"DIU SATIS"
LETTERA ENCICLICA
AI VENERABILI FRATELLI PATRIARCHI
PRIMATI ARCIVESCOVI VESCOVI
E AGLI ALTRI ORDINARI
AVENTI CON L’APOSTOLICA SEDE
PACE E COMUNIONE.
PIO PP. VII
VENERABILI FRATELLI
SALUTE E APOSTOLICA BENEDIZIONE
Ci sembra di aver taciuto abbastanza a lungo con voi: ora sono trascorsi già due mesi di inquietudini e di fatiche, da quando Dio impose alla Nostra debolezza questo peso così grande, mettendoCi a capo di tutta la sua Chiesa; e Noi dobbiamo, non tanto per la consuetudine invalsa fin dai più antichi tempi, quanto per l’amore che vi portiamo (amore che, incominciato già da molto per i frequenti rapporti di collegio, sentiamo ora straordinariamente accresciuto e completo) parlarvi almeno per lettera; e nulla può esserCi più soave e gradito. A far questo Ci stimola con forte spinta la natura di quello che è il Nostro particolare dovere, natura così bene espressa dalle parole: "Conforta i tuoi fratelli". E infatti, in questi tristi tempi di scompiglio, Satana, più che mai, "ci cerca tutti per vagliarci come grano". Tuttavia, chi è tanto stolto e tanto avverso a Noi da non capire e vedere che Cristo Signore, anche in simili circostanze difficili e ostili, fece ciò che si può constatare, poiché aveva promesso di "pregare per Pietro, affinché non venisse meno la fede in lui"?
I posteri certo saranno meravigliati per la sapienza, la grandezza d’animo e la costanza di Pio VI, al quale Noi siamo subentrati nel potere; così gli fossimo succeduti anche in quella virtù, che non poté essere distrutta né fiaccata dall’impeto di nessuna avversità né dall’accumularsi delle sciagure. Possiamo dire che egli rinnovò la forte e fedele difesa della verità e la fermezza nel sopportare affanni e stenti di quel Martino (nota 1) dal quale un giorno provenne così grande lode alla Nostra Sede; infatti, ferocemente cacciato dalla sua città a dalla sua Sede, spogliato di ogni autorità, onore e bene di fortuna, spinto a emigrare altrove appena gli sembrava di aver trovato un posto tranquillo; condotto in terre così lontane, sebbene fosse vecchio e ammalato da non poter fare il viaggio a piedi, sentiva per soprappiù le minacce di un esilio più crudele, e non avrebbe avuto di che nutrire sé e il suo esiguo seguito se qualche anima generosa non lo avesse soccorso; nonostante che ogni giorno la sua solitudine e la sua debolezza fossero messe a dura prova, tuttavia non venne mai meno a sé stesso, non si lasciò ingannare da nessuna frode, né turbare da alcun timore, né lusingare da speranze, né fiaccare da disagi e pericoli; e i suoi nemici non poterono cavargli fuori né una lettera né una parola che non provasse a tutti che Pietro "era vissuto fino a questo tempo nei suoi successori e rendeva giustizia, il che è non dubbio per nessuno ed è più che noto fin dalla prima età" come disse un autore assai quotato nel Concilio di Efeso. Si deve considerare di molta importanza e ricordare con animo grato il fatto che a Pio VI fu da Dio donata la morte (bisogna infatti dire così piuttosto che parlare di vita tolta) in un tempo nel quale più nulla ormai impediva che si eleggesse il suo successore secondo il rito.
