NOTE
SULLA POESIA DI MIHAI EMINESCU
di
Francesco Giordano
(“Il
Faro”, n° 9/10, gennaio – giugno 1998)
L’avventura
umana di Mihai Eminescu si svolge nella seconda metà del XIX secolo, mentre
l'Europa è scossa dai fremiti risorgimentali che faranno crollare gli antichi
imperi sconvolgendo i destini del vecchio continente. Il poeta nazionale rumeno,
nato a Ipotesti nel 1850, studia a Cernauti, Vienna e Berlino frequentando con
avida curiosità intellettuale svariati corsi universitari, non riuscendo però
a conseguire la laurea. Appassionato studioso di teatro e di filosofia,
s'interessa ancor più alla rinascita della lingua nazionale rumena per cui gira
il paese onde raccogliere notizie sul folklore ed amalgamarle in una unità che
sarà in seguito il nerbo della letteratura della moderna Romania. Membro
dell'associazione letteraria “Juminea" patrocinata da Titu Maiorescu,
collabora a "Familia" e "Convorbiri Literare" dove pubblica
le sue poesie, oltreché a numerosi giornali come commentatore di avvenimenti
letterari d'attualità. Sempre in precarie condizioni finanziarie, il suo stato
psichico degenera sino al punto di essere ricoverato in diverse cliniche; morirà
a Bucarest nel 1889. Le principali tematiche della poetica emineschiana possono
riassumersi nel dualismo romantico "dolore/felicità", il ricordo d'un
passato lontano e non più raggiungibile, l'affresco della natura che serve da
tramite all'animo del poeta ed i dolci ritratti dell'amata. In tutto domina un
nichilismo che affonda le radici nella filosofia di Schopenauer, e la
consapevolezza d'Eminescu di essere l’ "ideale universale", il punto
di riferimento della letteratura rumena del tempo. Ci
sembra rilevante l'importanza che il poeta dà alle descrizioni della natura,
legata alla nostalgia del passato; il bosco compare spesso nei suoi versi (O
ramîi, Si daca, Ce te legeni, Dorinta,
ecc.) e la forma dialogica con cui il protagonista si rivolge ad esso è
indicativa per sottolineare la passione teatrale che Eminescu coltivò sempre,
giungendo persino a lavorare al Nazionale di Bucarest. Motivi comuni a questa
visione panteistica, rimembrante la giovinezza, sono le acque fresche e perenni,
i tigli, gli abeti, i pioppi, le foglie che raminghe e pellegrine paiono
stendersi sul terreno vacuo della caducità umana, il lago "azzurro
della foresta / ricoperto di ninfee gialle": tutto concorre a formare
un meraviglioso affresco di verde colore ed eterea radice, creato dal tumultuoso
animo emineschiano. Al riguardo azzarderemmo un seppur lontano parallelo con “Il
giardino del Profeta" di Khalil Gibran, ove l'unione con la natura
è l'essenza della narrazione, anche se la forma mentis del poeta libanese è
completamente diversa da quella dell'artista rumeno. Nella
poesia “O ramîi” in cui il bosco si rivolge al
poeta invitandolo a trattenersi con lui ("Oh rimani rimani da me, / ti amo così tanto! / Tutte le tue nostalgie / solo io posso ascoltarle; / nell'oscurità dell'ombra / io ti paragono ad un principe / che si guarda in fondo all'acqua / con gli occhi neri ed innocenti; / e fra il mugghiare dei flutti / tra l'ondeggiare dell'erba alta, / io di nascosto ti faccio udire / il branco dei cervi che incede; / ( ... ) / Così diceva dolcemente il bosco, / scuotendo sopra di me il tetto dei suoi rami; / io rispondevo con un fischio alla chiamata / e, ridendo, uscivo dai campi") ci sembra arieggi una lontana eco della carducciana "Davanti a S. Guido". Parimenti rimandiamo il lettore a "Ce te legeni, codrule" ove si scorgono in alcuni passi, evidenti analogie con "S. Martino". Tutto ciò fa evidentemente parte dell'universo letterario del tempo a cui erano del resto comuni allegorie di questo genere, anche se personalmente non escludiamo ulteriori risvolti. La
donna amata, se da una parte è idealizzata e quasi ossessivamente la rincorre
con la consapevolezza dell'inutilità in quanto "io e te siamo sempre più
distanti; / io, sempre più solo,
mi rabbuio ed agghiaccio / quando tu ti perdi nell'orizzonte di mattini eterni",
per altri versi è anch'essa distinguibile attraverso determinati particolari.
