I POETI DEL FARO D’ARGENTO
1997
CIRCOLO SOCIO-CULTURALE
"IL FARO" - RIPOSTO
©Proprietà letteraria riservata ai singoli Poeti
Ogni Autore è responsabile del contenuto della propria composizione.
AVVERTENZA
Nel consegnare alla stampa il quarto volume de "I Poeti del Faro d'Argento", contenente le liriche premiate alla VI edizione del concorso Premio Internazionale di Poesia "Il Faro d'Argento" - 1997, corre l'obbligo di ringraziare la Giuria, presieduta dalla Prof.ssa Angela Barbagallo e composta dal Prof. Giuseppe Piazza, dal Preside Prof. Aurelio Strano, dal prof. Salvatore Vasta e dal Preside Prof. Vincenzo Vasta. Un grazie ancora al Prof. Salvatore Vasta che, a nome della Giuria, ha formulato le motivazioni delle Poesie premiate e che ha tenuto il discorso di apertura della cerimonia della consegna dei premi (qui pubblicato nell'introduzione), alla Prof.ssa Linda Auditore e al Prof. Salvatore, rispettivamente Segretaria e Presidente del Concorso, che hanno coordinato tutti i lavori. Un grazie anche all'Amministrazione Comunale di Riposto, in particolare nella persona della Dott.ssa Mariella Di Guardo, Assessore alla Cultura, per la collaborazione. Si ringraziano, infine, tutti i Poeti partecipanti, che con le loro liriche inviate, hanno dato lustro all'operato di questa Associazione Culturale. Nella presente antologia sono inseriti i componimenti la cui pubblicazione è stata espressamente autorizzata dagli autori. Oltre alle opere premiate, nella sezione "Altre poesie", trovano posto anche quelle che la Giuria ha riconosciuto degne di pubblicazione per l'alto punteggio riportato. Lucio Torrisi
INTRODUZIONE Josif Brodskij in una delle sue ultime confessioni, pubblicata postuma, dal curioso titolo "La mia vita è un'astronave" offre una metafora molto significativa della sua idea di poesia. Dice: "Lo sviluppo della poesia è come un treno in corsa. […] Se saltiamo in vettura durante il percorso (e la situazione varia secondo la carrozza su cui si è montati, il prezzo del biglietto, la disponibilità) può accadere che ci si trovi in una carrozza senza che si capisca ciò che accade fuori dal finestrino. La reazione più immediata – e la più diffusa – può essere quella di voler scendere al più presto". Il lettore arguto potrà dunque darsi nell'immediato una ragione del perché Brodskij abbia paragonato la sua vita ad un'astronave e non ad un treno. L'astronave potrebbe non arrivare mai ad una meta, perdendosi negli spazi siderali; la corsa del treno resta comunque spazialmente connotata. E Brodskij di quell'astronave, (poiché non è mai sceso), ha fatto la ragione della sua esistenza: un mezzo di trasporto privilegiato per – diciamo così – aleggiare, esplorando i mondi possibili dell'estetica in poesia. Sulla poesia, come momento di autocolloquio, come esplorazione di questi mondi possibili, esistenzialmente vissuti, collocabili temporalmente nell'arco della vita – sulla volontà della poesia di affermarsi come lettura sui generis del proprio Esserci, nessun poeta dimostra di esporsi oltre quel confine che è insieme estetico ed etico. Non si espone cioè al giudizio altrui circa le motivazioni della sua produzione, ma nel valore della sua scrittura e nella forma in cui lo ha codificato. Affermazione , questa, peraltro discutibilissima, tenuto conto degli orientamenti – anche contemporanei – delle varie scuole poetiche, ma che serba nel profondo una verità comune:"quella della poesia come ricerca privata, delicata, difficile. E la sua bellezza sta proprio nella complessità estrema della sua genesi, nel reticolo di elementi intricati che compongono un testo" (Valerio Magrelli). Se l'homo fosse in qualche modo (avuto riguardo per il più complesso ed articolato possibile) rimasto appagato – definitivamente – da una qualche forma estetica di lirismo, l'attività poetica avrebbe avuto una sua morte naturale. Ma così non è. Una poesia di Derek Walcott, Ulisse ai Caraibi, è esemplificativa di tale status: la chiosa è quasi aforistica: "I classici potranno consolare. Ma non abbastanza". E poiché la poesia già da tempo ha finito di essere consolatoria è forse lecito azzardare un'ipotesi: che cioè tutto ciò che diviene classico ha il sapore del consolatorio, anche se intriso di una mistica ed insostituibile bellezza poetica. E ciò che allora consola l'uomo, il poeta "non classico", è lo scarto del "poetare oltre" il limite del già poetato; una parola che corre, inarrestabile, in un altrettanto inarrestabile processo di autoperfezionamento ed autocompiacimento estetico. E ciò accade sempre, indipendentemente dal fatto che la poesia nella sua epifania editoriale e sociale – come suggerisce Nico Orengo – possa venire attenzionata, ciclicamente, con ripetitività. Nella poesia a noi quotidianamente contemporanea è difficile stabilire con certezza se la componente estetica prevalga su quella etico-sociale o viceversa: lo si nota abbondantemente anche in buona parte delle liriche che la Giuria ha avuto il piacere di leggere. Forse è anche degna prova rileggere il tutto sotto l'egida categoriale dell'esistenziale, quale