Ricordatevi, Venerabili Fratelli, come eravamo preoccupati e trepidanti quando i Cardinali della Santa Romana Chiesa, cacciati anch’essi dalle loro sedi, in gran numero imprigionati, in parte uccisi, moltissimi costretti a attraversare il mare con un tempo orribile, spogliati dei loro beni, poveri, i più separati fra loro da grandi distanze, senza il permesso (poiché le strade erano occupate dal nemico) né di corrispondere fra loro per lettera, né di andare dove volevano e dovevano, davano a pensare che in nessun modo avrebbero potuto riunirsi per rimediare alla vedovanza della Chiesa secondo gli antichi costumi e usanze, se per caso Pio VI, che di giorno in giorno, a quel che sentivamo dire, era in pericolo di vita, avesse dovuto soccombere. Chi allora, in così sciagurate e quasi disperate circostanze, avrebbe osato sperare, in base solo a possibilità umane spirituali e materiali, ciò che doveva avvenire per singolare benevolenza divina, che cioè Pio VI non avrebbe lasciato questa vita prima che, stabiliti i comizi pontifici da tenersi dopo di lui, calmata quasi tutta l’Italia, riordinato tutto il Veneto, moltissimi Cardinali potessero trovarsi presenti a votare a favore e protezione del carissimo Nostro figlio in Cristo Francesco (nota 2), nominato Apostolico Re d’Ungheria, illustre Re di Boemia e Imperatore dei Romani?
Riconoscano da ciò gli uomini che invano si tenterebbe di rovesciare la "Casa di Dio", che è la Chiesa costruita su Pietro; il quale è Pietra di fatto e non solo di nome; e che contro questa Casa di Dio "le porte dell’Inferno non potranno prevalere, perché ha le fondamenta sulla pietra". Tutti coloro che furono nemici della Religione cristiana, combatterono anche una nefanda guerra contro la Cattedra di Pietro, e finché questa resisteva, quella non poteva vacillare né indebolirsi: "e per l’ordinazione e la successione dei suoi Pontefici", proclama a tutti Sant’Ireneo (nota 3) "venne fino a noi quella che è la proclamazione della verità e la più chiara dimostrazione che unica e identica è la Fede vivificatrice, che nella Chiesa fu conservata dai tempi degli Apostoli fino a ora, e tramandata in spirito di verità".
Certamente per questa strada sono passati anche coloro che nella Nostra epoca cercarono di sostituire non so quale pestifera infezione di falsa filosofia a quella filosofia (come chiamano benissimo la dottrina cristiana soprattutto i Padri greci) che il Figlio di Dio con la sua eterna sapienza portò giù dal Cielo e impartì agli uomini. E benissimo contro di loro si scaglia con queste parole Paolo: "Sta scritto: accuserò la sapienza dei sapienti e disapproverò la prudenza dei prudenti; dove un sapiente, dove uno scriba, dove un ricercatore in questo secolo? Non fece Dio stolta la sapienza di questo mondo?". Tanto più volentieri ricordiamo queste parole, Venerabili Fratelli, in quanto ristorano straordinariamente lo spirito e lo elevano e lo infiammano a non evitare nessuna fatica e nessuna lotta per la Chiesa di Cristo, che Egli consegnò e raccomandò a Noi (a Noi che non solo non osavamo desiderare questo, ma neppure Ci pensavamo, e anzi eravamo alquanto intimoriti), perché la governassimo proteggendola, la onorassimo e la ingrandissimo. Ed Egli sicuramente "farà sì che Noi siamo adeguati ministri del Nuovo Testamento, cosicché l’elevazione deriverà dalla virtù di Dio e non da Noi". Per la qual cosa "cerco ora di commuovervi sinceramente" o Venerabili Fratelli (ciascuno dei quali sarà certamente inquieto e premuroso per conto suo), affinché siate d’accordo con Noi e portiate all’opera la vostra zelante e diligente collaborazione.
Abbiate sempre presente nell’anima quel che Gesù Cristo implorò da suo Padre: "Padre santo, conservali nel tuo nome, affinché siano una sola cosa, come noi... non solo per loro (cioè per gli Apostoli), ma anche per coloro che attraverso le loro parole crederanno in me, io prego che tutti siano una cosa sola, come tu, Padre, in me e io in te; che essi tutti siano una cosa sola in Noi".
Soprattutto è nostro dovere "mantener saldamente e difendere tale unità", come ammonisce Cipriano (nota 4) (Dell’unità della Chiesa); guardando e ammirando questa, continua a pregare Gesù Cristo, "il mondo abbia fede che sei Tu che mi hai mandato".
