Gli studi sulla mummificazione

  Nella religione egizia l'idea della resurrezione era fortemente radicata. Il Ba ed il Ka lasciavano temporaneamente il corpo nel momento del decesso per poi fare ritorno. Il Ba era il portatore delle eterne energie, il Ka rappresentava una specie di spirito custode. Pur nascendo con la persone le sopravvivevano. Quando facevano ritorno bisognava che ritrovassero l'antico corpo, ecco perchè esso non doveva marcire. Inoltre ogni salma mummificata rappresentava Osiride, il dio dei defunti. Soltanto lui aveva il potere di dare la vita al morto. Gli egizi si resero presto conto che l'imbalsamazione risultava imperfetta se non toglievano le parti molli e le interiora. L'operazione più difficile fu quella dell'estrazione del cervello, non si dovevano produrre ferite visibili. Non si sa quando vennero impiegati per la prima volta i famosi uncini. Il professor Sudhoff, nato a Francoforte era un'anatomista direttore dell'Istituto di Medicina, aveva dimostrato che un solo uncino ricurvo era necessario per far uscire la materia cerebrale.(Foto 1) Nel 1908 sperimentò un uncino, leggermente ricurvo lungo una trentina di centimetri, fornitogli da un collezionista berlinese, sul cadavere di un ignoto suicida. Sudhoff pubblicò i risultati tre anni dopo: 
"Lo sfondamento della lamina cribosa,scrisse, non presentò difficoltà; altrettanto facile risultò la rottura della lamina perpendicularis, anzi la completa distruzione delle conche nasali. La penetrazione nella cavità cranica comportò lo smembramento del tentorio e di tutte le parti membranose, colpendo con la punta o col dorso ricurvo e ottuso dell'uncino; poi si rimestò la materia cerebrale già un po' macerata. Quindi mettemmo il cadavere in posizione prona; in quindici, venti minuti, stimolato leggermente dall'uncino il cervello fuoriuscì".
Più facile era strappare gli organi interni.( Foto 2 ) Diodoro precisa quanto descritto da Erodoto: "Veniva tracciata sul lato sinistro del corpo la linea del taglio, poi la carne veniva tagliata con una pietra etiopica. Questa poteva essere ossidiana, presente sulle rive del Nilo ( corso superiore ). L'ossidiana è un caratteristico materiale d'opera presente nel Neolitico dell'Asia anteriore, un vetro vulcanico usato soprattutto per costruire lame, punte di frecce e raschietti. Deve, si dice, il suo nome al romano Obsius che la trovò in Etiopia.
Karl Sudhoff ha minuziosamente ricostruito il lavoro degli imbalsamatori-chirurgi egizi: il diaframma veniva aperto dal basso, si tagliavano i bronchi o la trachea per liberare i polmoni, la stessa cosa si faceva con l'aorta. L'operatore introduceva il braccio destro nell'apertura addominale, toglieva i visceri intestinali, poi svuotava la cavità toracica. La perforazione del diaframma consentiva di estrarre i polmoni e i grossi vasi. E' ormai assodato che fino al 1070-945 a.C. il fegato, i polmoni, lo stomaco e gli altri visceri furono conservati nei canopi. I quatto figli di Oro dovevano custodirli ( Foto 6 ): Amset il fegato, Hapi i polmoni, Duamutef lo stomaco e Kebehsenuef gli altri visceri. Secondo la moderna anatomia, ciascun organo interno poteva essere tolto in due modi: Il primo: appena qualche giorno dopo la morte, iniziato il processo di decomposizione, era possibile togliere tutte le interiora con le mani."Ma" obietta il professor Sudhoff, "uno stadio di marcesenza così avanzato da rendere possibile la rottura del diaframma con una mano, l'asportazione manuale della trachea e dell'aorta, la perforazione digitale avrebbe reso illusoria qualsiasi speranza di poter poi identificare i singoli organi, ormai decomposti, spappolati e distrutti".Il secondo modo: coloro che eseguivano la sezione cadaverica, devono aver usato un coltello con la lama ad uncino (ne sono stati trovati, di bronzo, negli scavi: lunghi come una mano di media grandezza, hanno la punta tagliente e piegata su un lato, il resto della lama è ottuso). Impugnatolo, il chirurgo poteva quindi immergere il braccio. L'impugnatura dello strumento finisce a scalpello: poteva essere usato anche per raschiare. Impossibile inventare un bisturi migliore per quel tipo di operazione. Il tutto faceva parte di un consacrato rituale. Gli esecutori non erano chirurghi di professione, ma sacerdoti, i cosiddetti sacerdoti di Ut, gli stessi che poi portavano avanti il processo di imbalsamazione. Contrariamente a Sudhoff, secondo il quale i cadaveri venivano immersi in una liscivia di sodio, oggi la scienza afferma che i corpi venivano trattati a secco (cosparsi di sodio asciutto, di un miscuglio naturale con carbonato, bicarbonato, cloruro e solfato di sodio).( Foto 4 ) Protraendosi per trentacinque giorni, questo trattamento eliminava dai tessuti ogni traccia di liquido. La tecnica della disidratazione è provata soltanto dal fatto che a noi sono giunti i tavoli anatomici, sui quali essa poteva essere praticata; di mastelli per la liscivia disidratante, invece, non ne abbiamo notizia. Dopo un simile trattamento chimico, il cadavere appariva piuttosto malconcio. Ecco perchè i mummificatori facevano ricorso ad ogni sorta di cosmetici per abbellire il morto: tingevano mani, piedi e i capelli con l'henna ( che gli egizi chiamavano puker ), un pigmento fulvo-brunastro tratto da un albero spinoso delle borraginacee. Le altri parti del corpo non coperte dalle bende venivano dipinte con l'ocra rossa ( uomini ) e con l'ocra gialla ( donne ). I sacerdoti di Ut provvedevano a livellare le parti infossate ( pancia, seni, natiche ) con imbottiture di tela immerse in una massa attaccaticcia, con colla, segatura o fieno. Gli occhi artificiali dovevano assomigliare il più possibile a quelli veri. Poi cominciava l'imbalsamazione vera e propria:
Vino, olio, grassi, resine e miele dovevano togliere ogni odore sgradevole alla salma. ( Foto 3 )Soltanto due sono i papiri che lo descrivono, conservati rispettivamente al museo del Cairo e al Louvre. In caratteri ieratici, essi riproducono un originale più antico. Purtroppo sono tutti e due incompleti e non forniscono nessun particolare tecnico sull'imbalsamazione, alla quale possiamo però risalire partendo dagli elementi rituali ( che, a loro volta, costituiscono un terzo papiro: libro con il rituale dell'imbalsamazione del toro Api ). Il papiro cairota fu studiato dall'egittologo Ellio Smith, che nel corso della sua attività aveva esaminato migliaia di mummie. Eseguì perizie su circa venticinquemila teschi alla ricerca di deformazioni ossee; su altri cinquecento riscontrò la paradentosi. Il professor Smith, in collaborazione con il collega Warren R. Daeson, sulla base del papiro cairota, ha ricostruito dodici indicazioni su come imbalsamare un cadavere:
  1. Come i sacerdoti di Ut devono usare l'incenso per la testa della mummia:
  2. Come prendere un vaso e utilizzare gli unguenti in esso contenuti per eseguire l'apertura della bocca: Un inserviente deve ungere tutto il corpo fino ai piedi, tranne la testa.
  3. Indicazione completamente oscura: si riferisce ad un' ulteriore unzione e accenna ai figli di "Oro"; evidentemente in collegamento con gli organi interni imbalsamati a parte:
  4. Come frizionare con il grasso la schiena ai "figli di Oro".
  5. Altre indicazioni sul modo di ungere e di bendare il dorso e sull'introduzione dei medicamenti nel cranio:
  6. Ricoprire d'oro le unghie e avvolgere le dita con lini di Sais.
  7. Anubis (durante le cerimonie era rappresentato da un sacerdote ), direttore dei misteri e mummificatore, protagonista delle cerimonie.
  8. Un lungo brano indica come imbalsamare e bendare il corpo. Veniamo così a conoscenza dei singoli nomi magici dati alle bende destinate a coprire ciascuna parte della testa, per esempio di che tipo fosse e come si chiamasse quella lunga serie di bende destinate alle orecchie, alle narici, alle guance, alle sopracciglia, alla bocca, al mento e alla nuca.Una fascia larga due dita terrà unite tutte le bende che avviluppano la testa, sulla quale sarà poi versato abbondante olio fluido.( Foto 5 )
  9. Come trattare ulteriormente la testa con incenso e grasso e introdurre tra le bende determinati aromi.
  10. Particolari indicazioni su come ungere e bendare le mani. Uso di un unguento composto in parti uguali di fiori d'"amu", di resina di Koptos e di natron. Le bende vengono identificate con dei e dee. ( un fregio sul papiro mostra diverse divinità: portano bende alla mummia che riposa su un divano).
  11. Un brano somigliante che descrive bende: piccole figure di divinità, cui vengono fasciate le mani.
  12. Indicazione per ungere e bendare le braccia, i piedi e le gambe.