forma più idonea di lettura a recepire l'impulso primigenio della volontà del poetare, della volontà "di raccontare a lampi l'impoetico" (Gianni D'Elia", di veicolare nuove idee, di cogliere nuove realtà. Ed è questo il significato ultimo della partecipazione ad un premio poetico: la possibilità di una lettura immediata, prima facie, di una propria proposta poetica; la possibilità del contatto diretto con la rilettura del mondo poetico che, di quella trama complessa che è la realtà, viene operata da altri. Un'infinità di mondi poetici possibili il cui urto è indispensabile affinché la trasmissione di Se sia negli altri. Sono così momenti storicamente determinati della vita a rappresentare in forma prioritaria il contenuto di gran parte delle liriche che ci sono pervenute: contenuto drammaticamente vissuto, in chiave anche sentimentale in alcune; motivi del recupero memoriale (di dati e luoghi) in altre; riproposta degli spaccati dei temi comuni alla tradizione popolare, per quanto attiene alla poesia in dialetto. Comune a tutte le liriche è comunque l'istinto del fissare l'attimo, di trasferire in campo estetico il momento esistente. È un passato – più o meno remoto – a farsi vivo, a parteciparsi, che affiora stratificato e talvolta sradicato penosamente anche dalla stessa coscienza del poeta. Penso a questo punto di aver reso ragione alla premessa iniziale: nella poesia non può esserci meta, solo corsa; corsa il cui fine è correre. Indicare verso quale dove ("dove" di che specie?) sarà compito di ciascuna poesia del presente volume che il lettore avrà il piacere di apprezzare. Salvatore Vasta
Prefazione Salutiamo con simpatia la pubblicazione di questo nuovo volume, edito dal Circolo Socio-Culturale "Il Faro" di Riposto contenente le liriche premiate alla VI edizione del concorso Premio Internazionale di Poesia "Il Faro d'Argento". Ancora una volta, come per gli anni passati, tornano, per la voce dei poeti, le policromie dei colori della parola che tendono ad esprimere le sfaccettature dei moti dell'anima, le malinconie del cuore riflesse in comunione lirica con la natura e, soprattutto, gli interrogativi dell'uomo su se stesso, sul destino delle cose e dei valori, in questo inquietante crepuscolo del secondo millennio che sembra tingersi sempre più del nero di una notte che evoca fantasmi ed ombre angoscianti. È, infatti, per questo serpeggiante "senso" del non senso presente che nella produzione lirica contenuta nel volume, con modulazioni diverse, con intensità variata, prevale, in lingua italiana, in vernacolo e in altre lingue del mondo, la nenia affettuosa e malinconica della rievocazione del passato. Chi legge, ha infatti, l'impressione che alle radici dell'esistenza, del privato del personale, alle fonti della memoria ancestrale, il poeta si reca per ritrovare un "porto sepolto" circondato da acque serene, onde attingere conforto, sostanziare l'anima e virilizzare lo slancio istintivo di vita che sempre prevale sul silenzio della morte, se è vero che "la luce" prevale sulle tenebre del nulla. E in questo viaggio a ritroso, lentamente si spiana l'orizzonte brunato e tornano i valori con la loro carica emotiva ed è la vita, quasi per miracolo di ricreazione. La parola vibra nella metafora e congiunge ai moti del cuore quelli segreti della bellezza del sorriso di un bimbo, di un fiore che si schiude alla carezza del sole, di un tramonto che cinge il cielo nell'abbraccio rosato mentre gli uccelli si librano nell'aria con grazia estasiante. E tanti, tanti altri motivi lievitano nelle liriche del volume, come quello della comunione dell'uomo col mare, nel bene e nel male, come quello della fede, o come quello della tenerezza di una donna che esprime l'amore col canto delicato e pudico del cuore. Mi piace sottolineare, come presidente della Giuria, interpretando il pensiero della Commissione, la "dignitosa capacità espressiva" delle liriche premiate, segnalate e offerte in lettura, dignità che spesso si è arricchita di creatività metaforica, specie nei componimenti in vernacolo. E proprio questa crescita qualitativa, che si è accompagnata ad una partecipazione più ampia al concorso Premio Internazionale di Poesia "Il Faro d'Argento" costituisce motivo d'orgoglio e stimolo a sempre migliorare operatività, da parte di quanti si impegnano a dare il proprio contributo perché la poesia, non solo non muoia, ma si proponga come luce di vita. Afferma Eugenio Montale che la poesia non è un bene necessario, ma aggiunge che essa cammina con la vita e che perciò finché la vita è, ci sarà poesia. Angela Barbagallo
GIURIA Prof.ssa Angela Barbagallo – Presidente Prof. Giuseppe Piazza Preside Prof. Aurelio Strano Prof. Salvatore Vasta Preside Prof. Vincenzo vasta Prof.ssa Linda Auditore (Segretaria)
SEZ. A - POESIA IN LINGUA ITALIANA
POESIE FINALISTE:
POESIE SEGNALATE:
PREMI DI PARTECIPAZIONE ALLE POESIE:
SEZ. B - POESIA IN LINGUA STRANIERA SEZ. C - POESIA IN DIALETTO SICILIANO POESIA FINALISTA:
PREMI DI PARTECIPAZIONE ALLE POESIE:
PREMIO SPECIALE FUORI CONCORSO ad Antonietta Steka-Assonitou, (Atene - Grecia)
