GLI INQUIETANTI INTERROGATIVI DI MARIO LUZI

di Vittoria Gigante

(“Il Faro”, n° 9/10, gennaio – giugno 1998)

 

 

Mario Luzi, il più grande poeta vivente, a giudizio di molti critici, è una delle figure di maggior rilievo nel panorama culturale del Novecento, soprattutto dal dopoguerra ad oggi, periodo che vede la sua piena maturità umana e poetica, espressa in opere che hanno suscitato grande interesse nel pubblico. Anche se Luzi non si presenta come un poeta “facile”, è possibile ravvisare nei suoi versi una radicale istanza metafisica.

In Naturalezza del poeta, opera di grande spessore critico, egli afferma: "Alcuni anni or sono un bravo giornalista venne a conversare con me, ma quando mi disse che il tema (o l'oggetto!) della conversazione era Dio risposi che io non sapevo nulla di Lui se non il bisogno che l'uomo ne ha denunciato in varie forme durante i secoli; e quello io leggevo in me come nei libri".

In effetti già nel primo Luzi, nei versi giovanili della Barca, è evidente "il contrasto fra il tempo e l'eternità, fra l'apparenza fenomenica e l'essenza nascosta, fra la vita del soggetto e la vita del tutto" (Baldi).

Oltre a questa insopprimibile ansia metafisica, ora latente, ora scoperta, è frequente nella poesia - cosiddetta ermetica - di Luzi la presenza della guerra, definita dallo stesso poeta "dramma della guerra che mette a soqquadro il falso olimpo o giardino di Armida in cui molti credevano".

Altro motivo l'amore, che però viene sentito come un miraggio non raggiunto, una speranza non realizzata.

Il superamento dell'Ermetismo - fatto non solo letterario ma anche etico - riconduce il poeta al reale e con la poesia del "magma" Luzi rivela le contraddizioni e le incoerenze della società del benessere, sullo sfondo della "insignificanza" della vita per il vuoto di certezze e l'aridità che l'avvolgono.

Tanto nella fase ermetica quanto nella fase successiva, impegnata nel reale, Luzi esprime una profonda crisi esistenziale: l'effimero e l'eterno sono i due poli speculari per contrasto di uno stesso discorso intorno al metafisico.

Egli si interroga attraverso lo snodarsi della sua parola poetica sul valore della stessa parola in una civiltà che vede travolgenti trasformazioni che hanno messo in crisi e fatto scomparire messaggi e messaggeri.

“V'è in Luzi una appassionata ricerca su ciò che può restare stabile e saldo in un universo che sembra sfaldarsi da tutte le parti, che nel suo movimento vorticoso sembra rendere impossibile ogni persistenza. Si tratta di una poesia difficìle e spesso oscura, animata da una forte tensione intellettuale e insieme da una dolce e fragile passione per la vita delle cose; i problemi religiosi, morali, culturali, vi si intrecciano in un discorso naturale, che guarda con viva partecipazione al presente, ma come a distanza, cercando un tempo della poesia " (Ferroni, da Storia della Letteratura Italiana).

La verità è inafferrabile, siamo "perduti nella raggiante oscurità" (I pastori in Frasi e incisi di un canto salutare) e non si può fare altro che interrogare, senza aspettarsi nessuna risposta sicura, per dirla con Luzi "mordere la propria polvere" esprimendo attraverso l'arte "il quasi / non veduto, il quasi / non registrato dalla mente".

E ancora: "Mi trovo qui a quest'età che sai, /  né giovane né vecchio, attendo, guardo / questa vicissitudine sospesa; /  non so più quel che volli o mi fu imposto, /  entri nei miei pensieri e n'esci illesa. / Tutto l'altro che deve essere è ancora, /  il fiume scorre, la campagna varia, / grandina, spiove, qualche cane latra, / esce la luna, niente si riscuote, /  niente dal lungo sonno avventuroso" (Notizie a Giuseppina dopo tanti anni da Primizie del deserto).

L'assenza di certezze nel "magma" della realtà, l'aridità di un mondo sconvolto, l'amaro pessimismo, l'inutilità delle stesse domande esplodono drammaticamente, ma per poi essere superate nell'umano in "Vita fedele alla vita" da Su fondamenti invisibili: “... uno, la fronte sull'asfalto, muore / tra poca gente stranita /  che indugia e si fa attorno all'infortunio, /  e noi si è qui o per destino o casualmente insieme /  tu ed io, mia compagna di poche ore, /  in questa sfera impazzita /  sotto la spada a doppio filo /  dal giudizio o della remissione, /  vita fedele alla vita /  tutto questo che le è cresciuto in seno / dove va, mi chiedo, /  discende o sale a sbalzi verso il suo principio ...

Qui il mistero della vita si identifica con la stessa vita.

Ma Luzi va oltre.

Dio rimane nascosto e il rapporto con Lui risulta sempre problematico, ma la "raggiante oscurità" non è più soltanto un ossimoro retorico: "Non startene nascosto /  nella tua / onnipotenza. Mostrati..."; "Il roveto in fiamme lo rivela, / però è anche il suo /  impenetrabile nascondiglio" (Non startene nascosto da Frasi e incisi di un canto salutare).

Nei versi conclusivi de La lite, versi fortemente suggestivi per le arcane allusioni e il frequente polisenso, Luzi scrive: "Ed è a quella che s'avviano, /  certo, ignorando quel che sanno, / sapendo quanto non pensano / nemmeno di sapere ... / Si snebbieranno, / si purificheranno /  la leggeranno allora quella scrittura. / Eh, che sarà? /  non altro che un messaggio /  della vita a se medesima /  quel testamento / (vorrei, ma non è dato /  preavvisarli): il passato e il futuro /  vi coincidono, /  l'uno con l'altro si cancellano, /  il presente è eterno. La speranza non ha tempo, /  essa è dovunque. Purché leggano, /  leggano puramente".

La parola poetica è certamente un polisenso ma qui, attraverso i chiaroscuri di questi versi molto belli, possiamo cogliere, al di là della dimensione fenomenica, l'evocazione dì un'altra realtà (o di un Altro?) verso cui il poeta Luzi sembra tendere, segnando le tappe di un moderno "Itinerarium mentis in Deum".

Potrebbe essere questa una risposta (o una proposta) per un mondo che diventa sempre più muto perché l'egoismo ci rende ottusi, sordi, ottenebrati. Ecco la parola del poeta come reazione a tale alienazione.