Origini e cenni storici del

Monastero delle Benedettine di S. Cecilia in Trastevere a Roma

 

Il monastero sorge accanto alla insigne Basilica di S. Cecilia nel rione di Trastevere a Roma.

Questa chiesa, come da notizie storiche (cfr. G. Moroni - Dizionario di erudizione storica-ecclesiastica, ol. 11-12), fu eretta nella stessa casa della santa, appartenente alla nobilissima famiglia dei Metelli, verso l’anno 230, prima ancora che la santa fosse martirizzata.

Si evince, inoltre dal suddetto documento, che in questo luogo già esisteva il “foro degli ebrei” luogo dove probabilmente S. Pietro venne ospitato al Suo arrivo a Roma e da dove iniziò la Sua predicazione.

Fu poi papa S. Gregorio Magno (590-604),della gens Anicia, autore della biografia di S.Benedetto,  che restaurò e consacrò nuovamente questa chiesa.

Il massimo splendore lo ritrovò con papa Pasquale I che la riedificò e vi portò il corpo di S. Cecilia, ritrovato nelle catacombe di S. Callisto; quindi la riconsacrò solennemente nel 821.

Il pontefice S. Pasquale I, nel luogo chiamato “Proto e Giacinto”, attiguo alla chiesa, eresse un monastero intitolato ai SS. Andrea e Gregorio, in memoria delle beneficenze fatte da S. Gregorio a questa chiesa, affidandolo ai monaci benedettini.

Il monastero fu dato, in seguito all’ordine religioso degli Umiliati, ordine nato in Lombardia nel 1200ca, il cui nome prendeva origine dall’umile abito in lana greggia che indossavano.

Abili tessitori e follatori, gli umiliati svilupparono in Lombardia l’industria della lana portando la loro esperienza nei monasteri.

Quest’ordine fu soppresso e nel 1527 il papa Clemente VII concesse la chiesa e il monastero ad alcune monache benedettine di Campo Marzio, comunità proveniente dalla Cappadocia basiliana (il monastero di Campo Marzio fu soppresso nel 1800). Queste monache assunsero l’abito bianco come quello degli Umiliati e, grazie alle beneficenze di una dama romana, poterono ingrandire e restaurare il monastero.

Il monastero di S. Cecilia fondò un monastero presso la Chiesa dei SS. Vito e Modesto per volere del Papa Sisto V, monastero che passò alle monache cistercensi di S. Susanna in Roma, con le quali le monache di S. Cecilia mantengono tuttora stretti rapporti.

 

Attività del monastero di S. Cecilia

Dall’antica storia e tradizione traggono origini le attività da sempre svolte in questo monastero fino ai giorni nostri.

 

~  La Tessitura

La tessitura è una attività lavorativa del monastero di S. Cecilia, che si perde nel tempo.

La valorizzazione ed elaborazione della lana è probabilmente da ricollegare alla presenza dell’ordine religioso degli Umiliati precedenti la fondazione benedettina femminile risalente al 1527.

Esiste ancora in monastero un piccolo telaio a mano per la tessitura del pallio, insegna del Papa e dal Papa benedetta e consegnata ai cardinali e agli arcivescovi metropoliti ogni anno in occasione della solennità dei SS. Pietro e Paolo, il 29 giugno, a significare la comunione pastorale del successore di  Pietro con i successori degli altri Apostoli.

Il  pallio, stola larga 6 cm. e di lunghezza variata nel tempo, vuol simboleggiare la pecorella smarrita, cercata, salvata e posta sulle spalle del Buon Pastore e insieme l’Agnello crocifisso per la salvezza dell’umanità perduta. 

Il  mosaico della parete absidale della basilica di S. Cecilia, risalente al IX secolo presenta già il papa Pasquale I, costruttore del tempio dedicato alla martire romana, rivestito del pallio.

La Comunità di S. Cecilia continua ancora oggi a confezionare i palli del Papa e degli arcivescovi che vengono mandati in Vaticano ogni anno, il 24 giugno, solennità di S. Giovanni Battista, il profeta che additò il Cristo come “ l’Agnello di Dio”.