POESIE PREMIATE SEZIONE A LINGUA ITALIANA
RITORNANDO A PRAINO, PADRE Antiche masserie, masserie sparse fra generose vigne terrazzate. Una casa, una stalla ed un palmento, solo echi di memoria. Scheletrica pergola senza ombra; il ricordo del cane a riposare sotto l'albero di gelsi che, nudi, tende in preghiera i suoi rami risecchiti dagli anni e dai venti di tramontana. Una vecchia cisterna libera folletti di amori appena sussurati, ricordi di promesse e di cori offerti al sorriso di mille stelle, di appassionate note di romantico organetto veleggianti sui profumi di sambuco e di gelsomino. Fra antichi sapori di fieno e odor di mosto e profumo di mele, padre, curva rivedo la tua schiena a rigirare le zolle della dura terra, ammorbidite appena dal sudore della fronte. Eppure il tuo canto solitario intonava alla vita e all'amore; gradito ti riusciva il plauso degli uccelli che beccavano fra i solchi della terra ancora umida: A sera, il suono della campana, battuta dai venti di nuove speranze, ti riportava al calore della tua casa. Alla luce incerta di un lume affumicato, da tuo volto, il sorriso saltava a pungere i nostri cuori ed i nostri occhi. Grazie per quel sorriso, padre. Andrea Di Pietro
DOVE L'OLEANDRO S'INFIORA Dove l'oleandro s'infiora tra i pini e s'alza superba la palma alla riva, sei venuta col vento d'estate, portando sapori di alga e di sole. Beato ho volato conte in solchi d'azzurro coi bianchi aquiloni del mio sogno lontano, ascoltando la tua voce nel canto eterno del mare. E ogni giorno, sulla tavolozza del tempo che fugge ho dipinto il tuo volto con tutti i colori che la luce mi ha dato. Cinta d'ibisco in collane, con ali di pianto sei andata col vento d'inverno nell'ignoto paese del nulla. Ora la palma s'incurva dolente ed io, prigioniero del mio cielo che muore, attendo smarrito ogni giorno l'estate. Girolamo Savoia
LAUREANA D'immagini sbiadite d'un borgo morente si riempie lo sguardo Facce comuni fissano questi occhi di forestiero Nulla rimane dei viaggi d'infanzia: il dialetto misterioso dei nonni Un grande cassetto, miscellanea di umili giochi E il rumore secco delle foglie spezzate che imbottivano i letti È Triste osservare adulto i ricordi d'un tempo. Daniele Spanò
POESIE PREMIATE SEZIONE B LINGUA STRANIERA
LA CAREZZA La carezza di mia madre era dolce era delicata come il petalo di una rosa. E il suo bacio era come il mio miele Le sue parole, profumavano come incenso di Damasko. E il suo augurio come una mano protettrice sul mio lungo, ignoto cammino. Evangelos Parameritis (GRECIA)
Teresa Nelide Marzialetti Mariani (URUGUAY)
POESIE PREMIATE SEZIONE C DIALETTO SICILIANO
RANCURI Avissi avutu na manata di paroli di chiddi ca sannu di capicchiu di matri e fenu vagnatizzu ti li cicavva, Ninu, pi scuddariti la morti o darici sapuri di cuccia Ma non n'aneva chiù cà m'allamparu dintra quannu non visti a nuddu spuniriti cruci di chiummu e cruna di chiova o pruìriti na tinta vota d'acqua Mi siccaru d'intra li paroli di terra lavurata frisca e pagghia ncritata chiddi ca fannu calari lu sonnu a picciriddi murritusi e spizzutano d'ugghianzi Ristaru sulu parulazzi mparintati cu "rancuri" a cutturiarimi: rancuri pi l'omini ca si votanu di ddabbanna vidennu un Cristu viddanu circari la morti pi riventu Divintassi meli sta nucidda di lava ca mi coci lu pettu Vito Tartaro
INQUINAMENTU ECOLOGICU VISTU DI L'API D'intra nu vecchiu zuccu d'alivera si cumminò un vacanti a na manera chi pigghiò forma commu un cupigghiuni, Un sciammu d'api chi runzava attornu, caperu ch'era bonu p'abitari, a una a una mentri ch'èra jornu, si nni traseru pri si sistimari. Prima criaru u postu pa Rigina armannu un bardacchinu o megghiu postu, poi ci purtaru a pappa la chiù fina, chiddha riali di lu megghiu gustu, Ma quannu l'assaggiò So Maestati; arrichiamò a doviri tutti quanti: Sta pappa; è dicattiva qualitati; unni a pighiastu; pezza di furfanti? L'apuzzi arispunneru umiliati: So Maistati nn'avi a pirdunari, su i ciuri di cattiva qualitati; la pappa bona non si può truvari. Li jardina su tutti abbannunati, non c'è chiù nuddhu addettu a curtivari, i ciuri sunnu tutti avvilinati, di bonu chiù non c'eni chi pigghiari. O iti versu u voscu, unni c'è a manna, dha i ciuri su di milli qualitati, nutreru a bon'armuzza di me nanna cumprisu tutti quanti i me antinati. Sta strata l'amu fatta tanti voti, i ciuri puru dha sunnu nfittati, truvari a pappa bona non si poti; non c'è chiù scampu, semu arruinati. Si chiovi, l'acqua stissa è puzzolenti, quannu chi cadi feti di sintina, eni nfittata di li scappamenti unni si brucia nafia e binzina. Chistu è u principiu di la nostra fini, di numiru già semu pocu e nenti cumprisu l'aceddhuzzi canterini cu tutti l'autri esseri viventi. Rocco Valenti
