mi accarezza.
Nella tua notte buia e profonda, mi accingo a ritrovare i miei perduti tesori.
Negli occhi tuoi neri non più malinconia ci sarà. Luce porterò dentro la tua grotta e di estasi il tuo cuore riempirò. Negli occhi tuoi neri non più mi perderò.
Luna birichina
Con il cappello alla birichina tu splendi, Luna bianca, e sorridente mi svegli nella notte perché io possa ammirarti nel tuo folgorante splendore.
Della notte ti servi per farti da manto, e del coperchio del cielo notturno per farti da cappello.
Con persistenza mi svegli. Dal mio letto verso la finestra il mio viso si volta. Ed ecco che verso di me tu miri i tuoi raggi prima che nella tua bruna fase si nascondino.
Con graziosa civetteria tu da me ti fai ammirare. Persistente lì ferma te ne stai, e con il tuo sorriso mi guardi orgogliosa per esser riuscita a svegliarmi.
Da Signora in cielo te ne stai, e padrona della notte a dormire mi rimandi per suggerirmi, poi nel sogno, versi poetici che parlano del tuo cappello alla birichina.
Via La Farina
Nei caldi e silenziosi pomeriggi governati dal sole fisso sul cielo, suona folgorante la tromba del gelataio annunciando l'ora della delizia in via La Farina.
La nonna col suo curvo e minuto corpo, sull'uscio s'appresta con spiccioli in mano, e con amoroso gesto, il gelato mi intima a comprare.
Pane, gioco e gelato ella dava al mio cuore giovane e pieno di vita.
Allegria e schiamazzi di bambini: con occhi e bocche avidi si radunano attorno al gelataio.
Attenzione egli presta alle richieste e al vocio di bambini che insieme schiamazzano e impazienti gridano, "Io voglio cioccolato!" "Io fragola!", "A me vaniglia!"
Il gelataio con mani ossute e flessuose, castelli di gelato su coni costruisce, mentre con agilità gli spiccioli nella cassetta pone, e pronto per il prossimo cono, continua la sua cantilena: "Gelati! Gelati! Spumoni!"
"Quah! Quah! Quah!" Papere gialle, spensierate: le loro ali svolazzano mentre fili d'erba beccano per le vie d'intorno.
Sul muro in un'alcova, come in un altare, tutta solitaria, l'acqua della fontana, con dolce andatura il suono calmo, fermo e dolce dona al pomeriggio estivo, adornando così, come una gentile cascata, il muro e le piatte pietre spezzati che pazienti fanno da gradino.
Sul balcone gerani rossi, gentili e robusti, verso il cielo il loro sguardo voltano, contenti d'essere dal sole baciati.
Nebbia
Con insipidezza il mio orizzonte vieni ad offuscare.
Perché tu vuoi che io non veda chiaro? Perché a me vicina te ne stai? Credi che di te io sia innamorata?
Sole, sciogli questa nebbia che mi circonda l'anima, luce e chiarore portami attorno.
Di tulipani e margherite adorna il mio giardino.
Corona la mia chioma con rami di gelsomino ed il mio cuore riempi con dolci sorrisi.
Fa che una mano forte e robusta mi guidi là dove i sogni diventano realtà.
Mete sconosciute
Di tristezza il mio cuore si colma. Voce e corpi nel nulla svaniscono, e di nuovo la desolata verità appare ancora immutabile.
Nel silenzio il mio cuore lentamente si racchiude; e come un altare solitario e abbandonato, si sprofonda in un abisso senza fondo.
Qualcosa muore dentro di me.
Il nulla e il vuoto rimbombano in me come lontane risonanze. Il cuore si stringe in agonia, e, in una morsa straziante, mi trascina là dove mete sconosciute mi attendono.
Notte oscura
Nella notte oscura il sonno mi manca. La mia anima è invasa da vuoti pensieri. Pareti e tetti crollano. Alla speranza aggrapparsi non si può. Fili s'ingarbugliano, e il ragno ingoia l'ingenua. Un viso in silenzio piange e nel buio una lacrima si perde. Ancora una volta il cuore sanguina. Una voce vuole gridare, ma solo il vuoto è lì ad ascoltare; e nell'abisso il cuore ritorna a sprofondare.
Tempesta
La notte tempesta di mare nel sogno ulula.
Io fuggo. Terra ferma cerco con i miei piedi. L'uragano urla fischia fino all'ultimo fiato. Le Furie si uniscono, chiedono giustizia.
Fischi di rabbia, gioie e dolori incastrati in un terremoto di fango.
Fuggire si vuole: salvarsi se si può; ma da chi? Da che cosa? E' la vita salvezza?
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Una lacrima
Un vento gelido con un soffio il tuo lume spense.
Una lacrima per te ho pianto.
Amore sconosciuto Giovane-vecchio
solo, nell'aria la tua anima adesso vaga.
Nell'ombra della morte la tua giovinezza hai vissuto.
Desolata solitudine in veste funebre guidava il tuo cammino verso il nulla.
Addio, amico mio. Il tuo viso verso un altro orizzonte è ormai volto.
Alla tua veglia solo muri grigi e sedie polverose ti furono presenti.
Come un aquilone hai vissuto la tua vita fra promesse non mantenute: un fedele amore spezzato per un attimo di oblio.
Figlio del vento nessuna acqua ti fu abbastanza per dissetare la tua sete di amori sconosciuti.
Amore etereo ti posavi qua e là avvelenandoti, a tua volta avvelenando chi a te affidava il suo amore.
Addio amico mio. Una lacrima per te ho pianto.
John Jr.
Il cielo ti tradì il mare t’inghiottì.
La riva non distese le sue braccia.
Dormi nel profondo abisso.
Il tuo corpo ritrovato - non più speranza di vederti ritornare.
Al volere degli dei non si può che inchinare il capo.
Ma una parola pende dalle labbra di chi seguì lo sbocciare di una speranza - «Perché?»
Madre Morte
- Vado - mi dice la Signora Madre Morte.
Perché - le chiedo - non mi porti con te?
- Non è la tua ora; devi ancora mietere il grano e con le tue mani, non con la falce -
- E chi è quella bambina che porti in braccio? - chiedo. - Mia figlia, sono madre anch’io. Che ti credi Che solo la vita è madre?
Ricordi
I ricordi ritornano in primavera quando ci svegliamo e sbadigliando ci destiamo dal sonno lento dell’inverno.
Ricordi – Ricordi nella mente svolazzano: papere dopo un bagno nello stagno.
Ritornano – si riuniscono vogliono dire – le loro parole chiedono un posto sulla carta, su un libro, in libreria, in biblioteca – chiedono ai lettori: immedesimarsi – accoglienza – riconoscimento comprensione. I ricordi ci tengono compagnia quando la vecchiaia irrompe e imponente si siede su una vita già vissuta.
I ricordi ritornano nelle sere d’estate quando qualcosa
ci trascina verso il mare. Volgere lo sguardo verso il faro – sorgente luminosa in fondo al mare solo nel silenzio della notte – misterioso austero solenne come un nonno mentre fuma la sua pipa.
I ricordi ritornano in autunno quando la fiamma del focolare diminuisce il tempo e la terra si spoglia di cose già consumate.
I ricordi ritornano all’imbrunire quando il tempo si ferma nel nulla – la terra s’acquieta e la notte spalanca le sue ombre.
I ricordi ritornano in inverno quando nel sonno si trova riposo e ricomincia così, la lunga attesa del risveglio.
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