PADRE REGINALDO CAMBARERI
E I SUOI SCRITTI

 

Il nome di Cambareri è già noto anche al lettore non specialista di filosofia e teologia per un suo libro recentemente edito dalla Grafigan di Vibo Valentia: “L’ impegno del cristiano nelle realtà terrene”. Ciò che forse non tutti sanno è che Reginaldo Cambareri dà lustro al Paese e al mondo. Infatti nell’ultimo capitolo generale di Oakland (California) il suo nome venne incluso tra quelli che danno maggior vanto all’università Angelicum.

DON REGINALDO CAMBARERI

Nato a Gerocarne, in prov. di Vibo Valentia, il 7 gennaio 1934, ordinato sacerdote il 4 agosto 1960, ottiene il licenziato e il dottorato in Sacra Teologia presso la Pontificia Università S. Tommaso di Roma; indi la laurea in Filosofia all’Università di Catania. Insegnò Teologia Morale nel seminario diocesano di Acireale e nello Studio teologico interdiocesano S. Paolo di Catania, di cui fu primo Preside, e presso la Pontificia Università S. Tommaso in Roma dal 1979 fino alla sua morte, avvenuta il 6 novembre 1989.
Affrontare Padre Reginaldo è impresa ardua perché la sua opera spazia per tutti i campi dello scibile umano. E’ veramente un monumento di dottrina. Conobbe anche diverse lingue, in specie il tedesco che apprese direttamente in Germania, presso il celebre Goethe Institut.
Il suo sistema di riferimento consta di tre elementi: la sapienza delle Sacre Scritture, il tomismo, la filosofia tout court.
Ciò che emerge dagli Scritti di Bioetica è una profondità di pensiero e una statura morale fuori del comune.
Uomo di eccezionale levatura, il Vangelo gli trasfuse bontà d’animo non disgiunta da un grande entusiasmo che sapeva trasmettere a tutti. Scrive, infatti, un suo alunno: “ Tutti noi ricorderemo con grande affetto le sue lezioni sul Cristocentrismo in Teologia Morale. Come dimenticare le sue appassionate e infuocate lezioni per dimostrarci che la Teologia Morale esula dal semplice precettismo per essere una continua chiamata-risposta fra Dio e l’uomo?”.
I singoli capitoli di ” Scritti di Bioetica”, Edizioni Settecolori, Vibo Valentia (consta di una presentazione del Cardinale Mario Luigi Ciappi e di una prefazione di P. Michele Cordiano, professore di Teologia Morale all’Istituto di Scienze Religiose di Vibo Valentia) sono come dei gustosi saggi, di taglio originale, intorno a un tema che la solida dottrina del Cambareri proietta verso altre ricerche, accostando la tematica della società di oggi. Ma il leitmotiv è la Bioetica di cui è profondo conoscitore, una vera competenza.
Il testo, corredato di una ricca e specialistica bibliografia, non ha uguali quanto a importanza, valore e pregio. Ha per oggetto questioni interessanti, di vitale importanza, e offrendo argomenti logici e persuasivi provoca un coinvolgimento totale, razionale ed emotivo .
Bisognerebbe assaporare in silenzio le pagine del Cambareri dense , come sono, di pensieri, idee, suggestioni. Esordisce chiedendosi il perché della Bioetica oggi.
E individua due cause. La prima è riconducibile al boom scientifico che ha reso gli strumenti di manipolazione e di morte tanto potenti da destare motivate inquietudini e sollecitare la ripresa della responsabilità etica di fronte al prospettarsi di problemi radicalmente nuovi. La seconda è riconducibile al progredire del secolarismo che ha messo in crisi, assieme alla religione cristiana, il sistema dei valori etici connessi al Cristianesimo. Ai nostri giorni è apparso il rischio di un uso scorretto delle nuova straordinarie possibilità tecnico-scientifiche. Si potrebbe parlare di una forma di schizofrenia del sapere contemporaneo, slegato, autonomistico quasi irriducibile ad una visione armonica. Si nota un vero iato tra sapere umanistico e sapere scientifico. Il rischio è l’instaurarsi della Tecnocrazia i cui valori saranno l’efficientismo, l’utilità materiale l’edonismo, il consumismo. La disciplina che affronta tali problemi sotto l’aspetto etico è stata denominata Bioetica.

