di Sergio Inserra
Figura di non poco rilievo, nel panorama musicale catanese del Settecento, è quella di Giuseppe Geremia maestro di cappella in Catania ed autore di numerose pagine di musica sacra. Nato a Catania il 19 novembre 1732, compì gli studi musicali a Napoli presso il conservatorio di S. Maria di Loreto sotto la guida di Francesco Durante. Del suo soggiorno nel capoluogo campano non rimangono che frammentarie ed esigue notizie. Certi si è, infatti, soltanto della composizione, probabilmente a conclusione della sua permanenza in conservatorio, di un oratorio ad una o più voci con accompagnamento strumentale dal titolo La fuga in Egitto o Gesù trafugato in Egitto di cui rimane una copia, che reca la data del 1760 curata da Giuseppe Sigismondi, e della collaborazione che il Geremia, assieme a Giacomo Insanguine, diede a Nicola Logroscino, nel 1763, per la composizione della commedia in musica L’innamorato Balordo. L’opera fu rappresentata a Napoli al teatro Nuovo sopra Toledo, in occasione del carnevale. In quest’opera, un’aria e il finale sono di Insanguine, mentre alcune arie, nel corpo dell’opera, spettano al Geremia. Non si sa con esattezza sino a quando, dopo la conclusione degli studi in Conservatorio, il Geremia risiedette a Napoli. È certo, comunque, che nel 1773, viene nominato dal vescovo Deodato Moncada maestro di cappella del Duomo di Catania. Prima ancora di assumere questo incarico, il Musicista ebbe l’opportunità di lavorare e farsi conoscere nella città etnea. In occasione, infatti, delle festività agatine del 1769 venne rappresentato un dialogo, che ricorda il martirio di S. Agata ed intitolato Carro trionfale, dallo stesso musicato. Il primo lavoro del Geremia, dopo la nomina a maestro di cappella, fu il Trionfo di Pallade. Si tratta di un componimento drammatico, dedicato al vescovo Deodato Moncada e rappresentato all’Università di Catania nel 1773. L’anno dopo, nel 1774, il Geremia dirige personalmente un dramma per musica, intitolato Raab Liberata. La piazza Duomo è gremita di cittadini forestieri giunti per la festa di S. Agata, che accolgono con evidente entusiasmo il dramma, tanto che Raab sarà ripetuto nella stessa ricorrenza dell’anno successivo e poi nel 1783. A partire certamente dal 1776, nella cappella del Duomo, il Geremia venne affiancato da Vincenzo Tobia Bellini, nonno del più illustre Vincenzo, nominato maestro di cappella dal Senato. Nonostante le posizioni di emergenza del Bellini, spettò, comunque al Geremia – anche per le vicende familiari che colpirono, afflissero e distrassero il Bellini (il trauma psichico, occorso al suo primogenito – la preminenza fra i due). Su di lui, quindi, venne ad incentrarsi per i primi dieci anni della sua permanenza a Catania, la vita musicale catanese, sia nella cappella del Duomo che in quella dei Benedettini per la quale frattanto il Geremia aveva iniziato a lavorare componendo numerose opere. Fra queste degna di nota risulta essere un vero e proprio melodramma in tre atti, con testo del canonico Montesano, intitolato La città di Abella liberata. La scenografia era spettacolare e non si trattava di certo del solito oratorio. Dopo venti anni dall’Innamorato balordo, Geremia tornava al genere teatrale con l’Abella. Fu una breve parentesi, perché subito dopo si rivolgeva nuovamente al genere sacro, in cui maggiormente manifestava il suo interesse e la sua aspirazione. Nel 1790, per la festività del S. Chiodo, compose, infatti, un oratorio dal titolo L’esaltazione di Saulle, a cinque voci più strumenti, con testo scritto da Gioacchino Puleo e dedicato a padre Filippo Hernandez, Abate del monastero di S. Nicolò l’Arena. Già due anni prima, nel 1788, era stato eseguito un altro oratorio, sempre a cinque voci più strumenti, dal titolo L’Israele idolatra, in occasione della festività del S. Chiodo, dedicato anch’esso all’Abate Hernandez. Nell’ultimo decennio del ‘700, si nota un rallentamento della sua attività nella festa del S. Chiodo, dove il suo posto viene preso spesso dal Paisiello e dal Guglielmi. In questo periodo, il Geremia si mostrò operoso, musicando soltanto oratori per la festa della patrona. Uno degli ultimi oratori per la festa di S. Agata, prima che il Geremia lasciasse il posto di maestro di cappella del Duomo a Giacinto Castorina, fu Mosè trionfante del popolo egiziano nel passaggio dell’eritreo, musicato nel 1800. Il valore artistico e la fama del Maestro catanese riuscirono a varcare i confini della patria. Sebbene invitato quale maestro a Roma, in Spagna, dal re di Sardegna ed altrove, l’amore che lo legò alla sua terra fu tale da indurlo a rinunciare, per essa, alla ricchezza ed agli onori, restringendo per forza di cose, o forse, volontariamente, la sua attività alla musica sacra ed agli oratori, in cui ebbe anche modo di far spiccare la sua vena creativa. Alla morte di Giuseppe Geremia, avvenuta nel 1814, ebbe luogo, nell’aula dell’ateneo catanese, un’Accademia in suo onore nel corso della quale furono letti sonetti, coronali ed epigrammi composti dai più distinti letterati dell’epoca. Un ritratto, inoltre, adorna l’Aula Magna dell’Università di Catania ed una strada gli è intestata nel popolare quartiere del Fortino della città etnea. Della vastissima, infine, testimoniata produzione musicale del Geremia, moltissime opere sono andate perdute e non se ne ha alcuna traccia. Delle opere rimaste (intere o in frammenti), alcune sono custodite nelle biblioteche di Dresda, Vienna e Londra, altre sono rinvenibili presso il Museo Civico Belliniano di Catania e presso la Società di Storia patria di Catania, che nel 1907, riusciva ad acquistare da uno degli eredi alcune opere del Maestro catanese. |