Perciò, fiduciosi nell’aiuto di Cristo che Ci assiste e non si allontana mai dal Nostro fianco e Ci dà forza con queste parole: "Non sia turbato il vostro cuore e non tema; come credete in Dio, così credete anche in me", dedichiamoci, riunendo il nostro zelo e la nostra alacrità, alla comune salute.
Città, castelli, campagne, distretti, province, regni, nazioni, già da tanti anni saccheggiati, torturati, immiseriti, rovinati, bramano un rimedio che li ristori: e questo non dobbiamo sperare di trovarlo altro che nella dottrina di Cristo. E possiamo ora con maggiore fiducia incitare quelli che ne sono ancora lontani, con le parole di Agostino: "Diano un esercito di soldati quali la dottrina di Cristo comandò che fossero, diano provinciali, mariti, mogli, genitori e figli, padroni e servi, re e giudici, infine contribuenti del fisco ed esattori come la dottrina di Cristo prescrive che siano", e non potendo ottenere ciò "non esitino a proclamare che questa sarebbe la più sicura salvezza dello Stato, se si obbedisse".
È dunque Nostro dovere, Venerabili Fratelli, soccorrere gli uomini e le popolazioni in angustie e scacciare dalle teste di tutti i mali che incalzano e minacciano e il pensiero dei quali Ci fa piangere; infatti "Gesù Cristo diede pastori e dottori per il compimento degli atti sacri, per il ministero e l’edificazione del corpo di Cristo: fino a che tutti siano giunti all’unità della Fede e della conoscenza del Figlio di Dio".
E se qualcosa per caso distogliesse o impedisse alcuno di Noi dal diligente compimento di tale opera, di quale vergognoso delitto si renderebbe egli colpevole! Pertanto, o Venerabili Fratelli, vi preghiamo prima di tutto e scongiuriamo ed esortiamo e ammoniamo e inoltre vi ordiniamo di non trascurare nessun atto di vigilanza, di diligenza, di fatica per "custodire il deposito" della dottrina di Cristo; poiché sapete bene quali cospirazioni e da chi siano state fatte per perderlo.
E non annoverate nel Clero nessuno; non affidate a nessuno "l’amministrazione dei misteri di Dio"; non tollerate che nessuno riceva le confessioni o parli al pubblico dei fedeli; non date a nessuno alcuna funzione o incarico prima di avere attentamente esaminato, indagato e accuratamente provato se la sua anima sia conforme a Dio. Poiché "così non avessimo imparato per esperienza che grande quantità di pseudo-apostoli si sono diffusi in quest’epoca, pseudo-apostoli che sono subdoli lavoratori i quali si fanno passare per Apostoli di Cristo", dai quali, se non facciamo attenzione, certamente "saranno corrotti i fedeli, come Eva fu sedotta dal serpente con l’astuzia, e decadranno dalla semplicità cristiana". E bisogna che voi "badiate bensì a tutto il gregge nel quale lo Spirito Santo vi pose come Vescovi"; ma soprattutto i fanciulli e gli adolescenti reclamano la vigile, zelante, attiva opera del vostro paterno amore e della vostra benevolenza: i fanciulli e gli adolescenti che Gesù Cristo così caldamente raccomandò a Noi, sia con l’esempio che con le parole; e coloro che tentano di rovesciare le istituzioni pubbliche e private e di mettere sottosopra tutti i diritti umani e divini, hanno fatto ogni sforzo per avvelenare e corrompere le loro tenere anime, sperando così di compiere i loro premeditati misfatti. E infatti non ignoriamo che essi sono simili a cera molle e possono essere facilmente maneggiati, piegati da tutte le parti e plasmati: e una volta assunta una forma, crescendo induriscono in questa e la mantengono molto tenacemente, respingendone ogni altra; donde quel proverbio che va per le bocche di tutti: "Chi segue una data via nell’adolescenza, anche invecchiando non se ne allontanerà". Non fate in modo, dunque, Venerabili Fratelli, "che coloro che si occupano di cose mondane siano più saggi di coloro che seguono nella loro vita giustizia e verità". Considerate attentamente a quali uomini siano affidati i fanciulli e gli adolescenti nei seminari e nei collegi, in quali discipline siano istruiti, quali maestri siano scelti nei licei, che lezioni si tengano; sorvegliate assiduamente, indagate, esplorate ogni cosa; scacciate e tenete lontani "i lupi rapaci che non risparmiano" il gregge degl’innocenti agnelli; e se per caso si sono introdotti in qualche luogo spingeteli fuori e sterminateli immantinente, "secondo il potere che Dio vi diede per l’edificazione".
