Medici di guerra inviati di pace
   Medici ed infermieri per una speranza di pace

Infermieri in Afghanistan

portare la professione dove più se ne sente il bisogno

Può sembrar ogni volta incredibile, ma poi accade, ritrovarsi stupiti in un ospedale nel mezzo di una zona semidesertica in Afghanistan. Soprattutto quello che stupisce e la funzionalità dell’ospedale, la sua pulizia, la sua flessibilità ad adattarsi al cambiamento del contesto in cui è nato e lavora.

Non è il primo ospedale di Emergency che vedo, ma ogni volta mi meraviglio di quanto si possa fare con la volontà di garantire gli stessi diritti che vorremmo per la nostra gente, a popolazioni abituate alla mancanza  dei beni più elementari tra i quali di sicuro c’è un’assistenza sanitaria decente

Lashkargah, AfghaL'ospedale di Emergency in LasHgar Gahnistan sud occidentale, quasi 800 metri sul livello del mare, significa un’area quasi desertica dove crescono pochi alberi in un paese che ha catene montuose altissime e la sua capitale a quasi 1800 metri di altitudine.

È un paese sempre in bilico l’Afghanistan, tra le spinte integraliste talebane per un isolamento islamico del paese, e la presenza sempre più intensa di forze armate straniere che partecipano a quella che indebitamente viene chiamata “la ricostruzione dell’Afghanistan”

Non si ricostruisce niente in Afghanistan, troppo grande la frattura tra la parte talebana radicata nella popolazione ed il governo tenuto in piedi dal mondo occidentale.

Jung (guerra in lingua Dhari, che deriva dall’antico persiano), è l’unico frutto di questo paese, una guerra che condiziona tutto: gli spostamenti della popolazione, le aspettative di vita, i raccolti, l’alimentazione, l’educazione delle nuove generazioni, fino ad arrivare all’assistenza sanitaria.

Gli ospedali pubblici afgani, sono tutti a pagamento, si paga la retta per il letto, il medico che ti cura, le siringhe ed i medicinali che ti vengono prescritti (si comprano nelle farmacie intorno all’ospedale), fino a dover dare dei soldi all’infermiere che ti assiste. La qualità di queste strutture ospedaliere poi molto al di sotto anche solo della dignità umana.

E’ per questo che l’ospedale di Emergency viene recepito dalla popolazione di Lashkargah come un punto di riferimento, l’unica struttura sanitaria nell’arco di  migliaia di chilometri, completamente gratuita, aperta a tutta la popolazione, e con standard clinici ed assistenziali elevati.

Il motto degli italiani che ci lavorano è: se l’ospedale va bene per ricoverarci mia moglie, mia figlia i miei genitori allo va bene per la popolazione civile.

Una struttura in muratura, con quattro reparti di degenza, due camere operatorie, una terapia intensiva, un pronto soccorso, un laboratorio, radiologia, farmacia, e fisioterapia, cucina, mensa e manutenzione; un ospedale pulito, curato anche nei minimi particolari, che sia un luogo di pace per chi purtroppo porta i segni della guerra sulla propria pelle.

Feriti dalle mine antiuomo (il 30% bambini), colpiti da pallottole, accoltellati, sopravvissuti ai bombardaGairath, ha perso il nonno nell'attentatomenti delle forze occidentali oppure ai raid dei Talebani o ancora ai kamikaze che si fanno esplodere tra la folla.
Non passa giorn
o che qui non giungano molte persone che abbiano sul proprio corpo i dolorosi segni della guerra; vengono ammessi in pronto soccorso, rimossi i vestiti sporchi di sangue e lacerati, si tenta di fermare l’emorragia, vengono lavati, incannulata una via venosa, e preparati per entrare in sala operatoria (nel più breve tempo possibile in media 15 minuti), dove si cerca di salvare il salvabile, ma spesso si procede ad amputazioni di gambe e braccia, per cercare di salvare la vita; per restituire alla società un uomo, una donna, un bambino che abbiano una funzione sociale in questo paese martoriato.

Eppure ogni giorno questo ospedale ricomincia la sua lotta, ogni giorno ci si prepara a nuovi feriti, ad assiCamera operatoriastere nel miglior modo possibile gente che arriva da posti anche lontani centinaia di chilometri da questa città. Iniziamo la nostra giornata alle otto del mattino, ed andiamo avanti fino alle quattro o sei di sera, poi siamo reperibili per ogni tipo di urgenza, con un orecchio sempre teso ad esplosioni che provengano da fuori dalle mura dell’ospedale, segno che l’ennesimo kamikaze si è fatto esplodere in mezzo alla folla di qualche mercato o della moschea, il segno di un’altra giornata piena di gente ferita, mutilata, colpita nelle proprie attività quotidiane.

Ogni volta che sentiamo un esplosione o riceviamo informazioni di attentati, attiviamo il “Mass Casualty Plan” (l’equivalente del P.E.M.A.F “Piano Massiccio Afflusso Feriti” in Italia), ognuno degli infermieri e medici presenti ha un compito ben preciso, ci disponiamo nelle nostre posizioni all’interno dell’ospedale, il personale afgano viene coordinato per assistere il maggior numero dei feriti nel migliore dei modi possibile: chi sta in pronto soccorso, chi fa il triage, chi regola l’accesso dei feriti dal cancello, chi entra i31 Gennaio Bomba alla moschea di Lashgar Gahn sala e comincia ad operare i feriti più gravi, chi organizza i letti di degenza nei reparti. La sera quando tutto sembra tranquillizzarsi, ci ritroviamo insieme e si parla di come migliorare la prossima volta.

Il giorno dopo, quando tutto ricomincia, ti ritrovi nuovamente fianco a fianco con gli infermieri afgani che cercano di apprendere il più possibile dalla tua esperienza, dalle tue conoscenze, e ti rendi conto di come lasciare anche solo una piccola parte della tua professione qui, sia un piccolo passo che legato ad altri cento piccoli passi possa fare di questo ospedale una speranza per il popolo dell’Afghanistan.


Massimo Spalluto