L'ISTANZA METAFISICA IN PIRANDELLO
di
Vittoria Gigante
(“Il
Faro”, n° 11/12, luglio – dicembre 1998)
Più
che nelle opere teatrali o narrative, l’istanza metafisica di Luigi Pirandello
(considerato da molti critici il più autorevole rappresentante del Decadentismo
e emblematico testimone della crisi di un'epoca) è più facilmente ravvisabile
nelle poesie, alcune delle quali rivelano una sempre attuale problematica
esistenziale che prelude, con il vuoto assoluto che denuncia, ad un'esigenza
profonda di Dio, visto come Infinito verso cui tendere. "Fecisti nos ad Te
et inquietum est cor nostrum, donec in Te" scriveva sant'Agostino nelle sue
celebri Confessioni e questo vale per gli uomini
"inquieti" di tutti i tempi che si interrogano sul significato della
propria esistenza. Ma
torniamo alla produzione poetica di Pirandello; in Nuova Antologia
della raccolta Poesie Varie al titolo Depressione
leggiamo: "Atomo umano, enorme è la natura. / L'essere t'investe e ti
trascina. Invano / contenerlo vorresti ( ... ) / Atomo umano guarda in cielo le
nubi / estraneo a tutto sei, estraneo passi". In Andando ancora più drammaticamente Pirandello scrive parlando al proprio "io": "Nulla intanto ha davanti: un'ombra vana / un inganno mutevole, una meta / che quanto più t'accosti, s'allontana". In Lieta fa seguire ad uno struggente interrogativo una risposta desolata: "Dove io vada? / Non lo so. / Vado dove la mia sorte / mi conduce. / Senza luce / corro anch'io verso la morte". E alla maniera di Pascoli il “fanciullino” di Pirandello in Notte insonne sussurra: “Io
mi sento guardato da le stelle / e questa notte non posso dormire. / Mipar che
qualche cosa esse, sorelle / maggiori, a questa terra voglian dire. / O sorgive
di luci, la parola, / la parola tremenda del mistero / ditela a una vegliante
anima sola / perduta in mezzo al vostro cielo nero”. E
più oltre: "... ma tu più forte d'ogni intento sei, / ciel che l'anima
mia rapisci a volo / ( ... ) Tutte le fonti della vita insieme / non avran mai
poter di saziar / l'ardentissima sete / ... invan ti martella il mio pensier;
invan si ribella / in terra, invano si rifugia in alto. / È l'antica paura, è
l'appassito / istinto della fede, o questa nuova / smania, alla quale
nessun tetto giova, / che mi spinge a cercar nell'infinito?". Chi non ricorda a questo punto il "naufragar m'è dolce in questo mare" dell'Infinito di Giacorno Leopardi? Se
in La via Pirandello confessa: “Mi trovo qui per caso, di
passaggio. / ... E come farmi un qualche itinerario/ se finora non so perché
venni, onde venni; dove andrò?” in Primo rintocco tenta di trovare
la soluzione nel rimpianto di una ingenua fede paesana: "Don ... nel
silenzio batte una campana, / ... Ah, la rivedo! Mi chiamava, quando / andavo
anch'io, fanciullo, a messa: arcana / voce profonda, che destava, andando, /
quell'oscura viuzza suburbana. / Tremar mi sento in petto quella mia / fede
ingenua d'allora accesa ai ceri / che, nella chiesa buia, una malìa /
diffondevano insiem con gl'incensieri / fumanti e i rombi della cantoria... / O
donne avvolte negli scialli neri, / che andate in fretta alla chiesuola pia, /
attossicato da neri pensieri / è morto il bimbo che con voi venia". Nonostante
abbia scorto un barlume, Pirandello però continua ad interrogarsi senza sosta
in Esame: "Solo! E gli altri ove sono? lo dove sono?/ E che mi
giova che mi sia caduta / la benda a un tratto qui? Non luce o suono/ qui, ma più
buio entro la notte muta". Ma
poi riemerge la voce delle lontane memorie in Che fai?: "Batte
nel cuor di tutti una campana... / d'un tratto giunge a noi come un'arcana /
voce profonda, non udita mai... / "Ave Maria... Ave Maria" – Che
fai, anima sconsolata? / Lagrime amare ha chi pregar non sa... " Talvolta
lucidamente Pirandello riesce a fare una diagnosi del proprio male, che è poi,
montalianamente, il "male di vivere": "Tu brancoli nel
buio della sorte / così, perché nell'anima smarrita / un pensier della morte
non ti guida... solamente luce / chiedo perciò... / e avanti, avanti, nella
notte sola / gelida, nera, mi conduce fino / all'orlo di un abisso, e lì mi
lascia... / Una barca che salpi oltre l'estremo / lido in cui ridotto non mi dai
/ per questo tenebroso ignoto mare". A
questo punto Pirandello, che non riesce ad acquietarsi nel suo gelido
nichilismo, mette a nudo in Torna Gesù la sua "pietà",
rivelando la forza di un'insopprimibile ansia metafisica in una accorata
invocazione che è grido, rimpianto e preghiera. Pirandello
ha trovato il misterioso interlocutore con il quale rapportarsi, il Tu
di un dialogo mai realizzato in pieno, ma mai interrotto, con l’infinito. |