La salute stessa della Chiesa, dello Stato, dei Principi e di tutti i mortali, salute che dobbiamo considerare molto più cara e più importante della nostra vita, esige che questo potere sia tutto da Noi esplicato nel distruggere quel mortale flagello dei libri.
Questo argomento trattò largamente e a fondo con voi il Nostro Predecessore Clemente XIII di felice memoria in una sua Lettera direttavi il 25 Novembre 1766. E non parliamo soltanto di strappare dalle mani degli uomini, di distruggere completamente bruciandoli quei libri nei quali si dà contro la dottrina di Cristo apertamente; ma anche e soprattutto bisogna impedire che arrivino alle menti e agli occhi di tutti quei libri che operano più nascostamente e più insidiosamente. Per riconoscerli "non c’è bisogno", dice Cipriano (Dell’unità della Chiesa), "di un lungo trattato e di argomentazioni; in breve, vi è una facile prova di verità: Dio dice a Pietro: Pascola le mie pecore". Dunque le pecore di Cristo debbono ritenere salutare per loro quel pascolo nel quale le ha poste la voce autorevole di Pietro, a esso debbono dedicarsi e con esso nutrirsi: e stimare assolutamente peccaminose ed esiziali le cose dalle quali tale voce li richiami e li distolga; e non debbono lasciarsi attrarre da alcuna apparenza né travolgere da alcuna seduzione. Coloro che non si mostrano così obbedienti, non si possono certo annoverare fra le pecorelle di Cristo. Su questo punto, Venerabili Fratelli, non possiamo chiudere gli occhi, né tacere, né essere troppo indulgenti: se infatti non è frenata e repressa così grande libertà di pensiero e di parola, di leggere e di scrivere, sembrerà che per tanto tempo siamo stati sollevati dal male che da così lungo tempo ci affligge, per il senno e le forze dei più sapienti e potenti re e duci; ma che, scomparsa ed estinta la loro stirpe (inorridiamo nel dirlo, pure bisogna dirlo) quello dilagherà di più e acquisterà forza abbracciando tutta la terra, né per l’avvenire basteranno a distruggerlo o ad allontanarlo legioni di soldati, guardie, sentinelle, munizioni di città e fortificazioni di imperi. Ognuno di noi, Venerabili Fratelli, si sente commosso ed esaltato dal fatto che Dio ci assegnò il Profeta Ezechiele: "O figlio dell’uomo, io ti ho posto come vedetta nella casa di Israele: tu udrai dalla mia bocca la mia parola e l’annuncerai loro. Se quando io dico all’empio: morrai di morte, tu non glielo annuncerai... l’empio morrà nella sua malvagità: e io esigerò da te il suo sangue". Queste parole, lo confessiamo, Ci vanno stimolando giorno e notte, e non Ci permetteranno mai di essere incerti o esitanti nell’adempimento del Nostro dovere; e vi promettiamo e garantiamo che non solo saremo il vostro collaboratore e fautore, ma anche il primo e il capo.
E inoltre vi è, Venerabili Fratelli, un altro "deposito da custodire" e da difendere con animo più che mai saldo e costante, quello cioè delle più sante leggi della Chiesa, sulle quali essa stabilì quella sua disciplina in cui sta il potere, per le quali fioriscono la pietà e la virtù, e per le quali la Sposa di Cristo "è forte come un esercito schierato in campo"; e la maggior parte delle quali sono gettate come fondamenta a sostenere il peso della Fede, per servirCi delle parole di San Zosimo (nota 5).