Negli Stati Uniti su 125 facoltà di medicina ben 116 di esse hanno istituito una cattedra di Bioetica. In Italia esiste all’Università Cattolica del Sacro Cuore di Roma e, sotto forma di corso complementare, a Firenze e all’istituto S. Raffaele di Milano.
Quella del Cambareri è un’opera densa di lezioni esegetiche e di nuovi concetti. Del tutto originale appare la tesi secondo cui si ravvisa nella tecnologia una “cultura del desiderio” che si estrinseca a livello di potere “creativo” e “alternativo” dei nuovi strumenti tecnologici. Nuova è anche la categoria secondo cui si individua, nell’interpretazione del crescente potere scientifico – tecnologico in termini di autosufficienza e di autonomia assoluta, un revival di positivismo e di scientismo.
Il “ senso” della realtà non può essere oggetto del sapere esatto scientifico – tecnico, ma può derivare da una visione integrale dell’uomo.
Il Nostro, pur non escludendo a priori, interventi sul genoma umano, quando tendono ad eliminare e a prevenire patologie, rivendica il primato della persona sulla scienza e sulla tecnica, il primato assiologico dell’etica sulla tecnologia.
Argomentazioni importanti, ineccepibili, poi, quelle che dimostrano la tesi dell’intangibilità della vita nascente. Il bambino ancora non nato ha diritto alla vita. L’errore degli abortisti, scrive con acutezza il Cambareri, sta nella pretesa di definire la persona non sulla base ontologica (l’essere della specie umana) ma su base operazionistica e funzionalistica. Solo il Cristianesimo è in grado di difendere con coerenza anche filosofica il valore della vita umana, quale diritto intangibile. Tra l’altro il nascituro non ha né voce né forza per proclamare la sua innocenza e di fronte alla sua impotenza vince il più forte. La verità è che dietro le posizioni abortiste si nasconde una concezione utilitaristica e materialistica della vita.
Si può accettare, si chiede il Nostro, come visione morale quella che afferma che è degno di vivere solo chi è efficiente e produttivo per la società? Il principio del rispetto della vita umana, afferma, fa parte dei convincimenti profondi della coscienza degli uomini di oggi, a prescindere da particolari credenze religiose. È un principio di legge naturale.
Stimolanti e istruttive sono, poi, le riflessioni per una lettura dell’”Humanae vitae” con cui egli chiarisce come la Chiesa non abbia mai inculcato una illimitata e insensata prolificità. Il numero dei figli è un problema che riguarda il buon senso e la responsabilità dei genitori.
Spiega, con uno stile serio, elegante, accurato, le origini e lo sviluppo del testo dell’Enciclica. Così apprendiamo che fu Giovanni XXIII a istituire nel 1963 una Commissione per lo studio dei problemi della natalità.
Degli iniziali sei membri, tre teologi e tre laici, si passò poi con Paolo VI a settanta membri (medici, sociologi, teologi, coppie di sposi, sette cardinali e nove vescovi). Presidente il Cardinale Ottaviani e Vice presidenti Dopfner e Heenan. Nel giugno del 1966 il Cardinale Dopfner consegna al Papa la relazione approvata dalla maggioranza della Commissione che si pronunciava per la liceità dei metodi anche artificiali per la regolazione delle nascite, quando tale scelta non fosse dettata da edonismo egoistico, ma da senso di responsabilità verso il matrimonio, la famiglia e la società. Contemporaneamente il Cardinale Ottaviani presenta al papa la relazione di minoranza che dichiara illeciti i metodi artificiali per regolare le nascite, alla luce dell’insegnamento tradizionale della Chiesa. Il 29 luglio del 1968 viene reso noto il testo dell’enciclica Humanae Vitae. L’Enciclica definisce “illecito”o “intrinsecamente illecito” il ricorso ai metodi artificiali e non parla mai di peccato grave. Avvincente e suggestivo il capitolo sull’eutanasia alla cui radice il Cambareri vede il secolarismo come matrice culturale.

Si rivela uno studioso particolarmente esperto e supera tutti per cultura, intelligenza e sensibilità.
Chiude il discorso teoretico con delle riflessioni sull’unzione degli infermi. Due, secondo il Nostro sono i fattori della disaffezione al sacramento; uno storico e l’altro culturale. Il primo affonda le radici nel medioevo, che ci ha trasmesso una concezione del sacramento secondo cui la sacra unzione non era altro che una preparazione immediata alla morte. Il secondo è riconducibile alla rimozione dell’idea della morte, che è tipica della secolarizzazione esasperata nelle società del benessere nelle quali la felicità terrena viene considerata come l’unico imperativo dell’esistenza umana.

Il Cambareri nella sua vita ha saputo coniugare il rigore della logica con gli slanci mistici, la scienza con la fede.
Ma la sua vera vocazione è la santità, che gli suggerisce di scegliere il nome (Reginaldo) del giovinetto di Orleans al quale la Vergine, apparendo in sogno, aveva chiesto che i Domenicani indossassero lo scapolare, non nero, ma bianco, quale simbolo della loro missione di “difensori della fede e di veri luminari del mondo”. La fiamma della fede e del candore è il distintivo di don Reginaldo che ha raggiunto la perfezione evangelica.

La santità, non comportando necessariamente visioni, estasi e miracoli, consiste nella pratica della virtù eroica (quella esercitata in forma eccezionale) e il santo sacerdote, praticò le virtù in sommo grado. Si può accennare solo a qualcuna di quelle che sono come le basi granitiche su cui si innalza il solido edificio della sua santità: umiltà, fortezza, zelo, amore verso Dio e verso il prossimo. Una vita giocata sul registro del sovrannaturale, ritmata dalla frequenza ai sacramenti e da un’intensa e assidua meditazione scritturistica non già della sola filosofia.

Per don Reginaldo la verità è Dio Padre, creatore dell’Universo con tutta la sua immensità, verità e bellezza; è Cristo Gesù che si è proclamato “via, verità e vita”, è lo Spirito Santo che, procedendo dal Padre e dal Figlio, muove e illumina le meraviglie del Creato.

Prof. Domenico Buccafusca