Chi
sei Kaori?
“Non è possibile, ti prego fa che non sia vero, fa che non sia vero…”
Saeko continuava a ripetere quelle parole mentre piangeva lacrime amare lontano da occhi indiscreti.
Da ore era rinchiusa nel suo ufficio aspettando solo una telefonata che non sarebbe mai arrivata.
Non voleva vedere nessuno, aveva rifiutato di parlare con suo padre e perfino con Reika, voleva solo restare sola.
Non riusciva a capire come poteva essere successo. Era convinta di avere tutto perfettamente sotto controllo, aveva promesso a Ryo che non le sarebbe successo niente e invece… Ryo… come fare a dirglielo? Con che parole avrebbe potuto dargli la notizia? Doveva parlargli di persona, ma chissà dove si trovava in quel momento, sarebbero potuti passare mesi senza avere sue notizie.
“Maki ti prego perdonami… perdonami…”
Non molto lontano, all’ospedale centrale di Shinjuku, un’altra donna sfogava le sue lacrime.
Non sarebbe dovuta essere lì in quel momento, ad una donna molto più coraggiosa e razionale di lei spettava quel compito, ma quella donna non c’era, si era chiusa in se stessa come 7 anni prima, e questa volta Reika non sapeva davvero come aiutarla.
Si diresse lentamente, scortata da due agenti, nel reparto dove era ancora ricoverato il giovane Noda. Era vivo per miracolo, se non lo avessero trovato in tempo non ce l’avrebbe fatta… neanche lui…
Il giovane era seduto nell’asettico letto ospedaliero e il suo sguardo vuoto era rivolto verso la luminosa finestra.
“Buongiorno Noda, mi chiamo Reika Nogami, sono la sorella dell’ispettore di polizia Saeko Nogami”.
Mikuro si voltò lentamente a guardare la nuova arrivata, ma i suoi occhi erano privi di espressione.
“Salve”
La donna si sedette su una sedia vicino al letto e chiese ai due agenti di lasciarla da sola col ragazzo.
“So che forse preferiresti non parlarne, ma ho bisogno di sapere cosa è successo quel giorno, ti va di raccontarmelo?”
“Ho già raccontato ai poliziotti tutto quello che sapevo, non voglio più parlarne”.
Reika sospirò. Si rendeva conto che non doveva essere facile per lui rievocare quei momenti, soprattutto considerando le sue passate esperienze, ma anche a lei faceva male, però doveva farlo.
“Ascolta, ti dirò una cosa che dovrà rimanere tra noi. Io volevo molto bene a Kaori, e non pensare che restare qui con te a parlare di quello che le è successo sia facile per me, ma lo faccio ugualmente, lo faccio per mia sorella. Si è chiusa in se stessa e non vuole parlare neppure con me, Kaori era sotto la sua responsabilità, soprattutto morale, quindi non credere di essere l’unico a soffrire per la sua perdita!”
“Lei non è morta”
Reika rimase colpita dalle parole del ragazzo, ma in fondo doveva essere plausibile dopo un tale shok rifiutare la realtà.
“Le hanno sparato, te ne ricordi vero? Hai detto tu stesso di averla vista cadere a terra e perdere sangue dalla testa. Hanno trovato moltissimo sangue, non può avercela fatta”.
Pronunciare quelle parole per Reika era più faticoso di quanto avesse mai pensato, ma anche lei doveva affrontare la realtà.
“Non hanno ancora trovato il suo corpo non è vero?”
“No, ma non è una prova e tu lo sai benissimo. Ascolta: ti sei quasi del tutto rimesso, vogliono solo sapere se tornerai all’accademia o no. Non sei obbligato, capiranno, ma devi decidere Noda”
“Io andrò a cercarla, non tornerò fino a quando non l’avrò trovata”
Il tono delle sue parole era calmo, troppo calmo e troppo deciso. Lo capiva fin troppo bene, era successo anche a lei quando era in polizia. Decise di tentare il tutto per tutto col ragazzo, forse raccontandogli la verità avrebbe capito.