Nulla può essere più vantaggioso e glorioso per i capi di città e per i re che "lasciare", come l’altro valorosissimo e sapientissimo Predecessore Nostro San Felice (nota 6) prescriveva all’Imperatore Zenone, "lasciare... che la Chiesa Cattolica si serva delle sue leggi, e non permettere che alcuno si opponga alla sua libertà... Infatti è certamente salutare per i loro interessi che, trattandosi di cose divine, secondo la sua legge, cerchino di subordinare la loro regia volontà ai sacerdoti di Cristo, non di anteporla".
Per quel che riguarda "il deposito" dei beni della Chiesa, "le quali ricchezze sono i voti, il sacro denaro, la sostanza delle cose sante, le cose di Dio", come spiegano esplicitamente i Padri, i Concili e le Sacre Scritture, che cosa mai, Venerabili Fratelli, potremmo prescrivervi ora che la Chiesa è miserabilmente spoglia e priva di essi? Una cosa sola: di adoperarvi e di sforzarvi affinché tutti comprendano e si imprimano nell’anima ciò che un tempo il Concilio di Aquisgrana rinserrò in questa breve e chiara e meditata sentenza conclusiva: "Chiunque abbia portato via o abbia macchinato di portar via le cose che altri fedeli abbiano recate, prendendole fra i loro beni, per onorare Dio e ornare la sua Chiesa e per uso dei ministri di questa, allo scopo di risanare le loro anime: certamente ha trasformate in pericolo per l’anima sua le cose che gli altri hanno date".
Abbiamo tutte le ragioni di affermare quanto segue col Nostro Precursore Sant’Agostino: "Non certamente da ostinata ricerca di vantaggi secolari, ma dalla considerazione del giudizio divino siamo spinti a ridomandare quelle cose che abbiamo l’ordine di amministrare con fedeltà e prudenza". È chiaro che i re cristiani non lasciano vane le Nostre preghiere, esortazioni, ammonimenti o atti d’autorità, e così pure i capi di Stato, che affermano giustamente di essere stati chiamati da Isaia "balii" della Chiesa, e tali si vantano di essere; e la loro pia devozione, la loro giustizia e sapienza e fede, Ci danno tanta speranza e destano in Noi una così fiduciosa aspettativa, che riteniamo cosa sicura che essi faranno in modo che siano restituite immediatamente "a Dio le cose di Dio", e che non correranno il rischio di sentir risonare alle loro orecchie queste parole di lamento di Dio: "Avete preso il mio argento e il mio oro, e le cose mie più belle e desiderabili".
E non saranno diversi dai grandi Costantino e Carlo (nota 7), dei quali andò famosa la generosità e l’equità verso la Chiesa: uno dei due confessò "di aver conosciuto molti regni e di aver visto i loro re cadere per aver spogliata la Chiesa"; per la qual cosa dichiara e imprime nell’anima ai suoi figli e a coloro che in seguito reggeranno lo Stato: "Per quanto è in nostro potere, in nome di Dio e di tutti i benefici dei Santi, proibiamo e impediamo che essi facciano tali cose, e che diano il loro consenso a coloro che le vogliono fare, ed esigiamo che siano con tutte le loro forze collaboratori e difensori della Chiesa e del culto divino". E non bisogna nascondervi, o Venerabili Fratelli, alla fine di questa lettera "che grande è la mia tristezza e non ha tregua il dolore del mio cuore", per i figli Nostri, che sono i popoli di Francia e tutti gli altri presso i quali non è ancora raffreddata la stessa furente pazzia. Che cosa potremmo desiderare di più che dare la vita per loro, se la loro salvezza potesse essere pagata con la Nostra morte? Non neghiamo, anzi teniamo sempre presente, che a diminuire e a sollevare il Nostro acerbo dolore molto valgono l’invitta forza d’animo e la costanza che moltissimi di voi hanno dimostrata, che ogni giorno abbiamo in mente e che uomini di ogni genere, età, classe sociale hanno seguito con meraviglioso impeto: uomini che hanno preferito patire ogni specie d’ingiurie, di pericoli, di supplizi, persino incontrare la morte, e hanno stimato tutto ciò più nobile per loro, che lasciarsi imbrattare da illeciti e delittuosi sacramenti, vincolarsi al delitto e disobbedire ai decreti e ai precetti della Sede Apostolica. A memoria Nostra, sono rinnovate tanto la virtù che la crudeltà dei primi tempi. E non vi è nessun popolo, in nessuna parte, che non sia compreso nel Nostro pensiero e nel Nostro paterno vigile amore; nessuno per il quale non Ci rattristiamo e non Ci affliggiamo crudelmente a causa del suo dissidio da Noi e dalla verità, e al quale non verremmo con esultanza in aiuto.