Il pallio del papa è il risultato della lana tosata di due agnellini che il Capitolo lateranense acquista ogni anno dal monastero trappista di Tre Fontane e presenta al pontefice il 21 gennaio, festa di S. Agnese. Gli agnellini, ottenuta la speciale benedizione, vengono condotti nel monastero di S. Cecilia, dove sono allevati con cura sino a  Pasqua.

Il pallio è la più caratteristica opera di tessitura del monastero di S. Cecilia.

 

Lavorazione della cera

 Un’altra attività che vanta il monastero di S. Cecilia, è l’elaborazione e la lavorazione della cera.

Questa lavorazione comprende anche la realizzazione di statuette, in particolare di Gesù Bambino deliziosamente decorate e rivestite di tessuti impreziositi di ricami.

Espressione massima di questa attività è “l’Agnus Dei”, elaborato tipico in cera del monastero di S. Cecilia.

Si tratta di una forma di cera vergine nella quale è impressa la figura dell’Agnello pasquale, vittorioso della morte che ha subito sull’altare della croce. Sul retro dell’Agnus Dei, è impressa la figura di Maria con il Bambino, Salus populi romani”.

La cera per gli Agnus Dei è impastata con acqua e balsamo ed è considerata un segno del profumo di Cristo che ogni cristiano è chiamato a spargere nel mondo, lottando contro le forze del male.

Antichissimo è il rito della benedizione degli Agnus Dei nella chiesa romana.

Prima essi venivano distribuiti dal Papa il sabato dell’ottava di Pasqua, durante la celebrazione eucaristica, al canto dell’Agnus Dei, poi in occasione della solennità dell’Ascensione.

Quest’uso non è più seguito; ma gli Agnus Dei continuano ad essere ricercati e le monache di S. Cecilia continuano a disporli in sacchetti di seta ornati di pizzo, dipinti e miniati.

Nel monastero di S. Susanna, fondazione della Comunità di S. Cecilia, ancora oggi si continua a lavorare e decorare la cera.

 

 

~  I semplici

La cultura dei semplici affonda le sue radici nella lunga tradizione del monastero di S. Cecilia.

Pur essendo ubicato al centro di Roma,  il monastero gode tuttora di larghi spazi verdi: orti e giardini.

Ci risulta che sino agli anni 50 del 1900, foglie medicamentose opportunamente essiccate venivano consegnate dalla monaca farmacista a chi le richiedesse, attraverso la “ruota”.

Tra tali foglie prevalgono quelle di sambuco, malva e lavanda. Erbe come la valeriana e la melissa, foglie di pomodoro e di carciofo, scorze e fiori d’arancio amaro e dolce, viola ed altri fiori campestri, radici di angelica ed altro…., infusi e variamente elaborati, venivano utilizzati per la preparazione di prodotti farmaceutici, quali sciroppi, decotti, polveri curative, balsami e liquori.

Perduti i locali della farmacia prospicienti su via S. Michele, negli ultimi decenni del 1800, furono adattati a tale scopo gli ambienti più vicini ad essi, dai quali l’intera attrezzatura fu trasferita in Vaticano dietro un compenso elargito dal papa Pio XI  per le spese di sostentamento della Comunità. Tale decisione fu presa il 12 marzo 1937.

Nella cronaca del monastero è scritto che il trasporto di tavoli ( alcuni istoriati e decorati), armadi, vasi in cristallo di varia forma, stilli, bilance, ecc. durò ben quattro giorni con diversi viaggi di camion ogni giorno. Soltanto dei residui rimasero in monastero.

C’erano rapporti con antiche farmacie romane, nonché di monasteri di altre città italiane, benedettini, carmelitani e probabilmente anche esteri.

Il settore farmaceutico, peraltro, comprendeva anche l’utilizzo e la vendita di garze tessute a mano.

L’elaborazione dei semplici non si limitò al settore farmaceutico,  ma ispirò disegni e miniature, utilizzate nelle “benedizioni papali” in pergamena e per la decorazione della cera modellata in varie forme.

Fiori e foglie venivano altresì incerate e intrecciate in mazzolini a scopo decorativo. 

 

 

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