“Ti racconterò una storia Noda, non pretendo di farti cambiare idea, ma spero ti aiuterà a capire meglio quello che non riesco a spiegarti con le semplici parole:
C’erano una volta due allieve dell’accademia di polizia, due ragazze giovani e con un profondo senso di giustizia. Nonostante alcuni anni di differenza erano diventate molto amiche, anche perché avevano una cosa in comune: entrambe avevano una sorella poliziotto. Una volta terminata l’accademia erano entrambe entrate nel corpo di polizia, ma invece di separarsi per far coppia con le rispettive sorelle erano rimaste insieme, la loro intesa era eccezionale. Un brutto giorno però una delle due era dovuta restare in centrale per alcune formalita, così l’altra era uscita da sola. Mentre tornava dal suo giro di ricognizione si imbattè in alcuni rapinatori in fuga, e si mise ad inseguirli. Non so cosa successe con esattezza, nessuno riesce ancora a spiegarsi come una poliziotta in gamba come lei sia riuscita a farsi fregare da due ladruncoli del genere, ma purtroppo successe l’irreparabile. Un solo colpo le fu fatale. Quando lo seppe la sua compagna quasi impazzì, si sentiva terribilmente in colpa, era convinta che se fosse stata con lei ora sarebbe ancora viva. Voleva a tutti i costi trovare i suoi assassini e per questo lasciò la polizia. Per un anno intero andò avanti con quell’unico scopo alla sua vita, ma non trovò mai quello stava cercando. Questo perché quello che stava cercando era solo un modo per espiare colpe che in fondo non aveva. Solo dopo molto tempo si rese conto che l’unica cosa che avrebbe potuto fare per l’amica era aiutare tutti quelli che non avrebbe più potuto aiutare lei. Fu difficile da accettare, probabilmente senza l’aiuto di sua sorella non ce l’avrebbe mai fatta, ma ci riuscì. Aprì un’agenzia investigativa e iniziò a combattere i criminali a modo suo.
Lo avrai capito credo, ero io quella ragazza.”
Mikuro la stava guardando, ora nei suoi occhi vedeva una minima luce di comprensione.
“Mi dispiace, ma tu almeno avevi la tua famiglia, io invece ho già perso tutte le persone a cui tenevo. Cerca di capire, Makimura è l’ultima possibilità che ho per riscattarmi io…”
Reika sapeva bene a cosa si riferiva il ragazzo, e decise di aiutarlo a sfogarsi:
“Pensi a Maya non è vero?”
Il ragazzo spalancò gli occhi: come faceva quella donna a sapere? Reika continuò:
“L’ho conosciuta, tanti anni fa. Anche lei come te era oppressa dai sensi di colpa. Non è colpa tua se lei è scomparsa, come non era colpa sua la morte di Sarah… e nemmeno mia…” il viso impassibile di Reika assunse un pallore spettrale e abbassò lo sguardo. Mikuro la osservava senza parlare, cominciava a capire cosa stava cercando di dirgli quella donna, ma sembrava tutto così irreale…
“Non ero mai riuscita a dirlo sai?… mi ci sono voluti anni per accettarlo, ma non l’avevo mai detto così apertamente”
Mikuro finalmente capì perché davanti a lui, in quel momento, ci fosse Reika. Il cerchio si stava chiudendo.
“Perché vuoi aiutarmi? Per Sarah? Perché non sei riuscita a salvarla?” la voce di Mikuro ora tremava.
“Forse un tempo lo avrei fatto per lei, ma oggi no. Voglio solo che tu non ti perda in te stesso come ha fatto Maya e come ho rischiato di fare io”.
Mikuro la fissava intensamente, era ancora indeciso, ma di una cosa era sicuro:
“Non tornerò all’accademia” disse soltanto.
Reika sorrise, vedeva sempre di più se stessa in quel ragazzo poco più giovane di lei, e un’idea cominciò ad insinuarsi nella sua mente.
“Hai già deciso cosa farai?”
“No, immagino dovrò cercarmi un lavoro…”
“E se te l’offrissi io un lavoro?”
Mikuro spalancò gli occhi:
“Che cosa??”
Reika sorrideva con aria furba, ormai lo aveva in pugno! Non le era certo sfuggito quel lampo di profondo interesse nello sguardo stupito del ragazzo.
“Perché no? Sono sicura che sarebbe il modo giusto di placare la tua sete di giustizia, che ne dici?”
Il ragazzo fremeva all’idea, ma non solo per i motivi che poteva immaginare Reika.
Non riusciva ad abbandonare l’idea che la sua amica fosse ancora viva, e non per un assurdo spirito di riscatto. Se avesse lavorato con Reika forse sarebbe riuscito prima o poi a ritrovarla, doveva tentare, sì.
“D’accordo, accetto”
Reika sorrise. Poi lentamente si alzò in piedi e si diresse verso la porta. Prima di aprirla si voltò verso il ragazzo che l’aveva seguita con lo sguardo:
“Mi raccomando allora, ti dimettono martedì, ti voglio mercoledì mattina in ufficio, ci conto!”
“Ci sarò, promesso!”
Reika sorrise e uscì dalla stanza.