Unitevi a Noi nelle Nostre preghiere, affinché dopo tante e lunghe agitazioni "la Chiesa abbia pace, affinché sia edificata nel timor di Dio e nella consolazione dello Spirito Santo, e nulla ormai impedisca che di tutte le nazioni si faccia un solo ovile ed un solo pastore".
Frattanto, a voi che siete così ben disposti e pronti e al Gregge che governate, con tutta l’anima impartiamo l’Apostolica Benedizione.
Venezia, dal Monastero di San Giorgio Maggiore, il 15 Maggio 1800, anno I del Nostro Pontificato.
PIUS PP. VII.
Nota 1. Si rievoca qui la leggendaria vita del primo papa di quel nome: Martino I, Santo e Martire, Pontefice del 649 al 654, perseguitato dall’imperatore Costante II che lo fece arrestare e deportare, trascinandolo di prigione in prigione fino a Costantinopoli e poi in Crimea, dove a Chersoneso (l’attuale Sebastopoli) moriva di stenti.
Nota 2. Francesco d’Austria (Firenze, 1768 - Vienna, 1835). Dal 1792 al 1805 ebbe il titolo di Imperatore dei Romani; nel 1805, con la scomparsa della ormai simbolica corona imperiale d’Occidente, assunse quello d’Imperatore d’Austria. Il giudizio sulla sua benevolenza nei riguardi della Chiesa, nelle parole pontificie, è assai più indulgente di quanto la realtà storica potesse comportare.
Nota 3. Sant’Ireneo, Padre della Chiesa greca, vissuto nel secolo II, fu discepolo di San Policarpo e ne poté raccogliere ancor viva la tradizione apostolica. Passato in Gallia, diventò vescovo di Lione. Nel 190-191 intervenne presso il papa Vittore per la questione della Pasqua, per preservare l’unione tra la Chiesa romana e quella d’Asia. Ci restano di lui importanti opere apologetiche, lettere, discorsi e trattati.
Nota 4. San Cipriano dal 249 al 258 vescovo di Cartagine. Durante la persecuzione di Valeriano fu esiliato quindi ricondotto nella sua sede episcopale e decapitato. Gli atti dal suo processo sono tra i più precisi e attendibili che si posseggano. Lasciò numerosi scritti.
Nota 5. San Zosimo papa succedette a Sant’Innocenzo I nel pontificato nell’anno 417; morì l’anno dopo. In una lettera chiamata "Tractoria" definì il dogma del peccato originale e quello della grazia. È ricordato ancora per la condanna di alcune eresie del suo tempo.
Nota 6. Si allude al Pontefice Felice III (483-492), assertore di fronte all’imperatore d’Oriente Zenone della supremazia della Chiesa sul potere civile.
Nota 7. Costantino: imperatore (271-275). A lui è attribuita la donazione che avrebbe creato il potere temporale del Papato. Carlo, detto Carlomagno, re dei Franchi e poi imperatore (742-814); incoronato a Roma il 25 dicembre 800 dal Papa Leone III.
PIO PP. VII