Il processo di mummificazione non poteva durare meno di tre mesi. Diciassette giorni occorrevano soltanto per la fasciatura. troviamo questo dato in due papiri scoperti verso la metà del secolo scorso dall'avvocato scozzese Alexander Henry Plind in una tomba privata tebana della Ventottesima dinastia. A Tebe Ovest, dissotterrò una intere serie di papiri, poi chiamata Plind. Uno di essi descrive la mummificazione di un uomo, l'altro quella di una donna. I due documenti affermano che la testa veniva mummificata per sette giorni; gli organi interni per quattro giorni; due per le braccia e due per le gambe: una giornata per la schiena e una per il petto.
Da un brano tratto dal papiro Plind numero uno:
La grande Iside, madre del dio, dirige il sepolcro di N. (segue il nome, titolo e discendenza del defunto). Duecento e sei giare di grasso sono state cotte, come si fa per le bestie sacre. Sei stato frizionato col balsamo di Oro, padrone del laboratorio; Shesmu con le sue dita ha avvolto la divina benda per rinserrare nel bozzolo del dio e della dea il tuo corpo. Anubis, l'imbalsamatore, ti ha riempito il cranio di resina, di chicchi degli dei, d'olio di cedro, di tenero grasso di bue e d'olio di cannella. tutte le tue membra sono state avvolte nella mirra. In sacre bende il tuo corpo è stato avvolto. Vieni fuori e guarda il sole invernale del ventiseiesimo giorno di Farmuti. ( Il quarto mese invernale, dura dal 15 gennaio al 15 febbraio).
Dalla morte erano passati settanta giorni. Una o due giornate dopo il luttuoso evento si cominciò a pulire e disidratare (durata: cinquantadue giorni); diciassette per conservare e mummificare. Quindi la mummia venne deposta nella bara dai sacerdoti di Ut. Il cadavere, diventato Osiride, fu vegliato per altri tre giorni e altrettanti notti. Poi giunse il momento di portare il sovrano alla sepoltura.

 


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