Le mani e le braccia sono “fredde", il volto "trasparente" e
"di cera", i capelli "biondi" non di rado essa sfiora “le
palpebre" e la bocca del poeta quasi per coinvolgerlo in un amplesso
intangibile, ma poi ogni cosa svanisce e ritorna l'oblio eterno del Nulla. In
questa tematica il pessimismo emineschiano raggiunge le vette più alte: "Ti
sospendi al mio collo con ambedue le braccia / come se tu avessi voglia di dirmi
qualcosa... poi sospiri ... / io ti stringo al petto i miei averi di amore e di
bellezza, / noi uniamo nei baci le
nostre povere vite ... / Oh!, Potesse la voce dei ricordi rimanere muta in
eterno, / potessimo noi per sempre dimenticare la felicità che per un attimo
abbiamo avuto, / potessimo dimenticare come ti sei strappata dalle mie braccia
dopo un attimo ... / io sarò
vecchio e solo, tu sarai morta da molto!" Da
non trascurare l'invocazione religiosa, presente in "Rasai asupra mea",
dove in una disperata invocazione il poeta chiede alla Vergine che gli riapra la
strada della Fede ("Dammi la mia giovinezza, rendimi la fede / e
riappari dal tuo cielo di stelle: / che io possa adorarti ora e per sempre,
oh Maria!"). Anche la Morte è investita d'un ruolo importante nella
poesia di Eminescu: egli vuol finire la vita "sulla riva del mare, / che
il sonno mi sia quieto / ed il bosco mi stia accanto, / che sulle vaste acque /
il cielo mi sia sereno. / Non mi occorrono stendardi, / non voglio una barca
ricca, / piuttosto intrecciatemi un letto / di giovani rami ": le sue
riflessioni in tal senso rimarcano non solamente una disperata e spesso invocata
unione definitiva con la natura generatrice, ma tendono a sottolineare anche
l'estrema intima moderazione dei sentimenti del poeta, alieno dal trionfalismo
in ogni epoca imperante. Essi sembrano quasi un modello di testamento dei primi
abitatori dell'universo terrestre, quelle creature primitive per cui era realtà
la simbiosi uomo-Dio-natura. Le sue volontà ultime saranno
rispettate e, come ricorda G. Calinescu, egli verrà sepolto "sotto una
pioggerellina leggera, al cimitero Belu, tra un tiglio e un abete".
Tuttavia l’apparente quadro nichilista non tragga in inganno: il ghiaccio,
l'autunno, il tempo grigio son metafore le quali, spogliate dal significato di
cui il poeta le ha caricate, splendono alla stessa stregua delle stelle, della
luna e del sole verso le quali Eminescu nutrì sempre sincero anche se a volte
nascosto desiderio di ricongiunzione: “In mezzo al
fitto bosco / tutti gli uccelli escono / dal noccioleto / e vanno alla dolce
radura, / alla radura vicino allo
stagno / che erge le sue canne /
che si cullano fra le onde, e penetrano nelle sue profondítà, / come
fanno la luna ed il sole, / e anche
gli uccelli migratori, / e come la
luna e le stelle, / e come il volto
delle rondinelle, / e come il volto
della mia anima". È
dunque onnipresente la consapevolezza dell'alterità dell'uomo rispetto alla
stabilità eterna del tempo. Un concetto che il più grande lirico rumeno
esprime fondendo armonia ed ideale in un matrimonio indissolubile, capolavoro
compiuto da una grande voce della lirica romantica dell'Ottocento: "Cosa
è mai per me il tempo se nei
secoli / le stelle mi scintillano sui laghi, /
se, sia il tempo brutto o bello, / il
vento mi scuote e le mie foglie risuonano; /
e, sia il tempo bello o brutto, / il Danubio mi percorre. /
Solo l'uomo è mutevole, / e
vaga nel mondo. / Ma noi restiamo
fissi al nostro posto, / come siamo
stati, così rimaniamo: / il mare
con i fiumi, / il mondo con i
deserti, la luna con il sole, / il
bosco con le sorgenti". |