EMIGRANTI L'aluzzi iaprimu e u caudu nidu e spaddi ni lassamu, taliamu assai luntanu ma u caudu suli ni 'llucia sempri st'ucchiuzzi cianciulini. Niautri simu u spagu 'nta bilici, catina di spiranza chi 'ttacca comu fierru puru i cori chiù duri; niautri simu i facci bruciati chi vistiti sempri niuri. Carusi chi criscinu spra 'zzotti terra troppu duri di 'zzappari: fimmini troppu stanchi di spittari n'anticchia i caluri di uomini bruciati di stienti e 'nfiniti sfuorzi. Friddi curriduri di treni chini nacanu i suonni di viaggi accusì luonghi chi struppianu i forti cristianazzi 'nta Natali disgraziati luntani di ciarameddi e di caudi fuochi d'intra. Mammuzzi 'ddilurati nun risparmianu amuri davanti a fotografii sculuruti sciugghiennu smurittiusi i cuocci du rusariu, sutta l'umbra tisa di patri 'impalati, 'nvicchiati 'nto duluri mutu, mucciatu cu rispiettu 'nta facci senza risata. Genti luntana, genti strania chi nenti po capiri d'un populu 'nticu chi sempri si movi comu cidduzzu scappatizzi, chi sempri cercanu situazioni chiù cristiani. Amati spunni di nu Strittu truppu ranni, vi salutamu! Ca spiranzedda di putiri purtari, un jornu nun luntanu, sti stanchi ossa a sbiancarisi sutta stu pussenti suli chi duna muzzicani amari d'un pani sempri chiù niuru. Mario Bonanno Conti
L'AMURI RANNI RO SIGNURI Un viddanu c'avia 'zappatu u so turrinu, assitatu supra lu varduni, si mangiava n'ugna i pani e 'ddu vulivi, quannu antìsi ri rarrieri u filu i vuci. - È inutili ca mangi pi campari, è 'rrivata l'ura ri murìri, stai giratu, nun c'è nenti ri talìari, sugnu aria, e nenti atru ri virìri. - A 'du mischinu ci aggruppò lu masticuni, ri lu scantu arristò paralizzatu, no pinsieru priò sibbitu u Signuri, r'alluntanari 'du tirruri mai pruvatu. Spirava c'arrivava un picuraru assicutannu i crapi no vadduni, ma nall'aria, tuttu parìa stranu, nun si virìa né na cieddu, né un lapuni. - Si 'ssi pronti, saluta luto munnu, chiuri l'uocchi e nun fari risistenza, è 'rrivatu, tu rissi, lu to turnu ri lasari 'pi sempri st'esistenza. U viddanu, 'ntenzionatu a nun muriri, ci rissi c'avia cosi ri finìri, c'era ancora lu lavuri ri zappari e un piezzu ri turrinu ri spitrari. - E va 'bbeni, ti vuogghiu accuntintari ci rissi 'da vuci fatta i vientu - ti lassu ancora u timpu i travagghiari e natra vota sarà vanu ogni lamientu. U viddanu, pinsannu i siri furbu, na nà stanza arristò pi misi chiuso, e ogni sira, a Cristu ri la cruci, u priava 'pi nun sentiri 'da vuci. Ma i figghi ciancìevunu 'pa fami, ogni 'ghiornu mancava lu mangiari, era tiempu r'affruntari 'du mumientu! Taliò tantu i figghi e la mugghieri e na carizzza fici a tutti quanti, supra un fuogghio scrissi li so peni, raccumannanno a tutti i siri manzi. No cielu scuru e annuvulatu c'era ancora la luna ca lucìa, - si tristi luna, propriu com'ammìa - ciancìa lu viddanu scunsulatu. Appena pronti u sceccu co varduni, s'antìsi nà stadda natra vuci, no muru si vitti na gran luci ca pigghiava a forma ri na cruci. - Viddanieddu tornitinni no to liettu, oggi chiovi, lassa stari u sciccareddu, d'ora in poi, fatti a cruci ogni matina e porta sempri u rusariu na sacchina. - O Venerdì, quannu nesci Cristu 'ncruci, u viddanu è sempri 'mprima fila, hiavi l'uocchi fissi no Signuri ca ci resi prova i grandi amuri. E... quannu u vientu fa sentiri a so vuci, 'cca 'zappa 'ntterra fa na cruci, si stringi forti o piettu a so sacchina unni teni a biniritta curuncina. Paola Ferraro
LA LIBBERTATI Na siratina ca nun avìa chi fari mi misi suls sula a rimiscari e ammenzu a li vicchiùmi a la strasatta satàu fora u pupu di lannitta vecchiu arruggiatu cu la facci giàllina e la povira vucca senza ciatu Cu ci l'avia purtatu nta me casa? Forsi me frati quann'era picciriddu... forsi li murticeddi ginirusi... cosi luntani cosi di carusi... Ma chi gran pena mi facìa ddu pupu! Sulu suliddu jittatu nta la gnuni senza chiù vuci senza ca nuddu ci tirassi i fili... Megghiu accussì! - m'arrispunnìu cu l'occhi ddu pupu abbannunatu nta la gnuni - Chi mi ni fazzu di na vita fàusa? Megghiu accussì! libbiru e scurdatu.... Oramai mi pozzu 'nsunnari la bedda riginedda d'o me cori e la spata di lanna fa brillari vicinu a mia la so vucca di meli Alfonsina Campisano Cangemi
POESIE FINALISTE
IN UN BRIVIDO D'ARGENTO Sul pendio della notte laddove i silenzi sono i soli padroni e anche l'anima tace saggiando itinerari di stelle ci ameremo E la luna fiorirà sui nostri corpi su sgomente attese di vuote clessidre Le nostre pene veleranno aliti di vento Indosseremo il cielo in cima al nostro respiro Due ninfee sorrideranno sullo specchio increspato dello stagno Elena Cimino (Gela – CL)
CHE DIRÒ ALLA DONNA… A Stefania Che dirò alla donna che dorme nei campi? Se ha il cuore di zingara già sa che nel grano di notte c'è ancora il tepore del sole. Se è stanca di vita non ascolterà parole troppo sature d'amore. Eppure è dolce amarsi quando il vento posa sui corpi il fieno dei campi. E sentire la timidezza dei corpi ammantati d'erba. E poi vagare nell'aria ignota del mattino con un altro segreto nel cuore. Non è che questa, ancora, la mia vita di poeta. Gennaro De Falco (Napoli) Nato a Napoli, studia giurisprudenza nella stessa città. Il suo amore per la poesia è nato negli anni di liceo. La sua convinzione principale è che essere poeta è una condizione di vita, "Un dogma sostanziale all'Esistere". Da poco ha deciso di partecipare a concorsi letterari.
