IL POETA VEGGENTE
La parabola di Rimbaud inizia nel 1870 con la raccolta Prime poesie, ma già l'anno seguente egli rinnega questi versi e raccomanda all'amico Paul Demeny di bruciarli. Allo stesso Demeny invia nel '71 una lettera in cui espone la nuova estetica del "poeta veggente": "Io dico che bisogna essere veggente, farsi veggente. Il poeta si fa veggente attraverso una lunga, immensa, ragionata sregolatezza di tutti i sensi. Tutte le forme d'amore, di sofferenza, di follia; cerca se stesso, esaurisce in se stesso tutti i veleni per serbarne la quintessenza. ineffabile tortura in cui ha bisogno di tutta la fede, di tutta la sovrumana forza, e dove diventa il gran malato, fra tutti, il gran criminale, il gran maledetto, e il supremo Sapiente! Infatti giunge all'Ignoto! Poiché ha coltivato la sua anima, già ricca, più di qualsiasi altro! Giunge all'Ignoto. Egli ha un incarico dall'Umanità, dagli animali anche: dovrà far sentire, palpare, ascoltare le sue scoperte. Se quel che riporta di laggiù ha una forma, dà una forma: se è informe dà l'informe..."
In questa lettera Rimbaud apre delle nuove prospettive poetiche, in direzione simbolistica e surrealistica: la poesia deve svilupparsi attraverso immagini che non vogliono esprimere concetti, ma sono esse stesse dei concetti, idee queste che aveva già concretizzato nel poemetto Battello ebbro e nel sonetto Vocali, scritti agli inizi del '71. Nel poemetto, attraverso il simbolico viaggio di un battello fantasma, egli rappresenta la sua stessa vita, il suo bisogno di andare alla ricerca dell'ignoto, il bisogno di immergersi nel mistero universale; nel sonetto instaura una fittissima rete di corrispondenze fra i suoni e i colori, giungendo a intuizioni arditissime, che si snodano attraverso un serrato procedimento sinestetico.
Le vertigini del veggente, espresse con immagini allucinate, in una prosa libera da ogni logica e controllo razionale, sono raccolte nelle Illuminazioni che rappresentano l'ultima tappa poetica di Rimbaud; un'opera questa che vide la luce nel 1886, grazie a Verlaine, e a lungo erroneamente ritenuta anteriore a Una stagione all'Inferno. Qui Rimbaud porta alle estreme conseguenze le corrispondenze baudelairiane, in un linguaggio talmente nuovo, magicamente musicale, che riassume e fonde colori, suoni e profumi con suggestive allucinazioni e audaci metafore.
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