Un effetto collaterale di nome
Saliha……
<>
(Lashkargah
20/01/2008)
Quante volte ho sentito parlare
degli “effetti collaterali”, con obbligo di virgolette in questo caso,
per un
infermiere come me e come i miei colleghi la parola in questione ha un
significato
ben preciso, un effetto indesiderato provocato da un farmaco assunto da
un
paziente (consapevole degli effetti collaterali di quel farmaco).>
Poi la parola è stata introdotta
nel gergo mediatico: effetti collaterali delle politiche migratorie,
gli effetti
collaterali di una guerra, sono diventati quotidiani annunci da
telegiornali e giornali.
Ho
sempre pensato agli “effetti
collaterali” delle guerre in corso, sulla base delle case distrutte,
delle
strade interrotte, delle difficoltà di convivere con questi
eventi; ma
difficilmente ho dato un volto ad uno di loro.
Quando
arrivo a Lashkargah, tra i
pazienti dell’ospedale incontro Saliha, nel suo vestitino colorato,
scorazza
per l’ospedale, si arresta solo quando incontra qualcuno, allora corre
a
nascondersi spaventata da quasi tutti, soprattutto da noi
internazionali.
Mi
raccontano la sua storia, una
delle tante storie che vivono in questo ospedale, Saliha, ha quattro
anni,
viene da un villaggio lontano dal nostro ospedale, chiamato Mousa Qala,
uno dei
molti villaggi che vengono sottoposti a bombardamenti dalle varie
offensive in corso
per stanare i Talebani in questa provincia (Helmand); attacchi che
inevitabilmente colpiscono i civili, soprattutto donne e bambini, i
cosiddetti
“effetti collaterali”.
La
sua famiglia è andata quasi
completamente distrutta, ha perso la madre e due fratellini, il padre
è finito
in prigione, sospettato di affiliazione con i Talebani.
Quando
è arrivata presentava
ustioni su gran parte del corpo, soprattutto il braccio e la gamba
destra mostravano
ustioni di secondo grado, e stata per tre mesi nel nostro ospedale,
sottoponendosi a dolorosissime medicazioni. Le infermiere del reparto
la
spogliavano completamente e poi procedevano a dei lavaggi profondi
delle zone
ustionate per rimuovere i tessuti necrotici, e favorire così la
fase di granulazione
dei tessuti sottostanti, poi con molta pazienta, veniva medicata, e
lasciata
scorazzare per l’ospedale fino alla prossima medicazione.
Ma
probabilmente le ferite più
grosse di questa bambina non erano quelle sulla pelle, ma dentro di
lei, se ne
stava tutto il giorno rintanata nel suo letto, senza nessuna
possibilità di
comunicare con lei, aveva alzato un muro tra lei ed il mondo esterno,
all’inizio neanche le infermiere Afgane riuscivano a farla uscire dal
quel
guscio in cui era chiusa, magra, triste e sola non voleva contatti con
nessuno.
Poi
piano piano ci si è
conquistati la sua fiducia, soprattutto il personale infermieristico
locale, ha
fatto breccia su di lei, che ha cominciato ad interagire, a mangiare, a
girare
curiosa per l’ospedale.
Di
sicuro in questo periodo non è
stato facile per lei inserirsi in un mondo completamente estraneo ai
suoi occhi,
così lontana dal suo villaggio, troppa la paura dentro di lei.
Difficile
anche solo avvicinarla,
visitarla, per non parlare delle terapie e delle medicazioni. Durante
il giro
visita, lei era ultima ad essere visitata dai medici, si doveva andarla
a
cercare dove si nascondeva, spesso la visita finiva in farmacia, dove
lei si
era rifugiata, dietro i pantaloni del nostro farmacista che con un
sorriso, ci
indicava la piccola paziente.
Dopo
tre mesi di ricovero oggi Saliha,
se ne va, viene dimessa dall’ospedale, Il parente più prossimo e
venuto a
prenderla, lascerà il posto dove anche se solo per una piccola
parte della sua
vita ha spadroneggiato, strillando ordini agli infermieri afgani e
qualche
volta dettando legge anche tra gli internazionali.
Il
luogo che spero per tre mesi
gli potrà aver restituito un po’ di pace e serenità,
anche se i suoi occhi
riflettono spesso la paura.
E
vedendola andare via, tutti noi
abbiamo difficoltà a pensare a lei come ad un “effetto
collaterale”, doloroso
ma indispensabile dei bombardamenti in questo paese.
Emergency
O.T. International
Nurse
Massimo
Spalluto