LA CROCE Solo dopo aver percorso tanta strada mi sono accorta di non aver camminato. Solo dopo aver masticato tante parole mi sono accorta di essere muta. Solo dopo aver cullato tante litanie mi sono accorta di non averti mai conosciuto. E certamente nonostante anelassi incontrarti avrei ingrigito di solitudine la mia vita mancando ogni giorno all'appuntamento se tu stesso dalla croce non mi avessi chiamato con il mio nome segreto non mi avessi accarezzato con le tue mani inchiodate non mi avessi sorriso con le tue lacrime di sangue non mi avessi sorriso con le tue lacrime di sangue non mi avessi sorriso con le tue lacrime di sangue non mi avessi attirato con la tua corona di spine non mi avessi accolto nelle tue piaghe d'amore non mi avessi avvinto con il tuo ineffabile "perdono" non mi avessi folgorato con il tuo grido d'abbandono non mi avessi appagato con il tuo "tutto è compiuto" non mi avessi – attraendomi – salvato con la tua gloriosa croce. Vittoria Gigante (Messina)
DESIDERIO DI NATALE Gli addobbi di Natale hanno mille forme e colori e tanta varietà puoi trovare anche negli umani dolori. Alle luci di Natale mettiamo l'intermittenza. Perché non c'è mai intervallo per l'umana sofferenza? Vorrei che in Questo Giorno, come per incanto, avessero interruzione i mali che ci affliggono tanto. La droga, la denutrizione, le guerre e la violenza, il degrado dell'ambiente e quello della gente. I neonati nei cassonetti della spazzatura ed i bambini soggetti ad abusi contro natura. La tragica follia di quella gioventù che i sassi tira giù dai cavalcavia. Tanti disoccupati, cui più nulla rimane, hanno deciso di essere torce umane. Gli extracomunitari, una squallida esistenza, sfruttati dal lavoro nero e dalla delinquenza. Il cancro della corruzione allo stadio terminale, ma chi lo combatte è trattato come un criminale. Manca la fiducia in chi e in cosa sperare, anche se dentro brucia la voglia di cambiare e continuiamo, sempre, a dire di "si" a chi comanda, comandato, che "tutto resti così". E tutti questi mali hanno una sola sorgente: l'egoismo e i falsi ideali che ottenebrano la mente. Che significato avrebbe il 25 Dicembre, per poi ricominciare l'indomani di Natale? Vorrei che negli altri giorni, con impegno costante, si fosse tutti più buoni contro l'iniquità imperante. Spezzare le catene del male con il bene e nascere di nuovo leggeri e senza pesi, liberi dalla grettezza del nostro piccolo mondo e scoprire la bellezza di percorrere fino in fondo la strada della fratellanza e della solidarietà, che sola può salvarci con tutta l'Umanità Franca Indelicato (Riposto – CT)
U CANTU D'UN PISCATURI L'unna du mari smaniusa si lassa cullari 'n mezzu a li scogghi si metti a pazziari si spezza, si arza cu granni lamentu poi supra la sabbia finisci u turmentu. Luntanu na barca fa l'amuri cu celu l'accarizza lu bacia ci cunta i duluri lamintusu risona u cantu d'un piscaturi. Uri interi a piniari a scrutari lu celu a circari i scacciari un tristu pinzeru mari e silenziu travagghiu e duluri senza notti né iornu cu la gioia du ritornu: chista è a vita d'un piscaturi… E ogni tantu la sira si ti ssetti 'nta riva po sintiri i luntanu na vuci un lamentu, ma tu non scappari non aviri timuri chiddu è un cantu u cantu d'un piscaturi. Salvatore Puglia (Taormina – ME)
POESIE SEGNALATE
TUTTO È UNO Quell'oceano di spighe ondeggia alla maniera di un largo mare, rallenta le brezze. Rifulge il sole, le cornacchie sul colle hanno gracchiato e l'eco laggiù rotola. L'oceano di spighe è quello che più chiama, insieme si altalenano Quante sono' Contarle è uno smarrirsi nel numero, ma esse formano il tutto ad una ad una. Tutto è uno, nel vasto universo, dall'atomo di sabbia alla cellula, al sole gigante, al mio cuore che guarda le spighe! Filippo Belfiore (Piedimonte Etneo – CT) Nato a Piedimonte Etneo (Catania) nel 1910, è stato educatore nel plesso elastico dello stesso comune. Cultore e compositore di musica, ha conseguito premi e riconoscimenti in vari concorsi di poesia di cui alcune sono state inserite in antologie. Ha partecipato a numerosissimi concorsi in cui è stato premiato o segnalato.
TU POESIA PREGHIERA DEL MATTINO Tu poesia preghiera del mattino non lasciarmi nel silenzio, parlami, raccontami del tuo mondo; fammi entrare nel tuo rifugio di misteri pieno. Salvezza troverò nelle tue braccia quando tentativi faranno per rompere la linfa che a te mi lega. Se carezze d'ali mi darai cancellerò pagine nere, come se non mi appartenessero. Conforto per l'animo mio, faro al calar della sera, non avrò paura delle ombre. E, quando avrò freddo, riscaldami coi tuoi sorrisi. Non lasciarmi nel dolore del tuo addio! Viva sempre nel mio cuore Tu Poesia preghiera del mattino regalami emozioni, restami compagna! Carmen D'Anna Grimaldi (Messina)
L'EMIGRANTE Nel treno, affollato di anonimi visi, ho visto oggi il tuo emigrante del sud. Un viso sparuto; senza età; solcato da sottili rughe profonde, ragnatele del tempo e di troppe speranze deluse. Gli occhi son grandi, colmi di tristezza L'abito stinto, sgualcito come è il cuore, veste un corpo segnato da rudi lavori. Gli altri, ciechi nel cuore, sfuggono lo sguardo timorosi. Antichi pregiudizi affiorano alle menti. Nei loro occhi: disgusto e paura. Ti guardo. Comprendo il tuo immobile silenzio. Leggo il corso dei tuoi burrascosi pensieri: La paura dell'oggi, la speranza del domani; la triste solitudine in terra straniera; il doloroso ricordo di chi lontano aspetta. Chiudo gli occhi e vedo immagini e volti che un tempo anch'io ho conosciuto. La forte, selvaggia e cruda natura; i monti sterposi arsi dal sole; le fesse terre zollose da sempre avare ed il verde spumoso mare ornato di scogli. Rivedo le case bianche ed assolate; le strade e piazze polverose. Risento le vecchie nenie di un tempo lontano e lo scalpitio dei muli sui ciottoli di pietra. Rivedo il viso cereo di donna consumato dalla rassegnazione e gli occhi umidi di bimbi nell'accorato struggente singhiozzo. Gli altri pensano ch'io dorma, invece ho il cuore che tumultuosamente piange. Vito Fortuna (Trento) Nato a Palermo, svolge l'attività di medico ospedaliero cardiologico a Mezzolombardo (TN). Dal 1995 partecipa a concorsi letterari, riportando sempre lusinghieri risultati. Si ricordano i successi nei concorsi: Premio Letterario Internazionale "Omaggio a W. Goete", Premio Internazionale "E. A. Poe", Premio nazionale "C. Pavese", Premio Letterario "A. Di Benedetto", Trofeo Letterario "Orso di Biella, Premio nazionale "Città di Avellino".
LA STAGIONE DELLA GIOIA Voglio centellinare il sapore della gioia e serbare piccole gocce edulcoranti bocconi amari. Voglio registrare la voce della primavera ed ascoltarla al tempo dei silenzi. Voglio catturare il calore del sole per riscaldarmi nei giorni di gelo. Passa la vita e alterne vicende si susseguono, simili a stagioni. Franca Fusco (Trieste) T'INCROCERÒ SIGNORE T'incrocerò, Signore, sulla mia larga via di piaceri della vita leggero come il vento illuso e senza affanni, e Tu, deriso e stanco, salirai l'erta via del Golgota. Chissà se mi potrò distrarre dagli impegni caduchi ed aiutarti a portar su la Croce. Gennaro Osso – (Paola – CS) Nato e residente a Paola (CS). Pensionato. Scrive versi da sempre. Collabora a riviste letterarie nazionali. È inedito in volume, ma le sue composizioni sono inserite in riviste, periodici, antologie scolastiche, religiose, d'amore, ecc. È autore di diverse raccolte di poesie: "Serenata alla notte", "Versi nel vento", ecc. Ha ricevuto vari riconoscimenti nazionali ed internazionali.
LOGOS I miti cadono, come stelle nella notte di san Lorenzo e l'uomo accartoccia la sua anima in un biglietto da mille lire. Mi stanno chiamando ad edificare il tempio del dissoluto, ma i miei visceri si rivoltano. Insensato irretire il mio correre sui sentieri dell'utopia; rischiare la banale esistenza su quel precipizio delle idee, forse morire per un sogno. Logos, vorrei il mio logos, dimenticare come e perché ho vissuto, raggiungere l'assoluto con uno sguardo e lavarmi, pulirmi da queste incrostazioni. Guardo gli uomini, ma non li riconosco… Bisogna vivere di nulla o vivere di tutto, oggi, quando solo i saggi sanno che nulla e tutto coincidono. Possediamo soltanto quello che abbiamo dentro. Per niente al mondo smetterò di cercare il mio logos. Antonella Smeriglia (Capo D'Orlando – ME) Nata a S. Agata Militello, giovanissima si è laureata in giurisprudenza a Messina con il massiomo dei voti. Successivamente si è laureata in scienze politiche, sempre a Messina, con 110/110 e lode accademica; è iscritta presso il consiglio dell'Ordine degli Avvocati di Patti ed esercita la professione forense.
PREMIO DI PARTECIPAZIONE
AD OCCHI ASCIUTTI Ti ho amato con la freschezza del fanciullo, con la prepotenza dell'uomo, con la rabbia in corpo. Ti ho amato con struggimento, con dolore con gioia, con passione. Ti ho amato così e ti ho amato per niente. Qualsiasi cosa possa capitare sappi che ho amato più te, che la mia stessa vita. Se ho sbagliato nel volerti bene, ti chiedo scusa e me ne vado, in punta di piedi, senza far rumore. Ti do l'ultimo bacio ad occhi asciutti, e pieno di lacrime nascoste.
FÀTTINI CAPACI Ni mancavunu, figghia, scecchi a fera! Giustu di chissu t'av'a 'nnamurari? 'Na matri pi 'na figghia chi si spera? di 'n bonu e 'n beddu matrimoniu fari. 'N matrimoniu, beddu 'n tutti i sensi: cu 'n giuvini finicchiu, bravu, bonu.. Tu lu canusci a chissu? Cu' è ci pensi? Iu, 'ddoppu u lampu, non vulissi u tronu! Non sapi di travagghiu. Comu mangia? Non sapi a suciita, né chi è a famigghia. S'a fa viaggiannu sempri, jennu 'n Francia. L'amuri, figghia, nun è sulu baci, carizzi, e… poi a comu pigghia pigghia. Pensaci bonu, e fattini capaci! Giovanni Bonaccorso (Acireale – CT)
I GUARDIANI DEL SONNO Notte, gelida notte, che vegli sulle macerie di questo mondo distrutto, traballante è la gloria, per l'uomo di carne che percorre la storia. E noi fragili simboli dell'onesto vivere, guardiani di noi stessi, incapaci di difenderci, aspettiamo l'alba solenne che ripulisca gli uomini dai residui del niente. Bagnata è la strada e svestiti son gli alberi in tenuta da notte, sotto la luna beffarda che impietosa mi sfotte. Beato quel cane che riposa al portone annusando gli odori del giusto compenso, vorrei anch'io far lo stesso ma devo star sveglio per proteggere chi dorme indifeso nel sonno. Così abbaio sul foglio e sfogo i pensieri, come un cane rabbioso che ringhia ai misteri. Occhi aperti per scrutare l'ignoto e l'incauto domani, ma il sonno mi avvolge e mi abbraccia più forte, sento cedere il corpo al pericoloso richiamo, le serrande degli occhi chiudersi piano. La mano è intontita e non trovo più il foglio e pensar che l'insonnia mi colpisce da anni, proprio adesso che occorre non riesco a star sveglio e questo misero scritto diventa un inferno, confuso e intricato, maè come sono adesso, ad un'ora dall'alba su questo mondo ch'è un cesso. Ancora mezz'ora e potrò nuotare nei sogni, aggrappato al cuscino galleggiando nel mare; anche stanotte è passata senza farmi ammazzare. BUONANOTTE ASSASSINI. Gianluca Gavelli (Forlì)
CON L'ULTIMA NEBBIA Apparve in un'alba senza uccelli, con l'ultima nebbia, rideva sommesso, con la forza del passato negli occhi di cannella. Batteva il rame respirava il freddo o il caldo, mansueto. Chi era? un sopravvissuto alla solitudine, che trascinava la sua carcassa senza materia. Sentiva il vento alzarsi spingere i giorni i lamenti i pensieri dell'uomo. Chi era? Aveva nascosto così bene il suo volto che nessuno sapeva chi fosse, se berbero o folle. Un giorno andò, a tempo lento, nel profumo di zenzero, la strada girava, svaniva in un punto si perdeva, nel biancastro dei calcari. Correva, ora, la mano salutare, urlava: non cercatemi appartengo al sogno! Agostino Zaffora (Formigine – MO)
ALTRE POESIE DEGNE DI PUBBLICAZIONE IN VOLUME
AUTUNNO Cominceranno a cadere le foglie e le sorelle vive lacrimeranno per le sventurate passate dall'alto dei cieli all'umile terra. Il loro grido lacererà l'aria, sibili e stridori, ululeranno alla bianca luna tuta la forza di un vento assassino e la veemenza di sorella negra armata di lucida falce. Tumuli antichi dagli anfratti sempre bui daranno nuovo pasto alle fameliche bestie. Le foglie tacciono! Lassù nel cielo ancora più stelle, ancora più anime, naufraghe dello spazio infinito. Mario Bonanno Conti (Messina)
VULISSI, O 'MA Russu lu suli comu affruntatu arreri l'Etna s'innagghiutu, Russu lu suli comu affruntatu arreri l'Etna s'innagghiutu, accucciati 'nta l'albereddi da campagna l'acidduzzi stanchi da so jurnata ncoru tutti fannu l'ultima cantata. Suddisfattu, ridi lu celu e so stidduzzu cc'addumaru. I voi 'dda stadda, i jaddini 'ddo puddaru calunu lucoddu, ccu la vozza china, aggiuccati finu a dumattina. Sentu friddu, vulissi dormiri, o 'mà, vulissi lu passatu prisenti, tuttu 'ccà e fussi cuntenti, cuntenti di campari, 'ccu pocu pani, ma paci truvari. Vulissi, o 'mà… quannu 'nto 'mmernu fitto attornu a conca, mangiannu pani schittu, quannu ppì lustru 'na favuzza di miccu addumata di lumi quasi sempri siccu 'ppi pinuria di pitroliu e di dinari, quannu supra li tò jnocchia, stancu, 'ccu la testa appuzzatu, ascutava i tò stori 'ncantatu e filici sintivu a carizza da to vuci e da to manu 'ccu tinnirizza… 'Dda cinniri cauda 'na favuzza u pà cuceva, o 'na cipudduzza 'ppi spizzuliari e passari a sirata 'ccu scherzi, jochi e 'na bedda risata. Vulissi, o 'mà… "Gira lu munnu comu 'na rota, esiri non si po' cchiù di 'na vota". Oggi c'è lu prugressu, aerei, tilefunu, radiu e tivvù, di machini non si 'nni po' cchiù! C'è musica, ballu e coca cola, amuri liburu e mangiari beni; ma l'omu lu stissu vidi peni, e 'ddo so cori assai duluri teni, disgrazi, droga, aids e guerra, sunu tutti mali di sta terra. Vulissi, o mà… vidiriti 'na vota 'dda mò porta entrari e jù a festa li campani sunari, sèntiri 'nciauru da tò risatedda e aviri cunfortu 'dda tò vucca bedda. Ora 'ddo mò cori tinnireddu nova spiranza s'adduma e svampa; e sinu a quannu idda campa e di 'nfilu di vuci ni resta 'na lamma iù ti ringraziu sempri, o mamma. Andrea Di Pietro (Giarre – CT)
GIORNI TRISTI Sembra fumare l'umida terra, ricamata da foglie ingiallite cadono piano, da alberi secchi gocce di nebbia, rugiada e brina. Cantano tristi passeri soli, tra foglioline di piante d'ulivo, guardano in alto… in cerca del sole, fino a che il giorno, piano… poi muore! Diàfano tondo sembra la luna, persa in quel nero di cielo profondo, irradia di bianco, ogni casa già buia, e regala sorrisi, a i bimbi nel sonno. Fischia il vento tra tegole rotte e porta lontano rametti appassiti, confonde le voci e le urla di donne che aspettano sveglie, figli e mariti. Piccoli funghi ai piedi dei tronchi spiccano bianchi un po' tutt'intorno, sfrecciano in cielo gli ultimi stormi, mentre già spoglio, il glicine dorme. Sembrano candidi i sassi del fiume dove una volta si andava a lavare, e lì, tra i sassi, un nido di piume, per un fringuello… che non vuol più cantare. Crepita il fuoco ormai quasi spento mentre la nonna si conta le rughe, insegue ricordi, volati nel tempo, e chiude il suo cuore… alle tante paure. Buchi di stelle accese sul mondo, spiano fredde il tristòre dell'uomo, un nero lenzuolo avvolge quel vuoto, rotto soltanto da un cane rabbioso. Poi… Splende su tutto un raggio di sole, che porta la gioia, riscalda ogni dove. Canta felice il fringuello del fiume… che cova di già, nel suo nido di piume! Paola Ferraro (Bologna)
CLOCHARD ALLA METROPOLITANA Ho il cuore che si spalma, come buro. La mia mente è saltata quando ti ho incontrato. La tempesta dei secoli ha investito l'anima, mi sono ritrovata con una lacrima di paura sul palmo della mano. Giacca su un cappotto sudicio, scarpe bucate che un essere a te uguale ti ha donato per pietà o forse con disprezzo. Il capo reclinato, lo sguardo perso in un sonno senza sogni, perché quei sogni hanno reso la tua vita un inferno. E sei uscito, sei ai bordi, ma sei bellissimo, imponente. Il mio esistere è sconvolto di fronte all'impotenza, ma resterai in quel cuore che si spalma, in una giornata di pioggia diverrai una lacrima di gioia, trasportata dal vento furioso della mia fantasia. Antonella Smeriglia – (Capo d'Orlando - ME)
TI AMO Ti amo nell'ora in cui apri le braccia per stringere il mondo. Nell'ora in cui accarezzi le rose rosse del mattino primaverile, salutando con un largo sorriso i primi raggi del sole. Dando il buongiorno agli uccelli che volano d'albero in albero, giocando. Nell'ora in cui parli del dolce pane che mangeranno i bambini che non sono nati ancora. Nell'ora del vespro e del dopocena quando ci dividiamo l'acqua e il pane. Nell'ora in cui accendi il lumino davanti all'immagine di Gesù Cristo in croce con una preghiera per il domani della PACE. Allora quando le tue labbra cantano la ninna nanna alle culle dei bambini e costruiscono per le loro speranze e i sogni di un domani migliore. Ti amo perché apri gli orizzonti e riempi la nostra vita d'amore ed il nostro cielo di bianche colombe. Evangelos Parameritis – (Drapetsona – Atene, Grecia)
IL RESPIRO DEL MARE A quanti sospiri di innamorati cuori di fronte a te avrà fatto eco la voce della tua risacca? A quante mute domande di smarriti animi accoccolati sulla tua riva avrà dato risposta il brusio della tua battigia? A quanti occhi di romantici spiriti al tuo cospetto avrà affascinato l'invito del tuo immenso abbraccio? E di quante stelle infine lontanissime e superbe avrai catturato il luccichio tremolante e confuso tra le schiumose onde di tante tue insonni notti? Mare infinito possente amico immane forza d'oblìo ghermisci un po' anche il mio cuore, cullalo come fanciullo tra le tue grandi mani d'onda e placa la sua ansia dondolandolo pigro… Lascia che il tuo respiro a lui giunga come il più dolce alito di vita e infondi in lui la forza del movimento tuo immutabile ed antico… Roberta Stincardini Movahedian (Perugia) È nata e vive a Perugia. Sin da piccola ha nutrito l'amore per la poesia, compagna dei momenti belli e difficili della sua vita. Ha riportato lusinghieri consensi ai concorsi: Comune di Corciano (PG), S. Andrea delle Fratte; "Insula Romana" di Bastia Umbra (PG); Trofeo Letterario Biellese "Orso di Biella"; "Trofeo Medusa Aurea" – Roma; "Prosa e versi" – Genova; "Acta" – Torino; "Ulivo d'Oro" – Torino; "Agli Ticino" – Bellinzona (Svizzera); "Un verso per salvare una vita" – Torino.
IMPRONTE Hai lasciato del tuo passaggio impronte forti sul mio cammino, che vado ricercando quando la solitudine mi inonda… Ma il vento a volte le confonde con la polvere del mondo e più non so trovarle… Hai lasciato dei tuoi baci tracce di fuoco sulle labbra mie riarse, ma il freddo sopraggiunto in fretta ha screpolato la mia pelle e più quel tuo sapore non risento… Hai lasciato nel mio cuore un grande vuoto da che te ne sei fuggito e l'eco del mio desiderio lo trovo tutto intatto nel canto della nostalgia che di te mi ha rapito… Roberta Stincardini Movahedian (Perugia)
FACITIMI LI CUNTI Ora ca li cannuna arifriddaru (centumila li morti, centumila!) dicinu ca la guerra timminau. Ora ch'è n'autra vota menzanotti ni lu Kuwait amiricanizzatu scrivuni (Centumila li caduti!): la bella paci riturnau 'n saluti. Centumila li morti! Cu' capisci di nummira vo farimi li cunti? Quantu sunnu li vivi cu la uerra dintra la testa, quantu li stizzeri, quantu li stizzi cavudi e saliti nta li firiti di li cori vunchi? Facitimi li cunti, pi favuri, e mi diciti quantu focu d'occhi ci voli pi bruciari na città di dudici miliuna di spriveri. Si non basta lu chiantu ca si fa pi centumila morti, ci mittiti lu chiantu di l'indiani massacrati, di chisti chiusi dintra li riservi comu pecuri, chiddu d'Hiroscima e Nagasaki, di lu Viettinammi, lu chiantu di l'America Latina, di li figghi di Mamma Palistina. Facitimi li cunti, pi favuri. Junciticci, su ancora ci ni voli, lu miu, c'ha fattu un lagu ca fumia largu cent'anni e longu quattrucentu. Facitimi li cunti, pi favuri, c'aju a vulari supra Nova Yorka lestu, chiù lestu ancora di lu ventu, carricatu di lacrimi e d'amuri. Facitini li cunti, prima ancora ca chiantunu a Palermo o a Siracusa la statua di farsa libirtà. Facitimi li cunti, pi favuri. Vito Tartaro (Ramacca – CT)
PEPPI Setti piccati cancillati pi ogni zazzamita ammazzata Piccatu lu nàsciri piccati saputi piccati scanusciuti: si n'accucchianu tanti ni deci anni. Pi ogni zazzamita ammazzata setti piccati scuntati. Ottu pi sette cinquantasei deci pi setti sittanta dudici pi setti uttantaquattru… Si armau di sfileccia di ghiacci di jina e partiu pi la caccia. Rigistru di morti lu quadernu d'italianu. Quattru journu unu dui lu dui cincu lu tri novi l'innumani tutali minsili tutali annuali diffirenza… Ma ristavanu sempri piccanti pinnenti pirchì non sapeva quant'eranu chiddi senza cuscenza. E quannu capiu ca non bastavanu tutti li zazzamiti di lu munnu cu la prima varba ntisi viniri la malincunia Grapiu vucca na sula vota pi rispùnniri a la dumanna "ma chi ti senti Pe'?: "Un piccatu un piccaturi contra la natura" Poi non parrau chiù tranni forsi cu li zazzamiti quannu si cògghinu lu suli. Vito Tartaro (Ramacca – CT)
U RATTA RATTA Cumpari Petru, cosa mi cuntati? Javi chi non vi chiù dun annu. Oh cumparazzu!… non mi nni parlati!… m'arruinavi rattannu rattannu. Cumpari caru; jò sulu vi cumprendu; vui siti liccu1 di pasta rattata; u tumazzu2 abbundanti vi fa dannu, jò vi cunsigghiu megghiu na nsalata. Cumpari, chi capistu? vi sbagghiati; u ratta ratta si manciò i me unghia. V'addumannu pirdunu, mi scusati; allura cumparuzzu aviti a rugna!3 Chi rugna e rugna; ss'autra ci mancava; è u ratta e vinci ch'è na malanova4. Allura cumparuzzu chistu è signu, chi siti un tallaruni senza gnegnu5. |